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commissario forestale prove scritte
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Da: ----------01/10/2011 11:47:19
invidia[in-vì-dia] s.f.1 Sentimento astioso che una persona ha verso gli altri, e spec. verso ciò che reputa il loro pregio o le loro fortune: morire d'i.; rodersi dall'i.

2 Sentimento sincero di ammirazione: ha una resistenza da fare i.; persona o cosa che desta ammirazione: ha una casa che è l'i. di tutti

â sec. XIII
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Da: G.B.01/10/2011 11:48:44
Il Decamerone o Decameron (dal greco antico, ´áº±, déka, "dieci", ed áμέρ±, h"méra "giorno", con il significato di "[opera di] dieci giorni"[1]) è una raccolta di cento novelle scritta nel Trecento (probabilmente tra il 1349 ed il 1351) da Giovanni Boccaccio.

È considerata, nel contesto del Trecento europeo, una delle opere più importanti della letteratura, fondatrice della letteratura in prosa in volgare italiano. Ebbe larghissima influenza non solo nella letteratura italiana ed europea (si pensi solo ai Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer), ma anche nelle lettere future, ispirando l'ideale di vita edonistica e dedicata al piacere ed al culto del viver sereno tipici della cultura umanista e rinascimentale (che si traduce per esempio nel celebre Trionfo di Bacco e Arianna, composizione poetica di Lorenzo de' Medici).

Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che trattenendosi fuori città per quattordici giorni (il titolo indica i dieci giorni in cui si raccontano le novelle e non i quattro in cui ci si riposa), per sfuggire alla peste nera, che imperversava in quel periodo a Firenze, raccontano a turno delle novelle di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami all'erotismo bucolico del tempo. Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di scandalo, e fu in molte epoche censurato o comunque non adeguatamente considerato nella storia della letteratura.

Il Decamerone fu anche ripreso in versione cinematografica da diversi registi, fra i quali Pier Paolo Pasolini.

Indice [nascondi]
1 Il titolo
2 La struttura
3 Il proemio
4 La cornice
5 La follia e le altre tematiche nel Decameron
6 Le fonti del Decameron
7 La censura
8 Struttura narrativa dell'opera
9 Note
10 Bibliografia
11 Voci correlate
12 Altri progetti

Il titolo  [modifica]Il titolo completo che Boccaccio dà alla sua opera è Comincia il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini.

Decameron deriva dal greco e letteralmente significa "dieci giorni" e si rifà all'Exameron ("sei giorni") di Sant'Ambrogio, un racconto sui sei giorni della creazione divina. In realtà il tempo effettivo trascorso fuori città dai giovani è di quattordici giorni, poiché il venerdì è dedicato alla preghiera e il sabato alla cura personale delle donne.

L'opera è cognominata (ossia sottotitolata) Prencipe Galeotto, con riferimento a un personaggio, Galeuth o Galehaut, del ciclo bretone del romanzo cortese che fece da intermediario d'amore tra Lancillotto e Ginevra. "Galeotto" inoltre riecheggia un famoso verso, riferito allo stesso personaggio, del V canto dell'Inferno di Dante Alighieri, "Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse", verso con cui Francesca termina il suo racconto.

La struttura  [modifica] Per approfondire, vedi la voce Struttura del Decameron.

All'interno del Decameron, Boccaccio immagina come, durante il periodo in cui la peste devasta Firenze (1348), una brigata di sette ragazze e tre ragazzi, tutti di elevata condizione sociale, decidano di cercare una possibilità di fuga dal contagio spostandosi in campagna. Qui questi dieci giovani trascorrono il tempo secondo precise regole, tra canti, balli e giochi. Notevole importanza, come vedremo dopo, assumono anche le preghiere. Per occupare le prime ore serali, i ragazzi decidono di raccontare una novella ciascuno, secondo precisi rituali: per esempio, l'elezione quotidiana di un re che fisserà il tema della giornata a cui tutti gli altri narratori dovranno ispirarsi nei loro racconti. Al solo Dioneo, per la sua giovane età, è concesso di non rispettare il tema delle giornate; dovrà però novellare sempre per ultimo (Privilegio di Dioneo). La prima e la nona giornata hanno un tema libero. Si sono date molteplici interpretazioni degli strani nomi attribuiti ai narratori, in gran parte riecheggianti etimologie greche: Pampinea ("la rigogliosa"), Filomena ("amante del canto", oppure "colei che è amata"), Neifile ("nuova amante"), Filostrato ("vinto d'amore"), Fiammetta (la donna amata da Boccaccio), Elissa (l'altro nome di Didone, la regina dell'Eneide di Virgilio), Dioneo ("lussurioso", da Diona, madre di Venere; spurcissimus dyoneus si definiva Boccaccio in una lettera giovanile), Lauretta (la donna simbolo di Petrarca), Emilia e Panfilo (il "Tutto Amore", che infatti racconterà spesso novelle ad alto contenuto erotico).

Nel Decamerone le cento novelle, pur avendo spesso in comune il tema, sono diversissime l'una dall'altra, poiché l'autore vuol rappresentare la vita di tutti i giorni nella sua grande varietà di tipi umani, di atteggiamenti morali e psicologici, di virtù e di vizio; ne deriva che il Decameron offre una straordinaria panoramica della civiltà del Trecento: in quest'epoca l'uomo borghese cercava di creare un rapporto fra l'armonia, la realtà del profitto e gli ideali della nobiltà cavalleresca ormai finita.

Come scritto nella conclusione dell'opera, i temi che Boccaccio voleva illustrare al popolo sono essenzialmente due. In primo luogo, infatti, Boccaccio voleva mostrare ai fiorentini che è possibile rialzarsi da qualunque disgrazia si venga colpiti, proprio come fanno i dieci giovani con la peste che si abbatte in quel periodo sulla città. Il secondo tema, invece, è legato al rispetto e ai riguardi di Boccaccio nei confronti delle donne: egli infatti scrive che quest'opera è dedicata a loro che, a quel tempo, erano le persone che leggevano maggiormente e avevano più tempo per dedicarsi alla lettura delle sue opere.

Il proemio  [modifica]Il libro si apre con un proemio che delinea i motivi della stesura dell'opera. Boccaccio afferma che il libro è indirizzato a coloro che sono afflitti da "pene d'amore", allo scopo di dilettarli con piacevoli racconti e dare loro utili consigli. È chiaro perciò che l'opera è rivolta ad un pubblico di donne e più precisamente a "coloro che amano". Il Decameron non è quindi una lettura da letterati di professione, anche se raffinato ed elegante.

Sempre nel Proemio Boccaccio racconta di rivolgersi alle donne per rimediare al "Peccato della Fortuna": le donne possono trovare poche distrazioni dalle pene d'amore rispetto agli uomini. Alle donne, infatti, a causa delle usanze del tempo, erano preclusi certi svaghi che agli uomini erano concessi, come la caccia, il gioco, il commerciare; tutte attività che possono occupare l'esistenza dell'uomo. Quindi nelle novelle le donne potranno trovare diletto e utili soluzioni che allevieranno le loro sofferenze.

Anche il tema dell'"Amore" ha una certa importanza: in effetti gran parte delle novelle tocca questa tematica, che assume anche forme licenziose e che susciterà reazioni negative da parte di un pubblico retrivo; per questo motivo Boccaccio, nell'introduzione alla quarta giornata e specialmente nella conclusione, rivendicherà il suo diritto ad una letteratura libera ed ispirata ad una concezione naturalistica dell'Eros (significativo in questo senso il cosiddetto "Apologo delle Papere").

La cornice  [modifica]La cornice narrativa in cui inserire le novelle è di origine indiana (per esempio la raccolta Pa±catantra). Tale struttura passò poi nella letteratura araba e in Occidente.

La cornice è costituita da tutto ciò che si trova al di fuori delle novelle ed in modo particolare dalla Firenze contaminata dalla peste dove un gruppo di dieci giovani, di elevata condizione sociale, si ritira in campagna per trovare scampo dal contagio. È per questo che Boccaccio all'inizio dell'opera fa una lunga e dettagliata descrizione della malattia che colpì Firenze nel 1348 (ispirata quasi interamente a conoscenze personali ma anche all'Historia Langobardorum di Paolo Diacono) che, oltre a decimare la popolazione, distrugge tutte quelle norme sociali, quegli usi e quei costumi che tanto gli erano cari. Al contrario, i giovani creano una sorta di realtà parallela quasi perfetta per dimostrare come l'uomo, grazie all'aiuto delle proprie forze e della propria intelligenza, sia in grado di dare un ordine alle cose, che poi sarà uno dei temi fondamentali dell'Umanesimo. In contrapposizione al mondo uniforme di questi giovani si pongono poi le novelle, che hanno vita autonoma: la realtà descritta è soprattutto quella mercantile e borghese; viene rappresentata l'eterogeneità del mondo e la nostalgia verso quei valori che via via stanno per essere distrutti per sempre; i protagonisti sono moltissimi ma hanno tutti in comune la determinazione di volersi realizzare per mezzo delle proprie forze. Tutto ciò quindi fa del Decameron un'opera unica, poiché non si tratta di una semplice raccolta di novelle: queste ultime sono tutte collegate fra di loro attraverso la cornice narrativa, formando una sorta di romanzo.

La follia e le altre tematiche nel Decameron  [modifica]Nel Decameron il tema della follia compare a più riprese intrecciandosi inevitabilmente con altre tematiche, come quelle della beffa, dello scherno, della burla. Uno degli aspetti più interessanti, però, è quello della follia per amore, per la quale spesso uno dei due amanti giunge fino alla morte.

La concezione della vita morale nel Decameron si basa sul contrasto tra Fortuna e Natura, le due ministre del mondo (VI,2,6). L'uomo si definisce in base a queste due forze: una esterna, la Fortuna (che lo condiziona ma che egli può volgere a proprio favore), l'altra interna, la Natura, con istinti e appetiti che deve riconoscere con intelligenza. La Fortuna nelle novelle appare spesso come evento inaspettato che sconvolge le vicende, mentre la Natura si presenta come forza primordiale la cui espressione prima è l'Amore come sentimento invincibile che domina insieme l'anima e i sensi, che sa ugualmente essere pienezza gioiosa di vita e di morte.

L'amore per Boccaccio è una forza insopprimibile, motivo di diletto ma anche di dolore, che agisce nei più diversi strati sociali e per questo spesso si scontra con pregiudizi culturali e di costume. La virtù in questo contesto non è mortificazione dell'istinto, bensì capacità di appagare e dominare gli impulsi naturali.

Durante tutta la IV giornata vengono narrate novelle che trattano di amori che ebbero infelice fine: si tratta di storie in cui la morte di uno degli amanti è inevitabile perché le leggi della Fortuna trionfano su quelle naturali dell'Amore. All'interno della giornata, le novelle 3, 4 e 5 rappresentano un trittico che illustra in modi diversi l'amore come follia. L'elemento che le accomuna è la presenza della Fortuna coniugata come diversità di condizione sociale: prevale infatti la tematica dell'amore che travalica le leggi della casta e del matrimonio, che diventa una follia sociale e motivo di scandalo.

Un esempio è costituito dalla V novella della IV giornata, ovvero la storia di Lisabetta da Messina e il vaso di basilico. In questa novella si sviluppa il contrasto Amore/Fortuna: Lorenzo è un semplice garzone di bottega, bello e gentile, con tutte le qualità cortesi per suscitare l'amore; Lisabetta, che appartiene a una famiglia di mercanti originaria di San Gimignano, incarna l'energia eroica di chi resiste all'avversa fortuna solo con la forza del silenzio e del pianto; i tre fratelli sono i garanti dell'onore della famiglia, non tollerano il matrimonio della sorella con qualcuno di rango inferiore. Sono costretti ad intervenire per riportare le cose in ordine e per ristabilire l'equilibrio sovvertito dalla pazzia amorosa di Lisabetta.

Boccaccio dichiara di aver scritto questo testo per le donne che lo leggeranno per passare il tempo: più in generale, si può dire quindi che il pubblico a cui si rivolge l'opera è di ceto medio.

La Fortuna presente nell'opera è il "caso", a differenza di Dante che la considerava una intelligenza angelica che agiva nell'àmbito di un progetto divino (Inferno,VII,76-96).L'opera boccacciana non è ascetica ma laica, svincolata dal teocentrismo (Dio al centro dell' Universo) che invece sta alla base della Commedia di Dante e della mentalità medievale della quale il Decameron rappresenta l'"autunno". Oltre all'amore, presentato nei suoi vari aspetti anche sensuali, l'"Ingegno" umano è un motivo ricorrente. Troviamo il gusto della beffa (Chichibio), la spegiudicatezza empia di Ciappelletto, la dabbenaggine di Andreuccio da Perugia e Calandrino, l'arguzia e l'imbroglio (Frate Cipolla), gli aspetti maliziosi e ridanciani (racconto delle monache e della badessa).Incontriamo anche l'arguzia gentile di Cisti fornaio, l'intelligenza di Melchisedech e l'ingegno di Giotto. L'opera presenta una duplice "anima". La prima è realistica, riflette la mentalità e la cultura della classe borghese-mercantile ("epopea mercantile" Vittore Branca ha definito l'opera). La seconda è aristocratica ed in essa sono presenti le virtù cavalleresche proprie dell'aristocrazia feudale: cortesia, magnanimità, lealtà (novelle della decima giornata; novella di Federigo degli Alberighi). Il Decameron si conclude con una giornata in cui domina appunto il motivo della virtù, seguendo quindi una parabola morale ascendente secondo lo schema della poetica medievale. Si tratta del percorso anche della Commedia di Dante e del Canzoniere di Petrarca, dove però è presente il motivo religioso e teologico che invece manca nelle virtù terrene del laico Boccaccio. Nella Commedia si va dalla condizione di peccato alla beatitudine celeste, nel Canzoniere dall'idea di peccato e di traviamento del primo sonetto alla conclusiva canzone alla Vergine.[2].[3][4]

Le fonti del Decameron  [modifica]Come ha evidenziato anche il critico Vittore Branca nel suo Decameron sono molteplici le fonti letterarie dell'opera. Esse sono: le novelle e collezioni di "storie" della letteratura greca e latina, le raccolte medievali di novelle come il Libro de' sette savi e il Novellino, i romanzi cortesi, i romanzi francesi, i racconti dei mercanti fiorentini, i fabliaux, i "lamenti" (componimenti medievali, spesso popolari, in versi, per la morte di qualcuno), i cantari dei giullari, gli exempla.

La censura  [modifica]A partire dalla metà del XVI secolo il sistema di controllo delle scritture andò organizzandosi e istituzionalizzandosi per poter far fronte alla lotta contro l'eresia. Fu così istituito L'Indice dei libri proibiti voluto da Papa Paolo IV Carafa nel 1559 come "filtro" per poter fronteggiare le accuse, anche se velate, degli scrittori del tempo. L'ordine da Roma era tassativo: «...Per niun modo si parli in male o scandalo de' preti, frati, abbati, abbadesse, monaci, monache, piovani, provosti, vescovi, o altre cose sacre, ma si mutino lj nomi; o si faccia per altro modo che parrà meglio».

Il Decameron apparve nell'Indice dei libri proibiti alla lettera B nel seguente modo: «Boccacci Decades seu novellae centum quae hactenus cum tollerabilibus erroribus impressae sunt et quae posterum cum eisdaem erroribus imprimentur». Traduzione: Le decadi di Boccaccio o Cento Novelle che finora sono state stampate con errori intollerabili e che in futuro saranno stampate con i medesimi errori.

Nel 1573 l'Inquisizione commissionò a degli esperti fiorentini, I Deputati, il compito di "sistemare" il testo fiorentino per eccellenza. Non esiste accordo sull'identità dei Deputati alla revisione del Decameron, ma le ipotesi plausibili sembrano essere due. La prima considera tre componenti: Vincenzo Borghini, Pierfrancesco Cambi, Sebastiano Antinori. La seconda ne considera quattro: Vincenzo Borghini, Sebastiano Antinori, Agnolo Guicciardini e Antonio Benivieni. Tra i membri del gruppo emerge Vincenzo Borghini, riconosciuto come il vero promotore della censura del Decameron.

Essi, ricevuto dalla Chiesa di Roma il Decameron segnato nei passi da modificarsi, procedettero con armi diverse, con ragioni culturali, tradizionali, filologiche e retoriche alla difesa del Decameron, tentando di salvare il salvabile. Quindi alla Chiesa di Roma spettò direttamente la censura vera e propria, mentre la specializzazione linguistica e filologica spettò ai Deputati.

Il 2 maggio 1572 tornò a Firenze la copia ufficiale autorizzata dall'Inquisitore di Roma per la stampa, ma solo il 17 agosto 1573 il testo venne stampato. L'anno successivo il testo dell'opera ridotta fu accompagnato da "Le Annotazioni di discorsi sopra alcuni luoghi del Decameron", una raccolta di considerazioni linguistiche e filologiche che cercavano di giustificare le scelte fatte durante le singole fasi della rassettatura. Il Decameron dei Deputati si ritrovò poco dopo proibito dalla stessa Inquisizione, e conobbe perciò solo un'edizione.

Il Decameron conobbe nel 1582 un'altra edizione curata da Leonardo Salviati. Sembra che sia stato lo stesso Salviati che, tramite il suo protettore Jacopo Buoncompagni, spinse la curia romana a chiedere una nuova censura del Decameron. Infondata è l'ipotesi avanzata, secondo cui la nuova rassettatura si sarebbe resa necessaria perché i Deputati avrebbero rivelato una certa trascuratezza sul terreno della morale, soprattutto sessuale, lasciando insomma troppo correre sulla lascivia del testo.

In realtà il Decameron di Salviati piuttosto che una vera e propria edizione fondata sui risultati di ricerche originali, appare una correzione dell'edizione precedente. Ne deriva che mentre i Deputati di Borghini si limitarono a tagliare, Salviati modificò, o più precisamente, che mentre i primi intervennero sul testo, il secondo censurò anche la lettura, facendo ricorso a glosse marginali, per svolgere apertamente una funzione di mediazione fra il testo e il lettore, per dare un'interpretazione univoca. L'operazione di Salviati risparmiò 48 novelle, mentre ne modificò 52.

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Da: N.M.01/10/2011 11:50:32
« Coloro i quali, da semplici cittadini, diventano principi soltanto grazie alla fortuna, lo diventano con poca fatica, ma devono poi penare per restare al potere »
(Niccolò Machiavelli, Il Principe)

Il Principe (titolo originale in lingua latina: De Principatibus, lett. " Sui Principati") è un trattato di dottrina politica scritto da Niccolò Machiavelli nel 1513, nel quale espone le caratteristiche dei principati e dei metodi per mantenerli e conquistarli. Si tratta senza dubbio della sua opera più rinomata, quella dalle cui massime (spesso superficialmente interpretate) sono nati il sostantivo "machiavellismo" e l'aggettivo "machiavellico".

L'opera non è ascrivibile ad alcun genere letterario particolare, in quanto non ha le caratteristiche di un vero e proprio trattato; se ne è ipotizzata la natura di libriccino a carattere divulgativo.

Il Principe si compone di una dedica e ventisei capitoli di varia lunghezza; l'ultimo capitolo consiste nell'appello ai de' Medici ad accettare le tesi espresse nel testo.

Indice [nascondi]
1 Composizione
2 Sommario
2.1 Sommario dei capitoli
3 Contenuti
3.1 Le caratteristiche del principe ideale
3.2 La natura umana e il rapporto con gli antichi
3.3 Guerra e pace
3.4 Il rapporto tra Virtù e Fortuna e la loro nuova concezione
3.5 Concezione di libertà
3.6 Concezione della religione a servizio della politica e rapporto con la Chiesa
4 Stile e lessico
5 Contraddizioni tra Il Principe e il pensiero di Machiavelli
6 Reazioni
7 Edizione
8 Note
9 Voci correlate
10 Altri progetti
11 Collegamenti esterni

Composizione  [modifica]L'intera opera fu composta nella seconda metà del 1513 all'Albergaccio, tranne la dedica a Lorenzo de' Medici e l'ultimo capitolo, composti pochi anni dopo. La prima edizione a stampa fu edita nel 1532.

Egli infatti ne iniziò la stesura mentre si trovava a Sant'Andrea in Percussina, confinato in seguito al ritorno a Firenze della casata Medici (1512) a cui aveva seguito l'accusa di aver partecipato alla congiura antimedicea di Pier Paolo Boscoli.

Machiavelli, nella Lettera a Francesco Vettori, manifestò la volontà di dedicare l'opera a Giuliano de' Medici ma, dopo la morte di questi nel 1516, la dedicò a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero II de' Medici. L'intenzione era in ogni caso di dedicare l'opera al detentore del potere nella famiglia Medici, con la speranza di riacquistare l'incarico di Segretario della Repubblica.

La prima menzione di questa opera si ha nella Lettera a Francesco Vettori datata il 10 dicembre 1513 indirizzata all'amico Francesco Vettori, in risposta ad una lettera di quest'ultimo che raccontava la sua vita a Roma e che chiedeva notizie sulla vita che conduceva Machiavelli a Sant'Andrea. Quest'ultimo risponde raccontandogli gli aspetti rozzi della vita in campagna e parlando anche dei suoi studi, dichiara di aver composto un "opuscolo" intitolato De Principatibus.

Sommario  [modifica]Per raggiungere il fine di conservare e potenziare lo Stato, Machiavelli giustifica qualsiasi azione del Principe, anche se in contrasto con le leggi della morale («si habbi nelle cose a vedere il fine e non il mezzo», scrive nei Ghiribizzi scripti in Raugia da cui si ha la celebre massima erroneamente attribuita a Machiavelli che "il fine giustifica i mezzi"); tale comportamento è tuttavia valido solo per conseguire la salvezza dello Stato, la quale, se (e solo se) è necessario, deve venire prima anche delle personali convinzioni etiche del principe, poiché egli non è il padrone, bensì il servitore dello Stato.

Sommario dei capitoli  [modifica]- ;Nicolaus Maclavellus ad Magnificum Laurentium Medicem (Niccolò Machiavelli al magnifico Lorenzo II de' Medici) - :Dedica - ; I - Quot sint genera principatuum et quibus modis acquirantur (I diversi tipi di principati e i modi per conquistarli) - :Distinzione fra repubbliche e principati; fra principati ereditari e nuovi (come Milano per Francesco Sforza) e quelli aggiunti a uno stato ereditario (come Napoli per il re di Spagna). - ; II - De principatibus hereditariis (I principati ereditari) - : Il principe può mantenerli con facilità purché non abbandoni la tradizione di governo degli antenati. (Esempio: gli Este di Ferrara). - ; III - De principatibus mixtis (I principati misti) - : Difficoltà del principato nuovo (gli uomini cambiano volentieri signore credendo di migliorare: l'esperienza li delude. Esempio Luigi XII, che facilmente acquistò e subito perse il ducato di Milano). Probabilità maggiori di successo alla seconda conquista. - : Osservazioni sui principati misti, prossimi e uguali per lingua e costumi allo stato conquistatore (facili a mantenersi purché si spenga il sangue dell'antico signore e non se ne alterino le istituzioni). - : Osservazioni sui principati lontani e disformi di lingua e costumi (a mantenerli occorre fortuna e industria: è necessario che il principe vi risieda; che vi mandi colonie; che si faccia amici i meno potenti senza accrescere troppo il loro potere). Esempi dei Romani in Grecia. Errori di Luigi XII nella conquista del ducato di Milano (spente le signorie minori; accresciuta la potenza del Papa; introdotti in Italia gli spagnoli; non venuto a risiedervi; non postevi colonie). - ; IV - Cur Darii regnum quod Alexander occupaverat a successoribus suis post Alexandri mortem non defecit (Per quale ragione il regno di Dario, conquistato da Alessandro, non si ribellò dopo la morte di Alessandro) - : Distinzione fra regni assoluti (come l'impero ottomano) e regni a struttura federale (come la Francia). Difficili i primi da conquistare (perché assuefatti alla servitù), ma facili da conservare. Facili i secondi da conquistare (per la rivalità e l'ambizione dei baroni), ma difficili da mantenere. Il regno di Dario era del primo tipo, perciò non si ribellò ai suoi successori. - ; V - Quomodo administrandae sunt civitates vel principipatus qui antequam occuparentur suis legibus vivebant (In qual modo si debbano governare le città e i principati i quali, prima di essere conquistati, vivevano secondo le loro leggi) - : I metodi proposti sono tre: 1) Distruggerli (come fecero i Romani con Cartagine, Capua e Numanzia); 2) Andarvi a risiedere; 3) Lasciarvi inalterate istituzioni e leggi, affidando il governo a una ristretta oligarchia, come fecero gli Spartani ad Atene (ma è sistema precario). - ; VI - De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur (I principati nuovi conquistati con le proprie armi e capacità) - : Il principe prudente deve attenersi all'esempio degli uomini grandi, perché le vicende umane si ripetono (imitazione «storica»). Al principato si arriva o per fortuna o per virtù: in quest'ultimo caso la conquista è più stabile, come mostrano gli esempi di Mosè, Ciro, Romolo, Teseo e Gerone siracusano. - : È indispensabile però il possesso di una propria forza militare: i profeti armati vincono, quelli disarmati periscono. Esempio clamoroso, Gerolamo Savonarola. - ; VII - De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur (I principati nuovi conquistati con le armi e la fortuna altrui) - : Il potere conquistato con un colpo di fortuna è precario, perché sempre soggetto all'arbitrio altrui o alla volubilità della sorte. Virtù di Francesco Sforza. Virtù e fortuna di Cesare Borgia; sua conquista della Romagna; sua spietata risolutezza nello spegnere le ribellioni (massacro di Sinigaglia). Suo regime d'ordine (Ramiro de Lorqua); suoi piani per il futuro; morte del padre e sua rovina. Valutazione conclusiva della sua «virtuosa» condotta politica. - ; VIII - De his qui per scelera ad principatum pervenere (La conquista del principato per mezzo del delitto) - : Al principato si può giungere anche con il delitto. Esempi: Agatocle siracusano e Oliverotto da Fermo. Entrambi conquistarono il potere con un colpo di mano armato, massacrando i maggiorenti della città. Il primo fu in seguito principe valoroso e prudente, il secondo perì vittima di un agguato a opera di Cesare Borgia. Riflessioni sull'efficacia politica della crudeltà: essa è bene usata se risponde a una reale necessità di sicurezza e non si protrae nel tempo, male usata se praticata come sistema. - ; IX - De principatu civili (Il principato civile) - : Al principato si può salire con il favore del popolo o dei grandi (nobili). Nel primo caso bisogna mantenersi il popolo amico. Nel secondo bisogna guadagnarsene il favore, per averlo alleato contro le insidie dei grandi, che sono infidi. Esempio: Nabide di Sparta. Confutazione del proverbio «chi fida sul popolo fida sul fango». Per fare in modo che il popolo abbia sempre bisogno di lui il principe dovrà però abolire i magistrati. - ; X - Quomodo omnium principatuum vires perpendi debeant (Come valutare la forza di un principato) - : Distinzione fra i principati che possono contare su forze militari proprie e quelli che non possono. I secondi debbono puntare su una tattica difensiva, provvedendo a fortificare la loro terra così da scoraggiare le mire nemiche. Esempio: le città dell'Alemannia. - ; XI - De principatibus ecclesiasticis (I principati ecclesiastici) - : La difficoltà per il principe consiste unicamente nell'acquistarli: a mantenerli non si richiede infatti né virtù, né fortuna, giacché essi si fondano sulla forza della tradizione religiosa: «Coloro soli hanno Stato, e non li difendono; sudditi, e non li governano...». Considerazioni sulla politica di Alessandro VI, Giulio II e Leone X. - ; XII - Quo sint genera militiae et de mercenariis militibus (I vari tipi di eserciti) - : Esame dei vari sistemi di difesa e di offesa. Fondamento di uno Stato sono le buone leggi e le buone armi. Le armi (cioè le forze militari) possono essere mercenarie o proprie, ausiliare o miste. Le mercenarie e ausiliare sono inutili e pericolose, perché infedeli e pavide: prova ne è stato, in Italia, il loro dissolversi al primo assalto dello straniero (Carlo VIII). I capitani, se sono valenti, aspirano alla grandezza propria, in caso contrario, procurano comunque la rovina. È necessario che il principe in persona comandi il proprio esercito: o, nella repubblica, uno dei cittadini. Esempi di eserciti nazionali: Romani, Spartani, Svizzeri. Esempi di Stati con eserciti mercenari: Cartagine, Tebe, il ducato milanese degli Sforza. Eccezioni a quanto detto: Firenze e Venezia (rettesi con armi mercenarie). Origine storica delle compagnie di ventura (Alberigo da Conio, Braccio da Montone, gli Sforza) e loro condotta. - ; XIII - De militibus, mixtis et propriis (Gli eserciti ausiliari, i misti e i propri) - : Insidiosità delle forze ausiliare (fornite da potenze straniere): se perdono, si è disfatti; se vincono, si è in loro potere. Esempi: Giulio II e le truppe spagnole. Firenze e le truppe francesi; il re di Costantinopoli e i Turchi. In esse è maggior pericolo che nelle mercenarie, perché sono meglio organizzate. Come e perché vi abbiano rinunciato Cesare Borgia, Gerone siracusano, Davide. Con quali cattivi esiti vi abbiano fatto ricorso Luigi XI di Francia e gli imperatori romani. Ribadito il valore degli eserciti propri. - ; XIV - Quod principem deceat circa militiam (Il rapporto tra il principe e gli eserciti) - : Il quattordicesimo capitolo verte sul rapporto tra il principe e le armi in generale: l'unico compito che un principe deve assolutamente svolgere per tenersi lo stato che sta comandando è dedicarsi alle armi anche in tempo di pace, come fece Francesco Sforza diventando, da semplice cittadino, duca di Milano. Per tenersi in allenamento deve praticare spesso la caccia e imparare a conoscere la natura dei luoghi dove vive. Un buon principe deve saper imitare quello che in passato fecero i principi migliori, come Alessandro Magno con Achille e Scipione con Ciro. L'autore porta come esempio di principe perfetto Filipomene, che dovunque andasse si interrogava sul modo, in quella situazione, per ritirarsi, per rincorrere il nemico ritirato e per attaccare. - ; XV - De his rebus quibus homines et praesertim principes laudantur aut vituperantur (Le qualità che rendono gli uomini e soprattutto i principi degni di lode o di biasimo) - : Ha inizio la riflessione sulla concreta prassi politica. Il principe che voglia mantenere deve essere buono o non buono a seconda della necessità. È perciò da respingere il catalogo delle qualità e dei vizi da perseguire o da fuggire, come compariva nella precedente trattazione politica.Sul terreno della prassi politica ciò che talora è qualità, altre volte può essere vizio. Il vizio adoperato per difendere lo stato risponde ad un'esigenza collettiva. Le virtù morali usate a sproposito risultano causa di ruina. - ; XVI - De liberalitate et parsimonia (La liberalità e la parsimonia) - : Nel sedicesimo capitolo si parla della liberalità e della parsimonia. La liberalità è considerata in maniera negativa: all'inizio ti fa avere una buona fama, dopo, finiti i soldi, ti costringe a imporre tasse e quindi ad essere odiato dai sudditi e poco stimato dagli altri per la povertà. L'unico momento in cui bisogna essere munifici è quando ci si impadronisce di beni altrui, come fecero Ciro e Cesare. La parsimonia invece, anche se all'inizio non ti farà godere di buona fama, dopo, vedendo che si è capaci di difendersi e di conquistare anche senza gravare sulla popolazione, ti farà considerare uomo generoso. Vengono citati gli esempi di Papa Giulio II che usò la munificenza solo per salire al potere, dedicandosi dopo alla guerra, Luigi XII che riuscì, per la sua grande parsimonia, a fare tante guerre senza tasse extra. - ; XVII - De crudelitate et pietate et an sit melius amari quam timeri vel et contra (La crudeltà e la clemenza, se sia meglio esser temuti piuttosto che amati o amati piuttosto che temuti) - : Il diciassettesimo capitolo è incentrato sulla domanda: meglio essere amati piuttosto che temuti o temuti piuttosto che amati? Per il Fiorentino un principe, per tenere i suoi sudditi uniti e fedeli, può essere ritenuto crudele e deve essere temuto al punto da non essere né odiato né amato. Comunque la crudeltà è indispensabile in guerra. - ; XVIII - Quomodo fides a principibus sit servanda (La lealtà del principe) - : Machiavelli con una figura biologica disegna due diversi modi di combattere: quello dell'uomo e quello della bestia. Il primo ha come risultato le leggi, il secondo la violenza. Quando le leggi non sono sufficienti si deve ricorrere alla violenza. Poiché il principe deve per necessità impiegare anche la parte bestiale, Machiavelli illustra in due modi in cui essa si manifesta: ricorre alle figure della volpe e del leone, immagini dell'astuzia accorta e simulazione e dell'impeto violento, con i quali è possibile evitare i tranelli e vincere la violenza degli avversari. Per il principe è più utile simulare pietà, fedeltà, umanità che osservarle veramente. Le doti etiche sono pure illusioni nella lotta politica. Il dovere del principe è vincere e mantenere lo stato. Il volgo guarderà solo le apparenze, mentre pochi che non giudicheranno dalle apparenze non riusciranno a imporsi perché la maggioranza è dalla parte del principe. - ; XIX - De contemptu et odio fugiendo (Come evitare il disprezzo e l'odio) - : Il diciannovesimo capitolo è come un riassunto di tutte le caratteristiche che un principe deve avere per farsi ben volere: non deve appropriarsi delle cose del popolo, non deve essere superficiale, effeminato e pauroso, ma deve apparire coraggioso, grande e con molta forza di carattere. Qualora non offrisse questa immagine di sé, deve avere due paure: i sudditi e le potenze straniere. Dalle congiure l'unico aiuto può venire dal popolo, in quanto non sempre i congiurati rispecchiano il volere di tutti, invece per sconfiggere un nemico devi possedere un buon esercito. Come al solito il Machiavelli fa molti esempi storici tra i quali uno riguardante una congiura fallita: Messer Annibale Bentivoglio, principe di Bologna fu ucciso dai Canneschi. Subito dopo l'omicidio, il popolo di Bologna uccise tutta la famiglia dei Canneschi e mise a capo di Bologna un lontano parente del Bentivoglio, figlio di fabbro. In conclusione un principe deve stare attento a non inasprire i nobili e a soddisfare il popolo in modo da non temere le congiure. - ; XX - An arces et multa alia quae cotidie a principibus fiunt utilia an inutilia sint (Utilità o inutilità delle fortezze e di molte altre cose fatte ogni giorno dai principi) - : In questo capitolo si parla di quanto possa essere utile disarmare i sudditi o alimentare le fazioni popolari o costruire fortezze. Diciamo che per quanto riguarda il disarmo dei sudditi, si può rivelare positivo quando si è di fronte a un principe nuovo con un nuovo principato, in quanto vengono gratificati quelli che armi, mentre se agisci al contrario vengono offesi, invece quando un principe conquista un provincia è necessario disarmarla, escludendo naturalmente quelli che sono stati dalla tua parte, ma col tempo indebolendo anche quest'ultimi. Passando alle fazioni, per l'autore, le divisioni interne non sono state mai qualcosa di positivo, anzi rendono le città più fragili di fronte al nemico. Continuando con le fortezze fin dai tempi antichi si è avuta l'abitudine di edificare queste fortificazioni, ma gente più recente come Niccolò Vitelli e Guidobaldo da Montefeltro le smantellò. Perché questo? Il Machiavelli dice che chi ha più paura del popolo che dei nemici costruisce fortezze, chi il contrario non le costruisce e ribadisce dicendo che la fortezza più sicura è il non essere odiati dal popolo. - ; XXI - Quod principem deceat ut egregius habeatur (Come un principe può farsi stimare) - : Il capitolo ventunesimo parla ancora di come un principe possa dare una buona immagine di sé, un'immagine di uomo grande e di ingegno eccellente. In politica interna deve essere deciso, deve premiare o castigare in maniera esemplare. In politica estera deve farsi ammirare e deve stupire i sudditi con grandi imprese come Ferdinando d'Aragona, ma soprattutto deve sempre schierarsi a favore di qualcuno e mai restar neutrale in modo che il tuo alleato si senta legato da un patto di amicizia e di riconoscenza e non ti abbandoni mai. Per dare una buona immagine, il principe deve anche istituire delle feste e partecipare ai raduni di quartiere sempre però con grande maestà e dignità. Molto importante è anche la scelta dei ministri. Si nota da questa selezione l'intelligenza di un signore; circondandosi di uomini stolti, il giudizio su di lui non potrà essere mai buono. Questi ministri devono essere così devoti al loro signore da pensare prima a lui che a loro stessi e se un principe ha la fortuna di trovarne uno così se lo deve mantenere con doni e elogi. - ; XXII - De his quos a secretis principes habent (I ministri del principe) - : Riguardo a come il principe debba scegliere i collaboratori e come lavorarci. - ; XXIII - Quomodo adulatores sint fugiendi (Come evitare gli adulatori) - : Il ventitreesimo capitolo parla degli adulatori. Un principe deve fidarsi solo di poche persone sincere e veritiere che avrà scelto all'interno del suo Stato. Solo queste dovrà ascoltare, e comunque l'ultima decisione spetterà sempre a lui. - ; XXIV - Cur Italiae principes regnum amiserunt (Perché i principi d'Italia persero il regno) - : Nel ventiquattresimo capitolo vi è come un rimprovero verso i principi italiani che persero il loro Stato, come Federico d'Aragona, il re di Napoli e Ludovico il Moro, duca di Milano. Le motivazioni sono varie, ma comuni: non possedevano un esercito proprio, erano detestati dal popolo o dai nobili. Colpa loro quindi, non della fortuna. - ; XXV - Quantum fortuna in rebus humanis possit et quomodo illi sit occurrendum (Il potere della fortuna nelle cose umane e il modo di resistere a esso) - : La fortuna è arbitra di metà delle azioni umane mentre l'altra metà resta nelle mani degli uomini;la fortuna è paragonata ad un fiume rovinoso che allaga le pianure e distrugge gli alberi e le case: gli uomini previdenti devono disporre per tempo gli argini.Tuttavia si possono vedere principi salire al potere o rovinare senza che essi abbiano modificato il proprio comportamento, Machiavelli ricorre alla mutevolezza continua delle circostanze storiche e della fortuna, non ruina colui che riesce a mettersi in sintonia con la qualità dei tempi. - ; XXVI - Exhortatio ad capessandam italiam in libertatemque a barbaris vindicandam (Esortazione a prendere l'Italia e a liberarla dalle mani dei barbari) - : L'ultimo capitolo è un'esortazione rivolta al principe di Casa dei Medici affinché riunisca l'Italia sanando le ferite, ponendo fine ai saccheggi e alle imposizioni fiscali che continuano a lacerarla. Contando che gli eserciti svizzeri e spagnoli non sono così terribili come si dice, egli potrebbe creare un terzo esercito che li vinca. Il Machiavelli conclude rassicurando che un nuovo regnante sarebbe accolto da tutti a braccia aperte. Gli ultimi versi sono tratti da "Italia mia" del Petrarca. Appare come un ulteriore incitamento rivolto al nuovo principe proprio dal Petrarca anche se scritto circa duecento anni prima: La virtù affronterà la furia degli stranieri; il combattimento sarà corto perché l'antico valore che fu del popolo romano nei cuori italici non è ancora morto.

