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commissario forestale prove scritte
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Da: le favole della buonanotte28/09/2011 23:41:58
La papera Betta
C'era una volta la papera Betta, che viveva in una pccola casetta sul laghetto Smeraldino pieno
di Ninfee insieme ai suoi due fratellini, tre sorelline, la mamma, il papà e i nonni paperi.
Il giorno del suo compleanno decise di andarsene in giro per il mondo: prati, laghetti, fiumi e
mari per conoscere nuovi amici.
Davanti ad un'enorme torta piena di panna e cioccolata che le aveva prepartato la nonna disse
"Grazie per la buonissima torta e per tutti i regalini, ma io ho deciso di andare via dal laghetto
Smeraldino per un pò di tempo perchè voglio vedere cose nuove"
.
La mamma paperina scoppiò a piangere e non voleva far partire Betta.
Il papà invece abbracciò la figlia e disse "ti lascerò andare perchè devi fare le tue esperienze
ma non sarà facile" . Così Betta dopo aver baciato tutti
se ne andò.
Durante il suo viaggio incontrò molti amici come il rospo Bibò, l'anatroccolo Arturo, l'oca Pamela
ed anche animali poco socievoli, ma non di certo cattivi.
Un giorno mentre si trovava nel mare fu attratta da una macchia marrone non appena si fu
avvicinata si sentì le ali incollate e non riusciva più a muoversi... quando non aveva più forze
arrivò il Gabbiano Lorena e presa Betta con il becco la posò in terra e le disse "Stai attentà
perchè ci sono molti pericoli come questi"
.
Allora Betta pensò che doveva evitare tutte le macchie marroni.
Mentre pensava, le venne fame: camminava in mezzo ad un prato pieno di violette, ranuncoli e
panzè, quando vide un piccolo tronco marrone e bianco con l'estremità bruciacchiata, pensò
che doveva provare un cibo nuovo.
Lo beccò e capì immediatamente che era disgustoso, dopo un pò la sfortunata Betta cominciò a
stare male... per fortuna arrivò Bibò, che la portò dal medico Agata che le diede come medicina
petali di margherita e foglie di tulipani rossi.
Quando si sentì meglio Betta decise di tornare a casa perchè capì che c'erano molti pericoli
contro cui non poteva difendersi invece lì nel laghetto smeraldino non c'erano macchie marroni
collose o tronchetti velenosi.
Così tornò nella sua casetta dove venne accolta da tutta la famiglia con molta gioia e baci.
Rispondi

Da: l''angolo del buongustaio29/09/2011 07:20:33
Treccia di capodanno (neujahrspretzel germania)

Ingredienti

345 g di farina
250 ml di latte
115 g di burro
100 g di zucchero
50 g di mandorle tritate
50 g di canditi misti
2 uova
2 cucchiaini di sale
2 bustine di lievito
acqua
olio.
Per la glassa:
130 g di zucchero a velo
essenza di vaniglia

Procedimento

In un pentolino scaldate il latte e il burro portandoli a circa 50°. In una capiente ciotola mescolate 115 grammi di farina setacciata con il lievito, il sale, lo zucchero quindi versatevi a filo il latte caldo mescolando con energia per due minuti. Incorporate al composto un uovo alla volta e poi altri 115 grammi di farina. Continuate a mescolare e unite altri 115 grammi di farina fino a ottenere un impasto da poter lavorare con le mani e farlo diventare omogeneo ed elastico. Formate una palla, sistematela in una ciotola spennellata d'olio, copritela, e lasciatela lievitare al caldo per un'oretta. Rimpastate nuovamente e lasciatela lievitare nello stesso modo fino a quando sarà raddoppiata di volume (circa un'altra ora).

Incorporate alla pasta i canditi tagliati a cubetti e dividete l'impasto in tre parti. Con ciascuna formate un rotolo di circa tre centimetri di diametro, intrecciateli e date alla treccia una forma rotonda, saldate le estremità sovrapponendole leggermente in modo d'avere una corona perfetta.

Adagiate la treccia in una teglia foderata con carta forno. Lasciatela lievitare ancora venti minuti, quindi cuocete in forno caldo a 180° per mezz'ora.

Ritirate e lasciate raffreddare.

Nel frattempo, con lo zucchero a velo, un po' d'acqua e un cucchiaino di essenza di vaniglia formate una glassa mediamente liquida. Spennellatela sulla treccia e prima che si solidifichi cospargetela di mandorle tritate. Tenete al fresco fino al momento di servire.

Per saperne di più
Curiosità Questa treccia in realtà è una variante dei famosi pretzel, biscotti dolci o salati che hanno una vaga forma a "otto", preparata per il primo giorno dell'anno nuovo. Se preferite, invece della treccia con questa ricetta potete preparare due grandi pretzel e servirli affiancati.
Rispondi

Da: 29/09/2011 07:25:30
anche oggi si va in gita e i compagnucci e la cornacchia saranno già pronti per nuovi "giochini" (sempre che non viene anche il conacchione). ma a noi tutto sommato cosa ce ne frega degli alberi e di mangiare un panino ammuffito e una scatotella di tonno pieno di piombo avariato sequestrato nel porto di civitavecchia due anni prima??? non sarebbe meglio andare a lavorare in qualche sede e conoscere meglio la "vita lavorativa" di questo corpo????
Rispondi

Da: il saggio dice...29/09/2011 07:40:00
La terra crea le sue creature, la terra le nutre, la terra dà loro forma, la terra le fa crescere e le sviluppa, dà loro un porto, un sito dove vivere in pace, dà loro la vita e non le possiede, le aiuta e non si appropria di loro. Essa è superiore, ma non le controlla.  

Il contadino all'inizio dell'inverno ottura le falle, chiude le porte, smussa gli spigoli della terra, scioglie i grovigli delle erbe secche, smorza la luce e affoga il tumulto del vino profumato nelle botti. Questo è ciò che deve fare. Allora l'odio non potrà toccarlo, la perdita non potrà raggiungerlo, il disonore non potrà interessarlo perchè egli si è staccato dal resto del mondo.   

Un albero il cui tronco non riesci ad abbracciare ha inizio da un delicato germoglio.   

Il contadino nel suo campo impara sempre ciò che ancora non sà, ricostruisce ciò che nell'inverno ha perduto, cosicchè egli aiuta la natura senza per questo volersi intromettere. 
 
Dove passa l'aratro della tempesta si trova sempre il solco della miseria.   

Quando il sole nasce trova una corte di adulatori; quando muore trova dei veri amici che lo ammirano.   

Sotto il sole di luglio il cervello non è mai saggio.   

Quando la notte è così buia da non scorgere il proprio naso, siatene certi, l'alba è molto vicina.   

Per la dura carne del lupo servono solamente le zanne del cane. 
 
Chi semina in ottobre sotto la pioggia, raccoglie in giugno sotto il sole.   

Ho veduto pianticelle di riso germogliare senza fiorire; ho veduto pianticelle di riso fiorire senza germogliare e dare frutti.   

La rosa tra le oscure foglie di un giardino incolto è come la speranza tra le sofferenze.   

La rana immersa nella melma di uno stagno non sente il profumo dei fiori. Che cosa conosce dunque nel mondo?   

Giammai le acque di un fiume possono risalire la corrente e le sorgenti. Come la vita di un uomo. Egli non potrà mai ritornare con il suo corpo all'antica sorgente della madre.   

Il grano maturo cade sotto la grandine. Quanto possiamo raccogliere di tutto ciò che seminiamo?   

Ieri era un fiore, oggi è rimasto solamente un sogno.   

Quando le vacche camminano trascinando faticosamente l'aratro, avrai un raccolto molto fiacco.   

Senza fatica non si mangia neppure un granellino di riso.   

Ogni fiore ha il suo profumo, ogni uccello le proprie ali, ogni pianta le sue radici, ogni acqua i propri pesci, ogni vento i suoi granelli di sabbia.   

La terra che produce oro e argento non è buona per nessun lavoro del contadino.   

Il sole di febbraio non matura, ma rende molto duri i frutti.   

La pioggia d'aprile richiede il lavoro dell'aratro e la forza del bove.
   
Senza una goccia d'acqua l'aprile assomiglia a una sposa senza anello.   

Maggio è la luce del mondo, non occorre la lanterna per rischiarare la strada durante la notte.   

D'agosto il sole brucia sulla porta e annerisce la soglia.  

Quando fa caldo, le nubi piangono, il lampo sorride, le nubi fanno guerra e l'acqua fugge.   

La luna che sorge taglia con i suoi raggi l'oscurità, come una falce d'argento miete i fiori nei campi.   

Se per tempo rivolterai la terra con l'aratro, essa ti darà per tempo tutto l'oro che rinserra.   

Solo paglia sarà il raccolto di colui che semina sul bagnato.   

Deponi il seme nella terra madre e aspetta che essa partorisca il nuovo figlio.   

Quando il salice si muove, la primavera è in arrivo.   

Vibrando a cento piante un solo colpo per ciascuna, nessuna di esse sarà abbattuta.   

Chi si è affaticato nel sole dell'estate, stia pure all'ombra del sole dell'inverno e si riscaldi al calore del focolare.   

Chi semina seme di senape secca, seme di senape secca raccoglie.  

Come dal ciliegio si staccano i fiori nel giro di una notte, così nella rosea alba le stelle si staccano dal cielo.   

Il sole che tramonta è come il vecchio che non lontano dalla fine, sfolgora il suo ultimo bagliore di intelligenza.   

Anche la debole forza di una formica può smuovere la grande potenza di una montagna.   

Il cielo fa sempre il nido all'uccello cieco.   

Gli uccelli non seminano, non mietono, eppure essi vivono e si riproducono.   

Il cuculo sa quando spunta il giorno e la civetta quando incomincia la notte.   

Volendo fornirti di un mezzo di trasporto scegli il tuo bue. Esso valicherà senza stancarsi quaranta monti. 

Quando i maiali bevono a sazietà, non hanno bisogno di mangiare.   

Non tirare la coda al gatto, potresti trovare i denti di una tigre. 
 
Il tempo cattivo è sempre peggiore se lo si guarda da una piccola finestra.   

La vita è come una cipolla: se ne stacca un pezzo alla volta e ogni tanto si piange per le sue emanazioni.   

I fiumi sono strade che camminano e che portano non dove vogliamo noi, ma dove vogliono loro.   

Movimento è la nostra natura, morte è il riposo totale.  

L'albero non cade mai al primo colpo della scure.   

Non lodare la luce del giorno fino a quando non avrai conosciuto il buio della notte. (Non lodare l'uomo prima di conoscerlo bene).  

I folti rami di un albero celano i frutti più belli.   

A un albero caduto non strappare tutte le foglie, potranno servirti ancora una volta da riparo.   

Non bisogna dormire sugli allori per lungo tempo. A lungo andare le foglie si essicano e si riposa male su di un letto di foglie secche e dure.   

Il pesce è ingannato non dall'amo, non dalla canna, ma dall'esca.   
Se si vuole cogliere una rosa dal lungo gambo, non si devono temere le spine.   

Per quanto forte batta il martello sull'incudine, è sempre l'incudine che dura di più. Al martello si può spezzare il manico. (Lascia dire ai maldicenti, la rovina arriva prima su di loro).   

In un'aiuola di rose, anche un cardo fa la sua bella figura. 

Rispondi

Da: L’uomo è padrone della parte migliore di se stesso29/09/2011 07:51:55
L'uomo è padrone della parte migliore di se stesso

Ou0 dei= panta/pasin e0ktapeinou=n ou0de\ kataba/llein th\n fu/sin w9j mhde\n i0sxuro\n mhde\
mo/nimon mhd' u9pe\r th\n tu/xhn e!xousan, a0lla\ tou0nanti/on ei0do/taj o#ti mikro/n e0sti me/roj tou=
a0nqrw/pou to\ saqro\n kai\ to\ e0pi/khron, w{| de/xetai th\n tu/xhn, th=j de\ belti/onoj meri/doj
au0toi\ kratou=men e0n h{| ta\ me/gista tw=n a0gaqw=n i9druqe/nta, do/cai te xrhstai\ kai\ maqh/mata
kai\ lo/goi teleutw=ntej ei0j a0reth/n, a0nafai/reton e!xousi th\n ou0si/an kai\ a0dia/fqoron,
a0nekplh/ktouj pro\j to\ me/llon ei}nai kai\ qarrale/ouj, pro\j th\n tu/xhn le/gontaj a4
Swkra/thj dokw=n pro\j tou\j kathgo/rouj le/gein pro\j tou\j dikasta\j e!legen, w9j
a0poktei=nai me\n 1Anutoj kai\ Me/lhtoj du/nantai, bla/yai d' ou0 du/nantai. Kai\ ga\r h9 tu/xh
du/natai no/sw| peribalei=n, a0fele/sqai xrh/mata, diabalei=n pro\j dh=mon h@ tu/rannon: kako\n
de\ kai\ deilo\n kai\ tapeino/frona kai\ a0gennh= kai\ fqonero\n ou0 du/natai poih=sai to\n a0gaqo\n
kai\ a0ndrw/dh kai\ megalo/yuxon ou0de\ parele/sqai th\n dia/qesin, h{j a0ei\ parou/shj ple/on h@
kubernh/tou pro\j qa/lattan o!felo/j e0sti pro\j to\n bi/on.