Contenuti  [modifica] Le caratteristiche del principe ideale  [modifica]Le qualità che, secondo Machiavelli, deve possedere un "principe" ideale (ma non idealizzato), sono tuttora citate nei testi sulla leadership:

la disponibilità ad imitare il comportamento di grandi uomini a lui contemporanei o del passato, es. quelli dell'Antica Roma;
la capacità di mostrare la necessità di un governo per il benessere del popolo, es. illustrando le conseguenze di un'oclocrazia;
il comando sull'arte della guerra - per la sopravvivenza dello stato;
la capacità di comprendere che la forza e la violenza possono essere essenziali per mantenere stabilità e potere;
la prudenza;
la saggezza di cercare consigli soltanto quando è necessario;
la capacità di essere "simulatore e gran dissimulatore";
il totale controllo della fortuna attraverso la virtù (la metafora utilizzata accosta la fortuna ad un fiume, che deve essere contenuto dagli argini della virtù);
la capacità di essere leone, volpe e centauro (leone forza - volpe astuzia - centauro come capacità di usare la forza come gli animali e la ragione come l'uomo)
La natura umana e il rapporto con gli antichi  [modifica]Secondo Machiavelli la natura umana è una natura malvagia che presenta alcuni fattori, quali le passioni, la virtù e la fortuna. Il frequente ricorso ad exempla virtutis tratti dalla storia antica e dalla sua esperienza nella politica moderna dimostrano che nella sua concezione della storia non vi è alcuna netta frattura tra il mondo degli antichi e quello dei moderni; Machiavelli trae così dalla lezione della storia delle leggi generali, le quali non vanno però intese come norme infallibili, valide in ogni contesto e situazione, ma come semplici tendenze orientanti l'azione del Principe che devono sempre confrontarsi con la realtà. Non vi è alcuna esperienza tràdita dal passato che non possa essere smentita da una nuova esperienza presente; tale mancanza di scientificità spiega la mancata sottomissione di Machiavelli alla auctoritas degli antichi: reverenza ma non ossequio nei suoi confronti; gli esempi storici sono utilizzati per un'argomentazione non scientifica ma retorica.

Guerra e pace  [modifica]La pace è fondata sulla guerra esattamente come l'amicizia è fondata sull'uguaglianza, quindi in ambito internazionale l'unica uguaglianza possibile è l'uguale potenza bellica degli Stati.

La forza della sopravvivenza di qualsiasi Stato (democratico, repubblicano o aristocratico) è legata alla forza dell'esercizio del suo potere, e quindi deve detenere il monopolio legittimo della violenza, per assicurare sicurezza interna e per prevenire una 'potenziale' guerra esterna (in riferimento ad una delle lettere proposte al Consiglio Maggiore di Firenze (1503), con la speranza di Machiavelli di convincere il Senato fiorentino l'introduzione di una nuova imposta per rafforzare l'esercito, necessario per la sopravvivenza della Repubblica Fiorentina).

Il rapporto tra Virtù e Fortuna e la loro nuova concezione  [modifica]Il termine virtù in Machiavelli cambia significato: la virtù è l'insieme di competenze che servono al principe per relazionarsi con la fortuna, cioè gli eventi esterni. La virtù è quindi un insieme di energia e intelligenza, il principe deve essere intelligente ma anche efficace ed energico.

La virtù del singolo e la fortuna si implicano a vicenda: le doti del politico restano puramente potenziali se egli non trova l'occasione adatta per affermarle, e viceversa l'occasione resta pura potenzialità se un politico virtuoso non sa approfittarne. L'occasione, tuttavia, è intesa da Machiavelli in modo peculiare: essa è quella parte della fortuna che si può prevedere e calcolare grazie alla virtù. Mentre un esempio di fortuna può essere che due Stati siano alleati (è un dato di fatto, un evento), un esempio di occasione è il fatto che bisogna allearsi con qualche altro Stato o comunque organizzarsi per essere pronti ad un loro eventuale attacco. Machiavelli nei capitoli VI e XXVI scrive che occorreva che gli ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell'Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perché potesse rifulgere la "virtù" dei grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro.

La virtù umana si può poi imporre alla fortuna attraverso la capacità di previsione, il calcolo accorto. Nei momenti di calma l'abile politico deve prevedere i futuri rovesci e predisporre i necessari ripari, come si costruiscono gli argini per contenere i fiumi in piena.

Concezione di libertà  [modifica] Questa voce o sezione sull'argomento politica non cita alcuna fonte o le fonti presenti sono insufficienti.

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Machiavelli parla molto della libertà delle repubbliche: questa libertà non è la libertà dell'individualismo moderno ma è una situazione che riguarda gli equilibri di forze nello stato, tali per cui si deve determinare il predominio di uno solo. Quella di Machiavelli è la libertà che si ha allorché i diversi gruppi o ceti che compongono lo stato sono tutti coinvolti nella gestione della decisione politica; non è la libertà intesa in senso moderno, cioè la libertà del singolo dal potere dello stato, ma è più vicina all'idea di libertà antica che si ha quando s'interviene alle decisioni politiche. La libertà di Machiavelli ammette il conflitto: il conflitto non è in sé una causa di debolezza ma dà dinamicità al complesso politico, lo mantiene vitale; questa vitalità produce progresso in quanto lascia aperti spazi di libertà che consistono nella prerogativa di ciascuno d'intervenire alle decisioni politiche configgendo con le altri parti. In questo il pensiero di Machiavelli è diverso dall'idea classica di ordine politico come "soluzione dei conflitti". Gli antichi vedevano difatti nel conflitto un elemento d'instabilità della comunità politica.

Concezione della religione a servizio della politica e rapporto con la Chiesa  [modifica]Machiavelli concepisce la religione come "instrumentum regni", cioè un mezzo con il quale tenere salda e unita la popolazione nel nome di un'unica fede. La religione per Machiavelli è quindi una religione di stato che deve essere usata per fini eminentemente politici e speculativi, uno strumento di cui il principe dispone per ottenere il consenso comune del popolo, quest'ultimo ritenuto fondamentale dal segretario fiorentino per l'unità e la lungimiranza del principato stesso.

La religione nell'Antica Roma, che riuniva tutte le divinità del pantheon romano, è stata fonte di saldezza e unità per la Repubblica e più tardi l'Impero e su questo esempio illustre Machiavelli incentra il suo discorso sulla religione, criticando la religione cristiana e la Chiesa cattolica che, secondo lui, è stata, per secoli, la causa della mancata unità nazionale italiana.

Stile e lessico  [modifica]Lo stile è quello tipico di Machiavelli, cioè molto concreto in quanto deve essere in grado di fornire un modello immediatamente applicabile, non sono presenti particolari ornamentazioni retoriche, piuttosto fa massiccio uso di paragoni e similitudini (come la metafora del centauro per evidenziare l'unione tra fisicità, energia e intelligenza che insieme costituiscono la virtù di Machiavelli) e metafore tutte basate sulla concretezza, per esempio le metafore arboree spesso presenti.

Numerosissimi sono i riferimenti ad eventi del suo presente, soprattutto riguardanti il regno di Francia, ma anche dell'antichità classica, si riferisce all'Impero Persiano di Ciro, a quello Macedone di Alessandro Magno, alle poleis greche e alla storia romana. Machiavelli costruisce quindi il suo modello osservando la realtà, questo è il concetto di realtà effettuale.

Il lessico non è aulico ma quasi un sermo cotidianus (nella questione della lingua Machiavelli sostenne l'utilizzo del fiorentino parlato). Tutto il testo è caratterizzato da un lessico connotativo e una forte espressività, esclusi la Dedica e l'ultimo capitolo che hanno un registro diverso dalla parte centrale, infatti in entrambi prevale il carattere enfatico e specialmente la perorazione finale fuoriesce dalla realtà effettuale che caratterizza l'opera.

La sintassi è molto articolata con prevalenza della ipotassi; la subordinazione è presente soprattutto nel processo dilemmatico, che è una delle caratteristiche di quest'opera, Machiavelli presenta due situazioni: la prima viene svolta rapidamente per poi discutere ampiamente la seconda, questa tecnica fornisce un carattere di scientificità all'opera e suggerisce l'ipotesi giusta secondo l'autore (esempio: nel Capitolo I Machiavelli propone la trattazione De' principati ereditarii e De' principati misti: la prima viene sviluppata in poche righe nel Capitolo II mentre la seconda viene ampiamente argomentata nel Capitolo III).

I titoli dei capitoli sono tutti in Latino (con corrispondente traduzione in Italiano probabilmente fatta dallo stesso Machiavelli), perché nell'ambiente umanista-rinascimentale si usava scrivere o almeno titolare le opere in Latino in quanto conferiscono dignità e prestigio al testo.

Contraddizioni tra Il Principe e il pensiero di Machiavelli  [modifica]Machiavelli nel Principe teorizza, come ideale un principato assoluto, nonostante egli si sia formato nella scuola repubblicana e abbia sempre creduto nei valori della repubblica; il suo modello è la Repubblica Romana, che Machiavelli esalta nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, con la partecipazione diretta del popolo.

I critici risorgimentali sostennero la tesi che il Principe fosse una specie di manuale delle nefandezze della tirannide, celebre l'immagine del Foscolo dei Sepolcri ("quel grande che temprando lo scettro ai regnatori gli allor ne sfronda ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue").

Il dibattito su questa questione è tuttora aperto, tra le ipotesi c'è anche quella dell'opportunismo: Machiavelli avrebbe desiderato riottenere un posto politico di rilevanza e sarebbe stato quindi disposto anche ad accettare la dimensione monarchica, oppure, il suo principe, potrebbe essere un modello universale di capo di stato, di qualunque forma esso sia, monarchia o repubblica.

La critica moderna ha però ultimamente ipotizzato che la volontà di scrivere il Principe, e quindi di parlare di monarchia, sia stata mossa dall'aggravarsi della situazione in Italia. Difatti alla fine del '400 ed inizio del '500, l'Italia si trovava in un periodo di continue lotte interne. Machiavelli, attraverso il suo trattato, avrebbe voluto quindi incitare i principati italiani a prendere le redini del paese, ormai sommerso da queste continue guerre, credendo che l'unico modo per riacquistare valore, in quel preciso periodo, fosse proprio un governo di tipo monarchico. È dunque questo il motivo che ha suscitato numerose critiche per lo più fuorvianti.

Reazioni  [modifica] « La corte di Roma ha severamente proibito il suo libro: lo credo bene! È proprio essa che egli dipinge più efficacemente »
(Jean Jacques Rousseau, Il contratto sociale)

Il pensiero di Machiavelli e il termine "machiavellico" sono spesso stati disapprovati, in gran parte a causa della scarsa comprensione del suo metodo. Non vi è però tra i critici alcun dissenso sulla precisione del suo pensiero e la chiarezza del suo stile. Machiavelli è sicuramente rammentato per aver fondato in Europa la moderna idea della politica, conquistandosi la fama che in Asia poteva corrispondere a quella degli antichi Sunzi e Confucio.

Il Principe è sempre stato nell'Indice dei libri proibiti dalla Chiesa cattolica, in parte perché smontava le teorie politiche cristiane come quelle - rispettate da lungo tempo - di Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino, ma soprattutto perché Machiavelli annulla ogni nesso tra etica e politica: infatti, secondo lui, il Principe deve cercare di sembrare magnanimo, religioso, onesto ed etico. Ma in realtà, i doveri di un principe non gli permettono di possedere alcuna di queste virtù. Il Principe ha sfidato la filosofia scolastica della Chiesa cattolica e la sua lettura ha contribuito alla fondazione del pensiero Illuminista e quindi del mondo moderno, occupando così una posizione unica nell'evoluzione del pensiero in Europa. Le sue massime più conosciute sono ampiamente citate anche oggi, in genere nella critica di leader politici:

"è molto più sicuro essere temuti che amati", ma non è meglio essere odiati, e nemmeno ignorare virtù e giustizia quando questi non minacciano il proprio potere.
Le idee di Machiavelli circa le virtù di un Principe ideale furono di ispirazione per la moderna filosofia politica e trovarono le più disparate e distorte applicazioni soprattutto nel XX secolo. [1]. Persino il concetto di Realpolitik si basa sulle idee di Niccolò Machiavelli. Magari è più ragionevole chiedersi quali teorie del ventesimo secolo non abbiano a che fare con Machiavelli. Anche quelle dell'economia politica sembrano di dovere qualcosa a quest'opera del Rinascimento. Le giustificazioni morali della colonizzazione delle Americhe nel XVI secolo possono trovarsi in parte in quest'opera, anche se molti colonizzatori e attività di costruzione imperiale hanno superato l'obiezione morale.

Il politologo Bernard Crick considera la "prudenza" come una delle virtù politiche. Nella sua analisi sulla "sindrome morale", Jane Jacobs ha evocato l'importanza della ricchezza nella dimostrazione di potere.
Nick Humphrey ha adoperato il termine "intelligenza machiavellica" per spiegare la funzione di queste virtù in ambienti meno rilevanti, in una "politica di tutti i giorni", come il lavoro o la famiglia. Rushworth Kidder ha caratterizzato l'etica come un'istanza simile alla politica consistente in numerosi diritti che non possono essere sorretti allo stesso momento.
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Da: D.A.01/10/2011 11:52:04
Ammonimento di Dante ai lettori - ascesa di Dante e Beatrice al cielo della Luna (dove si trovano le anime di quelli che compirono i voti) - Beatrice spiega a Dante la vera origine delle macchie lunari


        O voi che siete in piccioletta barca,
      desiderosi d'ascoltar, seguiti
   3 dietro al mio legno che cantando varca,
Voi che siete in piccoletta barca, sprovvisti di preparazioni filosofiche universali, nel grande mare della Conoscenza e desiderosi di seguire la mia imbarcazione che cantando valica le onde frastagliate del Cosmico Sapere, 
        tornate a riveder li vostri liti:
      non vi mettete in pelago, ché forse,
   6 perdendo me, rimarreste smarriti.
tornate indietro col pensiero, tentate di ricordare i vostri Celesti lidi da cui siete partiti: se non vi sentite maturi per far ciò, ritornate sulle conoscenze da me offertevi, ma non impelagatevi se ciò vi si rende difficile, poiché, forse, non riuscendo a seguirmi ancora, rimarreste smarriti. 
        L'acqua ch'io prendo già mai non si corse;
      Minerva spira, e conducemi Apollo,
   9 e nove Muse mi dimostran l'Orse.
La materia che io tratto non fu mai conosciuta dal genere umano, il corso di mare che io mi accingo a percorrere non fu mai da voi attraversato; Minerva m'ispira con la sua sapienza e Apollo guida il timone del mio Sapere, le nove Muse mi indicano la meta ("mi dimostran l'Orse") cioè la stella polare, punto di riferimento dei naviganti sperduti. 
        Voialtri pochi che drizzaste il collo
      per tempo al pan de li angeli, del quale
12 vivesi qui ma non sen vien satollo,
Voialtri che innalzaste per tempo la mente alla Scienza Divina, ("pan de li Angeli"), 
        metter potete ben per l'alto sale
      vostro navigio, servando mio solco
15 dinanzi a l'acqua che ritorna equale.
potete mettere il vostro naviglio nel solco da me tracciato, lungo la scia, prima che l'acqua del deleterio insegnamento umano lo cancelli ("dinanzi a l'acqua che ritorna equale"). 
        Que' glorïosi che passaro al Colco
      non s'ammiraron come voi farete,
18 quando Iasòn vider fatto bifolco.
Quei gloriosi Argonauti che andarono nella Colchide (Colco, antica regione costiera del Mar Nero, sita nell'attuale regione della Georgia sovietica) non si meravigliarono quando videro il loro condottiero Giasone, trasformato in bifolco, come vi meravigliereste voi.




quando Iasòn vider fatto bifolco - v. 18 
Giasone, per conquistare il Vello d'oro, dovette arare un campo con due buoi dalle corna di ferro, dai piedi di bronzo e dalle narici spiranti fiamme, e seminarvi denti di serpenti, da cui nascevano uomini armati.
I due buoi dalle coma di ferro, dai piedi di bronzo e dalle narici spiranti fiamme, pare che simboleggino l'animo umano con la sua tenace predisposizione alla caparbia forza malefica dell'egoismo e della guerra che, simile a corna di ferro, gli troneggia gloriosamente nel pensiero.
I piedi di bronzo, che nella loro pesantezza sono ben attaccati al suolo, simboleggiano la difficoltà di elevarsi in più alti piani di luce e le narici spiranti fiamme la potenza diabolica nel suo profondo. Ed ecco, infatti, da questo mitologico quadro dell'apparenza diabolica, finanche lo spuntare di uomini armati, dai solchi seminati di denti di serpenti. Il tutto, simbolo di veleno, falsità, cattiveria, tempestosa brama di potere.
Il nome "argonauti" proviene da Argo, mitologico mostro dai cento occhi, sempre vigili e attenti sul cammino evolutivo dell'umanità. CENTO OCCHI che altro non erano che gli oblò del disco volante; il mostro che non aveva corpo e volava alto e veloce come un fulmine (Argo-nauti: "nauti" cioè piloti; piloti di Argo).

  


        La concreata e perpetüa sete
      del deïforme regno cen portava
21 veloci quasi come 'l ciel vedete.
La sete di conoscenza, innata nell'uomo per ciò che concerne il Divino, ci portava veloci sul mezzo di volo extraterrestre (che al suo apparire, come precedentemente affermato, aveva assunto l'aspetto di un secondo astro solare) ci portava ad una velocità pari quasi a quella in cui si vede ruotare il sistema stellare ("veloce quasi come 'l ciel vedete").




veloce quasi come 'l ciel vedete - v. 21 
La forza propulsiva che muove i mezzi extraterrestri, che noi oggi chiamiamo "dischi volanti", viene ottenuta da una laboriosa attività dell'energia magnetica solare, in collaborazione con l'energia-luce e con gli elementi atomici, perennemente presenti negli spazi interni planetari ed esterni galattici. Essi hanno pertanto le proprietà dei corpuscoli di energia che, assieme alle onde cosmiche, costituiscono lo spazio che noi crediamo vuoto. Un vascello corpuscolare, quindi, è costruito fin nei minimi particolari conformemente alle leggi del Cosmo. Esso pertanto fa uso di energia sotto forma di luce; se la luce che muove il vascello è in sintonia con il video umano, il mezzo è osservabile, ma se la frequenza cambia e si sintonizza sui valori energetici di infrarosso e ultravioletto, lo spettro luminoso muta in una sintonia energetica che gli uomini non possono captare, assumendo quindi, tutte le proprietà dei corpuscoli-luce, che si proiettano alla velocità della luce che, come già detto, raggiunge i 300.000 Km. al secondo.

  


        Beatrice in suso, e io in lei guardava;
      e forse in tanto in quanto un quadrel posa
24 e vola e da la noce si dischiava,
Beatrice apparteneva ad un piano di luce superiore al mio ("in suso") ed io in lei guardavo e forse nel tempo impiegato da una freccia a staccarsi dalla tacca dell'arco, 
        giunto mi vidi ove mirabil cosa
      mi torse il viso a sé; e però quella
27 cui non potea mia cura essere ascosa,
una cosa stupefacente attrasse il mio sguardo ("mi torse il viso a sé"), perciò Beatrice, a cui nessun mio pensiero poteva rimaner celato, 
        volta ver' me, sì lieta come bella:
      «Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
30 «che n'ha congiunti con la prima stella».
rivolta verso di me, così lieta come bella, mi disse: «Drizza la mente, con estrema gratitudine, a Dio che ci ha congiunti con la prima stella» (La Luna, il corpo celeste più vicino alla Terra, il primo viaggio di Dante e Beatrice fu compiuto sulla Luna. Egli descrive un particolare del disco volante, come si vedrà ora). 
        Parev'a me che nube ne coprisse
      lucida, spessa, solida e pulita,
33 quasi adamante che lo sol ferisse.
A me pareva che una nube ci coprisse (l'alone fluttuante che, simile ad una nube, spesso luminosissima, avvolge il disco rispecchiante la luce del Sole). 
        Per entro sé l'etterna margarita
      ne ricevette, com'acqua recepe
36 raggio di luce permanendo unita.

        S'io era corpo, e qui non si concepe
      com'una dimensione altra patio,
39 ch'esser convien se corpo in corpo repe,
Dentro la nube, l'eterna margherita ci ricevette (eterna gemma, disco volante, eterno portatore d'amore dal Cielo alla Terra) accogliendoci come fa l'acqua con un raggio di Sole, pur restando compatta come prima ("permanendo unita"). Ciò significa, senza apertura alcuna, che lasciasse passare il corpo fisico; infatti egli dice ancora: Se io ero un corpo denso, non è concepibile come io qui abbia potuto penetrare in altro corpo altrettanto compatto che col mio passaggio sia rimasto unito ("com'acqua recepe raggio di luce"), 



L'etterna margherita (disco volante) - v. 34-36 
Infatti, molti sono coloro che affermano che, se predisposti dai Fratelli dello Spazio, anche gli umani possono attraversare un corpo di materia densa come un muro o una roccia senza, tuttavia, subire un danno o il minimo disturbo, esattamente come fanno gli Esseri superiori. Essi possono immettersi anche, attraverso le rocce del mare, nell'interno della Terra, per raggiungere i loro astroporti, che in varie parti del pianeta esistono numerosi. Essi mutano in antimateria i loro corpi fisici e i loro mezzi di volo; in ugual modo si proiettano nello spazio alla velocità della luce, pur restando comodamente seduti nelle loro astronavi.

  


        accender ne dovria più il disio
      di veder quella essenza in che si vede
42 come nostra natura e Dio s'unio.
ciò dovrebbe accendere ancor di più il desiderio di vedere come la nostra natura è tutt'uno con Dio, questo unico Tutto a cui ogni cosa creata appartiene, essendo ogni cosa, come ognuno di noi, scintilla di Lui. 
        Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
      non dimostrato, ma fia per sé noto
45 a guisa del ver primo che l'uom crede.
Nella massima Dimensione, ciò che ora crediamo soltanto per fede, sarà a tutti ben noto, a guisa della Verità Prima, nella felicità temporaneamente lasciata e che nel buio mentale del terrestre esilio avevamo completamente dimenticato. 
        Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
      com'esser posso più, ringrazio lui
48 lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.
All'invito di Beatrice, di ringraziare Dio di averci congiunti con la prima stella, così risposi: «Madonna, devoto come più esser posso, ringrazio Lui, che dal mondo mortale mi ha allontanato. 
        Ma ditemi: che son li segni bui
      di questo corpo, che là giuso in terra
51 fan di Cain favoleggiare altrui?»
Ma ditemi: cosa sono le macchie ("segni bui") di questo corpo lunare, che laggiù in Terra fanno immaginare trattarsi di Caino, condannato a portare fasci di spine sulle spalle, in espiazione dell'uccisione del fratello Abele?» 
        Ella sorrise alquanto, e poi «S'elli erra
      l'oppïnion», mi disse, «d'i mortali
54 dove chiave di senso non diserra,
Ella, sorridendo, mi rispose: «Se erra l'opinione dei mortali il cui senso non riesce a dischiudere la verità, 
        certo non ti dovrien punger li strali
      d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi
57 vedi che la ragione ha corte l'ali.
non dovresti meravigliarti, poiché la ragione, quando è guidata dai sensi, non procede molto innanzi ("ha corte l'ali"). 
        Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
      E io: «Ciò che n'appar qua sù diverso
60 credo che fanno i corpi rari e densi».
Ma dimmi ciò che tu, per tuo conto, ne pensi». Ed io: «Ciò che dalla Terra appare nella diversità fra zone buie e zone lucenti sulla superficie lunare, credo che sia dovuto alla maggiore o minore densità delle sue parti». 
        Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
      nel falso il creder tuo, se bene ascolti
63 l'argomentar ch'io li farò avverso.
Ed ella: «Vedrai molto sommerso nell'errore questo tuo concetto se bene ascolti la mia spiegazione, contraria al tuo credere. 
        La spera ottava vi dimostra molti
      lumi, li quali e nel quale e nel quanto
66 notar si posson di diversi volti.
L'ottava Dimensione, Cosmica-Divina, maggiore gradino evolutivo della "Scala dell'Evoluzione" dimostra, in diversi pianeti, varie razze di diverso aspetto. 
        Se raro e denso ciò facesser tanto,
      una sola virtù sarebbe in tutti,
69 più e men distributa e altrettanto.
Se questo provenisse soltanto dalla densità o dalla rarità della materia, in tutte le forme di vita ci sarebbe una sola forza più o meno distribuita, in quantità maggiore o minore o eguale. 
        Virtù diverse esser convegnon frutti
      di princìpi formali, e quei, for ch'uno,
72 seguiterieno a tua ragion distrutti.
Influssi di diverse forze provengono da princìpi formali diversi e questi, secondo il tuo ragionamento, sarebbero conseguentemente distrutti all'infuori di uno: quello di maggiore densità, proveniente da una vibrazione molecolare più veloce. 
        Ancor, se raro fosse di quel bruno
      cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte
75 fora di sua materia sì digiuno
Inoltre, se la rarità della materia fosse la causa delle macchie lunari ("di quel bruno") la qual causa tu vai ricercando da parte a parte, la Luna sarebbe così scarsa nella sua materia ("sì digiuno") 
        esto pianeto, o, sì come comparte
      lo grasso e 'l magro un corpo, così questo
78 nel suo volume cangerebbe carte.
come un corpo animale alterna strati di grasso e strati di magro, così la Luna, nel suo spessore cambierebbe strati ("carte"). 
        Se 'l primo fosse, fora manifesto
      ne l'eclissi del sol per trasparere
81 lo lume come in altro raro ingesto.
Se fosse vera la tua ipotesi e il corpo della Luna fosse raro in tutto il suo spessore, nelle zone in cui si vedono le macchie, tale ipotesi sarebbe manifesta nella luce del Sole; essa trasparirebbe come traspare quando è immersa in altro corpo raro. 
        Questo non è: però è da vedere
      de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,
84 falsificato fia lo tuo parere.
Questo non è, perciò è da vedere l'altra ipotesi e se succede che io confuti l'altra ipotesi, la tua opinione sarà dimostrata falsa. 
        S'elli è che questo raro non trapassi,
      esser conviene un termine da onde
87 lo suo contrario più passar non lassi;
Se questo raro non passa da parte a parte il corpo della Luna, cosa che non è, perché nell'eclissi la Luna non lascia passare i raggi, ci dev'essere un limite oltre il quale il denso non lasci passare la luce; 
        e indi l'altrui raggio si rifonde
      così come color torna per vetro
90 lo qual di retro a sé piombo nasconde.
così come i colori riflessi tornano indietro per opera di uno specchio, che abbia dietro di sé uno strato di piombo. 
        Or dirai tu ch'el si dimostra tetro
      ivi lo raggio più che in altre parti,
93 per esser lì refratto più a retro.
Ora tu obbietterai che il raggio solare, tra il punto di confine tra il denso e il raro, si mostra più oscuro che altrove per il fatto che ivi è riflesso da un punto più interno dello spessore lunare, cioè più lontano dalla superficie. 
        Da questa instanza può deliberarti
      esperienza, se già mai la provi,
96 ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.
Da questa obiezione ("istanza") ti potrà liberare l'esperimento ("esperienza"), se tu lo faccia, che suole essere la fonte delle varie branche della umana scienza. 
        Tre specchi prenderai; e i due rimovi
      da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,
99 tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
Prendi tre specchi e collocane due alla medesima distanza da te e metti l'altro più lontano in mezzo ai primi due, in modo che sia disposto direttamente agli occhi tuoi. 
        Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
      ti stea un lume che i tre specchi accenda
102 e torni a te da tutti ripercosso.
Rivolto verso questi specchi, fa' in modo che dietro alle tue spalle ci sia un lume che illumini i tre specchi e ritorni a te riflesso ("ripercosso") da tutti. 
        Ben che nel quanto tanto non si stenda
      la vista più lontana, lì vedrai
105 come convien ch'igualmente risplenda.
Vedrai che l'immagine più lontana (quella del terzo specchio) in grandezza ("nel quanto") non si estenda come quella riflessa dagli altri due più vicini; vedrai come pure a quella maggiore distanza, è fuor di dubbio che abbia uno splendore identico. 
        Or, come ai colpi de li caldi rai
      de la neve riman nudo il suggetto
108 e dal colore e dal freddo primai,
Ora, come ai colpi dei raggi solari, l'acqua ("il suggetto") che sta a fondamento della neve, rimane spoglia del color bianco e del freddo di prima, 
        così rimaso te ne l'intelletto
      voglio informar di luce sì vivace,
111 che ti tremolerà nel suo aspetto.
così te, rimasto nel tuo intelletto, spoglio della tua falsa opinione, voglio illuminare di una luce così viva che ti apparirà, nel suo aspetto, tremolante come una stella. 
        Dentro dal ciel de la divina pace
      si gira un corpo ne la cui virtute
114 l'esser di tutto suo contento giace.
Nel cielo della divina pace, nella dimensione Cosmica Divina, si gira un corpo nella cui virtù giace l'essenza di tutto ciò che ha vita nel contesto della Creazione e che da esso è contenuto.

Questo corpo che "si gira" nella Massima Dimensione è il GRANDE SOLE MANASSICO, che dà vita a tutti i Soli del Cosmo, la primigenia forza della Vita. Come nella "Scala dell'Evoluzione", la massima Coscienza Cosmica si estrinseca elevandosi per altri due piani, che sono: "Macrocosmica Coscienza e Scienza e Sapienza di Dio Padre"; appartenente a questo Massimo Piano di Luce, esiste il Grande Sole Manassico. Questo sarebbe "il nono cielo" di cui parla Dante. 
        Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,
      quell'esser parte per diverse essenze,
117 da lui distratte e da lui contenute.
L'ottavo cielo ("lo ciel seguente") (si tratta dell'ottava dimensione cosmica: MACROCOSMICA COSCIENZA) che vede con l'intelletto nell'intensità del Suo Cosmico Costrutto (ch'ha tante vedute) distribuisce la forza vitale che riceve dal Sole Manassico della nona dimensione (Scienza e Sapienza di Dio Padre) ovvero Intelligenza Divina. Questa forza parte per diverse nature ("essenze") da Dio distribuite (Dio Equilibrio Divino) e da Questo Unico TUTTO-DIO CONTENUTE ("da lui distratte e da lui contenute"). 
        Li altri giron per varie differenze
      le distinzion che dentro da sé hanno
120 dispongono a lor fini e lor semenze.
Gli altri sette Piani evolutivi ("Scala dell'Evoluzione") ("giron") in differenti modi dispongono le diverse essenze che hanno dentro di sé ("le distinzion che dentro da sé hanno"), per conseguire il loro effetto ("lor fini") ed attuare i loro influssi ("lor semenze"). 
        Questi organi del mondo così vanno,
      come tu vedi omai, di grado in grado,
123 che di sù prendono e di sotto fanno.
Le galassie, organi del macrocosmico Corpo del TUTTO-DIO, hanno un ufficio simile a quello che hanno i diversi organi rispetto alla vita di un corpo: (pulsante agglomerato di cellule "Stelle e pianeti", pulsante agglomerato di cellule, il cuore, il fegato e tutti gli organi umani). Tutto procede come tu vedi, ormai, di gradino in gradino, ricevendo la forza dal Superiore Grado di Coscienza ("di su") ed esercitandola in quello inferiore ("di sotto fanno"). 
        Riguarda bene omai sì com'io vado
      per questo loco al vero che disiri,
126 sì che poi sappi sol tener lo guado.
Riguarda bene ormai come io procedo attraverso questo ragionamento ("loco") verso la Conoscenza che tu brami capire, in modo che tu possa trarne le conclusioni. 
        Lo moto e la virtù d'i santi giri,
      come dal fabbro l'arte del martello,
129 da' beati motor convien che spiri;
La forza del movimento corpuscolare, che va dal macro al micro ("santi giri") come procede dal fabbro l'arte del martello, così dalle divine Intelligenze motrici convien che spiri; 
        e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello,
      de la mente profonda che lui volve
132 prende l'image e fassene suggello.
e il cielo, reso bello da tanti lumi, riceve la sua impronta dalla Intelligenza che lo muove e questa forza imprime nelle sue stelle ("fassene suggello").

Si riferisce alla forza proveniente dal Sole, che nel contesto galattico è un accumulatore-trasformatore-distributore dell'energia-luce che struttura l'universo e che, pertanto, ha un suo campo di forza dal quale dipendono i campi di forza di ogni singolo pianeta che gli gira intorno. E "fassene suggello" in quanto l'energia luminosa emessa dal Sole ha una frequenza ben determinata dalla quale dipendono le forme di vita di ogni pianeta. Ogni Sole dell'Universo ha una propria frequenza di luce. Questa frequenza è creata dalla rotazione del Sole stesso, nonché dalla rotazione dell'intero sistema planetario nel contesto galattico. Anche l'uomo, quale agglomerato bio-fisico-molecolare, ha un proprio campo di forza, che è in stretto rapporto con il campo di forza creato dalla rotazione del Sole. Ed ecco che: "de la mente profonda che lui volve prende l'immage e fassene suggello" (imprime così la sua impronta). 
        E come l'alma dentro a vostra polve
      per differenti membra e conformate
135 a diverse potenze si risolve,
E come l'anima nel vostro corpo fisico, che altro non è che polvere, (come Gesù, in Genesi 3,19 affermò: "Polvere sei e in polvere tornerai"), per differenti membra e a diverse facoltà conformata, si manifesta, 
        così l'intelligenza sua bontate
      multiplicata per le stelle spiega,
138 girando sé sovra sua unitate.
così l'Intelligenza dell'Equilibrio Divino la Sua potenza moltiplicata distribuisce per i diversi pianeti, pur mantenendosi "UNA" nella Sua incessante attività. 
        Virtù diversa fa diversa lega
      col prezïoso corpo ch'ella avviva,
141 nel qual, sì come vita in voi, si lega.
La diversa forza vitale fa diversa lega col Corpo del Macrocosmo che essa avviva, nel quale, "così come la Vita nel vostro corpo umano, in voi si lega". 
        Per la natura lieta onde deriva,
      la virtù mista per lo corpo luce
144 come letizia per pupilla viva.
Per la natura positiva di energia benefica che la Luna assorbe dai diversi pianeti superiori, operanti nell'Equilibrio vitale dell'universale Amore, sulla superficie lunare risplende ("per lo corpo luce") come letizia per pupilla viva. 
        Da essa vien ciò che da luce a luce
      par differente, non da denso e raro;
      essa è formal principio che produce,
148 conforme a sua bontà, lo turbo e 'l chiaro».
Da questa forza dell'equilibrio d'amore viene ciò che "da luce a luce", dall'una all'altra gamma, cioè, dell'energia dei colori appare differente; non da denso e raro, bensì, tale differente gamma è formale principio che produce, conforme alla sua forza benefica ("sua bontà"), il turbolento e la tranquillità (lo turbo e il chiaro)».

In tal modo Beatrice ha spiegato a Dante come le macchie lunari e quelle solari derivano dall'energia negativa che ogni corpo celeste assorbe ed ogni corpo celeste emana e, di rimando, per la perfetta Cosmica Legge di Causa-Effetto (flusso e riflusso), colpisce il punto di partenza, ovvero, quel "campo di luce" che l'ha creata ed emanata e, in questo caso, il pianeta Terra.
Così, oggi, non solo la Luna, ma anche il Sole rimanda sulla Terra gli stessi effetti emanati nel Cosmo dalla terrestre Scienza inconsulta. Ogni qualvolta la scienza degli uomini effettuerà una esplosione atomica nell'atmosfera e nel sotto suolo, una pericolosa tensione acuirà in maniera negativa il rapporto equilibratore Sole-Terra e su quest'ultima, oltre alle rotture del substrato della crosta, causate dalla immane energia liberata dalle esplosioni, si ripercuoteranno pure i disastrosi effetti delle crisi cosmiche, dovute alle macchie solari. Questo moltiplicherà sempre più le influenze patologiche, magnetiche e gli sconvolgimenti del pianeta. Dal Sole, quindi, non verrà più la manifestazione della Vita, ma la disarmonia causata dalla totale mancanza di amor fraterno e il disquilibrio apportato in nome di una scienza che. non ha coscienza, né intendimento di Verità. 
Rispondi

Da: ----------01/10/2011 11:53:49
L'oro è l'elemento chimico di numero atomico 79. Il suo simbolo è Au (dal latino "aurum").

È un metallo di transizione tenero, pesante, duttile, malleabile di colore giallo. L'oro, il rame ed il cesio sono gli unici elementi che allo stato metallico, in condizioni standard, sono colorati (nel senso di essere dotati di tinta). Inattaccabile dalla maggior parte dei composti chimici, viene attaccato in pratica solo dall'acqua regia, dallo ione cianuro e dal mercurio.

Si trova allo stato nativo sotto forma di pepite, grani e pagliuzze nelle rocce e nei depositi alluvionali.

Viene usato per coniare monete ed è uno standard monetario per molte nazioni. Si usa inoltre in odontoiatria, gioielleria e nell'industria elettronica. Il suo codice ISO come valuta è XAU.

L'oro ha assunto nel tempo il significato di simbolo di purezza, valore e lealtà.

Indice [nascondi]
1 Caratteristiche
2 Applicazioni
3 Storia
4 Valore commerciale
5 Possesso di oro
6 Leghe di oro
7 Disponibilità
8 Produzione
9 Lavorazione dell'oro
10 Composti e isotopi
11 Precauzioni
12 Citazioni letterarie
13 Note
14 Bibliografia
15 Voci correlate
16 Altri progetti
17 Collegamenti esterni

Caratteristiche  [modifica]L'oro è un metallo di colore giallo "in massa", ma che può assumere anche una colorazione diversa a seconda delle sue leghe: rossa, violetta e nera quando è finemente suddiviso o in soluzione colloidale, mentre appare verde se ridotto ad una lamina finissima. È il metallo noto più duttile e malleabile; un grammo d'oro può essere battuto in una lamina la cui area è un metro quadrato. È un metallo tenero e per questo viene lavorato in lega con altri metalli per conferirgli una maggiore resistenza meccanica.

L'oro è anche un ottimo conduttore di elettricità, inferiore solo al rame e all'argento, e non viene intaccato né dall'aria né dalla maggior parte dei reagenti chimici. Da sempre la sua elevata inerzia chimica ne ha fatto un materiale ideale per il conio di monete e per la produzione di ornamenti e gioielli. Tuttavia, pur essendo inalterabile all'ossigeno, all'umidità, al calore, agli acidi ed agli alcali caustici, può essere os*******to con acqua regia o con soluzioni acquose contenenti lo ione cianuro in presenza di ossigeno o acqua ossigenata. Si scioglie inoltre a contatto con il mercurio formando amalgami.

Si trova allo stato nativo, spesso accompagnato da una frazione di argento (compresa tra l'8% ed il 10%), sotto forma di electron (oro e argento naturale). Al crescere del tenore di argento, il colore del metallo diviene più bianco e la sua densità diminuisce.

L'oro si lega con molti altri metalli; le sue leghe col rame sono rossastre, con il ferro sono verdi, con l'alluminio sono violacee, col platino sono bianche, col bismuto e l'argento sono nerastre.

Gli stati di os*******zione più frequenti che l'oro assume nei suoi composti sono +1 (sali aurosi) e +3 (sali aurici). Gli ioni dell'oro vengono facilmente ridotti e precipitati come oro metallico per addizione di praticamente qualsiasi altro metallo. Il metallo aggiunto si os******* e si scioglie facendo precipitare l'oro metallico.

Applicazioni  [modifica]L'oro puro è troppo tenero per poter essere lavorato normalmente; viene indurito legandolo ad altri metalli (in genere rame e argento). L'oro e le sue leghe sono usati in gioielleria, nel coniare monete e sono uno standard di cambio valutario per molte nazioni. Per via della sua resistenza alla corrosione ed alle sue notevoli proprietà elettriche, ha trovato sempre più spazio anche in applicazioni industriali. Sono in corso studi sull'utilizzo dell'oro come catalizzatore; infatti l'oro mostra una grande attività catalitica quando si trova in forma di nanoparticelle disperse su adeguati supporti.[3][4][5]

I catalizzatori supportati a base di oro ricoprono un ruolo fondamentale in diverse reazioni, tra cui:

os*******zione di monossido di carbonio (CO);[6]
os*******zione completa di idrocarburi;
os*******zioni selettive;
reazioni di water-gas shift.
L'attività di questi catalizzatori dipende notevolmente dal metodo di preparazione e dal tipo di supporto utilizzato.

Due medaglie d'oro per il World Baseball Classic del 2006.Tra gli altri usi:

nella componentistica elettronica:
svolge funzioni critiche in molti computer, apparecchi per telecomunicazioni, motori jet e numerose applicazioni industriali;
trova ampio uso come materiale di rivestimento delle superfici di contatti elettrici, per garantirne la resistenza alla corrosione nel tempo;
in ambito astronautico:
l'oro è usato come rivestimento protettivo di molti satelliti artificiali, data la sua elevata capacità di riflettere sia la luce visibile che quella infrarossa;
a scopo medico e diagnostico:
l'oro colloidale viene utilizzato in un particolare tipo di elettroforesi, una metodica di diagnostica medica.
realizzazione di otturazioni e ponti in odontoiatria;
in sospensione colloidale, trova impiego nella pittura delle ceramiche ed è oggetto di studio per applicazioni biologiche e mediche;
l'aurotiomaleato di disodio è un farmaco per la cura dell'artrite reumatoide;
l'isotopo radioattivo 198Au (emivita: 2,7 giorni) è usato in alcune terapie anti-tumorali;
nelle indagini a microscopio:
l'oro è usato per rivestire campioni biologici da osservare sotto un microscopio elettronico a scansione;
in ambito fotografico:
l'acido cloroaurico trova uso in fotografia per far virare l'immagine prodotta dai sali d'argento;
a scopo ornamentale:
l'oro può essere tirato in fili ed inserito in tessuti ed ornamenti;
l'oro bianco - una lega con platino, palladio, nichel o zinco - funge da sostituivo del platino in alcune applicazioni ed in gioielleria; - inoltre tale lega ha un basso coefficiente di dilatazione termica;
l'oro verde (in lega con l'argento) e l'oro rosso (in lega col rame) sono usati in gioielleria;
nello sport e nelle premiazioni:
una medaglia d'oro è il premio assegnato al vincitore di moltissime competizioni e concorsi, non ultimi le Olimpiadi ed il Premio Nobel;
nella cucina:
l'oro metallico è usato come ingrediente in alcune ricette di alta cucina; non avendo praticamente alcuna reattività non altera i sapori.
Storia  [modifica] La maschera d'oro di Agamennone, XVI secolo a.C. Moneta d'oro di Settimio Severo, 193 d.C.L'oro è noto e molto apprezzato dagli umani fin dalla preistoria. Molto probabilmente è stato il primo metallo mai usato dalla specie umana (anche prima del rame), per la manifattura di ornamenti, gioielli e rituali.

L'oro è menzionato nei testi egizi (geroglifico nwb/nbw) a partire dal faraone Den,[7] I dinastia egizia, intorno al 3000 a.C. In epoca più tarda (XIV secolo a.C.) nel cuneiforme accadico tipico delle lettere di Tell el-Amarna, il re assiro Ashur-uballit I e il re Tushratta di Mitanni sostenevano che in Egitto l'oro fosse "comune come la polvere" (EA# 16 e EA# 19[8]). L'Egitto e la Nubia avevano infatti risorse tali da renderli i maggiori produttori d'oro rispetto alla maggior parte delle civiltà della storia antica.[9] L'oro, specialmente nel periodo di formazione dello stato egizio, ebbe sia un ruolo politico che economico: fu infatti uno degli elementi all'origine della divinizzazione del faraone e della nascita delle città.[10]

L'oro viene spesso menzionato nell'Antico Testamento. La parte sudorientale del Mar Nero è famosa per le sue miniere d'oro, sfruttate fin dai tempi di Mida: questo oro fu fondamentale per l'inizio di quella che fu probabilmente la prima emissione di monete metalliche in Lidia, fra il 643 a.C. e il 630 a.C.

L'oro è stato a lungo considerato uno dei metalli più preziosi, e il suo valore è stato usato come base per le valute di molti stati (sistema noto come il Gold standard) in vari periodi storici. Le prime monete d'oro vennero coniate dal re Creso, sovrano della Lidia, nell'Asia Minore occidentale, dal 560 a.C. al 546 a.C.; in particolare l'oro della Lidia proveniva dalle miniere e dalla sabbia del fiume Pactolus.

Secondo il Vangelo secondo Matteo, l'oro fu uno dei doni portati dai Re Magi al Bambino Gesù. Nella tradizione cristiana l'oro simboleggia la regalità di Cristo.

Nel Buddhismo è uno dei sette tesori e viene equiparato alla fede o la retta convinzione.

Il simbolo alchemico per rappresentare l'oro.Il materiale principale dell'alchimia era il mercurio per le particolari proprietà di questo elemento, che è appunto l'unico metallo che si presenta in natura allo stato liquido. Gli elementi sono individuati dal loro numero atomico, che per il mercurio è 80, mentre per l'oro è 79. Questi due metalli hanno una duttilità e altre proprietà simili, che la chimica ha confermato poi a livello microscopico. La vicinanza dei numeri atomici ha fatto pensare anche a scienziati del '900 di ricavare oro bombardando provette di mercurio con radiazioni, nel tentativo di dimostrare l'interconvertibilità degli elementi chimici.
Lo scopo principale degli alchimisti era di produrre l'oro da altre sostanze, come il piombo, presumibilmente tramite una mitica sostanza chiamata "pietra filosofale". Sebbene non abbiano avuto successo nei loro intenti, l'alchimia promosse un interesse nella trasformazione delle sostanze, che pose le basi per lo sviluppo della chimica moderna. Il simbolo alchemico per l'oro era un cerchio con un punto nel centro, che è anche il simbolo astrologico, il simbolo geroglifico e il pittogramma cinese per indicare il sole (日). Secondo gli alchemici esisteva infatti una stretta corrispondenza tra l'oro e il sole, al punto che chiamavano con il termine "sole" in maniera indistinta sia l'elemento chimico (oro) che il corpo celeste (sole).[11] In particolare con il termine sole obrizzo gli alchemici indicavano l'oro puro ridotto in polvere.[11] Per quanto riguarda i tentativi moderni di ottenere artificialmente l'oro, si ha Stefano H. Emmens con l'argentaurum.

L'esplorazione europea delle Americhe (a partire dal 1492) fu incentivata dai resoconti dei primi esploratori, che narravano della gran quantità di monili d'oro indossati dalle popolazioni native, soprattutto in America Centrale, Perù e Colombia.

Nel XIX secolo esplosero diverse corse all'oro, ciascuna corrispondente alla scoperta di un nuovo bacino aurifero, ed in particolare: in California, Colorado, Otago centrale, Australia, Witwatersrand, Black Hills e nel Klondike.

Anche se dal punto di vista geologico l'oro nell'antichità era relativamente facile da ottenere, il 75% di tutto l'oro mai prodotto è stato estratto dopo il 1910.[12] Si stima che se tutto l'oro raffinato del mondo venisse fuso in un solo pezzo, formerebbe un cubo di 20 metri (66 piedi) di lato. A causa del suo alto valore e grazie alla sua resistenza alla corrosione, gran parte dell'oro estratto nel corso della storia è tuttora in circolazione, in qualche forma.

Valore commerciale  [modifica] Lingotti d'oro in una banca svizzeraCome gli altri metalli preziosi, l'oro viene quotato al grammo o all'oncia troy.[13] Quando è in lega con altri metalli, la sua purezza è misurata in carati, con una scala che fissa a 24 carati l'oro puro. Un altro modo comune di indicarne la purezza è l'uso di un valore compreso tra zero e uno - a tre cifre decimali - o una frazione in millesimi (18 carati â 18â24 â 0,750 â 750â1000 â 75%).[14] L'oro utilizzato in gioielleria può avere una purezza massima di 18k, in quanto una proporzione maggiore ne renderebbe impossibile la lavorazione. Per questo motivo il valore dell'oggetto dovrà essere stimato tenendo conto del metallo con cui l'oro è legato. Infatti un gioiello con 14k d'oro e 8k di platino è sicuramente più prezioso di uno a 18k d'oro con 6k di rame. Bisogna dunque prestare attenzione durante l'acquisto di un gioiello e non soffermarsi semplicemente ai 18k.

Il prezzo dell'oro è fissato dai mercati; tuttavia, dal 1919, la Borsa di Londra stabilisce due volte al giorno un prezzo di riferimento (il cosiddetto fixing dell'oro). I cinque mercanti più rilevanti del mondo per lo scambio di oro fisico (in inglese "the Club of Five"[15]) sono: Johnson Matthey, Mocatta & Goldsmith, Samuel Montagu, Rothschild e Sharps Pixley.[16][17]

Storicamente l'oro è stato impiegato per supportare le valute in un sistema economico basato sul gold standard, in cui il valore di ogni valuta è stabilito equivalente ad una certa quantità di oro. Come parte di questo sistema, i governi e le banche centrali tentarono di controllare il prezzo dell'oro, fissandone le parità con le valute. Per un lungo periodo (dal 1789 al 1933) gli Stati Uniti fissarono il prezzo dell'oro a 20,67 dollari/oncia (pari a 0,66456 $/g) - salvo lievi oscillazioni in tempo di guerra - che poi elevarono a 35 dollari/oncia (pari a 1,12527 $/g) nel 1934. Nel 1961 mantenere questo prezzo era diventata un'impresa ardua; le banche centrali degli Stati Uniti d'America e dell'Europa iniziarono a coordinare le loro azioni per mantenere il prezzo stabile contro le forze di mercato.

Andamento del prezzo dell'oro tra il 1968 e il 2008.Il 17 marzo 1968 le circostanze economiche causarono il fallimento di questi sforzi congiunti; venne introdotto un doppio regime, che fissava il prezzo dell'oro a 35 dollari/oncia per le transazioni valutarie internazionali, lasciandolo però libero di fluttuare per quanto concerneva gli scambi tra privati. Questo doppio regime fu abbandonato nel 1971, quando il prezzo dell'oro fu lasciato libero di variare in accordo alle leggi di mercato. Le banche centrali possiedono ancora oggi riserve auree a garanzia del valore delle proprie valute, anche se il volume globale di queste riserve è andato via via calando (causa la progressiva coniazione di moneta in assenza di controvalore aureo o di qualunque altro metallo).

Dal 1968 il prezzo dell'oro sui mercati ha subito ampie oscillazioni, con un record di oltre 1900 dollari/oncia (oltre 60 $/g) nell'agosto 2011 [18], ed un minimo di 252,90 dollari/oncia (8,131 $/g) il 21 giugno 1999 (fixing di Londra). Il prezzo è salito a 420 $/oncia (13,503 $/g) nel 2004 a causa della svalutazione del dollaro statunitense; il prezzo dell'oro in altre valute (ad esempio l'euro) ha subito nello stesso periodo un aumento inferiore, comunque consistente, al 10% dalla quota di 330 euro/oncia (10,6 euro /g).

L'oro costituisce a volte parte di un investimento finanziario difensivo (bene rifugio per la tutela del capitale), data la stabilità del suo valore commerciale a lungo termine e la sua sostanziale scorrelazione rispetto all'andamento del mercato azionario ed obbligazionario; proprio per questa sua stabilità, la speculazione sull'oro diventa particolarmente appetibile quando la fiducia in una valuta viene meno, e quando il valore di una valuta è soggetto ad iperinflazione. Il prezzo dell'oro è anche alla base di futures con cui si specula sul suo ipotizzato valore futuro. Dall'elezione di Bush a presidente degli Stati Uniti d'America il prezzo di un'oncia è passato da 200 dollari a 540 dollari. Il valore dell'oro è fortemente influenzato dall'offerta, motivo per cui la sua estrazione è ponderata attentamente: incrementarne la produzione significa spesso farne crollare il prezzo.

Il prezzo massimo raggiunto dall'oro, tenuto conto dell'inflazione, può essere considerato quello raggiunto il 21 gennaio 1980 (circa 850 dollari l'oncia), corrispondenti a quasi 2.000 dollari all'oncia col potere d'acquisto del 2008.

Possesso di oro  [modifica]Per via del suo uso come riserva valutaria, a volte, nella storia, il possesso privato dell'oro è stato regolamentato o bandito.

Ad esempio:

Negli Stati Uniti il possesso privato di oro, eccezion fatta per la gioielleria ed il collezionismo numismatico, fu illegale dal 1933 al 1975.
In Italia, Grecia e Spagna, unici tra i Paesi Europei, il possesso di oro era consentito solo agli istituti bancari.
In Italia, poteva essere detenuto solo oro lavorato, monete auree o lingottini semilavorati con peso massimo di 100 grammi. Con il Decreto n. 7 del 2000, in recepimento della Direttiva 98/80/CE, è stato aperto in tutta Europa (anche ai privati) il possesso di oro fino.[19]
Leghe di oro  [modifica] Diagramma di fase ternario rappresentativo delle colorazioni assunte dalle leghe Ag-Au-Cu. Le scale numeriche scritte ai lati del triangolo si riferiscono alle percentuali in peso di oro, argento e rame.L'oro da gioielleria, cioè quello legato a uno o più metalli per aumentarne la rigidità, presenta una colorazione bianca o rossa, a seconda del tipo di lega (con argento o rame).

L'oro verde è composto al 75% d'oro, al 12,5% d'argento ed al 12,5% di rame.
L'oro giallo è composto al 75% d'oro, al 12-7% d'argento e al 13-18% da rame.
L'oro rosa è normalmente composto dal 75% d'oro, al 6,5-5% d'argento ed al 18,5-20% da rame.
L'oro rosso è composto al 75% d'oro, al 4,5% d'argento ed al 20,5% di rame.[20]
L'oro blu è una lega di oro e di ferro. Un trattamento termico os******* gli atomi di ferro sulla superficie dell'oro, e gli dona la colorazione azzurra.
L'oro bianco da gioielleria è composto al 75% da oro, ed al 25% da nichel, argento o palladio.
Bisogna notare che il termine "oro bianco" è spesso utilizzato per designare l'oro grigio in bigiotteria. L'oro bianco è ricoperto da un fine strato di rodio, che sparisce per usura, con il tempo, ridando un colore giallo all'oro. È una lega inventata dopo la prima guerra mondiale.
Per la doratura tramite fogli sottili di oro, la lega deve essere il più possibile duttile e malleabile.

L'oro giallo da doratura è composto dal 98,0% d'oro, dall'1,0% d'argento e dall'1,0% da rame. Può anche essere puro.
L'oro rosso da doratura è composto dal 94,5% d'oro e dal 5,5% di rame.
L'oro ½ giallo da doratura è composto dal 91,5% d'oro, dal 6,0% d'argento e dal 2,5% di rame.
L'oro limone da doratura è composto dal 94,5% d'oro e dal 5,5% d'argento.
L'oro grigio da doratura è composto dal 75,5% d'oro, 14,5% di palladio e dal 10,0% d'argento
L'oro bianco francese da doratura è composto dal 20,0% d'oro e dall'80,0% d'argento, altrove in Europa, è al 50,0% oro, e al 50,0% argento.
Ogni gioielliere e battitore d'oro ha comunque le sue leghe, che si scostano leggermente dai valori standard.

La tabella seguente presenta alcuni valori di concentrazione in peso tipici:[21][22][23]

Lega Au Ag Cu Al Fe In Co Ni Zn Pd
1N-14 58,5 26,5 15,0 0 0 0 0 0 0 0
2N-18 75,0 16,0 9,0 0 0 0 0 0 0 0
3N 75,0 12,5 12,5 0 0 0 0 0 0 0
4N 75,0 9,0 16,0 0 0 0 0 0 0 0
0N 58,5 34,0 7,5 0 0 0 0 0 0 0
Oro rosso 50,0 0 50,0 0 0 0 0 0 0 0
Oro blu 75,0 0 0 0 25,0 0 0 0 0 0
Oro blu 46,0 0 0 0 0 54,0 0 0 0 0
Oro porpora 80,0 0 0 20,0 0 0 0 0 0 0
Oro nero 75,0 0 0 0 0 0 25,0 0 0 0
Oro bianco al nichel 18K 75,0 0 2,2 0 0 0 0 17,3 5,5 0
Oro bianco al nichel 18K 75,0 0 8,5 0 0 0 0 13,5 3,0 0
Oro bianco al nichel 18K 75,0 0 13,0 0 0 0 0 8,5 3,5 0
Oro bianco al nichel 14K 58,5 0 22,0 0 0 0 0 12,0 7,4 0
Oro bianco al nichel 10K 41,7 0 32,8 0 0 0 0 17,1 8,4 0
Oro bianco al nichel 9K 37,5 0 40,0 0 0 0 0 10,5 12,0 0
Oro bianco al palladio 18K 75 5 0 0 0 0 0 0 0 20
Oro bianco al palladio 18K 75 10 0 0 0 0 0 0 0 15
Oro bianco al palladio 18K 75 15 0 0 0 0 0 0 0 10
Oro bianco al palladio 18K 75 10,5 3,5 0 0 0 0 0,9 0,1 10
Oro bianco al palladio 18K 75 9,9 5,1 0 0 0 0 1,1 3,5 6,4
Oro bianco al palladio 18K 75 6 3,0 0 0 0 0 7,0 0 15
Oro bianco al palladio 14K 58,3 32,5 14,5 0 0 0 0 0 1 20
Oro bianco al palladio 14K 58,5 8,4 3 0 0 0 0 0 1 5
Oro bianco al palladio 10K 41,7 52 20,5 0 0 0 0 0 1,4 28
Oro bianco 9K 37,5 0 4,9 0 0 0 0 1,4 4,2 0
Disponibilità  [modifica] Un minerale d'oroPer via della sua inerzia chimica relativamente elevata, l'oro si trova principalmente allo stato nativo o legato ad altri metalli. Spesso si presenta in forma di granelli e pagliuzze, tuttavia a volte si trovano anche agglomerati piuttosto grossi, detti pepite. I granelli appaiono inclusi in minerali o sulle superfici di separazione tra cristalli di minerali.

L'oro si trova associato al quarzo, spesso in filoni, e ai solfuri minerali. I solfuri cui si associa più spesso sono la pirite, la calcopirite, la galena, la sfalerite, l'arsenopirite, la stibnite e la pirrotite. Meno frequentemente è associato alla petzite, alla calaverite, alla silvanite, alla muthmannite, alla nagyagite ed alla krennerite.

L'oro è distribuito ampiamente in tutta la crosta terrestre, con una concentrazione media di 0,03 ppm (0,03 grammi per tonnellata). Giacimenti di minerali d'oro si trovano nelle rocce metamorfiche e nelle rocce ignee, da cui si formano per dilavamento i giacimenti di oro alluvionale.

Pepita d'oro nativoLa principale fonte dell'oro è rappresentata dalle rocce ignee e dai depositi alluvionali. Un giacimento generalmente necessita di qualche processo di arricchimento per poter diventare commercialmente sfruttabile: un processo chimico o fisico - quali l'erosione o lo scioglimento - o un più generale metamorfismo, con cui si concentra l'oro disperso nei solfuri o nel quarzo.

I più comuni giacimenti primari sono detti "filoni" o "vene". I giacimenti primari vengono erosi e dilavati dalle intemperie; l'oro viene trascinato a valle formando depositi alluvionali. Un altro tipo di giacimento è quello associato a scisti e rocce calcaree sedimentarie, che contengono tracce d'oro e di altri metalli del gruppo del platino, finemente disperse.

Nell'acqua marina, l'oro è presente in concentrazioni variabili tra 0,1 e 2 milligrammi per tonnellata (0,1·2 ppb), per un totale stimabile in 270.000.000 tonnellate, contro le circa 50.000 tonnellate che si stima contenga ancora la crosta terrestre.[senza fonte] La bassissima concentrazione rende almeno per il momento antieconomica qualunque ipotesi di estrazione dall'acqua.

Nel 2001, si calcola che ci fosse in circolazione una quantità totale di oro pari a 140.000 tonnellate,[senza fonte] una quantità che può essere rappresentata, in volume, come un cubo di lato pari a circa 20 metri.

Produzione  [modifica] Produzione mondiale di oro, dal 1900.L'estrazione dell'oro dai suoi minerali diventa economicamente conveniente quando la concentrazione del metallo è superiore a 0,5 ppm (0,5 grammi per tonnellata); nelle grandi miniere a cielo aperto la concentrazione tipica è compresa tra 1 e 5 ppm; per i minerali scavati in miniere sotterranee, la concentrazione media è circa 3 ppm. Per essere visibile a occhio nudo in un suo minerale l'oro deve avere una concentrazione di circa 30 ppm; questo spiega perché perfino nelle miniere d'oro è poco frequente vederlo.

L'oro è estratto dai depositi alluvionali per dilavamento, e dai minerali rocciosi per metallurgia estrattiva. Spesso la raffinazione del metallo si accompagna alla clorurazione o all'elettrolisi.

Storicamente, sin dal 1880 lo Stato del Sudafrica è stato la fonte di circa due terzi dell'oro estratto nel mondo. La città di Johannesburg è stata costruita alla sommità di uno dei più grandi giacimenti del mondo. I giacimenti negli stati sudafricani dell'Orange e del Transvaal sono invece tra le miniere più profonde del mondo. La guerra Boera del 1899-1901 tra i boeri e i britannici fu in parte dovuta ai diritti di sfruttamento ed ai contenziosi aperti sulle proprietà delle miniere sudafricane.

Tuttavia, a partire dal 2007, la posizione di predominio del Sudafrica è stata superata dalla Cina, la cui produzione nel 2008 è giunta fino a 260 tonnellate di oro, con un incremento del 59% a partire dal 2001.[24]

Tra gli altri maggiori produttori figurano gli Stati Uniti (principalmente in South Dakota e Nevada) l'Australia (principalmente nello stato dell'Australia Occidentale), nonché il Perù e la Russia[24].

In Italia, l'oro, in piccole quantità, si trova nei fiumi, quali il Po ed il Ticino. Nelle viscere del Monte Rosa si trova un giacimento di 20 chilometri, superiore a quelli attualmente più produttivi (presenti in Sud Africa). Tuttavia, a causa di problemi ambientali e di sicurezza, tale oro non è sfruttato né sfruttabile. In passato sono stati sfruttati piccoli giacimenti di oro (Arsenopirite aurifera) con miniere in galleria in Piemonte (Valle Anzasca), Val d'Aosta (Arbaz, Challand-Saint-Anselme) e fino alla fine del 2008 l'unico giacimento di oro oggetto di coltivazione in Italia era quello di Furtei nella provincia del Medio Campidano. Prospezioni di tipo geofisico hanno dimostrato che l'oro è abbastanza frequente, anche se in bassissime concentrazioni, in varie zone della Toscana, della Sardegna e di altre regioni.

Lavorazione dell'oro  [modifica]L'Italia è un modesto produttore di oro. In compenso, dal 1998, è stata il maggiore trasformatore di oro al mondo, con una media di 450-500 tonnellate lavorate ogni anno.

Composti e isotopi  [modifica] Per approfondire, vedi la voce Isotopi dell'oro.
Soluzione acquosa concentrata di cloruro aurico.Benché sia considerato un metallo nobile,[25] perché resistente a molti agenti corrosivi e relativamente inerte dal punto di vista chimico, l'oro può formare diversi composti. Il cloruro aurico (AuCl3) e l'acido cloroaurico (HAuCl4) sono i più comuni tra essi.

Il numero di os*******zione dell'oro nei suoi composti può essere +1 (composti di oro (I)) o +3 (composti di oro (III)). In condizioni drastiche e con reattivi energici, l'oro può anche assumere numero di os*******zione +5 (il pentafluoruro di oro (V) AuF5) e l'insolito (per un metallo) -1. Questi ultimi composti, che contengono l'anione Au- sono detti aururi; sono noti l'aururo di cesio, CsAu, di rubidio, RbAu, e di tetrametilammonio (CH3)4N+Au-.

Altri composti dell'oro noti sono:

gli alogenuri d'oro (fluoruri, cloruri, bromuri e ioduri)
i calcogenuri d'oro (ossidi, solfuri, selenuri, tellururi)
l'idrazide aurosa, AuN2H4, una polvere esplosiva color verde scuro, nota nell'antichità come aurum fulminans.
Gli atomi di oro possono aggregarsi in cluster.

Presente in natura in ben 30 isotopi (da 175Au a 204Au), solo 197Au è stabile. Gli altri sono tutti radioattivi ed il più stabile di essi è 195Au, la cui emivita è di 186 giorni.