PLUTARCO, De tranquillitate animi 17 (475 D-E)

TRADUZIONE
Non occorre affatto calunniare e distruggere la (propria natura) come se non
avesse niente di forte o di durevole né niente al di là della sorte, ma al
contrario (occorre) che noi sappiamo che una piccola parte dell'uomo
costituisce il marcio e il mortale, che riceve dalla sorte, mentre noi stessi
dominiamo la parte migliore in cui essendovi le cose più importanti tra i beni,
come le dottrine migliori, la disciplina e i discorsi finalizzati alla virtù, hanno il
bene inalienabile ed eterno, e (occorre) che noi non impressionati verso ciò che
sta per avvenire e impavidi rispondiamo alla sorte ciò che Socrate, pensando di
rivolgersi ai suoi accusatori, disse ai giudici,cioè, che Anito e Meleto avrebbero
potuto ucciderlo ma non avrebbero potuto recargli danno. Ed infatti la sorte
può danneggiare con la malattia, spogliare delle ricchezze, screditare tra il
popolo o verso il tiranno; ma non può rendere cattivo e vile e pusillanime e
ignobile e invidioso l'uomo buono e coraggioso e dall'animo grande, nè toglierli
la sua disposizione d'animo, la cui costante presenza è più utile alla vita che di
un timoniere sul mare.
Rispondi

Da: in viaggio29/09/2011 07:57:59
L' Australia, vista dall'Europa si trova esattamente dall'altra parte del mondo.
Il paese ha molto da offrire in termini di paesaggio:
particolarmente impressionante è l'interno rosso "The red outback".
Per coloro i quali desiderano esplorare, il metodo migliore per visitare questo affascinante paese, é sicuramente "Zaino in spalla", nolleggiare una macchina o meglio un camper e organizzare bene gli itinerari.


L'australia è tutta da esplorare, é ideale per chi ama l'avventura: mettersi sulle tracce degli aborigeni, suonare tipici strumenti come il "Digeridoos", un tubo costruito con bambú o eucalupto, usato spesso per pratiche meditative.

In Australia si trovano numerose riserve e parchi naturali, in nessun caso si deve perdere l' „Ayers Rock", il famoso simbolo australiano, posizionato nel nord del continente.

La roccia rosso-sangue sembra incandescente come fuoco e durante il tramonto offre al visitatore un impressionante spettacolo naturale!

Oltre alla natura, in Australia si possono visitare anche grandi città e metropoli come la capitale di Sydney.

L'edificio piú spettacolare di questa cittá è l'Opera, costruita dall'architetto danese Joern Utzon. La costruzione di questo capolavoro è durata 14 anni.

Se siete interessati a opere, ballo, teatro o concerti, dovreste fare un salto all'opera di Sydney per assistere ad una rappresentazione sicuramente... "magica".

Oltre all'opera Sydney ha molto da offrire, non perdetevi la caratteristica cittá vecchia "The Rocks", visitate "Harbour bridge" e godetevi la meravigliosa vista alla cittá dalla "Sydney Tower", la torre alta 250 m.

Un vero paradiso per praticare sub e snorkeling é "the Great Barrier Reef", la barriera corallina, nel nord est dell'isola: meravigliose banchine coralline, con un mondo subaqueo esotico abitato da sciami di pesci di tutti i colori.

La Great Barrier Reef è circondata da ulteriori piccole isole da sogno, sulle quali si può fare una scappata o una gita di un giorno.

In Tasmania si trova il deserto con una natura selvaggia totalmente indisturbata; questa isola nell' sudest dell'Australia è lo stato federale più piccolo del paese.

I suoi abitanti sono consapevoli del fatto di essere sul paradiso terrestre.


L'Australia è uno stato dell'oceania interamente circondato dal mare: a nord e a est si affaccia sull'oceano Pacifico, a sud e a ovest sull'oceano Indiano.
Le sue coste sono per lo più basse, eccetto nella parte sudorientale. Una barriera corallina si estende per 2500 Km di fronte alle coste orientali.

Il monte Kosciusko, parte delle Alpi Australiane a sud del paese, con i suoi 2228 m, è la vetta più alta d'Australia. A est si estende una lunga catena montuosa, di 3300 km chiamata Gran Catena Divisoria. Nel centro
L'Australia è un paese per lo più arido con un clima desertico, sub desertico.

Le città principali in ordine di importanza sono:
La capitale Cranberra ;
Le città più popolose: Sydney e Melbourn , le sole due che superano i 3 milioni di abitanti,
poi Brisbane , Perth e Adelaide.

L'Australia fa parte del Commonwealth, è una monarchia costituzionale con a capo la regina Elisabetta II d'Inghilterra, in effetti il suo potere è solo formale.
Il maggior potere esecutivo è dato al Governatore Generale dell'Australia , suo rappresentante.
I maggiori abitanti dell'Australia sono di origine europea, soprattutto inglesi.

Molti sono gli immigranti Irlandesi e Italiani mentre solo una piccola parte asiatica.
La maggior parte della popolazione vive nelle cittá mentre gli aborigeni, cioè i veri originari australiani (Australoidi), che sarebbero solo il 2%, vive invece nelle zone meno popolate del paese.

L'economia dell'Australia si basa principalmente sull'agricoltura con notevole produzione di cereali ma anche frutta e vite.

Da non sottovalutare l'allevamento, per la lana e le risorse minerarie.
Chi desidera trascorrere qualche mese in australia non avrá problema a trovare un lavoretto temporaneo nel campo agricolo soprattutto nella raccolta di frutta e verdura!

Lingua: La lingua ufficiale è l' inglese.
Moneta: Dollaro australiano.
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Da: NOOOOOOOOO....29/09/2011 13:21:04
NON PERDERE L'AEREOOOOOOO!!
Maledetta presentazione del libro.... ma è possibile che non si sa mai una mazza degli orari che si fanno se non giorno per giorno, minuto per minuto... ma guardate che gli aerei costano, non è che la gente può prenotare 2-3 aerei la settimana xchè si sa solo il lunedì quando si tornerà a casa (e poi in modo impreciso visto che mi perde l'aereo!)
Rispondi