Precauzioni  [modifica]Il corpo umano non assorbe l'oro in quantità rilevanti, per cui i suoi composti non sono normalmente considerati molto tossici. Sono stati tuttavia riscontrati danni al fegato e ai reni di malati di artrite curati con farmaci a base di oro (sali d'oro).

L'oro è ampiamente usato in Odontoiatria e soprattutto in odontotecnica per la realizzazione di: ponti, corone, cappe radicolari, scheletrati per protesi amovo-rimovibili, per ricostruzioni parziali della parte occlusale del dente (intarsi OMD; Inlay ed Onlay). Era considerato uno dei materiali per otturazione più sicuri. L'intarsio in oro veniva confezionato in laboratorio e successivamente posizionato, dall'odontoiatra, nella cavità del dente, specificatamente, per otturazioni molto estese grazie alla sua malleabilità, duttilità ed elasticità; garantiva una lunga durata rispetto all'amalgama, utilizzata solo per otturazioni poco estese. In questi ultimi decenni l'oro e l'amalgama sono stati sostituiti da compositi fotopolimerizzanti sia per un fattore estetico, sia per resistenza all'abrasione (paragonabile a quella del dente naturale). L'oro nel cavo orale può assumere delle colorazioni grigio-scuro per effetto della presenza di altre leghe metalliche, stellite, leghe nichel-cromo, leghe al palladio, amalgama. Tale fenomeno viene definito "bimetallismo"; generato per elettrolisi. Nel merito non si riscontra nessuna intollerabilità da parte del paziente, riconducibile all'oro; perché è la combinazione di più leghe a determinare quanto detto.

L'utilizzo di oro come agente terapeutico ("crisoterapia"[26]) per la cura dell'artrite reumatoide[27] può causare dei segni e sintomi specifici, chiamati crisiasi. Tra gli effetti di rilievo derivati dall'assunzione di composti farmaceutici a base d'oro sono da annoverare i segni dermatologici, in particolare un colorito grigio-bluastro della cute, più accentuato nelle zone esposte al sole e nell'area periorbitaria;[28][29][30] a volte l'oro può accumularsi selettivamente nelle unghie, dando un colore giallo alle stesse.[31]

Le aree cutanee delle persone che hanno assunto oro, esposte a Q-switched laser manifestano un colorito grigio-bluastro.[32]

L'oro, come altri metalli (es. rame nella Malattia di Wilson), può andare in accumulo in strutture oculari, visibile con una lampada a fessura.[33]

Interessante notare che, dopo somministrazione per via iniettiva di oro radioattivo, questo tende ad accumularsi nella zona pettorale.[34]
Rispondi

Da: .....Corsista....01/10/2011 13:14:23
Continua pure ad intasare il forum....sei proprio limitato, e ancora insisti.
Hai rotto, invece di proporre qualche discussione anonima interessante sei capace solo a copiare e incollare....
Sei proprio una cornacchia come dicono gli altri....
Rispondi

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Da: e basta!01/10/2011 13:39:15
a parlar male delle cornacchie! ma che vi hanno fatto, povere?!la cornacchia è un animale altero e elegante, e si cura poco degli altri, per questo è vista male, dagli invidiosi rosiconi che vorrebbero avere le sue belle penne.ah!
Rispondi

Da: Ma chi e''?01/10/2011 15:07:31
Io ancora non ho capito chi e' la cornacchia ???
Rispondi

Da: R.M.01/10/2011 15:28:57
Maroni: "Numero firme impressionante
bisogna procedere con il referendum"
Svolta nella posizione del Carroccio sulla possibilità di cancellare il "porcellum" chiamando al voto i cittadini. Intanto lo straordinario risultato dei referendari agita le acque in casa Pd
Palloncini contro il "porcellum" (ansa)
ROMA - "Sono rimasto impressionato dal numero di firme raccolte 1 in così poco tempo: anche questo è un segnale forte, sono dell'opinione che vada ascoltato e che si debba procedere al referendum". Così il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha commentato il deposito delle firme in Cassazione per l'abolizione del 'Porcellum'. "Non so se il Parlamento si metterà a riformare la legge elettorale, ma se lo fa - ha proseguito il ministro - dovrebbe riformarla nel senso del referendum". Parole sorprendenti in quanto sembrano segnare una svolta nell'atteggiamento tenuto sin qui dalla Lega. Non solo perché autore del "porcellum" che i referendari vogliono abolire è il ministro leghista Roberto Calderoli, ma anche per il fatto che senza il varo di una nuova legge in caso di consultazione popolare e di un eventuale successo dei sì il risultato immediato sarebbe il ritorno al "mattarellum", un sistema prevalentemente maggioritario che penalizzerebbe la possibilità del Carroccio di correre da solo. 

SCHEDA: SISTEMI ELETTORALI A CONFRONTO 2

Non a caso ben più cauto di Maroni appare il collega leghista Calderoli. "La riforma della legge elettorale - dice chiudendo evidentmente all'ipotesi di arrivare a un voto popolare sull'argomento - potrebbe essere approvata nella primavera del 2012". Dal presidente della Camera Gianfranco Fini arriva però un avvertimento: non è detto che se la Corte Costituzionale ammetta il referendum le uniche due opzioni siano votare per il referendum o fare una legge in Parlamento perché "ci può essere la scappatoia di chi dice che è meglio andare a votare con questa legge". Opinione condivisa dal leader centrista Pierferdinando Casini secondo il quale non ci sarà nessun referendum e neppure una riforma parlamentare, ma piuttosto "si andrà al voto" anticipato.

La questione del referednum elettorale contribuisce poi a tenere alta la tensione in casa democratica. Ieri sera parlando in pubblico il segretario Bersani ha rivendicato che si è trattato di "una vicenda in cui abbiamo messo ordine, abbiamo aiutato la raccolta firme, abbiamo fatto un disegno di legge elettorale, siamo andati incontro a qualcosa che si era mosso prima di noi. Il partito che ho in testa - ha concluso - si comporta così". Parole che ai referendari della prima ora come Arturo Parisi sono suonate però come un volersi attribuire meriti non propri. "Lasciamo perdere - ha commentato l'esponente del Pd - La domanda da fare a Bersani è una sola: ha messo la sua firma? Visto che mi chiede di Prodi posso dirle che dopo vent'anni che camminiamo insieme è stato facile fare festa con lui per la limpida vittoria dei cittadini, così come limpida è stata la firma che lui ha messo nel suo comune. Sarei stato ancora più lieto se oggi avessi potuto condividere con Bersani la stessa gioia per la stessa vittoria".

Sul tema della riforma elettorale lo straordinario successo del movimento referendario non è però l'unica novità. La presentazione delle firme raccolte per l'abolizione del porcellum ha suggerito ieri l'intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano 3 per spingere i politici a cambiare le regole, ritrovando il rapporto di fiducia con i cittadini. "Napolitano ha detto una cosa giusta: che si stava meglio quando si stava peggio e cioè quando c'era un rapporto diretto tra eletto ed elettore", ha commentato il leader dell'Udc Pierferdinando Casini. Quello del capo dello Stato, ha aggiunto il presidente del Senato Renato Schifani "è un monito che non può essere inascoltato. È compito del Parlamento farsene carico individuando le soluzioni che risolvano questo problema, cioè la disaffezione dell'elettore nei confronti della politica".
Rispondi

Da: M.S.G.01/10/2011 15:30:02
LA GAFFE
Gelmini, che gioia per i neutrini
"Quel tunnel tra Svizzera e Abruzzo"
Il ministro dell'Istruzione Università e ricerca si lancia in un comunicato entusiastico per la scoperta sui neutrini. E scivola paurosamente in un tunnel lungo dalla Svizzera all'Italia. "Per realizzarlo l'Italia ha partecipato con ben 45 milioni di euro". Le reazioni di Pd e ricercatori. La replica: "Polemica ridicola"


ROMA - Il troppo entusiasmo e la fretta sono un mix a volte terribile. Ne ha fatto le spese il ministero dell'Istruzione che ha dato alle stampe un comunicato dai toni enfatici dopo la sensazionale scoperta scientifica fatta nei giorni scorsi fatta al Cern di Ginevra 1. Ma in tanta enfasi si è infilata in paradossi ed errori clamorosi. Così scopriamo che tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso è stato addirittura scavato un tunnel alla cui realizzazione il governo italiano ha partecipato con ben 45 milioni di euro (circa, non sono ben sicuri). Ma d'altra parte il ministero sembra ben lontano dalla misurata soddisfazione di tutti coloro che considerano la scienza come di una faticosa conquista quotidiana: noi invece abbiamo partecipato a una "vittoria epocale". E la ministra finisce sulla graticola, in Rete, a tempo di record.

IL COMUNICATO
2
"Un tunnel che parte dal Gran Sasso e arriva a Ginevra?  Costo 45 milioni di euro, grande sponsor o forse finanziatore Maria Stella Gelmini, ministro dell'Istruzione che evidentemente digiuna di fisica, si fida di collaboratori che le mettono in bocca dichiarazioni che scatenano l'ilarità del globo. Siccome non c'è naturalmente nessun tunnel fra l'Infn  ad Assergi, sotto quattro chilometri di dura roccia del Gran Sasso e l'Lhc di Ginevra che fine avrebbero fatto quei soldi? O forse questa è una delle grandi opere che questo governo di pressappochisti e venditori di illusioni vuole lanciare?" ironizza Manuela Ghizzoni, capogruppo PD commissione Cultura Camera dei deputati.

Polemica anche la Rete 29 Aprile ("Ricercatori per una università pubblica, libera e aperta"): "Nessun tunnel ma un fascio di neutrini che è stato 'sparato' dal Cern di Ginevra per un viaggio sotterraneo che dura 2,4 millisecondi, raggiunge la profondità massima di tre chilometri per effetto della curvatura terrestre e termina al Gran Sasso, dove il fascio è 'fotografato' da un rilevatore e ne viene misurata la velocità. Quindi tranquilli, soprattutto i cittadini di Firenze che si trovano sulla traiettoria: il viaggio delle particelle, perfettamente rettilineo, non impegna nessuna struttura costruita dall'uomo; e nessuno potrà usare tale esperimento per giustificare una nuova TAV sotto il Trasimeno". Per il segretario della Flc Cgil Mimmo Pantaleo "un ministro convinto che esista un vero tunnel tra il gran sasso e il Cern deve andare a casa al più presto assieme ai suoi degni colleghi del governo".

Replica il ministero: "Polemica destituita di fondamento è assolutamente ridicola. E' ovvio che il tunnel è quello nel quale circolano i protoni dalle cui collisioni ha origine il fascio di neutrini che attraversando la terra raggiunge il Gran Sasso".
Rispondi

Da: WWF01/10/2011 15:41:48
Biodiversità: sai cos'è? Forum  Biodiversità è un termine molto ampio che comprende gli esseri viventi che popolano la Terra. Anche noi facciamo parte della biodiversità e sfruttiamo i servizi che ci offre: la biodiversità ci fornisce cibo, acqua, energia e risorse per la nostra vita quotidiana.
Biodiversità è la varietà degli esseri viventi che popolano la Terra, e si misura a livello di geni, di specie, di popolazioni e di ecosistemi. Una varietà incredibile di organismi, esseri piccolissimi, piante, animali ed ecosistemi tutti legati l'uno all'altro, tutti indispensabili. Anche noi facciamo parte della biodiversità e sfruttiamo i servizi che ci offre:  grazie alla biodiversità la Natura è in grado di fornirci cibo, acqua, energia e risorse per la nostra vita quotidiana.

Il 2010 è stato proclamato dall'Onu Anno Internazionale della Biodioversità >>


La biodiversità è un patrimonio universale per tutta l'umanità per questo conservarla deve diventare la nostra priorità. Molti stati si sono impegnati a ridurre in modo significativo la perdita di biodiversità entro il 2010. L'IUCN (The World Conservation Union), il più grande network al mondo di esperti ambientali e associazioni non governative, ha lanciato l'iniziativa Countdown 2010 con l'obiettivo di ricordare ai vari governi gli impegni presi e sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema.

Biodiversità, quindi, come ricchezza di vita sulla Terra. Batteri, farfalle, balene e foreste tropicali, sono solo alcuni dei componenti della biodiversità della Terra, l'immensa varietà delle forme viventi che rende il nostro pianeta unico. Fino a oggi sono state descritte oltre 1 milione e 700 mila specie, ma in realtà si ipotizza che ne possano esistere oltre 12 milioni: moltissime aspettano di essere scoperte!


I numeri della biodiversità
La biodiversità nel mondo ha dei numeri impressionanti. Gli esseri viventi, dai batteri invisibili a occhio nudo alle piante, fino ai più grandi mammiferi, sono raccolti in circa 2 milioni di specie a oggi conosciute: Batteri 10.000 specie; Funghi 72.000 specie; Protisti 50.000 specie; Piante 270.000 specie. Le specie animali sono circa 1.318.000, di cui 1.265.000 invertebrati e 52.500 vertebrati (2.500 pesci, 9.800 uccelli, 8.000 rettili, 4960 anfibi, 4.640 mammiferi).

La biodiversità non è un fenomeno recente, ma è il frutto di 3 miliardi e mezzo di anni di evoluzione. In un certo senso la possiamo paragonare a una assicurazione, perché garantisce la sopravvivenza della vita sulla Terra.

L'Italia può vantarsi di possedere un patrimonio di biodiversità straordinario. La biodiversità in Italia è infatti molto ricca e varia: laghi, fiumi stagni, zone umide con migliaia di uccelli, pesci e invertebrati, e poi le formazioni boschive, dalle foreste mediterranee fino ai boschi di conifere di alta quota. Persino gli ambienti costieri superstiti ospitano ancora migliaia di specie di pesci, intere colonie di uccelli marini e comunità di invertebrati acquatici.


Alcuni ambienti nel mondo sono particolarmente ricchi di biodiversità: le barriere coralline, le foreste tropicali e gli estuari dei fiumi ospitano circa la metà degli essere viventi del Pianeta, anche se ricoprono solo il 6% della superficie terrestre.


La biodiversità garantisce la sopravvivenza della vita sulla Terra. L'uomo non ha il diritto di estinguere specie viventi. Invece ha il dovere di preservare l'ambiente e le risorse della Terra per le generazioni future.

L'uomo fa parte della biodiversità e ne sfrutta i servizi. Quali sono i servizi che la biodiversità ci offre?  >>
Rispondi

Da: A.M.01/10/2011 15:43:31
La previsione
Domenica 2 Ottobre: L'alta pressione rimane salda garantendo una nuova giornata stabile e soleggiata ovunque, con clima caldo di giorno specie al Centronord, dove non si escludono punte di 30°C. Da segnalare foschie nottetempo sulla Val Padana e qualche breve fenomeno di passaggio su bassa Puglia, dorsale calabrese e Sicilia orientale. Lunedì 3 Ottobre: La situazione rimane invariata stante l'egemonia dell'alta pressione garante di un avvio di settimana soleggiato e molto mite ovunque. Da segnalare solo foschie nelle ore più fredde in Val Padana e in Puglia. e qualche annuvolamento tra Calabria e Sicilia. Martedì 4 Ottobre: ancora dominio anticiclonico e giornata ben soleggiata su tutto lo Stivale. Temperature di 4/6°C oltre le medie del periodo.

Nord
L'alta pressione con i massimi sull'Europa centrale garantisce l'ennesima assolata su tutto il Settentrione, con solo qualche foschia o locale banco di nebbia nottetempo ed al primo mattino sulla Val Padana. Temperature stazionarie, ben oltre le medie del periodo nei valori massimi, compresi tra 26 e 30°C. Venti deboli variabili. Mari poco mossi o quasi calmi.

Centro
Giornata stabile e ben soleggiata con cieli sereni su tutte le regioni, con al più sporadiche nubi sull'Appennino e le interne sarde nel corso del pomeriggio. Temperature stabili o in locale rialzo, massime tra 24 e 29°C. Venti deboli settentrionali in rinforzo da NNE sull'Adriatico. Mari poco mossi o localmente mosso l'Adriatico al largo.

Sud
Bel tempo prevalente, ma con nubi sparse su Puglia e zone ioniche associate a qualche piovasco tra brindisino e Salento. Annuvolamenti anche lungo la dorsale con qualche rovescio su Sila, Aspromonte, Sicilia interna, in possibile sconfinamento a Reggino e Siracusano. Temperature senza variazioni di rilievo, massime tra 24 e 29°C. Venti fino a moderati settentrionali su settori ionici ed adriatici, deboli altrove. Mari poco mossi o mossi al largo.
Rispondi

Da: dolci01/10/2011 15:45:43
Sachertorte
  Das Originalrezept der Sachertorte ist ein sehr gut gehütetes Geheimnis! Da wir Wiener uns fast ausschliesslich von Sachertorte ernähren, hier ein ein altes Rezept aus meiner Familie, das dem der echten Sachertorte sehr ähnlich ist. 

Zutaten:
4 Eier

260 g Staubzucker
280 g Mehl
180 g Öl
1/8l Milch (ich nehme Schlagobers (1)

1 Päckchen Vanillezucker
½ Päckchen Backpulver
1 Fläschchen Zitronenaroma (Dr.Oetker)

150 g Kochschokolade (dunkle Kuvertüre)

(bei grosser Tortenspringform die angegebenen Werte einfach verdoppeln)
 
Zubereitung:
drei Mixschüsseln vorbereiten

Kochschokolade im Backrohr bei 120°C schmelzen
Eier in Eiklar und Dotter trennen
Schüssel Nr.1 Eiklar reingeben und zu festen Schnee mixen, zur Seite stellen
Schüssel Nr.2 Eidotter, Zucker, Vanillezucker, Zitronenaroma und Öl reingeben und schaumig mixen, anschliessend die weiche Kochschokolade einrühren.
Schüssel Nr.3 Mehl und Backpulver reingeben
Nun abwechselnd unter die Teigmasse Mehl und Milch nach und nach unter rühren (mixen auf niedriger Stufe) zugeben.
nun den Schnee unter die Teigmasse mit einer Teigkarte mit Stiel !darunterheben! damit der Teig flaumig bleibt.
Teig in die eingefettete und mit Mehl bestäubte Tortenspringform geben und bei 170° - 180°C Ober-Unterhitze ca. 45-50 min backen.
Ausgekühlt in der Mitte durchschneiden und mit Marillenmarmelade füllen.

Glasur:
100 g Kochschokolade mit 120 g Butter in ein Wasserbad stellen und schmelzen und "lippenwarm" über die kalte Torte giessen.
Vorher die kalte Torte mit Marillenmarmelade (2) (keine Konfitüre) hauchfein einstreichen, sodass die Poren der Torte zugemacht sind.
(1) in Deutschland Schlagsahne
(2) in Deutschland Aprikosenmarmelade
 

Viel Spass und guten Appetit

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Da: eroe02/10/2011 01:04:49
Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 - Isola di Caprera, 2 giugno 1882) è stato un generale, patriota e condottiero italiano. Noto anche con l'appellativo di Eroe dei due mondi per le sue imprese militari compiute sia in Europa, sia in America meridionale, è la figura più rilevante del Risorgimento ed uno dei personaggi storici italiani più celebri al mondo.

Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 La giovinezza
1.2 La navigazione
1.3 La vita da ricercato
1.4 L'esilio in Sud America
1.5 Giuseppe e Anita
1.6 La prima guerra d'indipendenza
1.7 La Repubblica Romana
1.8 La fuga da Roma e la morte di Anita
1.9 Il rientro in Italia e la seconda guerra d'indipendenza
1.10 Il viaggio da Quarto al Volturno
1.11 La guerra di secessione americana
1.12 La mancata liberazione di Roma
1.13 La terza guerra d'indipendenza
1.14 Le campagne in Francia
1.15 La società protettrice degli animali
1.16 Gli ultimi anni
2 Cronologia
3 Garibaldi e l'unificazione italiana
4 Garibaldi e Cavour
5 Curiosità
6 Influenza culturale
6.1 Filatelia
6.2 Marineria
6.3 Monumenti a Garibaldi
6.3.1 Monumenti italiani
6.3.2 Monumenti nel mondo
7 Le donne di Garibaldi
8 I figli di Garibaldi
9 Onorificenze
10 Note
11 Bibliografia
11.1 Scritti di Garibaldi
11.2 Alcuni scritti su Garibaldi
12 Voci correlate
13 Altri progetti
14 Collegamenti esterni


Biografia  [modifica]
La giovinezza  [modifica]
Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza, nell'attuale Piazza Sprovieri, negli anni in cui la Contea di Nizza (che prima faceva parte dei domini sabaudi) era parte del territorio nazionale francese.[1] Venne battezzato il 29 luglio 1807 nella chiesa di San Martino di Acri,[2] e registrato come cittadino francese con il nome di Joseph Marie Garibaldi.[3]
La sua famiglia si era trasferita a Nizza nel 1770; il padre Domenico Garibaldi (1766-1841), originario di Chiavari (in provincia di Genova)[4], era proprietario di una tartana chiamata Santa Reparata.[5], la madre Rosa Raimondi (1776-1852) era originaria di Loano, in provincia di Savona, al tempo parte della Repubblica Ligure.

Giuseppe era il secondogenito di sei figli: Angelo, il fratello maggiore, divenne console negli Stati Uniti d'America, Michele fu capitano di marina, Felice rappresentante di una compagnia di navigazione, Elisabetta e Maria Teresa morirono in tenera età: la prima in un incendio insieme alla balia[6], la seconda di malattia.[5]

Per diverso tempo ,gli storici dettero credito ad una versione,[7] dimostrata poi falsa,[8] secondo la quale Garibaldi avrebbe avuto origini tedesche. La famiglia divideva con alcuni parenti, i Gustavin, una casa sul mare[9]. Dell'infanzia di Giuseppe si hanno poche notizie, per lo più agiografiche[10][11]. Risulta invece certa la notizia che a 8 anni salvò una lavandaia caduta in acqua[12] e che il salvataggio di persone in procinto di annegare fu una costante, tanto che ne salvò almeno 12[13]. Nel 1814 la casa venne demolita per ampliare il porto e la famiglia Garibaldi traslocò. Nel 1815 Nizza fu restituita al Regno di Sardegna per decisione del Congresso di Vienna e restò sotto il governo dei Savoia fino al 1860.

I genitori avrebbero voluto avviarlo alla carriera di avvocato, medico o sacerdote, ma Giuseppe non amava gli studi, prediligendo gli esercizi fisici e la vita di mare. Egli stesso ebbe a dire che era più amico del divertimento che dello studio[14]. Vedendosi ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, durante le vacanze tentò di fuggire per mare verso Genova con tre suoi compagni: Cesare Parodi, Celestino Bernord e Raffaello de Andre.[15] Scoperto da un sacerdote che avvisò la famiglia della fuga[16], fu fermato appena giunto alle alture di Monaco e ricondotto a casa; forse fu l'inizio della sua antipatia verso il clero[17].

Tuttavia si appassionò alle materie insegnategli dai suoi primi precettori, padre Giaume e il "signor Arena". Quest'ultimo, reduce delle campagne napoleoniche, gli impartì lezioni d'italiano e di storia antica (rimase affascinato soprattutto dall'antica Roma). Alla fine riuscì a persuadere il padre a lasciargli intraprendere la vita di mare e venne iscritto nel registro dei mozzi a Genova il 12 novembre 1821[18].

Anche se la datazione dei primo imbarco è incerta[19], nel gennaio del 1824[20], si imbarcò sedicenne sulla Costanza, comandata da Angelo Pesante di Sanremo, che Garibaldi avrebbe in seguito descritto come il migliore capitano di mare[21]. Nel suo primo viaggio, su di un brigantino con bandiera russa[13], si spinse fino a Odessa nel mar Nero e a Taganrog nel mar d'Azov (entrambe ex colonie genovesi). Vi si recherà nuovamente nel 1833, incontrando un patriota Mazziniano che lo sensibilizzerà alla causa dell'unità d'Italia. Rientrò a Nizza in luglio[20].

L'11 novembre partì per un breve viaggio come mozzo di rinforzo sulla Santa Reparata, costeggiando la Francia in un equipaggio di cinque uomini[20]. Con il padre, tra aprile e maggio del 1825, partì alla volta di Roma con tappe a Livorno, Porto Longone e Fiumicino[22] con un carico di vino, per l'approvvigionamento dei pellegrini venuti per il Giubileo indetto da papa Leone XII. L'equipaggio era composto da 8 uomini, ed ebbe la sua prima paga[23].

La navigazione  [modifica]

Giuseppe Garibaldi da giovane.Iniziarono i numerosi viaggi marittimi di Garibaldi; fra quelli che rimasero più impressi al condottiero vi fu quello sul brigantino l'Enea, al cui comando vi era Giuseppe Gervino, durante il quale, in una tempesta, vide una feluca catalana, a cui non poterono prestare soccorso, sprofondare travolta dalle onde[24].

Nel 1827, navigando con la Coromandel, raggiunse le Canarie e nello stesso anno, a settembre, salpò da Nizza con la Cortese, comandata da Carlo Semeria, per il mar Nero ma durante il viaggio il bastimento fu assalito per tre volte dai corsari greci[25] che depredarono la nave, rubando persino i vestiti dei marinai, mentre il capitano non oppose la minima resistenza[23]. Di questo viaggio la sua prima lieve ferita in battaglia[26], evento forse ingigantito dalle fonti con il tempo[27].

Il viaggio comunque continuò e nell'agosto del 1828 Garibaldi sbarcò dalla Cortese a Costantinopoli dove, ammalato, rimase per circa tre anni, sino al 1831; in quel periodo per sostenersi economicamente faceva l'istitutore[26], insegnando italiano, francese e matematica. Fra i motivi che lo fecero indugiare vi fu la guerra turco-russa, che chiuse le vie commerciali marittime; nel frattempo si integrò nella comunità italiana, grazie anche alla presenza di una sua concittadina, la signora Luisa Sauvaigo[28]. Secondo le ricerche compiute dalla sua bisnipote diretta Annita Garibaldi[29], probabilmente frequentò la casa di Calosso - comandante della cavalleria del Sultano col nome di Rustem Bey - e l'ambiente dei genovesi, che storicamente erano insediati nel quartiere di Galata e Pera. Ritornò a Nizza nella primavera del 1831[23].

Appena giunto nella città ripartì subito imbarcandosi sulla Nostra Signora delle Grazie comandata da Antonio Casabona, prima come secondo: poi l'anziano capitano gli cedette il comando[30]. Il 20 febbraio del 1832[31] gli fu rilasciata la patente di capitano di seconda classe. Nello stesso mese si reimbarcò con la Clorinda per il mar Nero; si contavano venti uomini a bordo e la paga di Giuseppe fu di 50 lire piemontesi al mese[32] mentre 100 toccarono al capitano, Simone Clary. Ancora una volta la nave fu presa di mira dai corsari ma questa volta l'equipaggio accolse gli aggressori a fucilate. Garibaldi fu ferito alla mano destra: avrebbe poi ricordato l'accaduto come il suo primo combattimento[23]. Proprio sulla Clorinda conobbe Edoardo Mutru, suo compagno d'armi in futuro[33].

Nel 1833 si contarono sui registri navali 72 mesi di navigazione effettiva.[23] L'importanza dello spirito marinaro in Garibaldi è stato più volte sottolineato, gli scritti di Augusto Vittorio Vecchi, più noto con il nome di Jack la Bolina influenzarono i successivi studiosi sull'argomento, egli che definiva il Mar Mediterraneo un ottimo insegnante, vedeva nell'eroe l'ingenuità degli uomini di mare in contrasto con la furbizia degli uomini di terra.[34] Di parere simile era Pino Fortini, affermando che il mare lo aveva formato, educato moralmente.[35]

Dopo 13 mesi di navigazione ritornò a Nizza, ma già nel marzo 1833 ripartì per Costantinopoli. All'equipaggio si aggiunsero tredici passeggeri francesi seguaci di Henri de Saint-Simon, imbarcati di notte e controllati dalla polizia che andavano in esilio nella capitale Ottomana. Il loro capo era Emile Barrault, professore di retorica che espose le idee sansimoniane ad un attento Garibaldi.[36]

Garibaldi, allora ventiseienne, fu molto influenzato dalle sue parole, ma Anita Garibaldi ipotizza che appare probabile che quelle idee non gli giungessero del tutto nuove, fin da quando aveva soggiornato nell'Impero ottomano, luogo prescelto da tanti profughi politici dell'Europa e percorso esso stesso da fremiti di autonomia e di libertà.[37]

Tutto ciò contribuì a convincerlo che il mondo era percorso da un grande bisogno di libertà. Lo colpì in particolare Emile Barrault quando affermò:

« Un uomo, che, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità come patria e va ad offrire la spada ed il sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato: è un eroe »
(Emile Barrault, frase riportata da Garibaldi ad Alexandre Dumas in "Memorie di Giuseppe Garibaldi")

Il bastimento sbarcò i francesi a Costantinopoli e procedette per Taganrog, importante porto russo sul Mar d'Azov. Qui in una locanda, incontrò un uomo detto il Credente[38], che espose a Garibaldi le idee mazziniane.[39]

Le tesi di Giuseppe Mazzini sembrarono a Garibaldi la diretta conseguenza delle idee di Barrault ed egli vide nella lotta per l'Unità d'Italia il momento iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. Quel viaggio cambiò la vita di Garibaldi; nelle sue Memorie scrisse: «Certo non provò Colombo tanta soddisfazione nella scoperta dell'America, come ne provai io al ritrovare chi s'occupasse della redenzione patria».[40]

La vita da ricercato  [modifica]
Non si ha certezza storica del primo incontro fra Garibaldi e Mazzini, quello descritto nella sua biografia mostra alcune lacune: si racconta che un certo Covi condusse il primo dal rivoluzionario in un incontro tenutosi a Marsiglia nel 1833,[41] ma la datazione non risulta credibile in quanto il marinaio sbarcò il 17 agosto 1833[42] a Villefranche-sur-Mer (all'epoca Villafranca marittima) mentre Mazzini si era già trasferito, da giugno, a Ginevra. Inoltre lo stesso genovese affermò che aveva sentito di Garibaldi solo tempo dopo, nel 1834.[43]

A quell'epoca i marinai mercantili dovevano obbligatoriamente prestare servizio per 5 anni nella marina da guerra; venivano agevolati coloro che avessero frequentato rotte che portavano all'estero, essi infatti potevano decidere quando iniziare tale periodo, in ogni caso la scelta doveva cadere prima dei quarant'anni di età. Garibaldi presentò la domanda nel mese di dicembre del 1833 diventando marinaio di terza classe.[44]


Garibaldi è ricordato a Genova con una statua equestre situata a Piazza De FerrariIl 16 dicembre si presentò a Genova e il 26 si imbarcò sull' Euridice dove rimase per 38 giorni[45] La divisa sarda nell'occasione era composta da un frac nero, una tuba, e un paio di pantaloni bianchi.[46] Come marinaio piemontese Garibaldi assunse il nome di battaglia Cleombroto,[47], un re spartano che combatté contro Tebe nella Battaglia di Leuttra.

A quell'epoca non era ancora iscritto alla Giovine Italia,[48] In quel periodo tenta, con Edoardo Mutru arruolatosi anch'esso, e Marco Pe di fare propaganda alla causa, e cercando a bordo e a terra di fare proseliti.

Frequenta l'osteria della Colomba la cui proprietaria Caterina Boscovich insieme alla cameriera Teresina Cassamiglia gli saranno d'aiuto in seguito. Fa sfoggio della sua attività, offrendo da bere a sconosciuti con l'intento di arruolare nella causa nuovi elementi senza preoccuparsi con chi stesse parlando,[49] e fu visto in pubblico, al caffé di Londra, usare parole dispregiative verso il Re. Per tale comportamento venne sorvegliato dalla polizia.

Il 3 febbraio 1834 fu poi imbarcato insieme a Mutru sulla Conte De Geneys, che stava per partire per il Brasile[50] Vi restò solo un giorno in quanto il 4 febbraio,[51] fingendosi malato scese a terra, dopo aver dormito all'Insegna della Marina con Mutru.

Nel frattempo si era stabilito che l'11 febbraio 1834 ci sarebbe stata un'insurrezione popolare in Piemonte. Garibaldi scese a terra per mettersi in contatto con i mazziniani; ma il fallimento della rivolta in Savoia e l'allerta di esercito e polizia fecero fallire tutto. Garibaldi credeva che l'insurrezione si sarebbe comunque avviata; non tornò sulla nave per parteciparvi, venendo siglato il termine A.S.L. (Assentatosi Senza Licenza) sulla sua matricola,[51] e divenendo in pratica un disertore; tale latitanza venne considerata come ammissione di colpa.

Attese un'ora in piazza prima di andarsene,[52] ritrova riparo prima a casa della fruttivendola[53] Natalina Pozzo poi all'osteria e alla casa della padrona, Caterina Boscovich. Intanto vengono arrestati il quasi omonimo Giuseppe Giribaldi (l'8 febbraio) e poi lo stesso Mutru, il 13 febbraio. Prima di allora, il 9[54] o l'11,[55] lascia Genova.

Più volte nella fuga sfugge ad eventuali catture, dopo aver superato il fiume Varo, la prima quando al confine venne condotto momentaneamente a Draguignan,[56] poi in un'osteria dove canta per sfuggire agli sguardi dell'oste che minacciò di farlo arrestare.[57] Giunse infine a Marsiglia. Intanto viene indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato.[58]

Garibaldi divenne così un ricercato e in quel tempo visse per un breve periodo dal suo amico Giuseppe Pares.[59] Continua sotto falso nome, assunto l'identità dell'inglese Joseph Pane, a viaggiare: il 25 luglio salperà verso il mar Nero sul brigantino francese Union raccontando di essere un ventisettenne nato a Napoli.[60] Dovrebbe svolgere l'attività di marinaio ma sarà secondo in realtà.[61] Sbarca il 2 marzo 1835, e in maggio fu in Tunisia. Quando tornò a Marsiglia trovò la città devastata da una grave epidemia di colera; offertosi come volontario lavorò in un ospedale,[62] in qualità di benevolo ci rimase per quindici giorni.[63]

In quel periodo conobbe Antonio Ghiglione[64] e Luigi Canessa. Le rotte erano chiuse in parte per via del colera, Garibaldi decise quindi di partire alla volta del Sud America con l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre 1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier, questa volta con il nome di Giuseppe Pane, nave comandata da Beauregard[65] affermando di essere nato a Livorno, data la sua paga di 85 franchi, si presuppone che non svolse in mare gli incarichi di marinaio la cui paga era inferiore.

L'esilio in Sud America  [modifica]
Giunto a Rio de Janeiro nella fine del 1835 o nel gennaio del 1836, venne accolto dalla piccola comunità di italiani aderenti alla Giovine Italia, avvisati da Canessa poco prima, iniziò quindi un piccolo commercio di paste alimentari in porti vicini. La sua prima lettera venne spedita il 25 gennaio 1836.[66] Cerca di instaurare un rapporto con Giuseppe Stefano Grondona, il «genio quasi infernale» come lo definirà lui stesso,[67] senza riuscirci, anche cedendogli la presidenza dell'associazione locale della Giovine Italia. Fondò una società con l'amico Luigi Rossetti,[68] chiamato Olgiati.

Scrive direttamente a Mazzini il 27 gennaio, in una lettera mai giunta a destinazione, chiedendo che rilasciasse «lettere di marca», un'autorizzazione ad iniziare una guerra corsara contro i nemici austriaci e piemontesi, una richiesta impossibile da esaudire,[69] ma senza le quali le sue azioni sarebbero state solo atti di pirateria.[70] Parla apertamente contro Carlo Alberto sul Paquete du Rio[71] cura le stampe della lettera mazziniana a Carlo Alberto e gli furono aperte le porte della loggia irregolare Asilo di Vertud.[72]

Nel febbraio del 1837 parla con Livio Zambeccari, detenuto nella prigione Santa Cruz in quanto segretario di Bento Gonçalves,[73] presidente della Repubblica Riograndense, stato secessionista del Brasile. Sarà l'inizio di una collaborazione ufficiale.

Il 4 maggio 1837, ottenne una patente di corsa, la numero sei (avevano rilasciato un totale di 12 patenti) , documento firmato dal generale Joao Manoel de Lima e Silva apparentemente firmata il 14 novembre 1836.[74] Nell'atto si leggeva la lista dei 14 uomini autorizzati a utilizzare la lancia Mazzini di 20 tonnellate, il capitano designato era Joao Gavazzon (o Gavarron), mentre Garibaldi figurava come il primo tenente. A Joao risultava intestata anche un'altra nave, la Farroupilha di 130 tonnellate.[75] ottenuta dal governo della Repubblica Riograndense (ora Rio Grande do Sul), ribelle all'autorità dell'Impero del Brasile guidato da Pedro II.

La nave comprata tempo prima grazie ai soldi di Giacomo Cris (vero nome di Giacomo Picasso[76] con il quale si fece conoscere), era stata battezzata Mazzini, e con i soldi fruttati da una colletta, 800 lire[77] verranno effettuate delle migliorie. Salperanno il 7 maggio, a bordo si contavano 12-13 uomini in tutto,[78] fra cui il nostromo Luigi Carniglia, il timoniere Giacomo Fiorentino e Joao Baptista, un brasiliano che doveva pensare alle armi.

Sul giornale Jornal do comercio si dava come destinazione del viaggio Campos e come comandante Cipriano Alves (altro nome assunto da Garibaldi)[79] La prima preda fu una lancia da cui prese lo schiavo nero Antonio e lo affrancò rendendolo libero. L'11 maggio i corsari avvistarono una sumaca chiamata Luisa e la abbordarono. Si contavano quattro uomini e quattro schiavi che verranno resi liberi a cui si aggiunse il primo. Garibaldi rifiuta ogni bene che il capitano gli aveva offerto e non vuole che i beni personali vengono toccati. Si continuò sulla nuova nave, più grande, ventiquattro tonnellate, a cui venne cambiato il nome mentre quella vecchia venne fatta affondare. I prigionieri vennero fatti scendere in seguito, sull'unica lancia che avevano a disposizione,[80] con loro il brasiliano che non si era reso conto del pericolo.

Successivamente non si hanno notizie di altri abbordaggi, puntano verso Maldonado si giunse al 28 maggio. Intanto le sue gesta si diffusero ma non portando dati corretti, a sentire il ministero della guerra e marina a Montevideo avrebbe liberato 100 schiavi neri.[81] Lascia nella notte del 5-6 giugno[81] la città avvertito del pericolo, infatti la Imperial Pedro sapeva dei corsari e li cercava per arrestarli.[82]

Partiti nuovamente non si accorsero del malfunzionamento della bussola che li porta fuori rotta verso gli scogli all'altezza della punta de Jesùs y Maria.[83] Il viaggio riprese, ottenuto con difficoltà dei viveri, dovendo in qualche modo ovviare alla mancanza di una lancia, comprata poi in seguito, utilizzarono in sostituzione la tavola su cui si mangiava, barili vuoti e vestiti a far da vela.[84]

Affrontarono un lancione, il Maria, che era salpato con l'intento di catturare il corsaro, era il 15 giugno.[85] Nel combattimento il timoniere incontra la morte, e Garibaldi che lo sostituisce viene ferito quasi mortalmente[86] perdendo i sensi. La battaglia la continuarono i rimanenti italiani, comandati da Carniglia, fino alla fuga. Altri marinai abbandonarono la nave, l'eroe intanto riceve cure e si riprende.[87].

Garibaldi scrive al generale Pascual Echague chiedendo aiuto, lo otterrà in parte: la nave partì per Buenos Aires giungendovi il 20 ottobre e venne restituita al proprietario, mentre i corsari rimasti non potevano lasciare Gualeguay (Argentina), erano prigionieri del governatore Juan Manuel de Rosas[88]

Impara lo spagnolo. Tentò la fuga ma fu catturato e torturato da Leonardo Millán,[88] rimase due mesi nel carcere di Bajada alla fine lo rilasciarono, nel febbraio del 1838, non avendo nulla da imputargli. Raggiunti a Paraná Guazº i suoi amici Rossetti e Cuneo seppe dell'arresto di Joao Gavazzon e di Giacomo Picasso. A cavallo giunse a Piratini, a maggio del 1838,[89] un viaggio di 480 km . Conosce di persona Bento Gonçalves e ne rimane affascinato.

Si organizzò un cantiere navale lungo il fiume Camaqua, capo dei lavori era John Griggs, di origini irlandesi. Intanto Garibaldi divenne comandante della flotta. Due lancioni erano pronti al varo: il Rio Pardo (15-18 tonnellate), dove si imbarcò lo stesso Garibaldi[90], e l' Independencia, il cui equipaggio contava complessivamente circa 70 persone, tra cui Mutru e Carniglia. Partirono il 26 agosto 1838, e riuscirono a superare lo sbarramento posto dalle navi nemiche. Il 4 settembre avvistarono due navi nemiche, una di esse fuggì mentre l'altra, una sumaca chiamata La Miniera, si arrese.[91] Vi era il problema della spartizione della preda: da dividere in tre parti secondo quanto scritto nell'accordo redatto da Rossetti, 8 (di cui una a Garibaldi)[92] secondo quanto si decise alla fine, dal ministro delle finanze Almeida. L'ammiraglio Greenfell, allarmato dall'accaduto, fece scortare ogni nave con quelle di guerra, mentre nella piccola flotta di Garibaldi si aggiunsero altre navi e altre erano in costruzione.

Il 17 aprile 1839[93] avvertiti dal grido «è sbarcato il Moringue»[94] (così era chiamato il maggiore Francesco Pedro de Abreu, a cui era stato l'ordine di eliminare Garibaldi), sventarono il tentativo di imboscata, anche se i nemici erano favoriti dalla nebbia. Affrontarono i circa 150 uomini inviati,[95] ferendo lo stesso Moringue e costringendoli alla ritirata: fu una vittoria che divenne celebre con il nome di ("Battaglia del Galpon de Xarqueada"). L'eco della vittoria venne ufficializzata dal rapporto del ministro della Guerra al parlamento brasiliano[96]

Partecipò, quindi, in qualità di capitano tenente, alla campagna che portò alla presa di Laguna, il cui comando venne affidato al colonnello David Canabarro, della capitale dell'attigua provincia di Santa Caterina. La tattica utilizzata fu singolare: si risalì il fiume Capivari, ingrossato dalle ultime piogge, facendo avanzare le navi per via terra, con l'aiuto di due carri preparati dentro alcune fosse, trainati fino a giungere alla laguna di Thomás José e scendere dal Tramandai. Per tale progetto vennero scelti i due nuovi lancioni: Farroupilha (18 tonnellate, su cui dava gli ordini l'eroe) e il Seival (12 tonnellate, a cui comando si ritrova Griggs).[97]

Il 5 luglio inizia il trasporto via terra evitando l'attacco nemico che si stava preparando più avanti, terminerà l'11 luglio, tre giorni dopo il 14 luglio riprenderanno il mare.[quando avvenne l'attacco?][98] La nave di Garibaldi si rivela troppo pesante: il timone si spezza la nave si rovescia, è il 15 luglio 1839.[99] Durante la tempesta annegheranno fra gli altri Mutru, Carniglia e Procopio (uno schiavo reso libero che aveva ferito il Moringue).[100] L'assalto verrà condotto lo stesso con l'unico Lancione rimasto, il Seival, condotto da Garibaldi;[101] di fronte hanno un brigantino e quattro lancioni. Si dirige verso sud portando le inseguitrici, consistenti in due lancioni, il Lagunense e l'Imperial Catarinense, in una trappola. Dei soldati nascosti nella fitta vegetazione assaltarono le navi e le conquistarono; vennero poi utilizzate per distrarre gli altri due lancioni, Santa Ana e l'Itaparica si arresero, il brigantino Cometà fuggì.

Il 25 luglio 1839 venne conquistata Laguna e con il suo nuovo nome, Juliana, venne proclamata la repubblica catarinense.[102] Gli imperiali inviarono il maresciallo Francisco José de Souza Suares de Andrea con una flotta di 12 navi e tre lancioni, nei primi scontri venne ucciso Zeferino Dutra, uomo a cui Garibaldi aveva lasciato il comando del resto della flotta.

L'eroe prese il comando della Libertadora rinominata Rio Pardo,[103] il Seival fu affidato a Lorenzo Valerigini. Occorrevano arrembaggi ma vicino alla laguna vi era un blocco navale creato dagli imperiali, per superarlo, il 20 ottobre si inviò una sumaca per distrarre le navi che partirono all'inseguimento lasciando il resto della flotta liberi di agire.

In una di queste azioni si trovarono di fronte alla nave Regeneração che con i suoi venti cannoni (le tre navi avevano un solo cannone ciascuno[104] mise in fuga le navi. Fuggirono per lo stesso motivo anche dalla Andorinha, si attendeva di ritornare alla laguna.[105] era il 2 novembre, il Rio Pardo tornò pochi giorni dopo. Malvolentieri guidò l'attacco alla cittadina Imaruí con l'intenzione di punirla del tradimento.[106]

Per approfondire, vedi la voce Guerra dei Farrapos.

Il 4 novembre[107] l'esercito imperiale forte di 16 navi con 33 cannoni complessivi e 900 uomini,[107] riconquistò la città e i repubblicani, dopo aver incendiato le navi senza che i soccorsi richiesi fossero giunti, ripararono sugli altipiani, Griggs venne ucciso.

Sulla terraferma i combattimenti continuarono, e furono i primi per Garibaldi: il 14 dicembre 1839 a Santa Vittoria[108] attaccò con i suoi marinai il nemico e costringendolo alla ritirata; successivamente il 12 gennaio 1840, nei pressi di Forquillas, Garibaldi, guidando la fanteria, soccorse con 150 uomini il colonnello Teixeira.[109]

Garibaldi radunò i sopravvissuti, 73 uomini in tutto, salì su un'altura e solo di notte gli inseguitori smisero la caccia. Marciarono per quattro giorni fino nei pressi di Vacaria[110] e poi di nuovo al Rio Grande.

« Garibaldi è un uomo capace di trionfare in qualsiasi impresa. »
(Alessandro Walewski da J. Duprey, Un fils de Napoleón dans les pays de la Plata au temps de Rosas, Parigi-Montevideo 1937, p. 164.)

Nell'aprile del 1840 si radunarono i due eserciti nei pressi del fiume Taquari, 4.300 imperiali, al comando del generale Manuel Jorge Rodríguez che avrebbero affrontato 3.400 riograndesi,[111] ma non ci fu alcuna battaglia. Si decise di attaccare San José do Norte, punto strategico di rifornimento. Dei quattro fortini disposti a difesa tre vennero distrutti in poco tempo, l'azione era guidata da Gonçalves con Teixeira. L'ammiraglio Greenfell inviò i rinforzi, allorché Garibaldi suggerì di bruciare la città ma l'idea non venne accolta; una volta fuggiti, il nizzardo si fermò su ordini dati a San Simón[quali?];[112] poco dopo, il 24 settembre 1840, fu ucciso Rossetti. Giunto a San Gabriel, strinse amicizia con Francesco Anzani. Gli venne concesso di recarsi a Montevideo e di portarsi 1.000 buoi; riuscì a farne partire 900, ma negli oltre 600 km che percorse perse la maggior parte dei capi, solo 300 giunsero a destinazione nel giugno del 1841.[113]

Soggiornava in casa di amici.[114] Non si conosce con esattezza quando Garibaldi entrò nella marina uruguayana,[115], comunque quando avvenne gli venne conferito il grado di colonnello e gli venne affidata una missione: una volta partito da Montevideo via mare si doveva penetrare nel Paraná fino a Bajada e poi portare il bottino preso dalle navi incrociate a Corrientes, una missione definita «suicida».[116]

Le navi erano tre: Constitución (di 256 tonnellate e 18 cannoni, comandata direttamente dal nizzardo), mentre le altre due erano il brigantino Pereyra, comandato da Manuel Arãna Urioste, e la goletta mercantile Procida, comandata da Luigi De Agostini. Partirono il 23 giugno 1842.[117] Durante il viaggio la Constitución si arenò, venne soccorsa dal Procida mentre gli argentini sopraggiunsero; si trattava dell'ammiraglio William Brown (1777 - 1857) al comando di sette navi, una di esse, la Belgrano si arenò.[118] Grazie alla nebbia Garibaldi e le altre navi riescono a fuggire, Brown li insegue ma si immette su una rotta errata.

La navigazione continuò nel Paraná dal 29 giugno e raggiunsero come da programma Bajada il 18 luglio.[119] Continuarono il viaggio superando il porticciolo di Cerrito. Le navi di Brown a cui si aggiunsero quelle comandate dal maggiore Seguì raggiunsero le navi del nizzardo vicino alla Costa Brava: da una parte 3 brigantini e 4 golette, con un totale di circa 700 uomini e 53 cannoni mentre Garibaldi poteva contare su due delle tre navi in quanto la Procida si distaccò precedendoli a Corrientes, 29 cannoni e circa 300 uomini, entrambi avevano anche imbarcazioni minori.[120]

Il 16 agosto Brown iniziò a fare fuoco. Risultano inutili i tentativi di resistenza, Urioste cercò di portare lo scontro sulla terra ma venne sconfitto, intanto Alberto Villegas con il suo gruppo fuggì. Dopo tre giorni di combattimenti,[121] le navi vennero incendiate, ma alcuni dei corsari saltarono in aria con esse. Garibaldi si trasferisce prima a Goya e dopo vari spostamenti il 19 novembre si ritrova a Paysandù, qui ricevette l'ordine dal generale Felix Edmondo Aguyar di compiere alcune azioni militari. Venne poi richiamato a Montevideo, prima di raggiungerli dovette bruciare nuovamente la flottiglia che comandava. Giunto nel dicembre del 1842 con l'incarico di ricostruire la flotta perduta, con un attacco affondò il 2 febbraio 1843 un brigantino che faceva parte della flotta di Brown, pochi giorni dopo venne respinto un primo tentativo del generale Manuel Oribe, iniziò il 16 febbraio 1843 l 'assedio.[122] Il 29 aprile dopo aver rinforzato l'isola dei Topi si ritrovò di fronte il giorno dopo nuovamente Brown. L'ammiraglio contava su due brigantini e due golette, Garibaldi due imbarcazioni con un cannone ciascuno, gli inglesi intervennero salvandoli.[123]

Alla fine dell'anno prese il comando della Legione italiana. Il colore scelto per le divise fu il rosso,[124], la bandiera, un drappo nero rappresentava il Vesuvio in eruzione.[125] In seguito venne tradito dal colonnello Angelo Mancini,[126] Dopo piccole vittorie conseguite rifiutò in una lettera del 23 marzo 1845 la proposta fatta a gennaio dal generale Rivera che voleva regalare alcune terre alla Legione italiana.[127]

Si cercò di far finire l'assedio, si opposero senza successo gli ammiragli Herbert Ingliefeld e Jean Pierre Lainé, intanto Brown si ritirò, e tempo dopo volle salutare il suo avversario. Ingliefeld iniziò insieme a Garibaldi ad aprirsi un varco, con l'intenzione di conquistare porti nemici, era l'agosto del 1845.[128] Il nizzardo comandava due brigantini Cagancha (64 uomini)[129] e il 28 de marzo (36 uomini) e altre navi. Si aggiunsero i validi aiuti di Juan de la Cruz e José Mandell. Dopo aver preso l'isola del Biscaino e Gualeguaychº[130] Si aggiunse la goletta francese Eclair al cui comando vi era Hippolite Morier, si giunse davanti a Salto, occupata dagli uomini di Manuel Lavalleja.[131] Egli dopo essere stato sconfitto da Francesco Anzani abbandonò la città che il 3 novembre fu occupata da Garibaldi.

Justo José de Urquiza iniziò l'assedio alla cittadina il 6 dicembre,[132] dopo diciotto giorni di attacchi lasciò una parte dei suoi uomini, 700 di essi e abbandonò l'impresa. Il 9 gennaio 1846 Garibaldi ottiene la sua prima vittoria contro gli assedianti, attaccando di notte. Il generale Anacleto Medina intanto stava giungendo a dar man forte con i suoi cinquecento cavalieri, Garibaldi cerca di affrontarlo con 186 legionari e 100 uomini guidati dal colonnello Bernandino Baez[133] ma vengono colti di sorpresa a loro volta dal generale Servando Gómez nei pressi di San Antonio.[134]

Gli uomini trovarono riparo nei resti di un saladero dove si organizzarono, sparando solo a bruciapelo e attaccando in seguito con la baionetta riuscirono a resistere all'attacco, dopo otto ore di combattimento, Garibaldi ordina la ritirata.[135]

Si conteranno 30 morti a cui si aggiungeranno 13 dei feriti mentre Servando ne avrà contati più di 130.[136] I morti verranno raccolti e seppelliti in una fossa comune su cui verrà piantata una bandiera in loro onore, è l'8 febbraio 1846[137] Il nizzardo rimase a Salto per diversi mesi, respingendo ogni attacco. Il 20 maggio attaccò nella notte Gregorio Vergara e nel ritorno prima di guadare un ruscello decise di attaccare i soldati che li inseguivano comandati da Andrés Lamas.[138]

Le gesta oltre oceano di Garibaldi divennero celebri in Italia grazie al patriota Raffaele Lacerenza, che diffuse a proprie spese in tutto il paese seimila copie del Decreto di grazie ed onori concessi dal governo di Montevideo ai legionari italiani.[139]

Giuseppe e Anita  [modifica]
Giuseppe ed Anita si erano conosciuti a Laguna nel 1839, l'aveva inquadrata con il cannocchiale quando si trovava a bordo dell' Itaparica, appena raggiunta le disse in italiano «tu devi essere mia»[140] Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva (questo il nome completo) si era sposata[141] il 30 agosto 1835[142] con il calzolaio[143] Manuel Duarte de Aguiar, molto più anziano di lei, arruolatosi fra gli imperiali era fuggito da Laguna tempo prima, la moglie non lo seguì. Nata nel 1821 a Merinhos[144] aveva 18 anni al momento dell'incontro con Garibaldi.

Sposò il 26 marzo 1842, presso la chiesa di San Francisco d'Assisi con rito religioso, Ana Maria de Jesus Ribeiro, passata alla storia - e quasi alla leggenda - del Risorgimento italiano con il vezzeggiativo di "Anita". È spesso raccontato il fatto che Anita, abile cavallerizza, insegnò a cavalcare al marinaio italiano, fino ad allora del tutto inesperto di equitazione. Giuseppe a sua volta la istruì, per volontà o per necessità, ai rudimenti della vita militare.

Cercò di far allontanare Anita e i figli, verso Nizza da sua madre, ma il giugno 1846 ottenne un parere contrario del ministero degli esteri di Carlo Alberto, Solaro della Margarita.[145] I legionari progettano di tornare in patria, e grazie alla raccolta organizzata fra gli altri da Stefano Antonini, Anita, con i tre figli, e altri familiari dei legionari partirono nel gennaio del 1848 su di una nave diretta a Nizza, dove furono affidati per qualche tempo alle cure della famiglia di lui.

La prima guerra d'indipendenza  [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Prima guerra di indipendenza italiana.

Garibaldi rientrò in Italia nel 1848, poco dopo lo scoppio della prima guerra di indipendenza. Venne noleggiato un brigantino sardo chiamato Bifronte, rinominato Speranza (o Esperanza), come capitano si nominerà lo stesso Garibaldi, la partenza avvenne il 15 aprile 1848, alle 2 del mattino con 63 uomini.[146] Giunsero in vista di Nizza il 23 giugno.[147] Lo avevano anticipato un suo luogotenente, Giacomo Medici,[148] e il suo nome grazie al lavoro di Mazzini[149]

Tornato dunque in Europa per partecipare alla prima guerra di indipendenza contro gli austriaci, il 25 giugno proferisce parole a favore di Carlo Alberto, il 29 giugno si trova a Genova, e per giungere a Roverbella, nei pressi di Mantova, deve chiedere 500 lire ad un amico.[150],


Roverbella (MN), lapide in ricordo dell'incontro con Carlo AlbertoL'incontro con Alberto avvenne il 5 luglio, venne accolto freddamente, pesava l'antica condanna, non potendogli offrire aiuto gli consigliò di recarsi a Torino dal ministro della guerra, questi gli suggerì a sua volta di recarsi a Venezia. Nel 1848 incontro' Mazzini a Milano, ma ne rimase in parte deluso, avendo i due pensieri molto diversi.[151] Partecipò comunque alla guerra come volontario al servizio del governo provvisorio di Milano, con la carica di generale.[152] Formò il battaglione Anzani, del quale pose al comando Giacomo Medici, e partì alla volta di Brescia il 29 luglio, avendo ricevuto l'incarico di liberarla. Il numero dei suoi uomini è di circa 3.700 e si usano le vesti abbandonate dagli austriaci. Non giunse però nella città poiché venne richiamato a Milano. Le sue affermazioni contro Carlo Alberto provocarono una sua dura reazione, costui impartì l'ordine di fermarlo e se si fosse ritenuto necessario anche di arrestarlo,[153], ciò provocò la diserzione di alcuni volontari. Giunse ad Arona, dove chiese contributi[a chi?],[154] poi a Luino dove il 15 agosto 1848 ebbe il primo scontro in Italia contro gli austriaci (comandati dal Colonnello Molynary) e verso Varese, poi navigando sul Lago Maggiore, essendosi impadronito dei battelli, penetrò per poco nel territorio austriaco.[155]. Gli austriaci che si trovò a combattere erano comandati dal generale Costantino d'Aspre, che ebbe l'ordine di ucciderlo, e il maresciallo Radetzky.

Quindi a Morazzone venne sorpreso da un attacco nemico, riuscì a fuggire nella notte rimanendo con circa 30 uomini. Trovò riparo in Svizzera,[156] il 27 agosto valicando il confine travestito da contadino.[157] Il 10 settembre ritornò da sua moglie, che viveva a casa di un amico, Giuseppe Deideri. Il 26 settembre ripartì alla volta di Genova, e il 24 ottobre si imbarcò sulla nave francese Pharamond[158] con Anita, poi rimandata a Nizza. All'inizio erano 72 uomini con Garibaldi a cui si aggiunsero i lancieri di Angelo Masini il 24 novembre e soldati provenienti da Mantova. Si arrivò così ad una formazione di 400 uomini[159] alla quale Garibaldi diede il nome di Legione Italiana.

La Repubblica Romana  [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Questione romana e Assedio di Roma (1849).

Infastidito dai reumatismi di cui soffriva si ritirò a Rieti il 19 febbraio e per breve tempo ebbe la compagnia di Anita. Grazie al suo appello giunsero molti giovani arrivando a 1.264 uomini,[160] giunsero aiuti, vestiti e armi anche se in numero insufficiente, stanziarono poi ad Anagni mentre Francesco Daverio chiedeva l'invio di altre armi. Il 23 aprile il nizzardo venne nominato generale di brigata dal ministro della guerra piemontese Giuseppe Avezzana[161], intanto Carlo Alberto aveva abdicato in favore di Vittorio Emanuele II.

Garibaldi partecipò ai combattimenti in difesa della Repubblica Romana, minacciata dalle truppe francesi e napoletane che difendevano gli interessi del papa Pio IX. Luigi Napoleone fece sbarcare a Civitavecchia un corpo di spedizione francese, guidato dal generale Nicole Oudinot Il 25 aprile,[162] dopo averla occupata ne fece la sua base. Il 27 aprile giunse a Roma passando per Porta Maggiore. Contava per bloccare il nemico di 2.500 uomini e l'appoggio di altri 1.800 guidati dal colonnello Bartolomeo Galletti.


Garibaldi, Andrea Aguyar (a cavallo) e Nino Bixio durante l'assedio di Roma. Disegno del 1854 di William Luson Thomas basato sullo schizzo di George Housman Thomas realizzato nel 1849Scrutando il territorio decide di far occupare Doria-Pamphili e Villa Corsini, il 30 aprile i francesi attaccarono ma imprecisioni tattiche[163] portarono lo scontro al colle Gianicolo, alla fine si ritirano verso Castel di Guido, le perdite sono maggiori per i francesi (500[164] fra morti e feriti contro i 200 dei difensori).[165]. Fra i feriti vi è Garibaldi, colpito al fianco.

Intanto Ferdinando II, re delle Due Sicilie inviò i suoi uomini, guidati dal generale Ferdinando Lanza e dal colonnello Novi che giunsero verso le 12[166] del 9 maggio Palestrina, a respingerli il nizzardo e Luciano Manara, dopo una piccola battaglia di tre ore i borbonici si ritirano, periranno 50 dei loro uomini.

Il 16 maggio nei pressi di Velletri disobbedisce agli ordini di Pietro Roselli[167] nell'occasione Garibaldi venne travolto dai cavalieri, cadde a terra dove fu alla merce di cavalli e nemici, ma venne salvato per intervento del patriota Achille Cantoni[168]: ne seguirono aspre critiche del suo operato.[169]

Fra la notte del 2 e del 3 giugno 1849 Oudinot guida i suoi verso Roma, conquista dopo continui capovolgimenti i punti chiave Villa Corsini e Villa Valentini rimase ai difensori Villa Giacometti. Morirono 1.000 persone fra cui Francesco Daverio, Enrico Dandolo, Goffredo Mameli, ferito morirà in seguito per cancrena, verrà incolpato Garibaldi della sconfitta, i francesi comandavano circa 16.000 uomini Garibaldi circa 6.000[170]

Il 28 giugno 1849 i legionari di Garibaldi tornarono ad indossare le loro tuniche rosse di lana.[171]

La fuga da Roma e la morte di Anita  [modifica]

1849, dopo la caduta della Repubblica Romana Giuseppe Garibaldi e Anita Garibaldi in fuga, trovano rifugio a San Marino Per approfondire, vedi la voce Marcia di Garibaldi dopo la caduta di Roma.

L'assemblea che si era costituita diede i poteri a Garibaldi e Roselli: la sera del 2 luglio 1849, da piazza San Giovanni, con 4.700 uomini,[172] partì deciso a continuare la guerra, non più di posizione ma di movimento.[173] Pochi giorni prima si era aggiunta Anita che, incinta, decise di seguirlo per tutta la durata del viaggio.

Dopo aver rifiutato l'offerta fatta dall'ambasciatore degli Stati Uniti d'America,[174] sulla strada di Tivoli affidò una parte dei soldati a Gaetano Sacchi e un reggimento della cavalleria al colonnello Ignazio Bueno compagno del Sud America, con lui il polacco Emilio Mülller. Fece credere al nemico di dirigersi verso gli Abruzzi mentre andava a nord, divise in piccoli gruppi la cavalleria che mandava in esplorazione facendo pensare che potesse contare su un numero maggiore di soldati.[175] Intanto atti criminali commessi dal suo gruppo lo preoccupavano, giunse, il 5 luglio, a minacciare di morte chiunque commettesse furto e uccise un ladro colto in flagrante.[176]

A Terni l'8 luglio si aggiunsero altri 900 volontari guidati dal colonnello Hugh Forbes e rifornimenti. Fece circolare false voci sul suo itinerario, puntava in realtà su Venezia, la Repubblica di San Marco di Daniele Manin. I soldati diedero i primi segni di cedimento, Mülller li tradì Bueno, il 28,[177] fuggì con parte dei denari raccolti. Il nizzardo non riusciva a sostenere il gruppo[178]

Erano rimasti 1.500 uomini ridotti pochi giorni dopo a qualche centinaio, il 30 luglio si ritrovava a Monte Copiolo, si rifugiò con gli altri il giorno dopo, il 31 luglio, nella Repubblica di San Marino, che concesse loro asilo.[179] Garibaldi con un ordine del giorno sciolse il gruppo. I coniugi erano alloggiati presso Lorenzo Simoncini.[180] Gli austriaci, guidati da d'Aspre, che comandava il corpo di occupazione austriaco in Toscana volevano che Garibaldi fosse imbarcato a forza per gli Stati Uniti, lui rifiutò. Fugge da San Marino di notte con duecento uomini al seguito, alcuni abbandonano come Gustav Hoffstetter.[181]

Continuano gli aiuti trovati per strada: vengono guidati dall'operaio Nicola Zani mentre Anita ha la febbre alta. Giunti a Cesenatico prendono dai pescatori 13 bragozzi (barche da pesca),[182] partono alla volta di Venezia, il 2 agosto. Arsi dalla sete a circa 80 km dall'obiettivo vengono avvistati e attaccati da un brigantino austriaco l'Oreste con rinforzi li insegue catturando l'equipaggio di 8 bragozzi, più di 160 prigionieri che verranno condotti a Pola.

Garibaldi con Anita in braccio guada per circa 400 metri[183] giungendo infine sulla spiaggia, saluta i rimasti fra cui Ugo Bassi e Giovanni Livraghi, fucilati a Bologna e Angelo Brunetti insieme ai due figli, fucilati in seguito anch'essi. Garibaldi era vicino a Magnavacca nelle Valli di Comacchio, con lui Anita morente e Giovanni Battista Culiolo detto Leggero. Aiutati dall'umile Battista Barillari riescono a dissetare la moglie dell'eroe. Il 4 agosto ripartono, in seguito salgono sul biroccino guidato da Battista Manelli, giunti alle mandriole si fermarono alla fattoria Ravaglia, il medico Nannini non fa in tempo a salvarla, muore.

Garibaldi, secondo quanto riporta l'uomo di chiesa Falconieri, avrebbe voluto dare degna sepoltura alla moglie, trasportarla alla vicina Ravenna, non vi era il tempo e fu scavata una buca nel terreno incolto. Giorni dopo, il 10 agosto Pasqua Dal Pozzo, una ragazzina giocando vicino al campo si accorse del cadavere[184] e chiese aiuto, fu un caso molto discusso anche negli anni successivi.[185] In seguito Garibaldi stesso giunse il 20 settembre 1859 con i figli Teresita e Menotti[186] a Ravenna mostrando l'intenzione di spostare i resti di Anita a Nizza, seppelliti poi accanto a quelli di Rosa, madre dell'eroe. Il giornale di Torino La Concordia intanto il 16 agosto scrisse che Anita e Garibaldi avrebbero raggiunto Venezia, ma la donna era morta 12 giorni prima.[187]

Garibaldi e Leggero fuggono, aiutati da Ercole Saldini, il sacerdote Giovanni Verità e l'ingegnere Enrico Sequi a cui lascerà l'anello nuziale di Anita. Il 1 settembre parte sull'imbarcazione di Paolo Azzarini, il 5 settembre Garibaldi si trova a Porto Venere, al sicuro. La Marmora commenterà affermando che era un miracolo il suo salvataggio.[188]

Lo stesso La Marmora, con i poteri di commissario straordinario che godeva all'epoca fece arrestare Garibaldi e lo condusse nel Palazzo ducale.[189] Seguì, sulla decisione da prendere un dibattito, il 10 settembre, dove intervennero fra gli altri Giovanni Lanza, Urbano Rattazzi e Agostino Depretis, venne liberato. Si parlò anche della possibilità dell'immunità parlamentare attraverso una sua candidatura a Recco, ma rifiutò l'idea.[190]

Fece una breve visita ai familiari, i figli maschi furono affidati ad Augusto mentre la bambina continuò a rimanere con i Deideri. Dopo vari spostamenti, partì sul brigantino da guerra Colombo, per Gibilterra, (giungendovi il 9 novembre) e poi il 14 novembre partì su una nave spagnola, La Nerea dirigendosi a Tangeri, accompagnato dagli ufficiali "Leggero" e Luigi Cocelli, accettando l'ospitalità dell'ambasciatore piemontese in Marocco Giovan Battista Carpenetti. Nel mese di giugno partì nuovamente questa volta in compagnia del maggiore Paolo Campeggi Bovi. Il 22 fu a Liverpool Il 27 giugno 1850 partì per New York con il Waterloo, giungendovi in 33 giorni di viaggio. Il 30 luglio, per i dolori causati dai reumatismi, ebbe bisogno di aiuto per scendere a terra, a Staten Island.[191]

Abitò in compagnia di Felice Foresti con Michele Pastacaldi, Teodoro Dwight lo conobbe e ricevette le Memorie dal nizzardo, ma non doveva pubblicarle, dandogli il consenso solo anni dopo nel 1859[192] Abitò con Antonio Meucci, sali sulla Georgia per i Caraibi. Continuò a navigare, assumendo il nome di Anzani e l'antico Giuseppe Pane, arrivando il 5 ottobre a Callao nel Perù, poi a Lima dove dopo tanto tempo fu nuovamente capitano di una nave, un brigantino di nome Carmen[193] Il 10 gennaio 1852 parte alla volta della Cina, e navigò ancora dalle Filippine, costeggò l'Australia, giunse infine a Boston il 6 settembre 1853, commerciò diversi generi.[194] Lavorò nella fabbrica di candele di Antonio Meucci.[195]

Il rientro in Italia e la seconda guerra d'indipendenza  [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Cacciatori delle Alpi e Seconda guerra di indipendenza italiana.