Da: ECCO29/09/2011 16:39:09
Performances of analytical methods for freshwater
analysis assessed through intercomparison exercises.
I. Total alkalinity
Aldo MARCHETTO*, Michele BIANCHI**, Helga GEISS**,
Herbert MUNTAU**, Giorgio SERRINI**, Gianna SERRINI-LANZA**,
Gabriele A. TARTARI* and Rosario MOSELLO*
*C.N.R. Istituto Italiano di Idrobiologia, Largo Tonolli 50, Verbania Pallanza, Italy
**EU Joint Research Center, Environment Institute, Ispra, Italy
ABSTRACT
In 1991-95, five intercomparison excercises were held, in the framework of an activity connecting
laboratories participating in different projects (Environmental studies in the Mediterranean
Basin, Italian Network for the study of wet deposition, Acidification of mountain
lakes: palaeolimnology and ecology, Limnological studies of Lake Léman). The number of
participants increased from 72 in 1991 to 115 in 1995. The chemical variables considered
were pH, conductivity, alkalinity and major ions (Ca, Mg, Na, K, ammonium, sulphate, chloride
and nitrate). Results showed that the alkalinity measurements were the most critical, and
some analytical techniques proved to be inadequate for the values considered (around 0.04
to 0.13 meq l-1). This paper discusses the errors associated with alkalinity measurements,
comparing the performances of different techniques and showing the improvement in results
obtained by the laboratories participating in the whole set of exercises.
Key words: intercomparison, alkalinity, rainwater, analytical methods
1. INTRODUCTION
Five intercomparison exercises on rainwater samples were performed from 1991
to 1995 in the framework of the project "Analytical Quality Control and Assessment
Studies in the Mediterranean Basin (AQUACON)", part of the "Protection of the
Environment" program, carried out by the Environment Institute of the Joint Research
Center (JRC-EI), in collaboration with the Istituto Italiano di Idrobiologia of
the Italian National Research Council (CNR-III). The program, developed by the
EU-member countries belonging to the Mediterranean area in close partnership with
the Environment Institute, is aimed at the identification, quantification and reduction
of random and systematic errors associated with the most important branches of environmental
analysis. At their request, other research teams working in the environmental
field joined the exercises, which eventually involved the laboratories participating
in the following projects: Analytical Quality Control and Assessment Studies
in the Mediterranean Basin (AQUACON), Acidification of Mountain Lakes: Paleo2
A. Marchetto et al.
limnology and Ecology (AL:PE), International Commission for the Protection of
Lake Léman, Italian network for the study of wet deposition chemistry (RIDEP). A
group of South American laboratories involved in freshwater research also asked to
be included in the exercise.
The aim of this paper is to present the methods used for sample preparation and
data elaboration, and to discuss the alkalinity values which emerged from the five
intercomparison exercises. The list of participating laboratories and the whole set of
results are reported elsewhere (Mosello et al. 1993a, 1993b, 1994, 1995, 1996).
2. METHODS
2.1. Sample preparation
For each exercise, two samples prepared specifically for alkalinity measurements,
were prepared at the JRC-EI in 1991 by diluting lake water, and in 1992-95 by
dissolving sodium hydrogen carbonate in water of the highest quality (nanopure
U.W.S. Barnstead). Potassium chloride was also added to increase the ionic strength,
up to a conductivity of about 30 μS cm-1 at 20 °C. The prepared solutions were
stabilized by adding about 0.2% volume of chloroform.
Bottling was done by hand, rinsing the previously conditioned (two weeks with
nanopure water) 500-ml polypropylene bottles with the samples and then filling them
up to the top. The alkalinity values were chosen in the range of those present in some
episodes of atmospheric deposition in Southern Europe, and are in the same range as
those measured in many remote European lakes, and in areas characterized by poorly
buffered water.
Samples were sent to the participating laboratories by mail, and the stability of
the solutions was checked by analysing samples kept in the dark at room temperature
by the two organizing laboratories over the period allowed for the exercise. The
results demonstrate the stability of the solutions, for the duration of the exercise
(Mosello et al. 1993a, 1993b, 1994, 1995, 1996).
2.2. Sample homogeneity and stability
An estimation of the variance of alkalinity was obtained by measuring the alkalinity
in ten randomly selected bottles for each sample. All the alkalinity measurements
were performed in one laboratory by the same analyst using the same analytical
method. The variance due to the analytical method was then estimated by repeating
the measurement ten times on the same bottle. Alkalinity heterogeneity in the
solutions was then estimated as the square root of the difference of the variances of
samples and methods; it proved to be lower than 1.5% for most samples, and even
lower than 1% in some cases, indicated in table 1.
2.3. Data presentation
The participating laboratories were requested to perform a single analysis for
each sample using the method usually performed for this kind of samples. Target
Performances of analytical methods: total alkalinity 3
values (Tab. 1) were calculated as the mean of the values obtained by the organizing
laboratories, using either Gran's method (Midgley & Torrance 1979) or the two-end
points potentiometric titration (A.P.H.A. 1981; Rodier 1981).
The data for each sample and each participating laboratory were normalized by
dividing for the expected value. As the expected values for the five exercises were
relatively close to each other (Tab. 1), the results were grouped in a set of "low
values" and a set of "high values". Normalized data were then plotted in distribution
graphs (Fig. 1), with the expected values. A range of ±20% of the expected values
was also plotted; this does not represent a goal to be reached, but is only an aid to
seeing the data distribution. Extreme outliers were not considered in the graph, nor in
the Youden plot (Fig. 2). This graphical presentation uses the data for two samples,
analyzed using the same analytical method, which are plotted in a scatter diagram
(Youden & Steiner 1975), to distinguish between random and systematic errors: if,
hypothetically, the analyses were only affected by random errors, the results would
be spread over the whole diagram. However, the results are usually concentrated in
the lower left and the upper right quadrants, forming an elliptical pattern along the
line passing through the origin and the expected values. This is due to systematic
errors which underestimate or overestimate the concentrations in both samples.
Tab. 1. Number of laboratories participating in the five intercomparison exercises
and expected values (meq l-1). Asterisks denote samples with heterogeneity
lower than 1%. Other samples show heterogeneity lower than 1.5%.
Exercise Participating Expected values
laboratories Low value High value
1991 72 0.037 0.124*
1992 80 0.038 0.118*
1993 99 0.039 0.134
1994 108 0.039 0.121
1995 115 0.041* 0.130*
2.4. Robust statistics
Outlier rejection is not correct practice when included in the evaluation and
comparison of the precision of analytical methods, as it can produce a smaller standard
deviation (s) for methods producing a larger number of outliers. An alternative
approach is robust statistics (e.g. Huber 1984), which shifts from outlier rejections to
outlier accommodation: extreme values are downweighted and that downweighing is
compensated for. In this paper we used the iterative technique known as H15,
assuming a value of 1.5 for the constant c (Analytical Method Committee 1989).
The procedure begins by assigning to the estimated robust mean (m0) the median
of the sample values (xi) and to the estimated robust s (s0) the median of the quantities
(|xi - mo|)/ 0.6745. Then, at each n-th iteration, all values higher than mn-1 + c sn-1
or lower than mn-1 - c sn-1 are replaced by the pseudo-values mn-1 + c sn-1 and mn-1 - c
sn-1, respectively, while the pseudo-values for the remaining values are the values
themselves. The new estimate of the robust mean mn will be the mean of the pseudo4
A. Marchetto et al.
values, while the new estimate of the robust s (sn) will be their s divided by the
square root of the constant b, which compensates for the downweighting of the extreme
values. At c = 1.5, b = 0.736 c (Analytical Method Committee 1989). The estimated
parameters rapidly converge to the robust mean and standard deviation.
Fig. 1. Distribution plot of the normalized alkalinity values. Lines indicate expected values
±20%. Unit: expected value. Method legend in table 2. Extreme outliers are not shown.
Performances of analytical methods: total alkalinity 5
Fig. 2. Youden plot of the normalized alkalinity value. Circles indicate expected values
±20%. Unit: expected value. Points lying more than three times the expected value are not
shown.
3. ANALYTICAL METHODS USED BY THE PARTICIPATING
LABORATORIES
To comment on the results, a brief description of the main analytical techniques
employed may be useful. Alkalinity measurements are affected both by systematic
errors, related to equipment and the determination of the inflection point, and by
random errors. The methodological aspects are more important for low values in
particular. Aspects related to errors associated with the kind of titration used
(automatic titrator or manual burette) are discussed by Rodier (1984), APHA (1992),
Kramer et al. (1986).
6 A. Marchetto et al.
The alkalinity of a water sample is a measure of its capacity to neutralize strong
acids. In natural water, it generally corresponds to measurement of the bicarbonate
concentration, as the inorganic carbon system is the dominant contributor to alkalinity
and, if pH is below 8.3, carbonate concentration is negligible. In theoretic
terms, the alkalinity is equivalent to the amount of acid necessary to reach the inflection
point of the titration curve between bicarbonate and carbonic acid + carbon
dioxide. A further problem arises from the fact that the equivalence pH of the alkalinity
titration depends on the CO2 concentration at this point, which is a function of
the total concentration of the carbonate system. Consequently, the equivalence point
of the alkalinity titration depends on the alkalinity to be determined (Stumm &
Morgan 1981; Kramer et al. 1986).
3.1. Fixed end point titration
Some laboratories use a fixed pH as end point of the titration, detected either
potentiometrically or using a dye as internal indicator. Apart from the equipment
used, the alkalinity values depend on the pH value chosen as end point. Differences
due to the adoption of different end points are clearly systematic, and they may be
important at low alkalinity levels. The use of different colorimetric indicators clearly
means the adoption of different end points, added to the errors related to the different
perception by the operator of the variation in color: for instance, in the case of
colorimetric titration with methyl orange indicator, an uncertainty of from 0.02 to
0.09 meq l-1 can be caused by different perceptions of the colour change (Asbury et
al. 1989). Precision of colorimetric titration may be improved by using a colorcomparison
titration, or by performing a correction based on blank measurements, as
suggested, for example, by Rodier (1984).
An improved single end-point alkalinity measurement has been proposed by
Henriksen (1982), considering a titration to pH 4.5: the measured alkalinity (MA4.5,
in μeq l-1) is corrected for the amount of acid used from the equivalence point to pH
4.5, estimated at 32 μeq l-1, and further corrected for the variation of the equivalence
pH with alkalinity using the equilibrium constant for the bicarbonate/carbon dioxide
system:
TA (μeq l-1) = (MA4.5 - 32) + 0.646 (MA4.5 - 32)0.5
3.2. Direct detection of the equivalence point
The detection of the equivalence point is necessary to ensure that the selected end
point is correct. Recording the pH of the solution after each addition of acid, it is
possible to draw the titration curve and to detect the equivalence point. An example
is shown in figure 3, where the identification of the inflection point is made easier if
the first derivative of the curve is considered. In practical terms such measurements
require the use of an automatic burette and a software which records and elaborates
signals relating to acid addition and pH measurements of the solution analyzed. To
determine alkalinity levels in atmospheric deposition and in acid-sensitive waters,
the use of an automatic titrator is highly recommended.
Performances of analytical methods: total alkalinity 7
Alternatively, it is possible to continue the titration well after the equivalence
point and to extrapolate its value from a number of measures of the hydrogen ion
concentration or of some related variables, such as the pH or the electric conductivity
of the solution.
3
4
5
6
7
8
0.0 0.3 0.6 0.9 1.2
added HCl (ml)
pH
0
200
400
600
800
1000
[H+]
equivalence point
Fig. 3. Example of titration curve with HCl 0.05 N. Dark solid line: pH; dark broken line:
hydrogen ion concentration (μeq l-1); light line: first derivative of pH.
3.3. Gran's titration
The method described by Gran (1950, 1952) consists in a stepwise titration, with
pH measurements after each of 5-10 additions of titrant acid, in the pH range 4.5-3.5
(Midgley & Torrance 1979). The equivalence point is then detected by transforming
the pH data (between 4.5 and 3.5) into functions and plotting against the volume of
titrant added (x, in ml). Then the regression lines intersect the x-axis at the equivalence
point (x0). The most used Gran's function (Fig. 4) is:
F1 = 10-pH (V + x)
where V is the volume of the sample, in ml. Total alkalinity (TA, μeq l-1) is then
obtained as:
TA = x0 N / V
where N is the titrant concentration (eq l-1).
In principle Gran's titration can be performed using a manual burette and direct
reading of the volumes added and the pH of the solution; in practice an automatic
burette is required, preferably with software facilities. Furthermore, this technique is
relatively time consuming for routine analyses (10-15 minutes).
8 A. Marchetto et al.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0.00 0.05 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30
Added HCl (ml)
F1
x0
Fig. 4. Example of Gran's F1 function. x0: intercept on the x-axis. Data points are collected
between pH 3.5 and 4.5.
3.4. Two end points titration
At first, the titration is performed up to a pH of between 4.3 and 4.7, the first end
point. The volume of acid added (V1) and the pH are recorded. The pH is then reduced
by exactly 0.3 unit, and the total amount of acid required (V2) is measured
(Fig. 5). Because this change in pH corresponds to an exact doubling of the hydrogen
ion concentration, the equivalence point can be obtained by a simple extrapolation
(A.P.H.A. 1981, Rodier 1981):
TA = (2 V1 - V2) N / V
This method can be regarded as a Gran titration performed with two pH and volume
readings, expressly chosen to simplify the calculation. An automatic burette and
a continuous record of pH improve the repeatability of the method.
0
20
40
60
80
100
0.4 added HCl 0,05 N (ml) 0.6
[H+]
pH 4.5 (H+ 32 μeq l-1)
pH 4.2 (H+ 64 μeq l-1)
V0 V1 V2
equivalence point
V0 = V1 - (V2 - V1)
V0 = 2 V1- V2
Fig. 5. Titration curve of the same solution presented in figure 3, performed with two end
points, and extrapolation to the equivalence point (APHA, 1981; Rodier, 1981). Unit: μeq
l-1. V0: inferred volume at the equivalence point, V1: added volume at the first end point, V2:
added volume at the second end point.
Performances of analytical methods: total alkalinity 9
3.5. Conductometric titration
The method is based on the high specific electric conductivity of the hydrogen
ion (Britton 1934; Vollenweider 1962). The addition of a strong acid to a buffered
solution does not significantly increase its conductivity, as the hydrogen ion reacts
with bicarbonate to produce carbon dioxide, and the specific conductivity of the
anion added (usually chloride or sulphate) is close to that of the bicarbonate ion. At
the equivalence point, both the hydrogen ion and the anion of the titrant acid are free
to contribute to conductivity. The equivalence point is detected by plotting the conductivity
of the solution vs the added volume of acid (x) after the equivalence point
and detecting the intercept point on the x-axis.
4. RESULTS AND DISCUSSION
The results obtained (Fig. 1) reflect the great number of methods used, and show
a high dispersion. The tendency in general is to overestimate the concentration,
mainly in the samples with lower alkalinity. The Youden plot (Fig. 2) clearly shows
the prevalence of systematic errors, either in the whole set of data or when considering
a single analytical technique.
The results of these intercomparison exercises confirm the good reliability of alkalinity
methods which extrapolate the equivalence point, such as Gran's titration
(Midgley & Torrance 1979), the two-end points (APHA 1981; Rodier 1981) and the
conductometric titration (Britton 1934; Vollenweider 1962). The mean values of the
results obtained using these technique are not significantly different from each other
(t-test, p<0.01), nor are their standard deviations different (F-test, p<0.01). For the
lower values, the conductometric titration gave even better results, but it was used by
only three laboratories (Tab. 2).
In contrast, all other methods give a significantly higher standard deviation. As
expected, the colorimetric titration using bromochresol green or methyl orange as an
internal indicator, and the potentiometric titration to a fixed end point, also give a
significantly higher mean value. Henriksen's (1982) correction was applied to the
data submitted by the 15 laboratories using a pH value of 4.5 as fixed end point (Fig.
6). The results are good for the high value, but the laboratories using a fixed end
point titration obtained a high dispersion for the low value, probably because of the
excessive size of the acid aliquot added. Consequently, this technique is not recommended
for such low alkalinity values.
Surprisingly, the results obtained using the potentiometric titration with direct
equivalence point detection show a significantly higher dispersion than do the optimal
methods, probably due to the difficulty in choosing the optimal amount of acid
to be added at each step of the titration.
The intercomparison exercises represent an important tool for improving the
analytical quality of the participating laboratories and for verifying the suitability of
their techniques for a given sample.
10 A. Marchetto et al.
Tab. 2. Analytical method used, and robust estimate of the mean normalized value and
standard deviation (s) of the results. Asterisks denote values significantly different from
that obtained for the Gran's method, at the probability level of 0.01, using the t-test or the
F-test.
Method Legend Low values High values
No. mean s No. mean s
Potentiometric titration with
extrapolation of the end point
POT_TIT_EX
Gran's method Gran 81 1.075 0.162 82 1.015 0.074
two end point 2PF 143 1.063 0.159 143 1.010 0.065
inflection point detection Infl 42 1.255 0.341* 42 1.082 0.185*
Conductometric titration COND 12 1.091 0.054* 42 1.040 0.048
Potentiometric titration with a
fixed end point
POT_TIT_1
to pH 4.3 4.3 10 2.852 2.189* 11 1.387 0.453*
to pH 4.5 4.5 15 1.730* 0.625* 15 1.209* 0.185*
to unspecified pH ? 20 1.914 1.140* 24 1.212 1.856*
Colorimetric titration
Bromochresol green Br 8 1.618* 0.582* 6 0.971 0.555*
Methyl orange Met 41 2.805* 1.877* 42 1.480 0.563*
Mixed indicator Mix 35 1.449 0.728* 35 1.099 0.253*
Phenolphtalein Phe 6 1.870 1.288* 6 0.971 0.543*
Fig. 6. Distribution plot of the normalized data obtained using a pH value of 4.5 as fixed
end-point before ("Original") and after ("Corrected") the application of the Henriksen's
(1982) correction. Unit: target value.
Performances of analytical methods: total alkalinity 11
Considering the 34 laboratories which participated in the five exercises, the results
(Fig. 7) show a decreasing dispersion from year to year. On the one hand, 12 of
the 15 laboratories which used colorimetric methods during the first exercise introduced
the potentiometric titration with extrapolation of the equivalence point during
the second or the third year, improving their results. Similarly, the three laboratories
which in 1991 used potentiometric titration with fixed end point introduced an extrapolation
technique in 1992. On the other hand, the precision of the values obtained
by 16 laboratories which used an extrapolation technique in all the exercises
(Tab. 3) improved, in particular as regards the low values.
Fig. 7. Distribution plot of the normalized alkalinity value for the 34 laboratories participating
in the five exercises. Lines indicate expected values ± 20%. Unit: expected value.
Extreme outliers are not shown.
12 A. Marchetto et al.
Tab. 3. Standard deviation of the alkalinity values obtained by the 15 laboratories
which participated in the five exercises using potentiometric titration with extrapolation
of the end point.
Exercise Low value High value
s robust s s robust s
1991 0.730 0.199 0.128 0.092
1992 0.276 0.161 0.237 0.067
1993 0.274 0.163 0.159 0.148
1994 0.242 0.203 0.054 0.054
1995 0.162 0.140 0.149 0.083
8. CONCLUSIONS
Alkalinity was considered in this paper because of the large errors associated
with the determination of low values. Participation in the five intercomparison exercises
allowed a general improvement in the results which is evident if only those
laboratories which participated in all the five exercises are considered. On the other
hand, the results obtained in different laboratories with different techniques are
poorly comparable. Part of the dispersion of the results is explained by the fact that
some titrations consider different end points; however, calibration and other random
errors increase the dispersion of the results. The most reliable techniques are those
which extrapolate the equivalence point, such as the Gran titration, the two-end
points and the conductometric titrations. The least satisfactory results are those obtained
from single end point titration, using a dye as indicator. The results of these
intercomparison exercises suggest that the use of an automatic titrator and the adoption
of a two end points titration are sufficiently precise for analysing rainwater and
poorly buffered water. In the case of single end point titration, with either automatic
or manual titration, Henriksen's (1982) method is recommended, as it corrects for the
excess of acid used to reach the end point pH in relation to the equivalence point.
REFERENCES
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Youden, W.J. & E.H. Steiner. 1975. Statistical manual of the Association of Official Analytical
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Received: October 1996
Accepted: December 1996
Rispondi