Stampa popolare raffigurante Garibaldi con le divise delle campagne del 1848, 1859 e 1860Ritornato in Europa,[196] l'11 febbraio 1854 a Londra incontrò nuovamente Mazzini, poi viaggiando giunge prima a Genova il 6 maggio, e poi a Nizza. Compra il 29 dicembre 1855 una parte dei terreni di Caprera,[197] (isola dell'arcipelago sardo di La Maddalena) Partendo dalla casa di un pastore costruì, insieme a 30 amici, una fattoria, in seguito l'isola divenne interamente di sua proprietà.[198]

Nell'agosto del 1855 gli venne concessa la patente di capitano di prima classe, navigò con il "Salvatore" un piroscafo ad elica, in seguito prese un cutter inglese chiamato Anglo French, gli diede il nome del suo nuovo amore, Emma. La nave si arenò e Garibaldi terminò l'attività di marinaio per dedicarsi all'agricoltura, lavorando come contadino e allevatore: possedeva un uliveto con circa 100 alberi d'ulivo, si occupava di un vigneto con cui produceva vino e allevava 150 bovini, 400 polli, 200 capre, 50 maiali e più di 60 asini[199].

Il 4 agosto rese pubblico il suo pensiero distanziandosi dalle prese di posizioni Mazziniane.[200] Il 20 dicembre 1858 incontrò Cavour. Divenne vicepresidente della Società Nazionale[201] mentre si pensava di metterlo a capo di truppe: il 17 marzo 1859 vennero istituiti, grazie ad un decreto reale, i Cacciatori delle Alpi, Garibaldi ebbe il grado di maggiore generale. Si contavano circa 3200 uomini e vestivano l'uniforme dell'esercito sardo. Si formarono 3 gruppi, oltre al nizzardo al comando vi erano Enrico Consenz e Giacomo Medici.[202]

Marciò verso Arona, i suoi uomini erano convinti di pernottarvi, Garibaldi comunicò a Torino l'intenzione di giungervi,[203] al che ordinando l'assoluto silenzio[204], raggiunse Castelletto fermò due reggimenti e con il terzo avanzò, il 23 maggio superato Ticino con le barche attaccò Sesto Calende riuscendo ad avere la meglio sugli austriaci e entrando in Lombardia.

Occupata Varese, venne affrontato il 26 maggio dal barone Karl Urban, noto anche come il Garibaldi austriaco[205] inviato da Ferencz Gyulai, nell'occasione il comandante ordinò di sparare soltanto quando il nemico si trovasse alla distanza di 50 passi, lo scontro è noto come battaglia di Varese. Si conteranno fra i cacciatori la perdita di 22 uomini contro 105 austriaci, a cui si aggiungeranno 30 prigionieri.[206] Il giorno seguente dopo aver attaccato frontalmente e vinto gli austriaci nella battaglia di San Fermo, nonostante fosse in netta inferiorità numerica, occupo' la città di Como[207]. Il 29 riparte con i suoi uomini dalla città, volendo conquistare il fortino a Laveno raggiunto il 31 maggio[208]. Questo attacco non ebbe esito favorevole, e nel frattempo, essendo Urban rientrato a Varese, ritornò a Como per presidiare la città, riprendendo poi Varese in seguito alla vittoria dei francesi a Magenta.

Il 15 giugno seguendo l'ordine di Della Rocca che l'invia a Lonato sul lago di Garda si muosse verso est. A Rezzato, nel bresciano, avrebbe dovuto congiungersi con le truppe di Sambuy che non giunsero in quanto l'operazione era stata annullata, ma di ciò non era stato avvertito e continuò ad avvicinarsi al nemico in ritirata. Enrico Cosenz dopo aver fermato un attacco nemico si fermò, il colonnello Stefano Turr continuò l'attacco poi raggiunto dallo stesso Cosenz, Garibaldi notando la situazione sfavorevole inviò Medici a loro sostegno e organizzò le truppe, limitando il danno: 154 fra i cacciatori, contro i 105 degli austriaci.[209] in quella che venne chiamata battaglia di Treponti. Ricevetti quindi l'ordine di spostarsi in un teatro secondario bellico: in Valtellina, per respingere alcune truppe austriache verso il passo dello Stelvio; l'armistizio di Villafranca terminò gli scontri. Durante tutta questa campagna il numero di volontari al suo seguito crebbe da circa 3000 a un numero non ben quantificato: 12.000 secondo Trevelyan, 9500 secondo la Riall che si basa su uno scritto di Garibaldi stesso[207].

Manfredo Fanti ebbe il comando mentre Garibaldi venne retrocesso come comandante in seconda, ricevendo il comando di una delle tre truppe, le altre due saranno agli ordini di Pietro Roselli e Luigi Mezzacapo, dopo litigi diede le dimissioni.

Il viaggio da Quarto al Volturno  [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Spedizione dei Mille.

La stele commemorativa dell'impresa dei Mille sullo scoglio da cui partì la spedizione, a Genova-QuartoRinunciò alla Società Nazionale (aveva ottenuto il comando ad ottobre), diventando poi presidente della Nazionale Armata, una nuova associazione che prestò fallì[210] Intanto Nizza era passata ai francesi, Garibaldi, eletto deputato, tenne un discorso a tal proposito il 12 aprile 1860 senza esiti[211] si dimise il 23 dopo il risultato della votazione.

Il 27 aprile 1860 dall'isola di Malta Nicola Fabrizi inviò un telegramma cifrato, l'unico ad avere il codice per decifrare lo scritto[212] era Francesco Crispi, che tradusse inizialmente in maniera negativa il messaggio, deludendo Garibaldi che stava preparando il suo ritorno a Caprera[213] a nulla valsero i consigli di La Masa , Bixio e Crispi che premevano affinché il nizzardo partisse lo stesso. Crispi ritornò due giorni dopo affermando di aver ricevuto in realtà buone notizie,[214] e la spedizione ebbe inizio.

Nel settembre 1859 fu promotore di una raccolta volta all'acquisto di un milione di fucili, dando il compito a Enrico Besana e Giuseppe Finzi. Riuscirono a comprare dei fucili Enfield e Colt inviò dei suoi revolver. Per la spedizione non vennero utilizzate le armi raccolte, ma quelle messe a disposizione da Giuseppe La Farina[215] che provenivano da quelle utilizzate nella campagna passata, simili a quelli raccolti.[216]

La sera del 5 maggio venne simulato il furto delle due navi Piemonte e il Lombardo: si raccolsero una quarantina di persone al cui comando vi era Bixio che prese possesso delle imbarcazioni[217] Garibaldi salì sul Piemonte capitanata da Salvatore Pastiglia, con lui circa 300 persone. Bertani gli consegnò la somma raccolta, circa 90.000 lire.[218] Sull'altra nave rimane Bixio con 800 uomini circa.

Garibaldi indossò per la prima volta le camicia rossa e non la solita veste di Montevideo, lo faranno in 150, tante erano le divise messe a disposizione.[219] Si contavano 250 avvocati, 100 medici, 50 ingegneri,[219] e fra i 1000 vi era una donna, Rosalia Montmasson, moglie di Crispi. Partirono da Quarto, presso Genova.

Cavour Il 7 maggio ordinò con un dispaccio di fermare le due navi solo se avessero ormeggiato in un porto della Sardegna, gli ordini giunsero all'ammiraglio Carlo Pellion di Persano il 9 maggio e chiedendone chiarimenti e riassicurazioni le ottenne il giorno 10.[220]

Il 7 maggio si trovano a Talamone. Inviò Stefano Türr ad Orbetello per rifornirsi di armi, mentre alcuni decisero di abbandonare la spedizione mentre venne affidata una missione a Callimaco Zambianchi con 64 uomini. I soldati vennero divisi in 8 compagnie che confluirono in due battaglioni ai comandi di Giacinto Carini e Bixio.[221] Ripartiti, durante il viaggio evitarono per poco una collisione fra le due navi[222] Garibaldi voleva raggiungere Sciacca o Porto Palo,[223] solo verso la fine del viaggio cambiò obiettivo dirigendosi su Marsala, ottenendo informazioni da un peschereccio. 6 navi da guerra borboniche si trovavano nelle acque vicine ma nessuna proteggeva il porto di Marsala. Avvenuto lo sbarco giunse una pirocorvetta, la Stromboli comandata da Guglielmo Acton dotata di pochi cannoni, non attaccò inizialmente in quanto vi erano nelle vicinanze dei stabilimenti inglesi e due loro navi, la Intrepid[224] e la Argus al cui comando vi era Winnington-Ingram già conosciuto da Garibaldi ai tempi di Montevideo. Alla prima imbarcazione si aggiunse un'altra. la Partenope con 60 cannoni[225], il bombardamento iniziò in ritardo permettendo lo sbarco dei rivoltosi.

L'arrivo in Sicilia delle truppe di Garibaldi era stato previsto dallo stesso Federico II che aveva avvertito il principe di Castelcicala, il rappresentate del re nella Sicilia, intorno a Marsala.[226] Giunti nell'isola Garibaldi si proclamò dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, da lui appellato re d'Italia[227] Dopo lo sbarco sull'isola, il 12 maggio 1860 lasciarono la città. A Salemi issò personalmente sulla cima di una delle tre torri del castello Arabo-Normanno la bandiera tricolore proclamando Salemi la prima capitale d'Italia, titolo che mantenne per un giorno.

Si uniranno a lui il barone Stefano Triolo di Santanna con circa sessanta persone e i picciotti, Garibaldi li chiamerà i Cacciatori dell'Etna[228] Venne avvertito il generale Francesco Landi che poté contare sull'aiuto del maggiore Michele Sforza e sul VIII battaglione Cacciatori, furono inviati in ricognizione e incontrato gli invasori ingaggia combattimento.[229] A Calatafimi[230] vede la ritirata delle truppe borboniche, terminando con perdite pari, fra quelle del camoglino Simone Schiaffino,[231]

Finse di recarsi a Corleone mentre puntava Palermo, ingannando in tal modo il colonnello svizzero Giovan Luca Von Mechel,[232] egli aveva attaccato le truppe di Rosolino Pilo, che perì nello scontro, sconfiggendole. Intanto giunse il generale Alessandro Nunziante in aiuto del nuovo commissario straordinario Lanza.


La casa della famiglia Fasanelli, che ospitò Garibaldi a RotondaIl 26 Garibaldi con i suoi uomini, ora circa 750, giunse vicino a Palermo e ricevette i rinforzi di Giuseppe La Masa, la sera stessa attaccò la città entrando da Porta Termini, raggiungendo alle sei del mattino del 27 maggio piazza della Fieravecchia. Si combatté per diversi giorni, e in aiuto venne l'insurrezione popolare, poi iniziano gli incontri fra Garibaldi e il generale Giuseppe Letizia[233] che rappresentava Landi, dopo vari armistizi il 6 giugno 1860 Landi si arrese lasciando la città ai rivoltosi. Nei giorni trascorsi vari episodi di violenza nella città da parte dei fedeli al nizzardo portano Garibaldi a decretare la pena di morte per determinati reati.[234]

Il 4 giugno chiamò esercito meridionale i suoi uomini, il 13 sciolse i gruppi dei picciotti. Era rimasto senza adeguate risorse ma giunsero i vari rinforzi a partire da Carmelo Agnetta giunto il 1 giugno con i suoi 89 uomini, Salvatore Castiglia, Enrico Cosenz e Clemente Corte.[235] Le donne palermitane tessano la nuova bandiera dell'esercito: un drappo nero ornato di rosso con l'effige di un vulcano al centro.[236]

Giunge il generale Tommaso Clary e invia il colonnello Ferdinando Beneventano del Bosco, vice in passato di Von Mechel, a Milazzo, il 20 luglio ci fu lo scontro. Inizialmente Garibaldi dava ordini dal tetto di una casa, poi scese nella mischia e infine salì sull'unica loro nave a disposizione, la Tükory[237] e cannoneggiando la città ottenne il ritiro delle truppe nemiche. La vittoria costò ai soldati di Garibaldi 800 fra morti e feriti.[238]


Garibaldi fotografato a Palermo, nel luglio 1860Il 27 luglio Garibaldi giunse a Messina. Lo stesso giorno ricevette una lettera dal conte Giulio Litta-Modignani il mittente era Vittorio Emanuele, nella missiva si leggeva una richiesta a desistere nell'impresa di sbarcare sul territorio napoletano,[239] a questa prima seguì una seconda, letta a voce o consegnata[240] un suggerimento di non seguire l'ordine impartitogli.[241] in ogni caso Garibaldi rispose, sempre il 27 luglio, negativamente alla richiesta espressa.[242]

Il 1 agosto anche Siracusa e Augusta vennero liberate.[243] Tempo prima aveva formato un governo con 6 dicasteri che divennero 8 il 7 giugno, abolì la tassa sul macinato, pretese che parte del demanio dei comuni venisse diviso fra i combattenti, istituì un istituto militare dove venivano raccolti i ragazzi abbandonati e diede un sussidio alle famiglie in povertà della città di Palermo, cercando nel frattempo l'appoggio dei ceti dominanti. Chiese l'invio di Agostino De Pretis a cui venne affidato l'amministrazione civile, intanto Cavour si preoccupava per le intenzioni del nizzardo.[244]

I contadini di Bronte insorsero contro i possidenti, uccidendone una quindicina nell'attacco, il console inglese a Catania si interessò della questione,[245] Venne inviato allora il colonnello Giuseppe Poulet che risolse il tutto pacificamente[246] Il console non gradì il gesto[247], e venne inviato Bixio in quella che definirà in una lettera alla moglie come «missione maledetta»[248] portando l'arresto di 300 persone, una multa imposta alle famiglie, anche le più abbienti e la fucilazione di 5 persone, il 10 agosto.[249]


Ingresso di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860 (Napoli, Museo civico di Castel Nuovo)
Manifesto in dialetto napoletano celebrante l'anniversario dell'ingresso di Garibaldi a NapoliGaribaldi provò i primi attacchi alla penisola senza successo: l'8 agosto Benedetto Musolino traverso lo Stretto a capo di una spedizione di 250 uomini[250] ma l'assalto al forte di Altafiumara venne respinto e i garibaldini costretti a rifugiarsi sull'Aspromonte, mentre la Tükoy fallì l'arrembaggio al Monarca che si trovava ancorato al porto di Castellammare di Stabia il 13 agosto 1860.

A bordo dei due piroscafi, giunti dalla Sardegna, il Torino e il Franklin Garibaldi e i suoi uomini sbarcarono a Mèlito Porto Salvo, vicino Reggio (Calabria), il 19 agosto 1860.[251]

Aggirarono e sconfissero i borbonici, comandati dal generale Carlo Gallotti, nella battaglia di Piazza Duomo a Reggio Calabria il 21 agosto.[252] i due generali borbonici Fileno Briganti e Nicola Melendez forti di quasi 4.000 uomini, senza l'appoggio di Giuseppe de Ballesteros Ruiz si arresero a Garibaldi il 23 agosto 1860.[253] Briganti venne ucciso dai suoi stessi soldati[254] il 30 agosto ebbero la meglio sul generale Giuseppe Ghio.[255] Il 2 settembre i Mille arrivarono in Basilicata a Rotonda (la prima provincia continentale del regno ad insorgere contro i Borboni),[256] e cominciò una rapida marcia verso nord, che si concluse, il 7 settembre, con l'ingresso in Napoli.[257]

La capitale era stata abbandonata dal re Francesco II il 5 settembre mentre quasi tutta la sua flotta si era arresa.[258] Garibaldi aveva scelto Caserta per dispiegare le sue forze, intanto in una sua breve assenza il 19 settembre 1860 Turr inviò trecento uomini a Caiazzo, il dittatore tornando decise di rinforzare il presidio con altri 600 uomini,[259] contro i 7.000 soldati borbonici che attaccarono il 21 settembre non saranno sufficienti: le perdite ammonteranno fra morti, feriti e prigionieri a circa 250. Il generale Giosuè Ritucci prese il comando delle truppe borboniche. Utilizzerà circa 28.000 soldati nell'attacco sferrato il 1º ottobre[260] Il nizzardo nella battaglia utilizzò strategicamente la ferrovia, viaggiava in carrozza e quando il veicolo venne attaccato lui continuò a piedi per dare ordini alle truppe. Luca Von Mechel, ora generale, che doveva appoggiare con le sue truppe quelle di Ritucci, venne fermato da Bixio, e si ritirarono, mentre le truppe di Giuseppe Ruiz fermarono la loro avanzata. Garibaldi decise di richiamare circa 3.000 soldati stanziati a Caserta[261] divise gli uomini inviandone una metà a Sant'Angelo attaccando i borbonici alle spalle comandati da Carlo Afan de Rivera, respingendo l'assalto. La battaglia del Volturno[262] vide perdite maggiori fra le file dei garibaldini: quasi 1.900 contro i 1.300,[263] ma il giorno dopo vennero catturati poco più di 2.000 soldati borbonici, disorientati, non avendo ricevuto nuove istruzioni.

Dopo le votazioni per il plebiscito che si tennero il 21 ottobre,[264] Garibaldi approfittò della vittoria di Enrico Cialdini sul generale borbonico Scotti Douglas per superare il Volturno il 25 ottobre, incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, nella strada che portava a Teano,[265] e gli consegnò la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. Garibaldi accompagnò poi il re a Napoli il 7 novembre e, il 9 novembre si ritirò nell'isola di Caprera, partendo con sul piroscafo americano Washington, dopo aver ringraziato l'ammiraglio George Mundy.[266]

Desideroso di presentare il progetto di istituzione di una guardia nazionale mobile, dove sarebbero confluiti i volontari dai 18 ai 35 anni, si recò nella capitale. Il 18 aprile 1861 giunse alla camera, nel suo discorso,[267] affermò che il brigantaggio nel mezzogiorno era dovuto in parte allo scioglimento dell'esercito meridionale, avvenuto poco tempo prima, e ne chiedeva la ricostituzione, ritornò quindi a Caprera.

La guerra di secessione americana  [modifica]
Nella primavera del 1861 il colonnello Candido Augusto Vecchi scrisse al giornalista americano Henry Theodore Tuckerman[268] ipotizzando una partecipazione del generale alla guerra civile americana. Il 2 maggio era apparsa una lettera scritta dal nizzardo sulla questione sul New York Daily Tribune. Il console statunitense ad Anversa, James W. Quiggle[269], l'8 giugno scrisse a Garibaldi, offrendogli un posto di comando nell'esercito nordista. L'ambasciatore statunitense Henry Shelton Sanford volle accertarsi delle vere intenzioni del generale, che intanto aveva scritto su tale questione a Vittorio Emanuele.

Le richieste avanzate dal nizzardo riguardavano un impegno deciso per l'emancipazione degli schiavi e l'essere nominato comandante in capo di tutto l'esercito:[270] con queste premesse, la trattativa si arenò. Nell'autunno del 1862 Canisius, console americano a Vienna, riprese i contatti; tuttavia Garibaldi, ferito e reduce dall'Aspromonte, si trovava detenuto a Varignano e in caso di accettazione si sarebbe prospettato un delicato caso diplomatico.

Seguirono passi da parte di William H Seward, segretario di stato di Abraham Lincoln, per far decadere senza esito la proposta[271].

La mancata liberazione di Roma  [modifica]

Garibaldi a Roma. Schizzo realizzato da George Housman Thomas durante l'assedio di Roma
Monumento di Roma, piazzale del Gianicolo, dettaglio Per approfondire, vedi le voci Giornata dell'Aspromonte e Battaglia di Mentana.

Per l'intera esistenza Garibaldi colse ogni occasione per liberare Roma dal potere temporale, grazie al successo passato, nel 1862, organizzò una nuova spedizione, senza pensare che Napoleone III, l'unico alleato del neonato Regno d'Italia, proteggeva Roma stessa. Il 27 giugno 1862 Garibaldi si era imbarcato sul Tortoli a Caprera per la Sicilia. Durante un incontro commemorativo della spedizione dei mille si convinse a marciare verso Roma,[272] trovò 3.000 uomini nei pressi di Palermo pronti a seguirlo. Il 19 agosto incontrò la popolazione di Catania a Misterbianco.

Prese due navi, il Dispaccio e Generale Abbatucci, partendo di sera costeggiando gli scogli eluse le navi di Giovanni Battista Albini. Il 25 agosto 1862, alle 4 del mattino sbarcava in Calabria, fra Melito e capo dell'Armi[273] con duemila uomini continuò la marcia, non seguendo la costa per via del fuoco di una nave, si inoltrarono quindi per il massiccio dell'Aspromonte. La sera del 28 agosto si contarono 1.500 uomini, il 29 incontrarono le truppe di Emilio Pallavicino a cui il governo di Torino affidò circa 3.500 uomini.

I bersaglieri aprirono il fuoco, Garibaldi ordinò di non rispondere ma alcuni dei suoi uomini gli disubbidirono, il nizzardo per far cessare il fuoco si alzò e venne ferito due volte:[274] nella coscia sinistra e al collo del piede destro,[275], nel malleolo.[276] L'episodio della sua ferita sarà ricordato in una celebre ballata popolare su un ritmo di una marcia dei bersaglieri.[277]

Dopo circa quindici minuti, quando Garibaldi cadde, il combattimento cessò: si contarono 7 morti e 14-24 feriti nell'esercito regio e 5 morti e 20 feriti fra i seguaci di Garibaldi[278]


Garibaldi ferito nell'AspromonteLa cosiddetta giornata dell'Aspromonte fruttò al generale l'arresto. Venne imbarcato sulla pirofregata Duca di Genova, raggiungendo prima Scilla e poi Il 2 settembre giunse a La Spezia venendo rinchiuso nel carcere del Varignano.[279]

Vittorio Emanuele concesse un'amnistia contro i rivoltosi il 5 ottobre, il 22 venne trasportato all'hotel Milan e venne visitato da Auguste Nélaton,[280] il 23 novembre il chirurgo fiorentino Ferdinando Zanetti[281] lo operò per estrarre la palla di fucile. Venne trasportato sulla nave Sardegna per Caprera. In seguito partì per l'Inghilterra[282]

Che il tentativo del 1862 fosse velleitario, lo provarono i successivi eventi del 1867. Garibaldi promuove una raccolta che chiama «Obolo della Libertà» contrapponendolo all'«Obolo di San Pietro» si interessa al centro insurrezionale romano, formando un Centro dell'emigrazione con sede a Firenze.[283] Partecipò al Congresso internazionale della pace, il 9 settembre 1867 a Ginevra, dove venne eletto presidente onorario.[284]

Preparò un attacco contando sulla rivolta interna della città, dopo una serie di rimandi, senza l'appoggio dello stato, il 23 settembre partì da Firenze, il giorno dopo il 24 settembre 1867 venne arrestato a Sinalunga e portato nella fortezza di Alessandria. 25 deputati protestarono per l'accaduto essendo il nizzardo stato eletto nel mezzogiorno veniva ad infrangersi l'immunità parlamentare[285] e i soldati che dovevano sorvegliarlo ascoltavano i suoi proclami dalla finestra della prigione.[286] Venne poi portato il 27 settembre prima a Genova e poi a Caprera, isola in quarantena per colera,[287] dove era prigioniero, sorvegliato a vista.

Organizzò una fuga utilizzando Luigi Gusmaroli come suo sosia. Mentre l'uomo sostituì Garibaldi, il nizzardo lasciò l'isola il 14 ottobre stendendosi su un vecchio beccaccino comprato anni prima e nascosto. Giunse all'isolotto di Giardinelli, dopo aver guadato arrivò a La Maddalena alloggiando dalla signora Collins. Con Pietro Susini e Giuseppe Cuneo giunsero in Sardegna, dopo essersi riposati ripartirono il 16 ottobre e dopo aver viaggiato a cavallo per 15 ore, il 17 si imbarca raggiungendo in seguito Firenze il 20.[288] Partito da Terni raggiungendo Passo Corese il 23, contava fra i suoi uomini circa 8.000 volontari.[289], in quella che venne riconosciuta come "Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma". Dopo un primo attacco a Monterotondo il 25 ottobre prese il 26 ottobre 1867 la piazzaforte pontificia bruciando la porta utilizzando un carro infuocato penetrandovi con i suoi uomini.

Giunse il 29 a Castel Giubileo e dopo a Casal de Pazzi, il 30 sino all'alba del 31 rimase in vista di Roma ma non ci fu la rivolta che attendeva e ritirò le sue truppe.[290] Garibaldi non sapeva del proclama del re che aveva sedato gli animi rivoltosi,[291] malgrado il sacrificio dei fratelli Cairoli (Villa Glori) e il sacrificio a Roma della Tavani Arquati e di Monti e Tognetti decapitati nel 1868.

Decise di recarsi a Tivoli, la partenza era prevista il 3 novembre alle 3 di notte ma venne posticipata alle 11, erano circa in 4.700[292] giunti a Mentana incontrano i 3.500 pontifici guidati da Hermann Kanzler,[292] riuscirono a farli retrocedere sopraggiunsero quindi i 3.000 francesi guidati da Charles De Failly[292] dotati del fucile Chassepot a retrocarica in quella che verrà chiamata la battaglia di Mentana. Di fronte al fuoco Garibaldi continuò l'attacco[293] ma ad una successiva carica annunciata venne fermato da Canzio,[294] decise quindi il ritiro delle truppe. Partì con un treno da Orte alla volta di Livorno, ma presso la stazione di Figline Valdarno venne nuovamente arrestato e rinchiuso a Varignano il 5 novembre, vi restò sino al 25 novembre, tornò a Caprera. Come deputato si dimise nell'agosto del 1868.[295]

La terza guerra d'indipendenza  [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Terza guerra di indipendenza italiana, Invasione del Trentino (Garibaldi - 1866), 2º Reggimento Volontari Italiani, Corpo Volontari Italiani e Battaglia di Mentana.

Il telegramma di GaribaldiIl 6 maggio 1866 si formarono dei Corpi Volontari, Garibaldi doveva assumerne il comando, ma invece di 15.000 persone previste si presentarono in 30.000 persone. Sul Piemonte il 10 giugno Garibaldi partì raggiungendo i suoi uomini. Alla fine si contarono 38.000 uomini e 200 cavalieri, ma di questi utilizzerà inizialmente solo 10.000.[296] contro di lui il generale Kuhn von Kuhnenfeld con 17.000 uomini.[297]

Doveva agire in una zona di operazioni secondaria, le prealpi tra Brescia ed il Trentino, ad ovest del Lago di Garda, con l'importante obiettivo strategico di tagliare la via fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona. Ciò avrebbe lasciato agli Austriaci la sola via di Tarvisio per approvvigionare le proprie forze e fortezze fra Mantova ed Udine. L'azione strategica principale era, invece, affidata ai due grandi eserciti di pianura, affidati a La Marmora ed a Cialdini.

Garibaldi operò inizialmente a copertura di Brescia, dopo piccole vittorie del 24 giugno e quella del Ponte Caffaro il 25 giugno 1866. Il 3 luglio non riuscì a penetrare a Monte Suello[298] dove venne ferito, lasciando il comando a Clemente Corte[299]

Il 16 luglio respinse una manovra del generale nemico a Condino[300] il 21 luglio gli austriaci presero Bezzecca Garibaldi notando i suoi uomini ritirarsi diede nuove disposizioni riuscendo a respingere l'avanzata e a far ritirare il nemico. Si apriva la strada verso Riva del Garda e quindi l'imminente occupazione della città di Trento. Salvo essere fermato dalla firma dell'armistizio di Cormons. Il 3 agosto ricevette con telegramma di abbandonare il territorio occupato[301] rispose telegraficamente: «Ho ricevuto il dispaccio n° 1073. Obbedisco»[302] "Obbedisco", parola che successivamente divenne motto del Risorgimento italiano e simbolo della disciplina e dedizione di Garibaldi.

Il telegramma fu inviato dal garibaldino marignanese Respicio Olmeda in Bilancioni il 9 agosto 1866 da Bezzecca, evento ricordato su una lapide collocata sulla facciata della sua casa natale a San Giovanni in Marignano (RN).


Lapide commemorativa del telegramma inviato da GaribaldiIl corpo dei volontari venne sciolto il 1º settembre, in seguito ci fu l'episodio di Verona.[303]

Le campagne in Francia  [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Battaglia di Digione.

Durante la guerra franco-prussiana del 1870-1871, Garibaldi offrì i suoi servigi alla neonata terza repubblica francese[304]. Joseph-Philippe Bordone, con il battello Ville de Paris, raggiunse la Corsica e, per ingannare la sorveglianza della marina italiana, continuò il viaggio su una piccola barca. Indi prese a bordo Garibaldi, che sbarcò a Marsiglia il 7 ottobre 1870[305], recandosi poi nella capitale provvisoria francese, Tours. I primi ordini di Léon Gambetta furono quelli di occuparsi di qualche centinaio di volontari; il nizzardo rifiutò di eseguire l'ordine[306], ottenendo il comando delle truppe della cosiddetta «Armata del Vosgi»[307], gli uomini furono inizialmente 4.500.[308] Stabilì dunque il quartier generale a D´le e poi l'11 novembre a Autun.[309]

Nello stesso mese predispose una spedizione vittoriosa, compiuta da Ricciotti[310]. Digione intanto era caduta in mani tedesche, comandate da Augusto Werder, e poi era stata abbandonata per l'avanzata delle truppe francesi. Sentenziò la pena di morte al colonnello Chenet perché abbandonò la sua postazione durante il combattimento, ma graziato dagli stessi francesi, la condanna non venne eseguita.[311]

Garibaldi occupò la città e la difese dall'attacco del 21 gennaio. Dopo tre giorni di combattimenti i tedeschi si ritirarono e in quei giorni fu presa l'unica bandiera dei tedeschi persa nella guerra[312] Fra i 4.000-6.000 uomini prussiani le perdite furono circa 700.[313]

Il 29 gennaio venne stipulato un armistizio di alcune settimane, che non tenne conto della zona del sud-est e quindi dei soldati dell'Armata del Vosgi. Il 31 gennaio le truppe di Garibaldi vennero attaccate, il generale sottraendosi allo scontro diresse i suoi uomini in una zona compresa nell'armistizio. Quando terminò la guerra la sua armata fu l'unica che rimase sostanzialmente intatta, con minime perdite.[314]

Victor Hugo affermò che soltanto Garibaldi era intervenuto in difesa della Francia, al contrario di nazioni o re,[315] affermazione che suscitò aspre polemiche.[316]

La società protettrice degli animali  [modifica]
Il cane di Garibaldi
Durante la battaglia di San Antonio dell'8 febbraio 1846, sbucò dalle linee argentine, per raggiungere quelle della Legione Italiana, un cane chiamato poi Guerrillo (a volte citato nei testi come Guerillo o Guerello), finendo con una zampa spezzata da un colpo di fucile. Garibaldi lo soccorse e lo adottò, portandolo con sé anche nel viaggio di rientro in Italia del 1848. Divenne celebre nelle cronache dei tempi come il cane a tre zampe che seguiva Garibaldi e il suo attendente Andrea Aguyar, tenendosi costantemente all'ombra sotto l'uno o l'altro cavallo. Non è dato sapere come e quando sia morto. Scomparve dalle cronache dopo l'Assedio di Roma del 1849 e si ipotizza che sia perito in tale circostanza.[317]

Garibaldi fu anche un difensore dei diritti degli animali. A seguito dell'acquisto da parte sua di metà dell'isola di Caprera, avvenuto nel 1856 e finalizzato a fare del luogo la propria residenza,[318] Garibaldi - come scrive lo storico Denis Mack Smith - «più tardi si fece sempre più vegetariano; lo stretto contatto con la solitaria natura gli diede l'eccentrica credenza che gli animali e perfino le piante avessero un'anima cui non si doveva nuocere. Divenuto mezzo vegetariano, rinunciò quasi interamente anche a bere; ma ritenne il consueto gusto per i sigari»[319].

Nel 1871 fu promossa da Garibaldi la prima società in Italia per la protezione degli animali: la Regia società torinese protettrice degli animali[320] (oggi ENPA), contro i maltrattamenti che gli animali subivano sia in campagna sia in città, specie da parte dei guardiani e dei conducenti.[321]

Affermava Garibaldi: «Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati da fatica o malattia, questa è la più bella virtù del forte verso il debole»[322].

Gli ultimi anni  [modifica]
Garibaldi coniò il detto l' «Internazionale è il sole dell'avvenire»,[323] per quanto riguardava l'Internazionale, prendendo posizione in favore della Comune di Parigi, fu eletto deputato alla nuova Assemblea Nazionale francese in diversi dipartimenti metropolitani: Savoia, Parigi, Basso Reno, Digione e Nizza[324] accettò per poi dare le dimissioni.[325]

Per le continue inondazioni del Tevere Garibaldi propose un piano ideato da Alfredo Baccarini, ma venne scartato per l'elevato bisogno finanziario.[326]

Nel giugno del 1872 Benedetto Cairoli propose una legge sul suffragio universale, Garibaldi il 1 agosto pubblicò un «Appello alla Democrazia».[327] Intanto le sue condizioni peggiorarono, dal 1873 ebbe bisogno delle stampelle, nel 1880 verrà portato in carrozzina. Nella primavera del 1879 organizzò il congresso, convocando 92 personalità rappresentative della democrazia, di esse intervennero in 62 il 21 aprile 1879 in cui chiedeva l'abolizione del giuramento e esprimeva il suo appoggio al suffragio universale[328]

Portò con sua comunicazione il 26 aprile la formazione della Lega della Democrazia, dai 44 membri di cui si effettuerà una commissione esecutiva di 16 membri , un giornale venne alla luce: La lega della Democrazia. Il loro movimento avrà successo portando all'elezione di ottobre del 1882 da 620.000 elettori a circa 2.000.000.[329]


La famiglia Garibaldi nel 1878.Intanto aveva scritto alcuni romanzi: nel 1870 Clelia, ambientato nel 1849 a Mentana, e Cantoni il volontario. Nel 1874 I Mille che racconta di una donna, Marzia che travestita da uomo si univa ai volontari. Rivisitò le Memorie nel 1871-1872 giungendo nella rievocazione alla campagna dei Vosgi, nel testo rispetto a quello precedente inasprì i toni contro Mazzini e la chiesa.[330] ed in seguito Manlio che narra delle avventure in Sud America e del suo ritorno in Italia. I proventi dei libri diminuirono nel corso del tempo[331], nella sua vita non si limitò a questi scritti[332]

Il 2 dicembre 1874 Pasquale Stanislao Mancini propose al parlamento una rendita vitalizia al condottiero il 19 dicembre viene approvata alla camera (si contarono 307 si e 25 no), il senato l'approvò il 21 maggio 1875, la pensione era di 50.000 lire annue a cui si aggiungeva una rendita annua. Garibaldi inizialmente rifiutò per accettarla l'anno successivo[333]

Il 26 gennaio 1880 sposò la piemontese Francesca Armosino, sua compagna da 14 anni e dalla quale ebbe tre figli. Nel 1882 il suo ultimo viaggio in occasione del sesto centenario dei Vespri: per tale ricorrenza partì il 18 gennaio, prima giunse a Napoli che lascerà il 24 marzo raggiungendo Palermo il 28 marzo, durante il tragitto nella città regnò il silenzio in segno di rispetto.[334] Ritornerà a Caprera il 17 aprile. Poco dopo il ritorno la bronchite peggiorò, soffrì di una paralisi alla faringe e per tre giorni venne alimentato artificialmente. Venne assistito dal medico di una nave da guerra ancorata nell'isola vicina della Maddalena (La Cariddi) Alessandro Cappelletti, muore il 2 giugno 1882 alle 18.22[335] per una paralisi della faringe che gli impedì di respirare. Nel testamento, una copia del quale è esposta nella casa-museo sull'isola di Caprera, Garibaldi chiedeva espressamente la cremazione delle proprie spoglie,[336] desiderio disatteso. La salma giace a Caprera in un sepolcro chiuso da una massiccia pietra grezza di granito.

Garibaldi, massone ed anticlericale convinto, inserì nel proprio testamento anche alcuni passaggi tesi a sventare eventuali tentativi di conversione alla religione cattolica negli ultimi attimi della vita:

« Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada[337] »
 

Cronologia  [modifica]

Torino, 18 aprile 1861, prima seduta del neocostituito Parlamento Nazionale. Garibaldi pronuncia un discorso contro il governo di Cavour1807 Nasce a Nizza.
1821 È iscritto nei registri dei marinai.
1824 Primo viaggio in mare verso il Mediterraneo Orientale.
1833 A Taganrog entra in contatto con i mazziniani.
1834 Partecipa ai moti di Genova.
1835 Parte esule da Marsiglia verso il Sud America.
1839 Combatte con il Rio Grande do Sul contro il Brasile centralista.
1839 Incontra Anita, che sposerà nel 1842.
1841 Combatte con l'Uruguay contro l'Argentina rosista.
1849 Combatte per la difesa della Repubblica Romana.
1852 Si reca da Lima a Canton per acquistare guano.
1859 Partecipa alla Seconda guerra d'Indipendenza come generale dell'esercito piemontese, al comando dei Cacciatori delle Alpi.
1860 Impresa dei Mille.
1862 Nell'intento di liberare Roma, parte dalla Sicilia con 2.000 volontari, ma è fermato sull'Aspromonte.

Targa commemorativa del viaggio in Inghilterra1864 Si reca a Londra, dove è accolto trionfalmente ed incontra Henry John Temple (Terzo Visconte Palmerston) e Mazzini.
1866
Partecipa alla Terza guerra d'Indipendenza. Comanda un corpo di volontari che combatte in Trentino. Sconfigge gli austriaci a Bezzecca.
Viene eletto alle elezioni politiche nel collegio di Lendinara-Occhiobello, anche se poi optò per il suo vecchio collegio di Ozieri, e al suo posto venne eletto Giovanni Acerbi.
1867
A settembre partecipa a Ginevra al Congresso per la pace.
A ottobre si mette a capo dei volontari che hanno invaso il Lazio, ma viene fermato il 3 novembre a Mentana.
1870-71 Partecipa alla guerra franco-prussiana a fianco dei francesi.
1874 viene eletto deputato del Regno.
1879 fonda a Roma la Lega della Democrazia.
1882 Muore a Caprera il 2 giugno.

Catania Garibaldi e l'unificazione italiana  [modifica]
La figura di Garibaldi è assolutamente centrale nel quadro del Risorgimento Italiano, ed è stato oggetto di infinite analisi storiografiche, politiche e critiche.

La popolarità di Garibaldi, la sua capacità di sollevare le folle e le sue vittorie militari diedero un contributo determinante all'unificazione dello stato italiano, premiandolo con una popolarità enorme tra i contemporanei - solo a titolo di esempio si possono citare le trionfali elezioni (nel 1860, poi nel 1861 al Parlamento subalpino e poi italiano) ovvero il trionfo che gli venne tributato a Londra nel 1864 - e presso i posteri[338].

Numerose furono, anche, le sconfitte. Fra le quali particolarmente brucianti furono quelle dell'Aspromonte e Mentana in quanto lo opposero ad una parte rilevante dell'opinione pubblica italiana, che, in tutti gli altri episodi della sua vita, lo aveva grandemente amato.

« (Catania) A Giuseppe Garibaldi che la notte del 18 agosto 1862 pronunziava da questa casa le storiche parole « o Roma o Morte » il popolo catanese dedicava questa lapide il 2 giugno 1883 primo anniversario della morte dell'Eroe, a gloriosa memoria del fatto, ad abborrimento perpetuo di tirannide. Epigrafe di Mario Rapisardi'' »
 

Garibaldi e Cavour  [modifica]

Garibaldi e Cavour intenti a costruire lo stivale (l'Italia) in una vignetta satirica del 1861Garibaldi non ebbe mai rapporti sereni con Cavour. Da un lato, semplicemente non aveva fiducia nel pragmatismo e nella realpolitik di Cavour, ma provava anche risentimento personale per aver ceduto la sua città natale di Nizza alla Francia, nel 1860. Garibaldi confidò al suo medico curante Enrico Albanese:

« La patria non si baratta, né si vende per Dio! Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il risorgimento italiano, vi troveranno cose da cloaca. Povera Nizza! Io feci male a non parlare chiaramente, a non protestare con energia, a non dire là in Parlamento, a Cavour, che era una canaglia, e a quei che ne volevano votare la rinunzia che erano tanto vili.[339] »
 

D'altro canto si sentiva attratto dal monarca piemontese, certo, scrivendo all'ambasciatore sardo in Francia, Cavour prometteva all'imperatore che avrebbe fermato Garibaldi. Ma, in realtà, non ostacolò seriamente la partenza da Quarto della spedizione dei Mille. Permise a diversi ufficiali dell'Esercito sabaudo di raggiungere Garibaldi in Sicilia. Infine, inviò le truppe che permisero la definitiva sconfitta di Francesco II.

Curiosità  [modifica]
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La carriera di Garibaldi nella massoneria culminò con la suprema carica di Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, col 33º grado del Rito scozzese, ricevuto a Torino nel 1862, e con la suprema carica di Gran Hyerophante del Rito di Memphis e Misraim nel 1881. Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi scozzesi dal 4º al 33º e a condurre il rito fu un altro massone - Francesco Crispi - accompagnato da altri cinque[340]
A Garibaldi è stata conferita la cittadinanza onoraria di San Marino il 24 aprile del 1861. Precedentemente, il 30 luglio del 1849, Giuseppe Garibaldi, braccato dalle truppe austriache, trovò scampo per sé e i suoi armati nella Repubblica del Titano.
In italiano, la parola garibaldino, nata come sostantivo per indicare chi combatteva con il generale, è utilizzata anche come aggettivo, con il significato di audace ed eroico oppure riferito a imprese organizzate senza un'approfondita preparazione e senza grandi infrastrutture a supporto.
L'appellativo di "duce", era stato dato dai garibaldini al loro comandante, Garibaldi. La parola deriva da dux condottiero o guida, della storia romana (dal verbo ducere, condurre).
Affezionatissimo a un suo cavallo dal mantello bianco, la Marsala, fece una lapide per la sua morte. La sua testa impagliata è conservata nella casa del generale a Caprera.
La fabbrica di candele dove egli lavorò con Meucci è ancora esistente. Dal 1980 l'immobile ospita il Garibaldi-Meucci Museum ed è stato dichiarato monumento dello Stato di New York e monumento nazionale degli Stati Uniti.
Presso il Museo centrale del Risorgimento al Vittoriano a Roma, sono conservati i pantaloni di Garibaldi, veri e propri jeans per stoffa e modello, tra i primi esempio in assoluto nella storia di questo indumento.
Influenza culturale  [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Giuseppe Garibaldi nella cultura popolare.

Filatelia  [modifica]
Le emissioni filateliche realizzate in Italia, per onorare l'eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi sono numerose. L'effigie di Garibaldi compare sui primi francobolli commemorativi italiani emessi nel 1910 per celebrare la liberazione della Sicilia e il Plebiscito dell'Italia Meridionale. Questi sono i primi francobolli italiani commemorativi a non recare solo l'effigie del re o lo stemma dei Savoia. Inoltre erano venduti soltanto in Meridione ed in Sicilia con un sovrapprezzo, non indicato sul francobollo, di 5 centesimi ed erano utilizzabili soltanto per la corrispondenza diretta all'interno del regno. Nel 1932 fu dedicata la lunga serie di 17 francobolli per celebrare il cinquantenario della morte. Altri 2 francobolli vennero emessi nel 1957 per il 150º anniversario della nascita.

Il volto di Garibaldi appare anche nella serie del 1959 per il centenario della seconda guerra di indipendenza; nella serie del 1960 per il centenario della Spedizione dei Mille; nel 1970 per il centenario della partecipazione di Garibaldi alla guerra Franco-Prussiana e nel 1982 è stato celebrato il centenario della morte. L'ultimo francobollo che gli è stato dedicato è stato emesso il 4 luglio 2007 per il secondo centenario della nascita. Vi è rappresentato in primo piano un ritratto di Garibaldi, sullo sfondo un'immagine della casa natale a Nizza.

Oltre all'Italia anche la Repubblica di San Marino, l'Unione Sovietica, l'Uruguay, gli Stati Uniti d'America ed il Principato di Monaco hanno dedicato delle emissioni filateliche a Giuseppe Garibaldi. La Francia, nonostante sia molto legata alla figura di Garibaldi, non gli ha mai dedicato un francobollo. Nel 2007, in occasione del Bicentenario Garibaldino, un'iniziativa popolare ha indetto una petizione online per far emanare un francobollo dedicato all' Eroe dei due Mondi.

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Da: ( - - - - - - - -)02/10/2011 09:44:22
ma che corso bellino è codesto. la parte del leone  (? diciamo così) la fa una banda di pagliacci, sotto l'ala protettrice di una cornacchia al cui servizio c è il fringuello-hacker  che intasa il forum - e anche questa volta ha fatto il servizio notturno. bravo! e meno male che questo forum non lo legge nessuno, così dicono. lo leggono invece, e gli da tanta noia. poi c'è la corte di fedeli "amici" e amiche ( i piccoli fan). Vedremo tra qualche mese, dopo le destinazioni, quando si troveranno tutti in piemonte, che fine faranno questi fraterni legami. tanti complimenti alle nuove leve del CFS, il vanto dell'amministrazione e - va senza dire - l'invidia degli altri colleghi. (Ah, la torta al cioccolato è venuta benissimo.me la son proprio gustata, grazie infinite)
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Da: .....02/10/2011 12:13:40
Per me quelli che andranno in Piemonte saranno pochissimi, la maggior parte torneranno a casa o dove erano (gli interni) viste tutte le protezioni che possiedono...anche gli esterni non sono  da meno...!!!
X  me saranno scontentate una decina di persone al massimo, spero di non essere tra queste?...
La maggior parte non li vedrò e sentirò più una volta finita questa pagliacciata ...son sicuro!!!
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Da: se è venuta bena la torta al cioccolato02/10/2011 14:23:19
Preparazione: Torta con crema al limone

1- Amalgamare il burro a temperatura ambiente con lo zucchero e la vanillina ed ottenere un'impasto spumoso.
2- Aggiungere una ad una le uova
3- Aggiungere la farina poco alla volta e per ultima la dose.
4- Ottenere un'impasto morbido.
5- Riporre l'impasto in frigorifero per almeno un'ora.

Crema:
1- Far sciogliere il burro sul fuoco e aggiungere la farina tutta in una volta.
2- Amalgamare velocemente e fare attenzione a non formare grumi
3- Aggiungere poco per volta il succo dei limoni e il latte
4- Rimettere sul fuoco e portare ad ebollizione
5- Far bollire per 1 o 2 minuti circa sempre mescolando.

- Stendere la pasta di uno spessore di 1/2 centimetro e foderare uno stampo avendo cura di tenere i bordi alti
- versarvi la crema al limone
- guarnire con le striscioline di pasta
- infornare il tutto nel forno preriscaldato a 180° per 45/50°
Rispondi

Da: --------02/10/2011 19:14:38
Carne alla Bismark
INGREDIENTI per 4 persone


4 bistecche di vitello
100 g di burro
4 uova
sale
pepe

Come si fa

Fate sciogliere in una padella 50 g. di burro e fateci rosolare le bistecche da una parte e dall'altra a fuoco vivace. Quando saranno cotte conditele con sale e pepe e mettetele nel piatto.
Versate qualche cucchiaiata d'acqua nella padella e con un cucchiaio di legno sciogliete bene il fondo della cottura.
Intanto mettete in un'altra padella una noce di burro, fatela sciogliere e nel burro liquefatto rompete un uovo alla volta, che condirete con un pizzico di sale.
Appena ogni uovo si sarà rappreso sollevatelo con una paletta e posatelo sopra una bistecca.
Versate la semplice salsetta preparata col fondo di cottura nella padella poi spegnete il fuoco e servite calde.
Rispondi

Da: G.D. Aggiungi un posto a tavola02/10/2011 19:16:07
Voce e coro:
Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
se sposti un po' la seggiola
stai comodo anche tu,
gli amici a questo servono
a stare in compagnia,
sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria.

Coro:
Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
se sposti un po' la seggiola
stai comodo anche tu,
gli amici a questo servono
a stare in compagnia,
sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria.

Voce:
La porta è sempre aperta
la luce sempre accesa.

Coro:
La porta è sempre aperta
la luce sempre accesa.

Voce:
Il fuoco è sempre vivo
la mano sempre tesa.

Coro:
Il fuoco è sempre vivo
la mano sempre tesa.
La porta è sempre aperta
la luce sempre accesa.

Voce:
E se qualcuno arriva
non chiedergli: chi sei?

Coro:
No, no, no,
no, no, no, no

Voce:
E se qualcuno arriva
non chiedergli: che vuoi?

Coro:
No, no, no,
no, no, no, no
no, no, no

Voce:
E corri verso lui
con la tua mano tesa.
e corri verso lui
spalancagli un sorriso
e grida: "Evviva, evviva!

Coro:
Evviva, evviva, evviva, evviva, evviva,
evviva, evviva, evviva, evviva, evviva.

Voce e coro:
Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
se sposti un po' la seggiola
stai comodo anche tu,
gli amici a questo servono
a stare in compagnia,
sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria.
e così, e così, e così, e così
così sia...


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Da: OM02/10/2011 19:41:37
La tela di Penelope
Anche quel giorno ripresi il lavoro della tela, decisa a definirla una volta per tutte. Di punto in punto, di giro in giro, essa si veniva formando sotto le mie mani e si ingrandiva nel corso della giornata.

Cominciai la mattina e continuai fino a tarda sera, con ritmo ordinato, ma anche casuale: ordinato perché seguiva certe scansioni ricorrenti, come le pause dei pasti e le abitudini della mia vita; casuale perché gli imprevisti allungavano o accorciavano i momenti del lavoro, costringendomi ai recuperi per cercare di rabberciare le file della matassa. Fili e colori riflettevano umori e sensazioni, che si diversificavano col tempo, non so se quello interno o quello esterno delle cose, col sole, con l'aria, col caldo del mezzodì, con l'ombra serale.

Fu difficile cominciare a predisporre il lavoro di mattina, quando, appena alzata, mi sentivo un mondo confuso e strano da esprimere, come se l'alba non avesse ancora dissipato i fantasmi del sonno, anzi, dopo il tempo del letargo, li rivelasse in modo sospeso ed enigmatico, com'è della realtà dei fantasmi. Era la fascia oraria delle memorie che rifluivano in modo inesauribile e pretendevano di prendere il primo posto nella tela. Bisognava scegliere colori, punti e pose per dare vita a ciò che si faceva presente a distanza incolmabile, pullulava nella mente e non si assestava mai, richiedendo un grande lavoro di adattamento.

Quella mattina i fantasmi tumultuavano più che mai, sembravano rifiutare una qualche consistenza, sembravano non volersi acquietare in un'immagine ordinata sulla tela. Sistemai i fili alla meglio e ne ricavai una scena fortemente intrecciata, come certi quadri ad intensi chiaroscuri che mozzano il respiro degli osservatori, nella tormentosa ricerca di un equilibrio da ricostruire oltre la parete. I personaggi della memoria erano tante anime del purgatorio, sofferenti e oranti, che chiedevano a me pace e senso.

Poi venne la parte centrale della giornata: il sole si sollevò brillante nella sua focosa estiva energia, dissipando le ombre della valli, anche le più riposte. La tela cominciò a procedere con più velocità; questa volta descrivevo e imitavo, trasferivo semplicemente le cose e i fatti intorno a me nell'orizzonte della tela. Il lavoro prese corpo e si ingrandì; quasi non facevo in tempo a riprodurre le scene in movimento della vita che si rinnovava, dal filo d'aria che si muoveva in senso sempre diverso, alle persone che si fermavano, gesticolavano, commentavano le loro emozioni, si disperdevano per riunirsi in nuovi gruppi e disposizioni diverse.

Io non pensavo, non ricordavo, cercavo di muovere l'intrecciato armamentario con tutta l'abilità che possedevo, lo ingrandivo imprimendovi le comparse occhieggianti e pullulanti della vita.

Tralasciai il lavoro e lo ripresi dopo cena , nella pace dell'ombra serale, ormai notturna. Mi accorsi che, più che procedere, dovevo costruire un contorno alla fasce già combinate. Ne venne uno sfondo senza scene, indeterminato, necessario per racchiudere i tanti momenti di vita opposti tra loro e tutta quell'inquieta trama di gesti ed emozioni delle fasce ricamate. Punti gialli su sfondo blu, stelle luminose ma rade in un cielo profondamente azzurro, richiamavano mondi oltre il nostro mondo, in cui rinviare i tumulti della vita quotidiana; Tutta la trama di fantasmi e gesti, che si rincorrevano attraverso i giri e gli intrecci, trovavano un senso appagante nel cerchio infinito del contorno. La tela si concluse con un respiro di sollievo, come chi pensa di aver agito bene, trovando un ordine in cui posare le membra stanche.

Pensai così, ma l'indomani le ombre ripresero a volteggiare in senso diverso, togliendomi la soddisfazione della sera precedente Si atteggiavano in altro modo, ponevano altri interrogativi da esprimere e rivelare. Il lavoro del giorno precedente venne disfatto e ripreso con altre raffigurazioni, più adatte a far vivere quelle nuove immagini, che non si ritrovavano nell'ordine fissato e pure chiedevano di uscire dalla mente per piazzarsi da qualche parte, in un qualche punto dell'ordito Questa volta sembravano meno eteree e aleggiavano in un contorno di sostanza storica; impressi nei vari margini scene di guerra, di lavoro, di città, passaggi e cunicoli tra gli ambienti in cui si era costruita la loro concreta vita.

Il giorno dopo, ancora scontenti di sé, si attorniarono del parentado, in una bella scena da nido familiare e coro paesano, carico di nostalgia d'altri tempi. Altre volte si accamparono in primo piano drammatiche monadi in un fosco chiaroscuro esistenziale. Poi riprendevano, con un lavoro di più semplice mimesi, le descrizioni variegate della vita di attualità, e poi, per provvidenziale compenso ai meriti della lunga fatica, il sopore pacifico dello sfondo, che permetteva al quadro di concludersi.

Ormai capivo in me la vicenda di Penelope, l'avventura della tela, sempre disfatta e inconclusa, perché non poteva concludersi, come la vita stessa.

Rispondi

Da: OM02/10/2011 19:44:58
L' opera canonica appartiene ai poemi Nostoi (Nόστ¿ι, "ritorni"), i poemi greci del ciclo epico che descrivevano il ritorno degli eroi achei in patria dopo la distruzione di Troia.

Telemaco, il figlio di Odisseo, era ancora un bambino quando suo padre era partito per la Guerra di Troia. Al momento in cui la narrazione dell'Odissea ha inizio, dieci anni dopo che la guerra stessa è terminata, Telemaco è ormai un uomo di circa vent'anni; condivide la casa paterna con la madre Penelope e, suo malgrado, con un gruppo di uomini arroganti, i Proci, che intendono convincere Penelope ad accettare il fatto che la scomparsa del marito è ormai definitiva e che, di conseguenza, lei dovrebbe scegliere tra loro un nuovo marito; la donna ha promesso che lo farà solo quando avrà finito di tessere un sudario per il suocero Laerte; ma Penelope di notte disfa la tela tessuta durante il giorno.

Odisseo e Nausicaa - Pieter Lastman 1619 - Alte Pinakothek, Monaco di BavieraLa dea Atena, protettrice di Odisseo, in un momento in cui il dio del mare Poseidone, suo nemico giurato, si è allontanato dall'Olimpo, discute del destino dell'eroe con il re degli dei, Zeus. Quindi, assunte le sembianze di Mentore, padre dei Tafi, va da Telemaco e lo esorta a partire al più presto alla ricerca di notizie del padre. Telemaco le offre ospitalità e insieme assistono alle gozzoviglie serali dei Proci, mentre il cantastorie Femio recita per loro un poema. Penelope si lamenta del testo scelto da Femio, ovvero il "Ritorno da Troia"[1], perché le ricorda il marito scomparso, ma Telemaco si oppone alle sue lamentele.

Il mattino seguente Telemaco convoca un'assemblea dei cittadini di Itaca e chiede loro di fornirgli una nave ed un equipaggio. Sciolta l'assemblea senza aver ottenuto nulla, Telemaco è raggiunto da Atena (che stavolta ha assunto le sembianze del suo amico Mentore) che gli promette la nave e i compagni. Così, all'insaputa della madre, fa vela verso la casa di Nestore, il più venerabile dei guerrieri greci che avevano partecipato alla guerra di Troia e che aveva fatto ritorno nella sua Pilo. Da qui Telemaco, accompagnato dal figlio di Nestore, Pisistrato, si dirige via terra verso Sparta, dove incontra Menelao ed Elena che si sono alla fine riconciliati. Gli raccontano che erano riusciti a fare ritorno in Grecia dopo un lungo viaggio durante il quale erano passati anche per l'Egitto: lì, sull'isola incantata di Faro, Menelao aveva incontrato il vecchio dio del mare Proteo che gli aveva detto che Odisseo era prigioniero della misteriosa Ninfa Calipso. Telemaco viene così a conoscenza anche del destino del fratello di Menelao, Agamennone, re di Micene e capo dei greci sotto le mura di Troia, che era stato assassinato dopo il suo ritorno a casa da sua moglie Clitennestra con la complicità dell'amante Egisto.

Odisseo nella casa di Alcinoo - Francesco Hayez 1813 - Galleria nazionale di Capodimonte, NapoliIntanto Odisseo, dopo svariate peripezie che dobbiamo ancora apprendere, ha trascorso appunto gli ultimi sette anni prigioniero sulla lontana isola Ogigia della Ninfa Calipso. Il messaggero degli dei Ermes la convince però a lasciarlo andare, e Odisseo si costruisce a questo scopo una zattera. La zattera, dato che il dio del mare Poseidone gli è nemico, fa inevitabilmente naufragio, ma egli riesce a salvarsi a nuoto toccando alla fine terra sull'isola Scheria sulla cui riva, nudo ed esausto, cade addormentato. Il mattino dopo, svegliatosi udendo delle risa di ragazze, vede la giovane Nausicaa che era andata sulla spiaggia spinta da Atena a giocare a palla con le sue ancelle. Odisseo le chiede così aiuto, ed ella lo esorta a chiedere l'ospitalità dei suoi genitori Arete e Alcinoo, re dei Feaci. Questi lo accolgono amichevolmente senza nemmeno, dapprima, chiedergli chi egli sia. Resta parecchi giorni con Alcinoo, partecipa ad alcune gare atletiche ed ascolta il cieco cantore Demodoco esibirsi nella narrazione di due antichi poemi.

Il primo narra di un altrimenti poco noto episodio della guerra di Troia, "La lite tra Odisseo ed Achille"; il secondo è il divertente racconto della storia d'amore tra due déi dell'Olimpo, Ares e Afrodite. Alla fine Odisseo chiede a Demodoco di continuare ad occuparsi della guerra di Troia, e questi racconta dello stratagemma del Cavallo di Troia, episodio nel quale Odisseo aveva svolto la parte dell'indiscusso protagonista. Incapace di dominare le emozioni suscitate dall'aver rivissuto quei momenti, Odisseo finisce per rivelare la sua identità, ed inizia a narrare l'incredibile storia del suo ritorno da Troia.

Dopo aver saccheggiato la città di Ismara, nella terra dei Ciconi, lui e le dodici navi della sua flotta persero la rotta a causa di una tempesta che si abbatté su di loro. Approdarono nella terra dei pigri Lotofagi e finirono per essere catturati dal Ciclope Polifemo riuscendo a fuggire, dopo aver subito gravi perdite, con lo stratagemma di accecargli l'unico occhio e uscire dalla sua grotta appendendosi al ventre delle sue pecore. Sostarono per un periodo alla reggia del signore dei venti Eolo, che diede ad Odisseo un otre di pelle che racchiudeva quasi tutti i venti, un dono che avrebbe garantito loro un rapido e sicuro ritorno a casa. I marinai, però, aprirono sconsideratamente l'otre mentre Odisseo dormiva: i venti uscirono insieme dall'otre, scatenando una tempesta che ricacciò le navi indietro da dove erano venute.

Odisseo nella grotta di Polifemo Jakob Jordaens secolo XVI Museo Puskin MoscaPregarono Eolo di aiutarli nuovamente, ma egli rifiutò di farlo. Rimessisi in mare finirono per approdare sulla terra dei mostruosi cannibali Lestrigoni: solo la nave di Odisseo riuscì a sfuggire al terribile destino. Nuovamente salpati, giunsero all'isola della maga Circe, che con le sue pozioni magiche trasformò in maiali molti dei marinai di Odisseo. Il dio Ermete venne quindi in soccorso di Odisseo e gli donò un infuso a base di erbe magiche, utile come antidoto contro l'effetto delle pozioni di Circe. In questo modo egli costrinse la maga a liberare i suoi compagni dall'incantesimo. Ulisse diventò poi l'amante di Circe, tanto che restò con lei sull'isola per un anno. Alla fine, i suoi uomini riuscirono a convincerlo del fatto che era giunto il momento di ripartire.

Grazie anche alle indicazioni di Circe, Odisseo e la sua ciurma attraversarono l'Oceano e raggiunsero una baia situata all'estremo limite occidentale del mondo conosciuto, nella terra dei Cimmeri. Lì, dopo aver celebrato un sacrificio in loro onore, Odisseo invoca le ombre dei morti, allo scopo di interrogare lo spettro dell'antico indovino Tiresia sul suo futuro. Incontrò poi lo spettro di sua madre, che era morta di crepacuore durante la sua lunga assenza, ricevendo così per la prima volta notizie di quanto succedeva nella sua casa, messa in serio pericolo dall'avidità dei Proci. Incontrò poi molti altri spiriti di uomini e donne illustri e famosi, tra i quali il fantasma di Agamennone che lo mise al corrente del suo assassinio.

Quando tornarono all'isola di Circe questa, prima della loro nuova partenza, li mise in guardia sui pericoli che li attendevano nelle rimanenti tappe del loro viaggio. Riuscirono a fiancheggiare indenni gli scogli delle Sirene e passare in mezzo alla trappola rappresentata da Scilla, mostro dalle innumerevoli teste, e dal terribile gorgo Cariddi, approdando sull'isola Trinacria. Qui i compagni di Odisseo - ignorando gli avvertimenti ricevuti da Tiresia e Circe - catturarono ed uccisero per cibarsene alcuni capi della sacra mandria del dio del sole Elio. Questo sacrilegio fu duramente punito con un naufragio nel quale tutti, tranne Odisseo stesso, finirono annegati. Lui fu spinto dai flutti sulle rive dell'isola di Calipso, che l'aveva costretto a restare con lei come suo amante per sette anni.

Dopo aver ascoltato con grande interesse e curiosità la sua lunga storia, i Feaci, che sono un popolo di abili navigatori, decidono di aiutare Odisseo a tornare a casa: nottetempo, mentre è profondamente addormentato, lo portano ad Itaca approdando in un luogo nascosto. Al suo risveglio la dea Atena lo trasforma in un vecchio mendicante. in questi panni si incammina verso la capanna di Eumeo, guardiano dei porci, che gli è rimasto fedele anche dopo così tanti anni. Il porcaro lo fa accomodare e gli dà da mangiare. Dopo aver cenato insieme, racconta ai suoi contadini e braccianti una falsa storia della propria vita. Dice loro di essere nativo di Creta e di aver guidato un gruppo di suoi conterranei a combattere a Troia al fianco degli altri Greci, di aver quindi trascorso sette anni alla corte del re dell'Egitto e di essere alla fine naufragato sulle coste tesprote e da lì venuto ad Itaca.

Ulisse e le sireneIntanto Telemaco fa vela da Sparta verso casa e riesce a scampare ad un'imboscata tesagli dai Proci. Dopo essere sbarcato sulla costa di Itaca, va anche lui alla capanna di Eumeo. Finalmente il padre ed il figlio si incontrano: Odisseo si rivela a Telemaco (ma non ancora ad Eumeo) ed insieme decidono di uccidere i Proci. Dopo che Telemaco è tornato a palazzo per primo Odisseo, accompagnato da Eumeo, fa ritorno nella sua casa ma continua a restare travestito da mendicante. In questo modo osserva il comportamento violento e tracotante dei Proci, e studia il piano per ucciderli. Incontra per primo il suo cane Argo che lo riconosce e dopo un ultimo sussulto di gioia muore felice per aver rivisto il padrone, incontra poi anche sua moglie Penelope, che non lo riconosce, e cerca di capire le sue intenzioni raccontando anche a lei di essere cretese e che un giorno sulla sua isola aveva incontrato Odisseo. Incalzato dalle ansiose domande di Penelope, dice anche che di recente in Tesprozia ha avuto notizia delle sue più recenti avventure.

La vecchia nutrice Euriclea capisce la vera identità di Odisseo quando egli si spoglia per fare un bagno, mostrando una cicatrice sulla coscia che si era procurato da bambino, ed egli la costringe a giurare di mantenere il segreto. Il giorno dopo, su suggerimento di Atena, Penelope spinge i Proci ad organizzare una gara per conquistare la sua mano: si tratterà di una competizione di abilità nel tiro con l'arco ed i Proci dovranno servirsi dell'arco di Odisseo, che nessuno a parte lui stesso è mai riuscito a tendere. Nessuno dei pretendenti riesce a superare la prova e a quel punto, tra l'ilarità generale, quello che è creduto un vecchio mendicante chiede di partecipare a sua volta: Odisseo naturalmente riesce a tendere l'arma e a vincere la gara, lasciando tutti stupefatti. Prima che si riprendano dalla sorpresa rivolge quindi l'arco contro i Proci e, con l'aiuto di Telemaco, li uccide tutti. Odisseo e il figlio decidono poi di far giustiziare dodici delle ancelle della casa che erano state amanti dei Proci e uccidono il capraio Melanzio che era stato loro complice. Adesso Odisseo può finalmente rivelarsi a Penelope: la donna esita e non riesce a credere alle sue parole, ma si convince dopo che il marito le descrive alla perfezione il letto che lui stesso aveva costruito in occasione del loro matrimonio.

Odisseo e Tiresia nel regno dei morti - Vaso greco del IV secolo a.C.Il giorno dopo, insieme a Telemaco, va ad incontrare suo padre Laerte nella sua fattoria, ma anche il vecchio accetta la rivelazione della sua identità solo dopo che Odisseo gli ha descritto il frutteto che un tempo Laerte stesso gli aveva donato. Gli abitanti di Itaca hanno seguito Odisseo con l'intenzione di vendicare le uccisioni dei Proci loro figli: quello che sembra essere il capo della folla fa notare a tutti che Odisseo è stato la causa della morte di due intere generazioni di uomini ad Itaca, prima i marinai e coloro che l'avevano seguito in guerra dei quali nessuno è sopravvissuto, poi i Proci che ha ucciso con le sue mani. La dea Atena però interviene nella disputa e convince tutti a desistere dai propositi di vendetta.

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Da: OM02/10/2011 19:51:51
Re di Itaca, figlio di Laerte (anche se una tradizione lo vuole figlio di Sisifo) e di Anticlea, sposo di Penelope, padre di Telemaco, Ulisse vorrebbe ritornare agli affetti familiari e alla nativa Itaca dopo dieci anni passati a Troia a causa della guerra (suo è l'espediente del cavallo di legno che permette di sbloccare la situazione), ma l'odio di un dio avverso, Poseidone, glielo impedisce. Costretto da continui incidenti e incredibili peripezie, dopo altri dieci anni, grazie anche all'aiuto della dea Atena, riuscirà a portare a compimento il proprio ritorno a casa.

Le tappe del ritorno (in greco nostos) sono dodici, numero degli insiemi perfetti. Si alternano tappe in cui l'insidia è manifesta (mostruosità, aggressione, morte) a tappe in cui l'insidia è solo latente: un'ospitalità che nasconde un pericolo, un divieto da non infrangere. Dopo la partenza da Troia, Ulisse fa tappa a Ismaro, nella terra dei Ciconi, per fare bottino. Qui risparmia Marone, sacerdote di Apollo, che gli dona quel vino forte e dolcissimo che gli tornerà utile nella grotta di Polifemo. Seconda tappa nella terra dei Lotofagi, ospitali ma insidiosi: offrono infatti ai compagni di Odisseo il loto, un frutto che fa dimenticare il ritorno, costringendo l'eroe a forzarli per farli salire sulle navi.

La terza tappa è nella terra dei Ciclopi. Qui Odisseo, insieme ad alcuni compagni, entra per chiedere ospitalità nella grotta di Polifemo, figlio di Poseidone, rischiando invece di trovarvi la fine del viaggio: sei compagni vengono infatti divorati dal Ciclope e solo grazie alla sua astuzia Odisseo riesce a evitare l'insidia. Egli infatti, fatto ubriacare il ciclope con il vino donatogli da Marone, lo acceca; così, mentre Polifemo porta a pascolare le capre, Odisseo ed i suoi compagni superstiti ci si nascondo sotto e riescono a fuggire. Giunge quindi nell'isola di Eolo, dio dei venti, da cui viene ospitalmente accolto ricevendo in dono l'otre dei venti, accompagnato da un divieto da non infrangere: nessuno dovrà aprire l'otre. Saranno i compagni però che, invidiosi del dono dell'ospite, ormai in prossimità di Itaca, approfittando del sonno di Odisseo, apriranno l'otre scatenando i venti che risospingeranno la nave al largo.