Da: ECCO29/09/2011 16:39:10
Performances of analytical methods for freshwater
analysis assessed through intercomparison exercises.
I. Total alkalinity
Aldo MARCHETTO*, Michele BIANCHI**, Helga GEISS**,
Herbert MUNTAU**, Giorgio SERRINI**, Gianna SERRINI-LANZA**,
Gabriele A. TARTARI* and Rosario MOSELLO*
*C.N.R. Istituto Italiano di Idrobiologia, Largo Tonolli 50, Verbania Pallanza, Italy
**EU Joint Research Center, Environment Institute, Ispra, Italy
ABSTRACT
In 1991-95, five intercomparison excercises were held, in the framework of an activity connecting
laboratories participating in different projects (Environmental studies in the Mediterranean
Basin, Italian Network for the study of wet deposition, Acidification of mountain
lakes: palaeolimnology and ecology, Limnological studies of Lake Léman). The number of
participants increased from 72 in 1991 to 115 in 1995. The chemical variables considered
were pH, conductivity, alkalinity and major ions (Ca, Mg, Na, K, ammonium, sulphate, chloride
and nitrate). Results showed that the alkalinity measurements were the most critical, and
some analytical techniques proved to be inadequate for the values considered (around 0.04
to 0.13 meq l-1). This paper discusses the errors associated with alkalinity measurements,
comparing the performances of different techniques and showing the improvement in results
obtained by the laboratories participating in the whole set of exercises.
Key words: intercomparison, alkalinity, rainwater, analytical methods
1. INTRODUCTION
Five intercomparison exercises on rainwater samples were performed from 1991
to 1995 in the framework of the project "Analytical Quality Control and Assessment
Studies in the Mediterranean Basin (AQUACON)", part of the "Protection of the
Environment" program, carried out by the Environment Institute of the Joint Research
Center (JRC-EI), in collaboration with the Istituto Italiano di Idrobiologia of
the Italian National Research Council (CNR-III). The program, developed by the
EU-member countries belonging to the Mediterranean area in close partnership with
the Environment Institute, is aimed at the identification, quantification and reduction
of random and systematic errors associated with the most important branches of environmental
analysis. At their request, other research teams working in the environmental
field joined the exercises, which eventually involved the laboratories participating
in the following projects: Analytical Quality Control and Assessment Studies
in the Mediterranean Basin (AQUACON), Acidification of Mountain Lakes: Paleo2
A. Marchetto et al.
limnology and Ecology (AL:PE), International Commission for the Protection of
Lake Léman, Italian network for the study of wet deposition chemistry (RIDEP). A
group of South American laboratories involved in freshwater research also asked to
be included in the exercise.
The aim of this paper is to present the methods used for sample preparation and
data elaboration, and to discuss the alkalinity values which emerged from the five
intercomparison exercises. The list of participating laboratories and the whole set of
results are reported elsewhere (Mosello et al. 1993a, 1993b, 1994, 1995, 1996).
2. METHODS
2.1. Sample preparation
For each exercise, two samples prepared specifically for alkalinity measurements,
were prepared at the JRC-EI in 1991 by diluting lake water, and in 1992-95 by
dissolving sodium hydrogen carbonate in water of the highest quality (nanopure
U.W.S. Barnstead). Potassium chloride was also added to increase the ionic strength,
up to a conductivity of about 30 μS cm-1 at 20 °C. The prepared solutions were
stabilized by adding about 0.2% volume of chloroform.
Bottling was done by hand, rinsing the previously conditioned (two weeks with
nanopure water) 500-ml polypropylene bottles with the samples and then filling them
up to the top. The alkalinity values were chosen in the range of those present in some
episodes of atmospheric deposition in Southern Europe, and are in the same range as
those measured in many remote European lakes, and in areas characterized by poorly
buffered water.
Samples were sent to the participating laboratories by mail, and the stability of
the solutions was checked by analysing samples kept in the dark at room temperature
by the two organizing laboratories over the period allowed for the exercise. The
results demonstrate the stability of the solutions, for the duration of the exercise
(Mosello et al. 1993a, 1993b, 1994, 1995, 1996).
2.2. Sample homogeneity and stability
An estimation of the variance of alkalinity was obtained by measuring the alkalinity
in ten randomly selected bottles for each sample. All the alkalinity measurements
were performed in one laboratory by the same analyst using the same analytical
method. The variance due to the analytical method was then estimated by repeating
the measurement ten times on the same bottle. Alkalinity heterogeneity in the
solutions was then estimated as the square root of the difference of the variances of
samples and methods; it proved to be lower than 1.5% for most samples, and even
lower than 1% in some cases, indicated in table 1.
2.3. Data presentation
The participating laboratories were requested to perform a single analysis for
each sample using the method usually performed for this kind of samples. Target
Performances of analytical methods: total alkalinity 3
values (Tab. 1) were calculated as the mean of the values obtained by the organizing
laboratories, using either Gran's method (Midgley & Torrance 1979) or the two-end
points potentiometric titration (A.P.H.A. 1981; Rodier 1981).
The data for each sample and each participating laboratory were normalized by
dividing for the expected value. As the expected values for the five exercises were
relatively close to each other (Tab. 1), the results were grouped in a set of "low
values" and a set of "high values". Normalized data were then plotted in distribution
graphs (Fig. 1), with the expected values. A range of ±20% of the expected values
was also plotted; this does not represent a goal to be reached, but is only an aid to
seeing the data distribution. Extreme outliers were not considered in the graph, nor in
the Youden plot (Fig. 2). This graphical presentation uses the data for two samples,
analyzed using the same analytical method, which are plotted in a scatter diagram
(Youden & Steiner 1975), to distinguish between random and systematic errors: if,
hypothetically, the analyses were only affected by random errors, the results would
be spread over the whole diagram. However, the results are usually concentrated in
the lower left and the upper right quadrants, forming an elliptical pattern along the
line passing through the origin and the expected values. This is due to systematic
errors which underestimate or overestimate the concentrations in both samples.
Tab. 1. Number of laboratories participating in the five intercomparison exercises
and expected values (meq l-1). Asterisks denote samples with heterogeneity
lower than 1%. Other samples show heterogeneity lower than 1.5%.
Exercise Participating Expected values
laboratories Low value High value
1991 72 0.037 0.124*
1992 80 0.038 0.118*
1993 99 0.039 0.134
1994 108 0.039 0.121
1995 115 0.041* 0.130*
2.4. Robust statistics
Outlier rejection is not correct practice when included in the evaluation and
comparison of the precision of analytical methods, as it can produce a smaller standard
deviation (s) for methods producing a larger number of outliers. An alternative
approach is robust statistics (e.g. Huber 1984), which shifts from outlier rejections to
outlier accommodation: extreme values are downweighted and that downweighing is
compensated for. In this paper we used the iterative technique known as H15,
assuming a value of 1.5 for the constant c (Analytical Method Committee 1989).
The procedure begins by assigning to the estimated robust mean (m0) the median
of the sample values (xi) and to the estimated robust s (s0) the median of the quantities
(|xi - mo|)/ 0.6745. Then, at each n-th iteration, all values higher than mn-1 + c sn-1
or lower than mn-1 - c sn-1 are replaced by the pseudo-values mn-1 + c sn-1 and mn-1 - c
sn-1, respectively, while the pseudo-values for the remaining values are the values
themselves. The new estimate of the robust mean mn will be the mean of the pseudo4
A. Marchetto et al.
values, while the new estimate of the robust s (sn) will be their s divided by the
square root of the constant b, which compensates for the downweighting of the extreme
values. At c = 1.5, b = 0.736 c (Analytical Method Committee 1989). The estimated
parameters rapidly converge to the robust mean and standard deviation.
Fig. 1. Distribution plot of the normalized alkalinity values. Lines indicate expected values
±20%. Unit: expected value. Method legend in table 2. Extreme outliers are not shown.
Performances of analytical methods: total alkalinity 5
Fig. 2. Youden plot of the normalized alkalinity value. Circles indicate expected values
±20%. Unit: expected value. Points lying more than three times the expected value are not
shown.
3. ANALYTICAL METHODS USED BY THE PARTICIPATING
LABORATORIES
To comment on the results, a brief description of the main analytical techniques
employed may be useful. Alkalinity measurements are affected both by systematic
errors, related to equipment and the determination of the inflection point, and by
random errors. The methodological aspects are more important for low values in
particular. Aspects related to errors associated with the kind of titration used
(automatic titrator or manual burette) are discussed by Rodier (1984), APHA (1992),
Kramer et al. (1986).
6 A. Marchetto et al.
The alkalinity of a water sample is a measure of its capacity to neutralize strong
acids. In natural water, it generally corresponds to measurement of the bicarbonate
concentration, as the inorganic carbon system is the dominant contributor to alkalinity
and, if pH is below 8.3, carbonate concentration is negligible. In theoretic
terms, the alkalinity is equivalent to the amount of acid necessary to reach the inflection
point of the titration curve between bicarbonate and carbonic acid + carbon
dioxide. A further problem arises from the fact that the equivalence pH of the alkalinity
titration depends on the CO2 concentration at this point, which is a function of
the total concentration of the carbonate system. Consequently, the equivalence point
of the alkalinity titration depends on the alkalinity to be determined (Stumm &
Morgan 1981; Kramer et al. 1986).
3.1. Fixed end point titration
Some laboratories use a fixed pH as end point of the titration, detected either
potentiometrically or using a dye as internal indicator. Apart from the equipment
used, the alkalinity values depend on the pH value chosen as end point. Differences
due to the adoption of different end points are clearly systematic, and they may be
important at low alkalinity levels. The use of different colorimetric indicators clearly
means the adoption of different end points, added to the errors related to the different
perception by the operator of the variation in color: for instance, in the case of
colorimetric titration with methyl orange indicator, an uncertainty of from 0.02 to
0.09 meq l-1 can be caused by different perceptions of the colour change (Asbury et
al. 1989). Precision of colorimetric titration may be improved by using a colorcomparison
titration, or by performing a correction based on blank measurements, as
suggested, for example, by Rodier (1984).
An improved single end-point alkalinity measurement has been proposed by
Henriksen (1982), considering a titration to pH 4.5: the measured alkalinity (MA4.5,
in μeq l-1) is corrected for the amount of acid used from the equivalence point to pH
4.5, estimated at 32 μeq l-1, and further corrected for the variation of the equivalence
pH with alkalinity using the equilibrium constant for the bicarbonate/carbon dioxide
system:
TA (μeq l-1) = (MA4.5 - 32) + 0.646 (MA4.5 - 32)0.5
3.2. Direct detection of the equivalence point
The detection of the equivalence point is necessary to ensure that the selected end
point is correct. Recording the pH of the solution after each addition of acid, it is
possible to draw the titration curve and to detect the equivalence point. An example
is shown in figure 3, where the identification of the inflection point is made easier if
the first derivative of the curve is considered. In practical terms such measurements
require the use of an automatic burette and a software which records and elaborates
signals relating to acid addition and pH measurements of the solution analyzed. To
determine alkalinity levels in atmospheric deposition and in acid-sensitive waters,
the use of an automatic titrator is highly recommended.
Performances of analytical methods: total alkalinity 7
Alternatively, it is possible to continue the titration well after the equivalence
point and to extrapolate its value from a number of measures of the hydrogen ion
concentration or of some related variables, such as the pH or the electric conductivity
of the solution.
3
4
5
6
7
8
0.0 0.3 0.6 0.9 1.2
added HCl (ml)
pH
0
200
400
600
800
1000
[H+]
equivalence point
Fig. 3. Example of titration curve with HCl 0.05 N. Dark solid line: pH; dark broken line:
hydrogen ion concentration (μeq l-1); light line: first derivative of pH.
3.3. Gran's titration
The method described by Gran (1950, 1952) consists in a stepwise titration, with
pH measurements after each of 5-10 additions of titrant acid, in the pH range 4.5-3.5
(Midgley & Torrance 1979). The equivalence point is then detected by transforming
the pH data (between 4.5 and 3.5) into functions and plotting against the volume of
titrant added (x, in ml). Then the regression lines intersect the x-axis at the equivalence
point (x0). The most used Gran's function (Fig. 4) is:
F1 = 10-pH (V + x)
where V is the volume of the sample, in ml. Total alkalinity (TA, μeq l-1) is then
obtained as:
TA = x0 N / V
where N is the titrant concentration (eq l-1).
In principle Gran's titration can be performed using a manual burette and direct
reading of the volumes added and the pH of the solution; in practice an automatic
burette is required, preferably with software facilities. Furthermore, this technique is
relatively time consuming for routine analyses (10-15 minutes).
8 A. Marchetto et al.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0.00 0.05 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30
Added HCl (ml)
F1
x0
Fig. 4. Example of Gran's F1 function. x0: intercept on the x-axis. Data points are collected
between pH 3.5 and 4.5.
3.4. Two end points titration
At first, the titration is performed up to a pH of between 4.3 and 4.7, the first end
point. The volume of acid added (V1) and the pH are recorded. The pH is then reduced
by exactly 0.3 unit, and the total amount of acid required (V2) is measured
(Fig. 5). Because this change in pH corresponds to an exact doubling of the hydrogen
ion concentration, the equivalence point can be obtained by a simple extrapolation
(A.P.H.A. 1981, Rodier 1981):
TA = (2 V1 - V2) N / V
This method can be regarded as a Gran titration performed with two pH and volume
readings, expressly chosen to simplify the calculation. An automatic burette and
a continuous record of pH improve the repeatability of the method.
0
20
40
60
80
100
0.4 added HCl 0,05 N (ml) 0.6
[H+]
pH 4.5 (H+ 32 μeq l-1)
pH 4.2 (H+ 64 μeq l-1)
V0 V1 V2
equivalence point
V0 = V1 - (V2 - V1)
V0 = 2 V1- V2
Fig. 5. Titration curve of the same solution presented in figure 3, performed with two end
points, and extrapolation to the equivalence point (APHA, 1981; Rodier, 1981). Unit: μeq
l-1. V0: inferred volume at the equivalence point, V1: added volume at the first end point, V2:
added volume at the second end point.
Performances of analytical methods: total alkalinity 9
3.5. Conductometric titration
The method is based on the high specific electric conductivity of the hydrogen
ion (Britton 1934; Vollenweider 1962). The addition of a strong acid to a buffered
solution does not significantly increase its conductivity, as the hydrogen ion reacts
with bicarbonate to produce carbon dioxide, and the specific conductivity of the
anion added (usually chloride or sulphate) is close to that of the bicarbonate ion. At
the equivalence point, both the hydrogen ion and the anion of the titrant acid are free
to contribute to conductivity. The equivalence point is detected by plotting the conductivity
of the solution vs the added volume of acid (x) after the equivalence point
and detecting the intercept point on the x-axis.
4. RESULTS AND DISCUSSION
The results obtained (Fig. 1) reflect the great number of methods used, and show
a high dispersion. The tendency in general is to overestimate the concentration,
mainly in the samples with lower alkalinity. The Youden plot (Fig. 2) clearly shows
the prevalence of systematic errors, either in the whole set of data or when considering
a single analytical technique.
The results of these intercomparison exercises confirm the good reliability of alkalinity
methods which extrapolate the equivalence point, such as Gran's titration
(Midgley & Torrance 1979), the two-end points (APHA 1981; Rodier 1981) and the
conductometric titration (Britton 1934; Vollenweider 1962). The mean values of the
results obtained using these technique are not significantly different from each other
(t-test, p<0.01), nor are their standard deviations different (F-test, p<0.01). For the
lower values, the conductometric titration gave even better results, but it was used by
only three laboratories (Tab. 2).
In contrast, all other methods give a significantly higher standard deviation. As
expected, the colorimetric titration using bromochresol green or methyl orange as an
internal indicator, and the potentiometric titration to a fixed end point, also give a
significantly higher mean value. Henriksen's (1982) correction was applied to the
data submitted by the 15 laboratories using a pH value of 4.5 as fixed end point (Fig.
6). The results are good for the high value, but the laboratories using a fixed end
point titration obtained a high dispersion for the low value, probably because of the
excessive size of the acid aliquot added. Consequently, this technique is not recommended
for such low alkalinity values.
Surprisingly, the results obtained using the potentiometric titration with direct
equivalence point detection show a significantly higher dispersion than do the optimal
methods, probably due to the difficulty in choosing the optimal amount of acid
to be added at each step of the titration.
The intercomparison exercises represent an important tool for improving the
analytical quality of the participating laboratories and for verifying the suitability of
their techniques for a given sample.
10 A. Marchetto et al.
Tab. 2. Analytical method used, and robust estimate of the mean normalized value and
standard deviation (s) of the results. Asterisks denote values significantly different from
that obtained for the Gran's method, at the probability level of 0.01, using the t-test or the
F-test.
Method Legend Low values High values
No. mean s No. mean s
Potentiometric titration with
extrapolation of the end point
POT_TIT_EX
Gran's method Gran 81 1.075 0.162 82 1.015 0.074
two end point 2PF 143 1.063 0.159 143 1.010 0.065
inflection point detection Infl 42 1.255 0.341* 42 1.082 0.185*
Conductometric titration COND 12 1.091 0.054* 42 1.040 0.048
Potentiometric titration with a
fixed end point
POT_TIT_1
to pH 4.3 4.3 10 2.852 2.189* 11 1.387 0.453*
to pH 4.5 4.5 15 1.730* 0.625* 15 1.209* 0.185*
to unspecified pH ? 20 1.914 1.140* 24 1.212 1.856*
Colorimetric titration
Bromochresol green Br 8 1.618* 0.582* 6 0.971 0.555*
Methyl orange Met 41 2.805* 1.877* 42 1.480 0.563*
Mixed indicator Mix 35 1.449 0.728* 35 1.099 0.253*
Phenolphtalein Phe 6 1.870 1.288* 6 0.971 0.543*
Fig. 6. Distribution plot of the normalized data obtained using a pH value of 4.5 as fixed
end-point before ("Original") and after ("Corrected") the application of the Henriksen's
(1982) correction. Unit: target value.
Performances of analytical methods: total alkalinity 11
Considering the 34 laboratories which participated in the five exercises, the results
(Fig. 7) show a decreasing dispersion from year to year. On the one hand, 12 of
the 15 laboratories which used colorimetric methods during the first exercise introduced
the potentiometric titration with extrapolation of the equivalence point during
the second or the third year, improving their results. Similarly, the three laboratories
which in 1991 used potentiometric titration with fixed end point introduced an extrapolation
technique in 1992. On the other hand, the precision of the values obtained
by 16 laboratories which used an extrapolation technique in all the exercises
(Tab. 3) improved, in particular as regards the low values.
Fig. 7. Distribution plot of the normalized alkalinity value for the 34 laboratories participating
in the five exercises. Lines indicate expected values ± 20%. Unit: expected value.
Extreme outliers are not shown.
12 A. Marchetto et al.
Tab. 3. Standard deviation of the alkalinity values obtained by the 15 laboratories
which participated in the five exercises using potentiometric titration with extrapolation
of the end point.
Exercise Low value High value
s robust s s robust s
1991 0.730 0.199 0.128 0.092
1992 0.276 0.161 0.237 0.067
1993 0.274 0.163 0.159 0.148
1994 0.242 0.203 0.054 0.054
1995 0.162 0.140 0.149 0.083
8. CONCLUSIONS
Alkalinity was considered in this paper because of the large errors associated
with the determination of low values. Participation in the five intercomparison exercises
allowed a general improvement in the results which is evident if only those
laboratories which participated in all the five exercises are considered. On the other
hand, the results obtained in different laboratories with different techniques are
poorly comparable. Part of the dispersion of the results is explained by the fact that
some titrations consider different end points; however, calibration and other random
errors increase the dispersion of the results. The most reliable techniques are those
which extrapolate the equivalence point, such as the Gran titration, the two-end
points and the conductometric titrations. The least satisfactory results are those obtained
from single end point titration, using a dye as indicator. The results of these
intercomparison exercises suggest that the use of an automatic titrator and the adoption
of a two end points titration are sufficiently precise for analysing rainwater and
poorly buffered water. In the case of single end point titration, with either automatic
or manual titration, Henriksen's (1982) method is recommended, as it corrects for the
excess of acid used to reach the end point pH in relation to the equivalence point.
REFERENCES
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114: 1693-1702.
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Youden, W.J. & E.H. Steiner. 1975. Statistical manual of the Association of Official Analytical
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Received: October 1996
Accepted: December 1996
Rispondi

Da: ECCO29/09/2011 16:39:23
Performances of analytical methods for freshwater
analysis assessed through intercomparison exercises.
I. Total alkalinity
Aldo MARCHETTO*, Michele BIANCHI**, Helga GEISS**,
Herbert MUNTAU**, Giorgio SERRINI**, Gianna SERRINI-LANZA**,
Gabriele A. TARTARI* and Rosario MOSELLO*
*C.N.R. Istituto Italiano di Idrobiologia, Largo Tonolli 50, Verbania Pallanza, Italy
**EU Joint Research Center, Environment Institute, Ispra, Italy
ABSTRACT
In 1991-95, five intercomparison excercises were held, in the framework of an activity connecting
laboratories participating in different projects (Environmental studies in the Mediterranean
Basin, Italian Network for the study of wet deposition, Acidification of mountain
lakes: palaeolimnology and ecology, Limnological studies of Lake Léman). The number of
participants increased from 72 in 1991 to 115 in 1995. The chemical variables considered
were pH, conductivity, alkalinity and major ions (Ca, Mg, Na, K, ammonium, sulphate, chloride
and nitrate). Results showed that the alkalinity measurements were the most critical, and
some analytical techniques proved to be inadequate for the values considered (around 0.04
to 0.13 meq l-1). This paper discusses the errors associated with alkalinity measurements,
comparing the performances of different techniques and showing the improvement in results
obtained by the laboratories participating in the whole set of exercises.
Key words: intercomparison, alkalinity, rainwater, analytical methods
1. INTRODUCTION
Five intercomparison exercises on rainwater samples were performed from 1991
to 1995 in the framework of the project "Analytical Quality Control and Assessment
Studies in the Mediterranean Basin (AQUACON)", part of the "Protection of the
Environment" program, carried out by the Environment Institute of the Joint Research
Center (JRC-EI), in collaboration with the Istituto Italiano di Idrobiologia of
the Italian National Research Council (CNR-III). The program, developed by the
EU-member countries belonging to the Mediterranean area in close partnership with
the Environment Institute, is aimed at the identification, quantification and reduction
of random and systematic errors associated with the most important branches of environmental
analysis. At their request, other research teams working in the environmental
field joined the exercises, which eventually involved the laboratories participating
in the following projects: Analytical Quality Control and Assessment Studies
in the Mediterranean Basin (AQUACON), Acidification of Mountain Lakes: Paleo2
A. Marchetto et al.
limnology and Ecology (AL:PE), International Commission for the Protection of
Lake Léman, Italian network for the study of wet deposition chemistry (RIDEP). A
group of South American laboratories involved in freshwater research also asked to
be included in the exercise.
The aim of this paper is to present the methods used for sample preparation and
data elaboration, and to discuss the alkalinity values which emerged from the five
intercomparison exercises. The list of participating laboratories and the whole set of
results are reported elsewhere (Mosello et al. 1993a, 1993b, 1994, 1995, 1996).
2. METHODS
2.1. Sample preparation
For each exercise, two samples prepared specifically for alkalinity measurements,
were prepared at the JRC-EI in 1991 by diluting lake water, and in 1992-95 by
dissolving sodium hydrogen carbonate in water of the highest quality (nanopure
U.W.S. Barnstead). Potassium chloride was also added to increase the ionic strength,
up to a conductivity of about 30 μS cm-1 at 20 °C. The prepared solutions were
stabilized by adding about 0.2% volume of chloroform.
Bottling was done by hand, rinsing the previously conditioned (two weeks with
nanopure water) 500-ml polypropylene bottles with the samples and then filling them
up to the top. The alkalinity values were chosen in the range of those present in some
episodes of atmospheric deposition in Southern Europe, and are in the same range as
those measured in many remote European lakes, and in areas characterized by poorly
buffered water.
Samples were sent to the participating laboratories by mail, and the stability of
the solutions was checked by analysing samples kept in the dark at room temperature
by the two organizing laboratories over the period allowed for the exercise. The
results demonstrate the stability of the solutions, for the duration of the exercise
(Mosello et al. 1993a, 1993b, 1994, 1995, 1996).
2.2. Sample homogeneity and stability
An estimation of the variance of alkalinity was obtained by measuring the alkalinity
in ten randomly selected bottles for each sample. All the alkalinity measurements
were performed in one laboratory by the same analyst using the same analytical
method. The variance due to the analytical method was then estimated by repeating
the measurement ten times on the same bottle. Alkalinity heterogeneity in the
solutions was then estimated as the square root of the difference of the variances of
samples and methods; it proved to be lower than 1.5% for most samples, and even
lower than 1% in some cases, indicated in table 1.
2.3. Data presentation
The participating laboratories were requested to perform a single analysis for
each sample using the method usually performed for this kind of samples. Target
Performances of analytical methods: total alkalinity 3
values (Tab. 1) were calculated as the mean of the values obtained by the organizing
laboratories, using either Gran's method (Midgley & Torrance 1979) or the two-end
points potentiometric titration (A.P.H.A. 1981; Rodier 1981).
The data for each sample and each participating laboratory were normalized by
dividing for the expected value. As the expected values for the five exercises were
relatively close to each other (Tab. 1), the results were grouped in a set of "low
values" and a set of "high values". Normalized data were then plotted in distribution
graphs (Fig. 1), with the expected values. A range of ±20% of the expected values
was also plotted; this does not represent a goal to be reached, but is only an aid to
seeing the data distribution. Extreme outliers were not considered in the graph, nor in
the Youden plot (Fig. 2). This graphical presentation uses the data for two samples,
analyzed using the same analytical method, which are plotted in a scatter diagram
(Youden & Steiner 1975), to distinguish between random and systematic errors: if,
hypothetically, the analyses were only affected by random errors, the results would
be spread over the whole diagram. However, the results are usually concentrated in
the lower left and the upper right quadrants, forming an elliptical pattern along the
line passing through the origin and the expected values. This is due to systematic
errors which underestimate or overestimate the concentrations in both samples.
Tab. 1. Number of laboratories participating in the five intercomparison exercises
and expected values (meq l-1). Asterisks denote samples with heterogeneity
lower than 1%. Other samples show heterogeneity lower than 1.5%.
Exercise Participating Expected values
laboratories Low value High value
1991 72 0.037 0.124*
1992 80 0.038 0.118*
1993 99 0.039 0.134
1994 108 0.039 0.121
1995 115 0.041* 0.130*
2.4. Robust statistics
Outlier rejection is not correct practice when included in the evaluation and
comparison of the precision of analytical methods, as it can produce a smaller standard
deviation (s) for methods producing a larger number of outliers. An alternative
approach is robust statistics (e.g. Huber 1984), which shifts from outlier rejections to
outlier accommodation: extreme values are downweighted and that downweighing is
compensated for. In this paper we used the iterative technique known as H15,
assuming a value of 1.5 for the constant c (Analytical Method Committee 1989).
The procedure begins by assigning to the estimated robust mean (m0) the median
of the sample values (xi) and to the estimated robust s (s0) the median of the quantities
(|xi - mo|)/ 0.6745. Then, at each n-th iteration, all values higher than mn-1 + c sn-1
or lower than mn-1 - c sn-1 are replaced by the pseudo-values mn-1 + c sn-1 and mn-1 - c
sn-1, respectively, while the pseudo-values for the remaining values are the values
themselves. The new estimate of the robust mean mn will be the mean of the pseudo4
A. Marchetto et al.
values, while the new estimate of the robust s (sn) will be their s divided by the
square root of the constant b, which compensates for the downweighting of the extreme
values. At c = 1.5, b = 0.736 c (Analytical Method Committee 1989). The estimated
parameters rapidly converge to the robust mean and standard deviation.
Fig. 1. Distribution plot of the normalized alkalinity values. Lines indicate expected values
±20%. Unit: expected value. Method legend in table 2. Extreme outliers are not shown.
Performances of analytical methods: total alkalinity 5
Fig. 2. Youden plot of the normalized alkalinity value. Circles indicate expected values
±20%. Unit: expected value. Points lying more than three times the expected value are not
shown.
3. ANALYTICAL METHODS USED BY THE PARTICIPATING
LABORATORIES
To comment on the results, a brief description of the main analytical techniques
employed may be useful. Alkalinity measurements are affected both by systematic
errors, related to equipment and the determination of the inflection point, and by
random errors. The methodological aspects are more important for low values in
particular. Aspects related to errors associated with the kind of titration used
(automatic titrator or manual burette) are discussed by Rodier (1984), APHA (1992),
Kramer et al. (1986).
6 A. Marchetto et al.
The alkalinity of a water sample is a measure of its capacity to neutralize strong
acids. In natural water, it generally corresponds to measurement of the bicarbonate
concentration, as the inorganic carbon system is the dominant contributor to alkalinity
and, if pH is below 8.3, carbonate concentration is negligible. In theoretic
terms, the alkalinity is equivalent to the amount of acid necessary to reach the inflection
point of the titration curve between bicarbonate and carbonic acid + carbon
dioxide. A further problem arises from the fact that the equivalence pH of the alkalinity
titration depends on the CO2 concentration at this point, which is a function of
the total concentration of the carbonate system. Consequently, the equivalence point
of the alkalinity titration depends on the alkalinity to be determined (Stumm &
Morgan 1981; Kramer et al. 1986).
3.1. Fixed end point titration
Some laboratories use a fixed pH as end point of the titration, detected either
potentiometrically or using a dye as internal indicator. Apart from the equipment
used, the alkalinity values depend on the pH value chosen as end point. Differences
due to the adoption of different end points are clearly systematic, and they may be
important at low alkalinity levels. The use of different colorimetric indicators clearly
means the adoption of different end points, added to the errors related to the different
perception by the operator of the variation in color: for instance, in the case of
colorimetric titration with methyl orange indicator, an uncertainty of from 0.02 to
0.09 meq l-1 can be caused by different perceptions of the colour change (Asbury et
al. 1989). Precision of colorimetric titration may be improved by using a colorcomparison
titration, or by performing a correction based on blank measurements, as
suggested, for example, by Rodier (1984).
An improved single end-point alkalinity measurement has been proposed by
Henriksen (1982), considering a titration to pH 4.5: the measured alkalinity (MA4.5,