Quinta tappa presso i Lestrigoni, mostruosi quasi quanto i Ciclopi. Anche qui Odisseo perde alcuni compagni e molte navi, ma riesce a salvarsi. Giunge poi nell'isola di Circe, una maga seducente che trasforma i compagni di Odisseo in porci. Grazie all'aiuto di Ermes, che gli dà una misteriosa erba quale antidoto alla maledizione della maga, l'eroe riesce ad evitare l'insidia e costringe Circe a restituire ai compagni sembianze umane. Dopo l'avventura di Circe, Odisseo - su indicazione della stessa maga - si accinge a una nuova prova, la catabasi nel regno dei morti. Lì riesce a entrare in contatto con le figure dei compagni perduti durante la guerra di Troia, con la madre e con l'indovino Tiresia, che gli presagirà un ritorno luttuoso e difficile, invitandolo a guardarsi dal toccare le vacche del Sole iperionide.


Rimessosi in rotta Ulisse dovrà vedersela ancora con le pericolose sirene, i mostri Scilla e Cariddi e con la disubbidienza dei propri compagni che non riescono a frenare la voglia di banchettare con le attraenti mucche. Per questo Odisseo racconta di essere stato per nove giorni in balia di terribili tempeste scatenate da Zeus, da cui riuscì a scampare grazie all'arrivo sull'isola di Ogigia dove incontra Calipso. Odisseo giunge quindi nella terra dei Feaci a cui racconta lo stratagemma del cavallo di Troia. L'eroe è dunque riaccompagnato dai Feaci a casa con abbondanti doni, e dopo essersi rivelato al figlio e al fedele Eumeo si reca alla reggia dove si fa accogliere come un mendicante. Qui schernito ripetutamente dai tracotanti Proci, partecipa alla gara di arco organizzata da Penelope, che aveva promesso di consegnarsi in sposa a colui che sarebbe riuscito a scoccare una freccia dal pesante arco del marito facendola passare per le fessure di dodici scuri. Nessuno dei pretendenti ci riesce e così l'ultimo tentativo spetta a Odisseo che, dopo averlo scaldato sulla fiamma, riesce perfettamente nell'impresa. A questo punto non gli rimane che scatenare la vendetta che aveva attentamente preparato con Eumeo, Filezio e il figlio.

Le possibili morti di Ulisse  [modifica] La strage dei pretendenti, disegno, 1882, Illustrazione da Schwab GustavNel libro undicesimo dell'Odissea, l'indovino Tiresia predice il futuro del re itacese infatti gli predice una morte "Ex halos" che vuol dire "dal mare" o "lontano dal mare" . Una volta uccisi i Proci, ripartirà verso terre lontane, ai confini del regno di Poseidone. Giungerà ad una terra dove non si conoscono il mare e le navi, dove non si condiscono i cibi col sale. Quando un viandante scambierà il remo di Ulisse per un ventilabro, potrà fermarsi, piantare il remo e offrire sacrifici a Poseidone. Tornerà quindi ad Itaca, offrirà sacrifici a tutti gli dèi e una lieta morte verrà dal mare durante una serena vecchiaia, circondato da popoli pacificati. Le ulteriori peregrinazioni di Ulisse e la sua morte sono state trattate in canti epici che non sono pervenuti. Per questo, diversi scrittori hanno ipotizzato la possibile morte di Ulisse. Letteratura e miti ci narrano tre diverse versioni sulla morte di Ulisse:

Nell'Epitome dello Pseudo-Apollodoro, tornato ad Itaca, l'eroe scopre che Telemaco ha lasciato la sua casa. Dopo che un oracolo gli ha predetto infatti che Ulisse sarebbe morto per mano del figlio, Telemaco ha scelto l'esilio volontario nella vicina Cefalonia. Ulisse, senza esserne a conoscenza, ha dato un figlio a Circe, presso la quale aveva soggiornato nel suo lungo viaggio di ritorno da Troia. Telegono, questo il suo nome, era alla ricerca del padre e, sulle sue orme, giunge ad Itaca. Lo sbarco di stranieri provoca un immediato allarme, così Ulisse e le sue guardie scendono alla riva. Ne nasce una battaglia, in cui Ulisse muore proprio per mano di Telegono.
Nella Divina Commedia di Dante Alighieri, Inferno-canto XXVI, il poeta immagina l'ultimo viaggio di Ulisse (riferendosi alla versione in latino di Ovidio), l'ultima sfida oltre le Colonne d'Ercole. L'impresa si conclude con il naufragio e la morte dell'eroe greco con tutti i suoi compagni.
In "l'ultimo viaggio" (nei Poemi Conviviali) di Pascoli, Ulisse, passati dieci anni dal suo ritorno, riprende il mare e percorre a ritroso il viaggio dell'Odissea. Ma i suoi ricordi non corrispondono più alla realtà. Presso l'isola delle sirene naufraga e il suo corpo è trasportato dal mare sull'isola di Calipso.
Ulisse nell'arte  [modifica]Nell'arte greca, le prime raffigurazioni di Odisseo sono di pittori vascolari del periodo orientalizzante, inizio del VII secolo, dunque immediatamente successive la composizione dell'Odissea stessa. Nelle loro opere la più rappresentata è la scena dell'accecamento di Polifemo da parte di Odisseo e dei suoi compagni, episodio che più di altri evidenzia l'astuzia e l'intelligenza dell'eroe, per cui si vede come sin dall'inizio l'arte figurativa interpreti correttamente la figura di Odisseo, secondo la lettura che ne verrà data nei secoli successivi. In quanto a frequenza di attestazione, poi, per secondo viene l'incontro con Scilla, il peggior pericolo forse tra quelli effettivamente corsi da Odisseo durante le sue peregrinazioni e per terzo, infine, quello con le Sirene, simbolo per eccellenza del potere della seduzione della conoscenza.

Dopo l'età protogreca le raffigurazioni del mito di Odisseo, comparse, come s'è detto, improvvisamente e massicciamente nella pittura vascolare e in quella minore nella prima metà del VII secolo, si interrompono quasi del tutto. Per l'età classica ci è pervenuto un solo esempio, un cratere italico del tardo V secolo, che però si riferisce non al testo omerico ma a Il Ciclope, il dramma satiresco di Euripide. Il tema diventerà nuovamente fiorente solo in età ellenistica, per poi diventare una tra le fonti di maggiore ispirazione per l'arte romana.

Ulisse nella letteratura  [modifica]Ulisse è, per antonomasia, l'uomo affascinato dall'ignoto. James Joyce prende a modello la sua figura e la sua storia per il suo romanzo, l'Ulysses. Ugo Foscolo vide nel proprio destino di esule somiglianze con quello dell'eroe omerico. Guido Gozzano, in piena polemica antidannunziana, lo presenta ironicamente come un moderno "viveur" (L'Ipotesi).

Il ritorno di Ulisse - Dramma di Robert Seymour Bridges.
L'arco di Ulisse - Opera di Gerhart Hauptmann.
L'ultimo viaggio di Ulisse - Poemetto di Arturo Graf.
Le avventure di Ulisse - Composizione in prosa
Los trabajos de Ulises - Commedia di Luis de Belmonte Bermºdez.
Ulisse - Romanzo di James Joyce.
Ulisse - Tragedia di Nicholas Rowe.
Ulisse - Dramma di François Ponsard.
Capitan Ulisse - Dramma di Alberto Savinio.
Mensagem - Plaquette di versi di Fernando Pessoa, nella quale è contenuta anche una poesia dal titolo Ulisses, dedicata all'eroe greco in quanto ipotetico fondatore di Lisbona.
Ulisse - poesia lirica di Umberto Saba, facente parte della raccolta Canzoniere.
Ulisse, il Mare Color del Vino - Il mito di Ulisse narrato per giovani lettori da Giovanni Nucci.
L'oracolo di Valerio Massimo Manfredi - Un Ulisse misterioso sopravvissuto fino ai giorni nostri.
Ulysses - Poema di Alfred Tennyson
Dicono di Odisseo - Romanzo di Imme Dros
le avventure di Ulisse - libro di Geronimo Stilton, della collana grandi libri pubblicato nel 2008-2009
L'importanza di chiamarsi Ulisse - Saggio di Francesca Alghisio e Nicola Fedel
Ulisse e Batman- Fumetto di Bob Kane
Nella commedia dantesca  [modifica]Nel XXVI canto dell'Inferno di Dante è condannato alla tribolazione eterna, nella bolgia dei consiglieri di frode, a causa degli inganni perpetrati (il Cavallo di Troia, l'inganno che fa ad Achille per partire a Troia e il furto del Palladio). Viene anche narrata la sua morte: Ulisse venne rovinato dalla sua smania di conoscenza, oltrepassando le colonne d'Ercole (Canto XXVI) e naufragando miseramente giungendo in vista della montagna del Purgatorio. Per Dante, il folle viaggio rappresenta la volontà di superare i limiti della conoscenza umana; la follia di Ulisse non consiste nella ribellione personale contro un ordine prestabilito, bensì nel tentativo di superare i limiti della finitezza dell'essere umano. Ulisse è perciò sicuramente considerato da Dante un magnanimo. Ma il peccato di Ulisse, oltre essere quello di aver provocato con le sue menzogne dolore e sofferenza, nasce anche dall'aver portato all'eccesso le sue virtù, confidando in esse senza il sostegno della Grazia divina, e volendo farsi simile a Dio stesso. La follia consiste nella dimenticanza di essere una semplice creatura, esaltando la propria intelligenza al punto di trasformare ciò che è positivo (il desiderio di seguire virtute e conoscenza) in un'irragionevole negazione dell'esistenza di ogni limite.

Iliade  [modifica]Nell' Iliade Ulisse non ha un ruolo molto importante, anche se il poeta non manca di sottolineare il suo valore bellico. Ulisse compie le sue imprese perlopiù a fianco di Diomede: nel decimo libro, i due assaltano il campo dei Traci, con Diomede che sgozza i nemici addormentati e Ulisse che gli copre le spalle: nell'undicesimo, Ulisse colpisce a morte il giovane Molione, valletto e auriga del re asiatico Timbreo, ucciso poco prima da Diomede.

Odissea  [modifica]L'Odissea è uno dei nostoi (o ritorni) che raccontano le avventure degli eroi omerici dopo la guerra, ma tra tutti questi poemi (in principio trasmessi oralmente) è certamente il più famoso. La fama del poema è certamente legata al suo personaggio principale che rappresenta, anche secondo la nozione comune, l'uomo moderno. Una caratteristica di Ulisse è certamente la tradizionale º±»¿º±γ±θί± (=benignità) eroica, l'essere di bell'aspetto ed eticamente virtuoso, cui aggiunge uno straordinario senso pratico e una grande curiosità che, unita al suo incredibile genio, lo rendono capace di risolvere ogni ostacolo con successo.

Si deve inoltre ricordare che Ulisse nel suo viaggio all'interno dell'Ade incontra anche la madre, morta di dolore dopo la partenza del figlio per la guerra. Odisseo incontra amici e personaggi illustri (come Achille, il giudice Minosse, Orione): vede anche i dannati, come Tantalo e Sisifo. Tuttavia le anime che Ulisse incontra nell'Ade sono prive di vera e propria forza interiore, sono prive di ricordi, sono ombre presentate sotto forma di sogni. Esse infatti hanno bisogno di sangue (ed è per questo che Circe dona a Ulisse e ai suoi compagni un agnello e una pecora nera da sacrificare) per ricordare le loro vite passate, e le rimpiangono amaramente. Anche per questo l'Odissea può essere considerata un "proseguimento dell'Iliade": alla morte di personaggi illustri come Achille, Ettore o Patroclo, i nemici o gli eroi stessi annunciano il rimpianto, molto diverso dalla nostra concezione di morte attuale, l'andare in un mondo migliore, onore concesso solo a pochi fortunati parenti, amici o umani amati dagli dei.

I morti rimpiangono la luce del sole perché è la cosa che ricorda più ai defunti la vita, l'amore, la vendetta, gli istinti primordiali dell'uomo. La madre e la moglie di Ulisse sono intese come persone "buone" e molto legate alla famiglia per fedeltà e forza d'animo, così come nell'Iliade lo sono la madre e la moglie di Ettore, Ecuba e Andromaca, che mal sopportano la morte di Ettore ma continuano la loro vita, amaramente.

Aiace  [modifica]Nella tragedia di Sofocle Aiace, che prende il nome dal protagonista, Ulisse è colui che con Agamennone e Menelao ha suscitato l'ira, e con essa la follia di Aiace. La tragedia ha infatti inizio con Aiace che ha trucidato di notte un intero gregge di pecore, credendole soldati Greci a causa di un inganno di Atena, perché voleva vendicarsi della decisione da parte dei due Atridi di assegnare a Ulisse, piuttosto che a lui, le armi del defunto Achille.

Tuttavia in questa tragedia Ulisse ha un ruolo quasi marginale, ma alla fine è lui ad intervenire nella lite fra Teucro (figlio di Telamone e fratellastro di Aiace) che voleva seppellire il corpo del fratellastro suicida, e i due capi Atridi che volevano invece negare al cadavere la sepoltura per punirlo del tentato eccidio. Ulisse infatti entra in scena e con poche parole riesce a convincere Agamennone a lasciare che Aiace venga sepolto in virtù dei suoi meriti e del suo passato apporto all'esercito greco. Teucro tuttavia non gli permetterà di partecipare alla sepoltura, come egli avrebbe invece voluto, per non fare cosa sgradita al defunto.

Va ricordato inoltre che nell'Odissea (Libro XI), quando Ulisse andrà nel regno dell'Ade ed incontrerà fra gli altri personaggi Aiace, costui si rifiuterà orgogliosamente di rivolgergli la parola e riappacificarsi con lui.

Musica  [modifica]Odissea[8] - Musical di Marco Grieco e Massimo Grieco.
Il ritorno di Ulisse - Opera comica di Stéphane Raoul Pugno.
Il ritorno di Ulisse in patria - Opera di Claudio Monteverdi.
Ulisse - Opera musicale di Reinhardt Keiser.
Ulisse - Musiche di scena di Charles François Gounod.
Ulisse e Telemaco - Opera musicale di Daniel Gottlieb Treu.
Ulisse errante - Opera musicale di Francesco Sacrati.
Tales of Brave Ulysses - Brano dei Cream.
Odýsseus - Canzone di Francesco Guccini dall'album Ritratti.
Ulisse - Opera di Luigi Dallapiccola.
Ulisse - Album discografico della Premiata Forneria Marconi
Ulisse coperto di sale - Lucio Dalla
Itaca - Lucio Dalla
The Odyssey - Album discografico della band statunitense Symphony X
Odyssey - Quarto album in studio del chitarrista svedese Yngwie J. Malmsteen
Odisseus - Concerto per flauto e archi di Paolo Pessina
Ulisse - Enrico Ruggeri
Itaca, il viaggio di Ulisse - Chiazzetta
Ulisse (You Listen) - Caparezza
I viaggi di Ulisse - Neffa
Pittura  [modifica]Ulisse schernisce Polifemo - di William Turner (1829).
Cinema e televisione  [modifica]Il cinema e la televisione non potevano non interessarsi di una figura affascinante e complessa come quella di Ulisse. La prima trasposizione cinematografica delle gesta dell'eroe greco risale al 1911 per opera di Giuseppe de Liguoro. Nel 1955 arriva sul grande schermo l'interpretazione di Kirk Douglas, con Silvana Mangano nel ruolo di Penelope, sotto la regia di Mario Camerini (Ulisse), ma si tratta di una realizzazione con una scarsissima aderenza al testo omerico.

Diverso è il caso dello sceneggiato televisivo RAI del 1968, L'Odissea, regia di Franco Rossi, con Bekim Fehmiu e Irene Papas. A parte qualche eccezione, questa trasposizione televisiva del poema riassume per intero ed in modo fedele la storia narrata da Omero.

Un altro esempio di contrasto con l'epopea omerica è invece il film per la TV del 1997 di Andrej Končalovskij, ancora dal titolo L'Odissea, interpretato - fra gli altri - da Armand Assante, nella parte del protagonista, Greta Scacchi, Isabella Rossellini, e di nuovo Irene Papas, e che aggiunge elementi di altri poemi epici.

Canale 5, nel 1991, ha realizzato una versione musical in chiave comica di L'Odissea, con la regia di Beppe Recchia.

Un altro Ulisse in chiave di parodia è stato infine quello rappresentato nel 1964 dal Quartetto Cetra in Biblioteca di Studio Uno.

Il palazzo di Ulisse  [modifica]Dopo un'appassionata ricerca che perdurava da 16 anni, un'équipe dell'università greca di Ioannina, guidata dal prof. Athanasios Papadopulos, ha trovato quelle che ritiene essere le tracce del palazzo dell'eroe omerico. A conferma del valore storico del racconto di Omero, il luogo del ritrovamento è Exogi nel nord dell'isola di Itaca. Gli indizi sull'identità del palazzo sono molteplici, tra i quali in particolare rilevano la forma del palazzo, simile ad altri palazzi regi micenei, alcuni manufatti ritrovati e una fontana databile intorno al XIII secolo a.C. Gli esperti italiani che hanno commentato la notizia sono cauti ma concordano sull'importanza della certezza di un palazzo regio nell'isola. Più incline a dar credito alla convinzione del collega greco è lo storico Luciano Canfora, che sottolinea l'attendibilità storica dei poemi omerici in genere.[9]

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Da: cupressus02/10/2011 23:04:36
Cupressus è un genere di piante della delle famiglia Cupressaceae (cipressi in senso ampio) comprendente alberi anche di notevoli dimensioni, alti fino a 50 metri, con chioma generalmente affusolata, piramidale molto ramificata, e rametti cilindrici con numerosissime foglie.
Indice
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    1 Descrizione
    2 Distribuzione
    3 Usi
    4 Avversità
    5 Tassonomia
    6 Aspetti culturali
    7 Altri progetti
    8 Voci correlate
    9 Collegamenti esterni

[modifica] Descrizione

Alberi sempreverdi con foglie ridotte a squame, strettamente addossate le une alle altre o divaricate all'apice, secondo le specie. In alcune specie, le foglie schiacciate rilasciano un caratteristico fetore. Il colore delle foglie è molto scuro nel cipresso diffuso in Italia (Cupressus sempervirens), ma in altre specie è più chiaro e persino verdazzurro (Cupressus Arizonica).

I fiori, poco appariscenti, sono riuniti in infiorescenze unisessuali.

I frutti, detti "galbuli" (o gazzozzole) sono dei coni legnosi, tondeggianti, divisi in un certo numero di squame che si separano a maturità. Il cipresso è una conifera con foglie non aghiformi,sono a forma di piccolissime scaglie; le sue pigne sono globose (galbuli), con squame non embricate.
[modifica] Distribuzione

Il genere è diffuso in tutte le regioni a clima caldo o temperato-caldo, anche arido, dell'emisfero settentrionale: America settentrionale e centrale, Europa meridionale, Africa settentrionale, Asia dal Vicino Oriente fino alla Cina e al Vietnam. Più di metà delle specie sono originarie del ristretto triangolo formato da California, Arizona e Messico. Esistono cipressi anche nel cuore del deserto del Sahara.

Alcune specie di cipressi hanno avuto successo a scopo ornamentale e sono state piantate nelle regioni a clima caldo o temperato di quasi tutto il mondo.
[modifica] Usi
Foglie e strobili di Cupressus arizonica

È l'albero tipico dei cimiteri perché le sue radici, come quelle di tutti gli alberi, hanno estensione e sviluppo corrispondenti a quelli dei rami; quindi, nel caso del cipresso, scendendo a fuso nella terra in profondità invece che svilupparsi in orizzontale (come per le querce e gli altri alberi a chioma larga), non danno luogo a interferenze con le sepolture circostanti.
[modifica] Avversità

    Insetti:
        Coleotteri
            Ilobio: gli adulti di Hylobius abietis L. erodono la corteccia, provocando lesioni da cui fuoriesce la resina.
            Ilotrupe: le larve di Hylotrupes bajulus L. vivono più di 2 anni scavando gallerie sottocorticali, in tutto il cilindro legnoso.
            Rodilegno bianco: le larve del lepidottero Zeuzera pyrina L. provocano seri danni scavando gallerie nei rami e nei tronchi sottili.
    Funghi:
        Cancro da Corineo: l'attacco di Coryneum cardinale Wag. provoca sulle branche e i giovani rametti, ulcerazioni da cui fuoriesce abbondante la resina e successivamente un cancro che interessa tutta la circonferenza della parte colpita, causando il disseccamento della parte superiore.
        Ruggine: il tronco, le branche e i rametti attaccati da Gymnosporangium cupressi presentano dei rigonfiamenti affusolati.

[modifica] Tassonomia
Cipressi all'interno di un parco

Il genere Cupressus comprende una ventina di specie (il numero varia a seconda degli autori).

Specie del Vecchio mondo

    Cupressus atlantica, il cipresso del Marocco
    Cupressus cashmeriana, il cipresso del Bhutan
    Cupressus chengiana
    Cupressus duclouxiana, il cipresso dello Yunnan
    Cupressus dupreziana, il cipresso del Sahara
    Cupressus funebris
    Cupressus gigantea, il cipresso del Tibet
    Cupressus sempervirens, il cipresso mediterraneo, frequente in Italia allo stato coltivato e sub-spontaneo
    Cupressus torulosa, il cipresso dell'Himalaia

Specie del Nuovo mondo

    Cupressus abramsiana
    Cupressus arizonica, il cipresso dell'Arizona, largamente utilizzato come pianta ornamentale con diverse varietà, tra cui:
        Cupressus arizonica var. glabra
        Cupressus arizonica var. montana
        Cupressus arizonica var. nevadensis
        Cupressus arizonica var. stephensonii
    Cupressus bakeri''
    Cupressus goveniana, originario della California
    Cupressus guadalupensis (tra cui la var. forbesii)
    Cupressus lusitanica, il cipresso messicano
    Cupressus macnabiana
    Cupressus macrocarpa, il cipresso di Monterey, originario della California e molto utilizzato come pianta ornamentale anche con la sua varietà Goldcrest
    Cupressus sargentii

Ibridi e Cultivar

    × Cupressocyparis leylandii, ibrido intergenerico fra Cupressus e Chamaecyparis utilizzato come pianta ornamentale

Il Viale dei Cipressi tra Bolgheri e l'oratorio di San Guido in Maremma
[modifica] Aspetti culturali

Associato al culto dei morti fin dall'antichità, il cipresso è simbolo di vita eterna in alcune civiltà orientali, specialmente in Persia, nell'area della religione di Zoroastro (600 a.C.).

Per i Greci - muovendo dal mito di Ciparisso, un giovane che per errore uccise il suo cervo molto amato e che, non trovando pace dal dolore, Apollo, movendosi a pietà, trasformò in un cipresso - l'albero era legato al lutto (cioè al dolore che si prova a causa della morte di qualcuno particolarmente amato). I Romani e gli Etruschi riprenderanno l'eredità greca del cipresso come albero sacro, legato al lutto e al funerale, oltre che a motivi ornamentali.

In ambito cristiano, il cipresso - insieme alla palma, al cedro e all'ulivo - è ritenuto uno dei quattro legni con cui fu costruita la croce di Gesù.

Tra i cipressi di particolare rilevanza, in qualche caso anche individuale, nell'ambito del paesaggio italiano, si ricordano il cosiddetto Cipresso di Michelangelo, conservato forse fin dalla costruzione della Certosa delle Terme nel chiostro dell'edificio, situato di fronte alla Stazione Termini in Roma (oggi inglobato nel Museo Nazionale Romano) e la cipresseta di Fontegreca nel Parco Regionale del Matese (CE). Anche il viale dei Cipressi immortalato dal poeta Giosuè Carducci nell'opera Davanti San Guido, che, con uno sviluppo rettilineo di quasi 4 chilometri collega Bolgheri all'oratorio di San Guido, è assoggettato a tutela nell'ambito del patrimonio storico nazionale.
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Da: le favole che aiutano a crescere...02/10/2011 23:08:09
Leggere favole della buonanotte ai propri bambini è un'abitudine che tutti i genitori dovrebbero avere e conservare: vuoi sapere perché?

    perché le favole della buonanotte aiutano il bambino a proiettare al di fuori di sé paure e dubbi tipici dell'età infantile, permettendogli di crescere;
    perché le fiabe della buonanotte rappresentano uno speciale momento di intimità tra genitore e figlio, nella tranquillità dell'ambiente domestico;
    perché le favole in generale stimolano la fantasia del bambino, e aiutano a sviluppare una mente flessibile e vivace.

Quella del raccontare fiabe prima della nanna è quindi un'attività utile e piacevole, che sarebbe bene mettere al posto di altri momenti di condivisione solo superficiale, come quello della tv. Il mondo delle fiabe è invece un luogo ideale per accompagnare i propri figli alla scoperta di valori positivi come il rispetto, l'amicizia, l'amore.
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Da: Perché gli alberi sempreverdi..............02/10/2011 23:12:54
...................non perdono mai le foglie.

L'inverno stava arrivando, e gli uccelli erano volati a sud, dove faceva più caldo e si trovavano bacche da mangiare. Un uccellino aveva un'ala spezzata e non poteva quindi volare con gli altri. Era rimasto solo in mezzo al gelo e alla neve. La foresta sembrava un posto più caldo, e l'uccellino si fece strada tra gli alberi per chiedere aiuto.

Per primo trovò una betulla. "Bella betulla" disse "la mia ala è spezzata e i miei amici sono volati via. Posso vivere tra i tuoi rami fino al loro ritorno?"

"No davvero" rispose la betulla, spostando via le sue foglie. "Noi della grande foresta abbiamo i nostri uccelli da aiutare. Non posso fare nulla per te".

"La betulla non è molto forte", pensò l'uccellino "e forse non riusciva a reggermi facilmente. Chiederò alla quercia". Quindi l'uccellino disse: "Grande quercia, tu che sei così forte, mi lascerai vivere tra i tuoi rami finché i miei amici ritorneranno, in primavera?"

"In primavera!" gridò la quercia. "E' un sacco di tempo. Come faccio a sapere cosa farai in tutto quel tempo? Gli uccelli sono sempre alla ricerca di qualcosa da mangiare, potresti anche mangiare le mie ghiande."

"Forse il salice sarà gentile con me", pensò l'uccellino, e disse: "Gentile salice, la mia ala è rotta, e non ho potuto volare a sud con gli altri uccelli. Posso vivere tra i tuoi rami fino alla primavera?"

Il salice non sembrava affatto gentile visto che rispose: "A dir la verità, io non ti conosco, e noi salici non parliamo mai con gli sconosciuti. Probabilmente da qualche parte ci sono alberi che ospitano strani uccelli. Ma ora vattene."

Il povero uccellino non sapeva cosa fare. La sua ala non era ancora forte, ma cominciò lo stesso a volare via per quanto riusciva. Prima che si fosse allontanato si udì una voce. "Uccellino, dove stai andando?"

"In realtà non lo so", rispose l'uccellino tristemente. "Ho molto freddo."

"Vieni qui, allora," disse l'amichevole abete, perché era su quella voce. "Puoi vivere nel mio ramo più caldo per tutto l'inverno, se lo vorrai".

"Davvero mi lascerai?" domandò l'uccellino speranzoso.

"Certo", rispose l'abete. "Se i tuoi amici sono volati via, è tempo per gli alberi di aiutarti. Ecco il ramo in cui le mie foglie sono più fitte e più morbide."

"I miei rami non sono molto spessi", intervenne il pino, "ma io sono grande e forte, e posso proteggere te e l'abete dal vento del nord".

"Anche io posso aiutare" disse il ginepro. "Ti posso dare frutti per tutto l'inverno, e tutti gli uccelli sanno che le bacche di ginepro sono buone."

Così l'abete rosso diede una casa all'uccellino solitario, il pino lo protesse dal freddo vento del nord, e il ginepro gli diede frutti di bosco da mangiare. Gli altri alberi guardavano e commentavano:

"Non vorrei avere strani uccelli tra i miei rami", diceva la betulla.

"Non darei le mie ghiande a nessuno", diceva la quercia.

"Non entrerei mai in contatto con gli sconosciuti", diceva il salice.

La mattina dopo le loro belle foglie splendenti giacevano tutte a terra, perchè il freddo vento del nord era arrivato nella notte, e aveva fatto cadere dall'albero ogni foglia che toccava. "Posso toccare ogni foglia nella foresta?" aveva chiesto il vento.

"No", aveva risposto il re Gelo. "Gli alberi che sono stati gentili con l'uccellino con l'ala spezzata possono tenere le loro foglie."

Ed è per questo che le foglie di abete, pino e ginepro sono sempre verdi.
Rispondi

Da: per non dimenticare03/10/2011 11:18:29
che c'azzecca??? questi qui hanno commesso fatti di RILEVANZA PENALE!!!!! Avete capito o no?
Hanno messo l'attack sui moschettoni che reggono la bandiera!
Hanno commesso vilipendio durante una cerimonia solenne!
Ho sentito anche parlare di gente assente che invece risulta presente grazie a firme false!!!!!
Chi è assente è responsabile di truffa ai danni dello Stato!!!
Chi ha firmato, oltre che favoreggiamento e concorso nella truffa, è pure responsabile di falso!!!
Ma vi rendete conto??????
E chi è che deve vigilare???? I tutor o qualcun altro????
Ci vuole tanto a verificare, al di là del foglio firme, se i presenti ci sono tutti???? Non si vedono i vuoti in aula??????
C'è la culpa in vigilando?????
Rispondi

Da: per le cornacchiacce03/10/2011 12:29:07
che c'azzecca??? questi qui hanno commesso fatti di RILEVANZA PENALE!!!!! Avete capito o no?
Hanno messo l'attack sui moschettoni che reggono la bandiera!
Hanno commesso vilipendio durante una cerimonia solenne!
Ho sentito anche parlare di gente assente che invece risulta presente grazie a firme false!!!!!
Chi è assente è responsabile di truffa ai danni dello Stato!!!
Chi ha firmato, oltre che favoreggiamento e concorso nella truffa, è pure responsabile di falso!!!
Ma vi rendete conto??????
E chi è che deve vigilare???? I tutor o qualcun altro????
Ci vuole tanto a verificare, al di là del foglio firme, se i presenti ci sono tutti???? Non si vedono i vuoti in aula??????
C'è la culpa in vigilando?????
Rispondi

Da: x per le cornacchie...03/10/2011 18:35:40
perchè definisci la cerimonia... solenne?
Rispondi

Da: noa03/10/2011 19:48:37
GEAPRESS - Esordio drammatico, nel bresciano, per le squadre speciali del Nucleo Antibracconaggio del Corpo Forestale dello Stato.

Il primo grave incidente è occorso il primo ottobre, nel Comune di Monticelli Brusati in località La Montina, dove un cacciatore ha centrato, durante una battuta di caccia, un Assistente del Corpo Forestale dello Stato in servizio presso il Nucleo Operativo Antibracconaggio (N.O.A.) distaccato sul "Passo Maniva" (Bs). Un errore di caccia, come il cane ucciso giorni addietro sempre nel bresciano, scambiato per una lepre (vedi articolo GeaPress). I Forestali erano appostati per intervenire ai danni di un bracconierie che aveva sistemato alcune reti, già con una dozzina di uccelli catturati, più 100 archetti, sempre trappole per avifauna. Nei pressi c'era, però, un cacciatore che appena ha visto muovere la vegetazione, ha sparato centrando il Forestale appostato. Il bracconiere si è dato alla fuga.

"Il nostro Forestale sarebbe sicuramente morto - ha dichiarato il Comandante del NOA, Vice Questore Aggiunto Isidoro Furlan - se la rosa di pallini non fosse stata schermita dalla  fitta vegetazione".

Il colpo di fucile, infatti, è partito da appena dodici metri, ma solo quattro pallini hanno raggiunto la gamba del Forestale. Ad aggravare la situazione, però, la stessa distanza dalla postazione della Forestale. Oltre due ore a piedi. Lunghi sopralluoghi nei boschi per cogliere in flagranza i bracconieri. Soccorso dai colleghi e dagli stessi cacciatori, il Forestale è stato caricato nella macchina di uno dei cacciatori e così ricoverato in ospedale. In tutto quattro pallini nella gamba che dovranno essere estratti con una operazione chirurgica. Il cacciatore è stato denunciato per lesioni colpose.

Il secondo incidente, invece, è avvenuto durante un intervento della Forestale sempre lo stesso primo ottobre. Dieci ore di appostamento all'agghiaccio per gli Agenti del NOA e poi l'intervento in località "Cimitero" nel Comune di Agnosine (Bs). Qui all'alt della Forestale il bracconiere si è dato alla fuga. Ne è seguito un inseguimento serrato con una prima colluttazione e poi un secondo corpo a corpo, dove il bracconiere ha spinto con forza un Agente, ex atleta del Corpo Forestale dello Stato, provoncandogli una frattura composta "trochide omerale destra" della spalla. A questo punto sono giunti i rinforzi della Forestale che hanno bloccato il cacciatore di frodo. Un uomo già noto per numerosi precedenti specifici, tanto che al bracconiere, era stata ritirata la licenza di caccia. Il Forestale ferito, condotto a Gavardo, è stato ricoverato al pronto soccorso. Per lui 35 giorni di prognosi. L'intervento in questione ha portato al sequestro di cinque reti per uccellagione della lunghezza di circa 200 metri, circa 300 trappole in ferro per l'avifauna, sei pettirossi in grado di riprendere il volo e prontamente liberati, due tordi e cinque lucherini.

Ancora una volta, dunque, ritorna il problema della sicurezza. Il Comandante del NOA, dott. Isidoro Furlan, ha raccomandato ai cacciatori di utilizzare la massima precauzione, specie nei fine settimana, quando i boschi sono molto frequentati da escursionisti, turisti, cercatori di funghi e di castagne.

"Un pericolo ancor più accentuato nel primo periodo di caccia - ha dichiarato a GeaPress il Comandante Furlan - una preoccupazione che dovrebbe essere primaria ed invece messa in secondo piano rispetto alla preoccupazione di cacciare. La sicurezza prima di tutto. Non si può sparare appena si muove qualcosa, bisogna avere la massima attenzione" ha aggiunto il Comandante Furlan.

"Il bracconaggio - ha affermato il Comandante Furlan - è ancora una grande piaga, per la fauna e gli usufruitori della montagna, ivi compresi i cacciatori, ai quali raccomandiamo massima accortezza, soprattutto per l'incolumità dei raccoglitori di castagne e funghi, questi ultimi spesso in compagnia dell'intera famiglia".

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Da: .....X di Pietro.....03/10/2011 19:54:27
O procedi o la finisci di copiare gli stessi post???
Si e' capito del fattaccio o devi ancora continuare?
Non hai il coraggio di procedere perché pensi ti potrebbero cacciare....e farebbero bene perché hai stufato....
E basta anche con le cornacchie...se hai il coraggio esponiti davanti a tutti domani e di pure quello che pensi....ma dubito che ci riesci!!!
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