in μeq l-1) is corrected for the amount of acid used from the equivalence point to pH
4.5, estimated at 32 μeq l-1, and further corrected for the variation of the equivalence
pH with alkalinity using the equilibrium constant for the bicarbonate/carbon dioxide
system:
TA (μeq l-1) = (MA4.5 - 32) + 0.646 (MA4.5 - 32)0.5
3.2. Direct detection of the equivalence point
The detection of the equivalence point is necessary to ensure that the selected end
point is correct. Recording the pH of the solution after each addition of acid, it is
possible to draw the titration curve and to detect the equivalence point. An example
is shown in figure 3, where the identification of the inflection point is made easier if
the first derivative of the curve is considered. In practical terms such measurements
require the use of an automatic burette and a software which records and elaborates
signals relating to acid addition and pH measurements of the solution analyzed. To
determine alkalinity levels in atmospheric deposition and in acid-sensitive waters,
the use of an automatic titrator is highly recommended.
Performances of analytical methods: total alkalinity 7
Alternatively, it is possible to continue the titration well after the equivalence
point and to extrapolate its value from a number of measures of the hydrogen ion
concentration or of some related variables, such as the pH or the electric conductivity
of the solution.
3
4
5
6
7
8
0.0 0.3 0.6 0.9 1.2
added HCl (ml)
pH
0
200
400
600
800
1000
[H+]
equivalence point
Fig. 3. Example of titration curve with HCl 0.05 N. Dark solid line: pH; dark broken line:
hydrogen ion concentration (μeq l-1); light line: first derivative of pH.
3.3. Gran's titration
The method described by Gran (1950, 1952) consists in a stepwise titration, with
pH measurements after each of 5-10 additions of titrant acid, in the pH range 4.5-3.5
(Midgley & Torrance 1979). The equivalence point is then detected by transforming
the pH data (between 4.5 and 3.5) into functions and plotting against the volume of
titrant added (x, in ml). Then the regression lines intersect the x-axis at the equivalence
point (x0). The most used Gran's function (Fig. 4) is:
F1 = 10-pH (V + x)
where V is the volume of the sample, in ml. Total alkalinity (TA, μeq l-1) is then
obtained as:
TA = x0 N / V
where N is the titrant concentration (eq l-1).
In principle Gran's titration can be performed using a manual burette and direct
reading of the volumes added and the pH of the solution; in practice an automatic
burette is required, preferably with software facilities. Furthermore, this technique is
relatively time consuming for routine analyses (10-15 minutes).
8 A. Marchetto et al.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0.00 0.05 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30
Added HCl (ml)
F1
x0
Fig. 4. Example of Gran's F1 function. x0: intercept on the x-axis. Data points are collected
between pH 3.5 and 4.5.
3.4. Two end points titration
At first, the titration is performed up to a pH of between 4.3 and 4.7, the first end
point. The volume of acid added (V1) and the pH are recorded. The pH is then reduced
by exactly 0.3 unit, and the total amount of acid required (V2) is measured
(Fig. 5). Because this change in pH corresponds to an exact doubling of the hydrogen
ion concentration, the equivalence point can be obtained by a simple extrapolation
(A.P.H.A. 1981, Rodier 1981):
TA = (2 V1 - V2) N / V
This method can be regarded as a Gran titration performed with two pH and volume
readings, expressly chosen to simplify the calculation. An automatic burette and
a continuous record of pH improve the repeatability of the method.
0
20
40
60
80
100
0.4 added HCl 0,05 N (ml) 0.6
[H+]
pH 4.5 (H+ 32 μeq l-1)
pH 4.2 (H+ 64 μeq l-1)
V0 V1 V2
equivalence point
V0 = V1 - (V2 - V1)
V0 = 2 V1- V2
Fig. 5. Titration curve of the same solution presented in figure 3, performed with two end
points, and extrapolation to the equivalence point (APHA, 1981; Rodier, 1981). Unit: μeq
l-1. V0: inferred volume at the equivalence point, V1: added volume at the first end point, V2:
added volume at the second end point.
Performances of analytical methods: total alkalinity 9
3.5. Conductometric titration
The method is based on the high specific electric conductivity of the hydrogen
ion (Britton 1934; Vollenweider 1962). The addition of a strong acid to a buffered
solution does not significantly increase its conductivity, as the hydrogen ion reacts
with bicarbonate to produce carbon dioxide, and the specific conductivity of the
anion added (usually chloride or sulphate) is close to that of the bicarbonate ion. At
the equivalence point, both the hydrogen ion and the anion of the titrant acid are free
to contribute to conductivity. The equivalence point is detected by plotting the conductivity
of the solution vs the added volume of acid (x) after the equivalence point
and detecting the intercept point on the x-axis.
4. RESULTS AND DISCUSSION
The results obtained (Fig. 1) reflect the great number of methods used, and show
a high dispersion. The tendency in general is to overestimate the concentration,
mainly in the samples with lower alkalinity. The Youden plot (Fig. 2) clearly shows
the prevalence of systematic errors, either in the whole set of data or when considering
a single analytical technique.
The results of these intercomparison exercises confirm the good reliability of alkalinity
methods which extrapolate the equivalence point, such as Gran's titration
(Midgley & Torrance 1979), the two-end points (APHA 1981; Rodier 1981) and the
conductometric titration (Britton 1934; Vollenweider 1962). The mean values of the
results obtained using these technique are not significantly different from each other
(t-test, p<0.01), nor are their standard deviations different (F-test, p<0.01). For the
lower values, the conductometric titration gave even better results, but it was used by
only three laboratories (Tab. 2).
In contrast, all other methods give a significantly higher standard deviation. As
expected, the colorimetric titration using bromochresol green or methyl orange as an
internal indicator, and the potentiometric titration to a fixed end point, also give a
significantly higher mean value. Henriksen's (1982) correction was applied to the
data submitted by the 15 laboratories using a pH value of 4.5 as fixed end point (Fig.
6). The results are good for the high value, but the laboratories using a fixed end
point titration obtained a high dispersion for the low value, probably because of the
excessive size of the acid aliquot added. Consequently, this technique is not recommended
for such low alkalinity values.
Surprisingly, the results obtained using the potentiometric titration with direct
equivalence point detection show a significantly higher dispersion than do the optimal
methods, probably due to the difficulty in choosing the optimal amount of acid
to be added at each step of the titration.
The intercomparison exercises represent an important tool for improving the
analytical quality of the participating laboratories and for verifying the suitability of
their techniques for a given sample.
10 A. Marchetto et al.
Tab. 2. Analytical method used, and robust estimate of the mean normalized value and
standard deviation (s) of the results. Asterisks denote values significantly different from
that obtained for the Gran's method, at the probability level of 0.01, using the t-test or the
F-test.
Method Legend Low values High values
No. mean s No. mean s
Potentiometric titration with
extrapolation of the end point
POT_TIT_EX
Gran's method Gran 81 1.075 0.162 82 1.015 0.074
two end point 2PF 143 1.063 0.159 143 1.010 0.065
inflection point detection Infl 42 1.255 0.341* 42 1.082 0.185*
Conductometric titration COND 12 1.091 0.054* 42 1.040 0.048
Potentiometric titration with a
fixed end point
POT_TIT_1
to pH 4.3 4.3 10 2.852 2.189* 11 1.387 0.453*
to pH 4.5 4.5 15 1.730* 0.625* 15 1.209* 0.185*
to unspecified pH ? 20 1.914 1.140* 24 1.212 1.856*
Colorimetric titration
Bromochresol green Br 8 1.618* 0.582* 6 0.971 0.555*
Methyl orange Met 41 2.805* 1.877* 42 1.480 0.563*
Mixed indicator Mix 35 1.449 0.728* 35 1.099 0.253*
Phenolphtalein Phe 6 1.870 1.288* 6 0.971 0.543*
Fig. 6. Distribution plot of the normalized data obtained using a pH value of 4.5 as fixed
end-point before ("Original") and after ("Corrected") the application of the Henriksen's
(1982) correction. Unit: target value.
Performances of analytical methods: total alkalinity 11
Considering the 34 laboratories which participated in the five exercises, the results
(Fig. 7) show a decreasing dispersion from year to year. On the one hand, 12 of
the 15 laboratories which used colorimetric methods during the first exercise introduced
the potentiometric titration with extrapolation of the equivalence point during
the second or the third year, improving their results. Similarly, the three laboratories
which in 1991 used potentiometric titration with fixed end point introduced an extrapolation
technique in 1992. On the other hand, the precision of the values obtained
by 16 laboratories which used an extrapolation technique in all the exercises
(Tab. 3) improved, in particular as regards the low values.
Fig. 7. Distribution plot of the normalized alkalinity value for the 34 laboratories participating
in the five exercises. Lines indicate expected values ± 20%. Unit: expected value.
Extreme outliers are not shown.
12 A. Marchetto et al.
Tab. 3. Standard deviation of the alkalinity values obtained by the 15 laboratories
which participated in the five exercises using potentiometric titration with extrapolation
of the end point.
Exercise Low value High value
s robust s s robust s
1991 0.730 0.199 0.128 0.092
1992 0.276 0.161 0.237 0.067
1993 0.274 0.163 0.159 0.148
1994 0.242 0.203 0.054 0.054
1995 0.162 0.140 0.149 0.083
8. CONCLUSIONS
Alkalinity was considered in this paper because of the large errors associated
with the determination of low values. Participation in the five intercomparison exercises
allowed a general improvement in the results which is evident if only those
laboratories which participated in all the five exercises are considered. On the other
hand, the results obtained in different laboratories with different techniques are
poorly comparable. Part of the dispersion of the results is explained by the fact that
some titrations consider different end points; however, calibration and other random
errors increase the dispersion of the results. The most reliable techniques are those
which extrapolate the equivalence point, such as the Gran titration, the two-end
points and the conductometric titrations. The least satisfactory results are those obtained
from single end point titration, using a dye as indicator. The results of these
intercomparison exercises suggest that the use of an automatic titrator and the adoption
of a two end points titration are sufficiently precise for analysing rainwater and
poorly buffered water. In the case of single end point titration, with either automatic
or manual titration, Henriksen's (1982) method is recommended, as it corrects for the
excess of acid used to reach the end point pH in relation to the equivalence point.
REFERENCES
Analytical Methods Committee. 1989. Robust statistics - how not to reject outliers. Analyst,
114: 1693-1702.
A.P.H.A., A.W.W.A., W.P.C.F. 1981. Standard methods for the examination of water and
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Youden, W.J. & E.H. Steiner. 1975. Statistical manual of the Association of Official Analytical
Chemists. Statistical Techniques for Collaborative Tests. Arlington.
Received: October 1996
Accepted: December 1996
Rispondi

Da: P.B.29/09/2011 16:44:20
La Fabbrica Pietro Beretta è un'azienda produttrice di armi da fuoco, con sede a Gardone Val Trompia (Brescia). I prodotti di questa casa sono usati in quasi tutte le nazioni del globo da militari, polizia e civili. Con circa 480 anni di storia, la Beretta è tra le più antiche industrie del settore a livello mondiale.[1].



Storia dell'azienda  [modifica]
Fu fondata nel 1526 da un fabbricante d'armi bresciano, mastro Bartolomeo Beretta; la ricevuta di pagamento del primo ordine è ancora conservata negli archivi della ditta.

Oggi la Beretta, costituita come società di capitali, è posseduta da Ugo Gussalli Beretta - discendente diretto di Bartolomeo - ed è diretta da lui e dai suoi figli, Franco e Pietro.

Prodotti principali  [modifica]
La Beretta è famosa per la sua ampia gamma di prodotti, che includono doppiette (o fucili a canne accoppiate), e fucili a canne sovrapposte ( come, ad es. i leggendari "So"), fucili automatici, fucili da caccia, express rifles, fucili d'assalto, pistole mitragliatrici, fucili a grilletto, pistole ad azione semiautomatica, fucili sportivi e da pochi anni anche revolver. L'azienda non solo ha gamma di prodotti veramente ampia, ma possiede per tramite della società Capogruppo Beretta Holding anche altre aziende che operano nel settore delle armi portatili quali (Sako, Uberti, Tikka, Stoeger, Benelli Armi e Franchi) e nel settore delle ottiche come Steiner, Burris, ed è infine partner della Fabrique Nationale de Herstal. Il fatturato complessivo del Gruppo Beretta supera i 400 milioni di euro.

È famosa soprattutto per la produzione della pistola semiautomatica modello 92FS, che - oltre ad essere il modello scelto da dipartimenti di polizia ed eserciti in molti paesi del mondo - è anche l'arma ufficiale dell'Esercito Italiano, della Gendarmerie francese e delle Forze Armate Americane. La famosa pistola 92FS è stata spesso usata in film d'azione americani, come la serie di Arma Letale, ma anche in alcuni episodi di 007, e da Bruce Willis nella serie Die Hard.

Nel 1985 Beretta fu scelta, al termine di una contrastata selezione, per produrre la M9 (un prodotto assai simile al modello 92 in calibro 9 mm Parabellum) arma individuale d'ordinanza in dotazione al personale militare degli Stati Uniti. Per adempiere alla commessa dell'esercito americano di 500.000 unità la Beretta ha costituito la sussidiaria Beretta USA, con sede ad Accokeek nel Maryland. Nel febbraio 2009, la Beretta ha ricevuto dal governo americano un ulteriore ordine di 450.000 pistole M9 da consegnarsi entro cinque anni, con i primi 25.000 pezzi da consegnare entro l'anno.

L'ultimo modello entrato in produzione è la Beretta 90two, miglioramento della 92FS. I Marines statunitensi invece si avvalgono della nuova Beretta M9A1,che differisce dal precedente modello 92FS per la presenza del castello tipo SD (Special Duty) con slitta Picatinny per laser e torce e un caricatore resistente alla corrosione della sabbia, su esplicita richiesta degli stessi Marines impegnati nella campagna in Iraq: tale caricatore è indicato come "SandProof".

Rispondi

Da: -----29/09/2011 16:49:24
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Monomio
Binomio
Trinomio
Polinomio
Prodotti notevoli
Divisione dei polinomi
Divisibilità dei polinomi
Teorema di Ruffini
Regola di Ruffini
Divisibilità di binomi notevoli
In matematica, la regola di Ruffini permette di dividere velocemente un qualunque polinomio per un binomio di primo grado della forma x âˆ' a. È stata descritta da Paolo Ruffini nel 1809. La regola di Ruffini è un caso speciale della divisione polinomiale quando il divisore è un fattore lineare. La regola di Ruffini è anche nota come divisione sintetica.

Indice [nascondi]
1 L'algoritmo
2 Usi della regola
2.1 Divisione polinomiale per x âˆ' r
2.2 Divisione polinomiale per ax âˆ' k
2.3 Trovare le radici di un polinomio
2.3.1 Primo metodo
2.3.2 Secondo metodo
2.4 Fattorizzazione polinomiale
2.4.1 Primo esempio: nessun resto
2.4.2 Secondo esempio: con resto
3 Voci correlate


L'algoritmo  [modifica]
La regola di Ruffini stabilisce un metodo per dividere il polinomio


per il binomio


per ottenere il polinomio quoziente


e un resto R che è zero o un termine costante, visto che deve essere di grado minore rispetto al polinomio divisore.

L'algoritmo non è altro che la divisione polinomiale di P(x) per A(x) scritto in un'altra forma più economica.

Per dividere P(x) per A(x), infatti:

1. Si prendano i coefficienti di P(x) e li si scrivano in ordine. Si scriva quindi r in basso a sinistra, proprio sopra la riga:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |                                   
  r |                                   
----|---------------------------------------------------------
    |                                   
    |                                   
2. Si copi il coefficiente di sinistra (an) in basso, subito sotto la riga:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |                                   
  r |                                   
----|---------------------------------------------------------
    |        an                    
    |
    |      = bn-1                               
    |
3. Si moltiplichi il numero più a destra di quelli sotto la riga per r, e lo si scriva sopra la riga, spostato di un posto a destra:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r
----|---------------------------------------------------------
    |        an
    |
    |      = bn-1                               
    |
4. Si sommi questo valore con quello sopra di lui nella stessa colonna:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r
----|---------------------------------------------------------
    |        an     an-1+(bn-1r)
    |
    |      = bn-1     = bn-2                               
    |
5. Si ripetano i passi 3 e 4 fino al termine dei coefficienti

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r      ...        b1r        b0r
----|---------------------------------------------------------
    |        an     an-1+(bn-1r)   ...       a1+b1r       a0+b0r
    |
    |      = bn-1     = bn-2       ...       = b0        = R
    |
I valori b sono i coefficienti del polinomio risultante (Q(x)), il cui grado sarà inferiore di uno a quello di P(x). R è il resto.

Un esempio numerico viene fornito più sotto.

Usi della regola  [modifica]
La regola di Ruffini ha molte applicazioni pratiche; molte di esse si basano sulla divisione semplice (come mostrato sotto) o sulle estensioni usuali che seguono.

Divisione polinomiale per x âˆ' r  [modifica]
Ecco un esempio di divisione polinomiale, con tutti i passaggi evidenziati.

Siano

P(x) = 2x3 âˆ' 5x2 âˆ' x + 6
A(x) = x + 1
Vogliamo dividere P(x) per A(x) usando la regola di Ruffini. Il primo problema è che A(x) non è della forma x âˆ' r, ma piuttosto x + r. Questo è facile da risolvere: basta riscrivere A(x) come


Applichiamo ora l'algoritmo.

1. Scriviamo i coefficienti di P(x) e r:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |                        |
----|------------------------|------
    |                        |
    |                        |
2. Copiamo il primo coefficiente sotto:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |                        |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2                  |
3. Moltiplichiamo il numero più a destra sotto la riga per r:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2           |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2                  |
4. Sommiamo i valori della seconda colonna dopo la riga verticale:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2           |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2     -7           |
5. Ripetiamo i passi 3 e 4 fino alla fine:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2     +7    | -6
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2     -7     +6    |  0   | {coefficienti} | {resto}
Insomma, abbiamo che

P(x) = A(x) * Q(x) + R, dove
Q(x) = 2x2 âˆ' 7x + 6 e R = 0.
Divisione polinomiale per ax âˆ' k  [modifica]
Applicando una facile trasformazione, la regola di Ruffini si può generalizzare anche per le divisioni di un polinomio per un binomio qualsiasi di primo grado A(x) = ax âˆ' k. Infatti, considerando la relazione fondamentale


dividendo tutto per a (sicuramente diverso da 0) otteniamo


Detti P(x) / a = P'(x) e R(x) / a = R'(x) otteniamo


Dunque il quoziente richiesto Q(x) è anche il quoziente della divisione di P'(x) per (x âˆ' k / a), che si può fare con la regola appena esposta. Per trovare il resto richiesto R(x) basterà moltiplicare il resto ottenuto R'(x) per a.

Trovare le radici di un polinomio  [modifica]
Il teorema delle radici razionali afferma che se un polinomio f(x)=anxn+an-1xn-1+...+a1x+a0 ha coefficienti interi, le sue radici razionali sono sempre della forma p/q, dove p e q sono interi coprimi, p è un divisore (non necessariamente positivo) di a0 e q un divisore di an. Se il nostro polinomio è quindi

,
le radici razionali possibili appartengono all'insieme dei divisori interi di a0 (âˆ'2):


Questo è un esempio semplice, perché il polinomio è monico (cioè, an=1); per i polinomi non monici, l'insieme delle possibili radici comprenderà alcune frazioni, ma solo in numero finito, dato che an e a0 hanno ciascuno un numero finito di divisori interi. In ogni caso per i polinomi monici ogni radice razionale è un intero, e quindi ogni radice intera dev'essere un divisore del termine costante. Si può dimostrare che questo resta vero anche per i polinomi non monici: insomma, per trovare le radici intere di un polinomio a coefficienti interi, basta verificare i divisori del termine costante. Infatti, ogni polinomio non monico può essere ricondotto al caso monico, semplicemente dividendo i coefficienti per an.

Provando pertanto a porre r pari a ciascuna delle radici possibili, si può provare a dividere il polinomio per (x-r). Se il polinomio quoziente risultante non ha resto, abbiamo trovato una radice.

Si può scegliere uno dei due metodi seguenti: essi danno gli stessi risultati, con l'eccezione che solo il secondo permette di trovare se una radice è ripetuta. (Ricordate che nessuno dei due metodi permette di scoprire radici irrazionali o complesse).

Primo metodo  [modifica]
Cerchiamo di dividere P(x) per il binomio (x âˆ' ciascuna possibile radice). Se il resto è 0, il numero utilizzato è una radice (e viceversa):

    |    +1    -4    +5     -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                               |
+1 |          +1    -3     +2                   -1 |          -1    +5    -10
----|----------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -3    +2      0                      |    +1    -5    +10    -12
    |    +1    -4    +5     -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                               |
+2 |          +2    -4     +2                   -2 |          -2    +12   -34
----|----------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -2    +1      0                      |    +1     -6    +17   -36
x1 = + 1, x3 = + 2 sono radici, mentre x2 = âˆ' 1 e x4 = âˆ' 2 non lo sono.

Secondo metodo  [modifica]
Iniziamo come nel primo metodo fino a che troviamo una radice. A questo punto, invece che ripartire con le altre radici possibili, si continua a provare, partendo dal polinomio quoziente ottenuto, riusando la radice appena trovata, per vedere se ci sono radici multiple:

    |    +1    -4    +5    -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                              |
+1 |          +1    -3    +2                   +2 |          +2    -4    +2
----|---------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -3    +2   | 0                      |    +1    -2    +1   | 0
    |                     |                        |                     |
+1 |          +1    -2   |                     +2 |          +2    +0   |
----|---------------------|                    --------------------------|
    |    +1    -2     0                            |    +1     0    +1
x1 = + 1 è una radice multipla, mentre x3 = + 2 è una radice semplice.

Fattorizzazione polinomiale  [modifica]
Dopo avere usato il metodo "p/q" mostrato sopra (o un qualunque altro modo) per trovare tutte le radici razionali reali di un certo polinomio, è semplice sfruttarle per fattorizzare parzialmente il polinomio stesso: a ogni fattore lineare (x - r) che divide un polinomio dato corrisponde una radice r, e viceversa.

Quindi, se abbiamo il polinomio:

;
e abbiamo trovato come sue radici:

;
consideriamo il prodotto:

.
Per il Teorema fondamentale dell'algebra, Q(x) sarebbe uguale a P(x) se tutte le radici di P(x) fossero razionali. Ma è assai probabile che Q(x) non sia uguale a P(x), dato che P(x) potrebbe avere anche radici irrazionali o complesse. Consideriamo allora il polinomio quoziente

.
Se S(x) = 1, allora Q(x) = P(x). Altrimenti, S(x) sarà un polinomio, per la precisione un altro fattore di P(x) che non ha radici razionali in . Dunque


è una fattorizzazione completa di P(x) su  se S(x) = 1, altrimenti sarà una fattorizzazione completa su , ma ci saranno altri fattori su  o su .

Primo esempio: nessun resto  [modifica]
Sia


Con i metodi descritti sopra, troviamo che le radici razionali di P(x) sono:


Pertanto, il prodotto di (x âˆ' ciascuna radice) è


P(x)/Q(x) dà


E così il polinomio fattorizzato è P(x) = Q(x) * 1 = Q(x):


Secondo esempio: con resto  [modifica]
Sia


Con i metodi descritti sopra, troviamo che le radici razionali di P(x) sono:


Pertanto, il prodotto di (x âˆ' ciascuna radice) è


P(x)/Q(x) dà


Dato che , il polinomio fattorizzato sui razionali è P(x) = Q(x) * S(x):


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Da: -----29/09/2011 16:49:31
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Prodotti notevoli
Divisione dei polinomi
Divisibilità dei polinomi
Teorema di Ruffini
Regola di Ruffini
Divisibilità di binomi notevoli
In matematica, la regola di Ruffini permette di dividere velocemente un qualunque polinomio per un binomio di primo grado della forma x âˆ' a. È stata descritta da Paolo Ruffini nel 1809. La regola di Ruffini è un caso speciale della divisione polinomiale quando il divisore è un fattore lineare. La regola di Ruffini è anche nota come divisione sintetica.

Indice [nascondi]
1 L'algoritmo
2 Usi della regola
2.1 Divisione polinomiale per x âˆ' r
2.2 Divisione polinomiale per ax âˆ' k
2.3 Trovare le radici di un polinomio
2.3.1 Primo metodo
2.3.2 Secondo metodo
2.4 Fattorizzazione polinomiale
2.4.1 Primo esempio: nessun resto
2.4.2 Secondo esempio: con resto
3 Voci correlate


L'algoritmo  [modifica]
La regola di Ruffini stabilisce un metodo per dividere il polinomio


per il binomio


per ottenere il polinomio quoziente


e un resto R che è zero o un termine costante, visto che deve essere di grado minore rispetto al polinomio divisore.

L'algoritmo non è altro che la divisione polinomiale di P(x) per A(x) scritto in un'altra forma più economica.

Per dividere P(x) per A(x), infatti:

1. Si prendano i coefficienti di P(x) e li si scrivano in ordine. Si scriva quindi r in basso a sinistra, proprio sopra la riga:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |                                   
  r |                                   
----|---------------------------------------------------------
    |                                   
    |                                   
2. Si copi il coefficiente di sinistra (an) in basso, subito sotto la riga:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |                                   
  r |                                   
----|---------------------------------------------------------
    |        an                    
    |
    |      = bn-1                               
    |
3. Si moltiplichi il numero più a destra di quelli sotto la riga per r, e lo si scriva sopra la riga, spostato di un posto a destra:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r
----|---------------------------------------------------------
    |        an
    |
    |      = bn-1                               
    |
4. Si sommi questo valore con quello sopra di lui nella stessa colonna:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r
----|---------------------------------------------------------
    |        an     an-1+(bn-1r)
    |
    |      = bn-1     = bn-2                               
    |
5. Si ripetano i passi 3 e 4 fino al termine dei coefficienti

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r      ...        b1r        b0r
----|---------------------------------------------------------
    |        an     an-1+(bn-1r)   ...       a1+b1r       a0+b0r
    |
    |      = bn-1     = bn-2       ...       = b0        = R
    |
I valori b sono i coefficienti del polinomio risultante (Q(x)), il cui grado sarà inferiore di uno a quello di P(x). R è il resto.

Un esempio numerico viene fornito più sotto.

Usi della regola  [modifica]
La regola di Ruffini ha molte applicazioni pratiche; molte di esse si basano sulla divisione semplice (come mostrato sotto) o sulle estensioni usuali che seguono.

Divisione polinomiale per x âˆ' r  [modifica]
Ecco un esempio di divisione polinomiale, con tutti i passaggi evidenziati.

Siano

P(x) = 2x3 âˆ' 5x2 âˆ' x + 6
A(x) = x + 1
Vogliamo dividere P(x) per A(x) usando la regola di Ruffini. Il primo problema è che A(x) non è della forma x âˆ' r, ma piuttosto x + r. Questo è facile da risolvere: basta riscrivere A(x) come


Applichiamo ora l'algoritmo.

1. Scriviamo i coefficienti di P(x) e r:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |                        |
----|------------------------|------
    |                        |
    |                        |
2. Copiamo il primo coefficiente sotto:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |                        |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2                  |
3. Moltiplichiamo il numero più a destra sotto la riga per r:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2           |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2                  |
4. Sommiamo i valori della seconda colonna dopo la riga verticale:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2           |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2     -7           |
5. Ripetiamo i passi 3 e 4 fino alla fine:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2     +7    | -6
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2     -7     +6    |  0   | {coefficienti} | {resto}
Insomma, abbiamo che

P(x) = A(x) * Q(x) + R, dove
Q(x) = 2x2 âˆ' 7x + 6 e R = 0.
Divisione polinomiale per ax âˆ' k  [modifica]
Applicando una facile trasformazione, la regola di Ruffini si può generalizzare anche per le divisioni di un polinomio per un binomio qualsiasi di primo grado A(x) = ax âˆ' k. Infatti, considerando la relazione fondamentale


dividendo tutto per a (sicuramente diverso da 0) otteniamo


Detti P(x) / a = P'(x) e R(x) / a = R'(x) otteniamo


Dunque il quoziente richiesto Q(x) è anche il quoziente della divisione di P'(x) per (x âˆ' k / a), che si può fare con la regola appena esposta. Per trovare il resto richiesto R(x) basterà moltiplicare il resto ottenuto R'(x) per a.

Trovare le radici di un polinomio  [modifica]
Il teorema delle radici razionali afferma che se un polinomio f(x)=anxn+an-1xn-1+...+a1x+a0 ha coefficienti interi, le sue radici razionali sono sempre della forma p/q, dove p e q sono interi coprimi, p è un divisore (non necessariamente positivo) di a0 e q un divisore di an. Se il nostro polinomio è quindi

,
le radici razionali possibili appartengono all'insieme dei divisori interi di a0 (âˆ'2):


Questo è un esempio semplice, perché il polinomio è monico (cioè, an=1); per i polinomi non monici, l'insieme delle possibili radici comprenderà alcune frazioni, ma solo in numero finito, dato che an e a0 hanno ciascuno un numero finito di divisori interi. In ogni caso per i polinomi monici ogni radice razionale è un intero, e quindi ogni radice intera dev'essere un divisore del termine costante. Si può dimostrare che questo resta vero anche per i polinomi non monici: insomma, per trovare le radici intere di un polinomio a coefficienti interi, basta verificare i divisori del termine costante. Infatti, ogni polinomio non monico può essere ricondotto al caso monico, semplicemente dividendo i coefficienti per an.

Provando pertanto a porre r pari a ciascuna delle radici possibili, si può provare a dividere il polinomio per (x-r). Se il polinomio quoziente risultante non ha resto, abbiamo trovato una radice.

Si può scegliere uno dei due metodi seguenti: essi danno gli stessi risultati, con l'eccezione che solo il secondo permette di trovare se una radice è ripetuta. (Ricordate che nessuno dei due metodi permette di scoprire radici irrazionali o complesse).

Primo metodo  [modifica]
Cerchiamo di dividere P(x) per il binomio (x âˆ' ciascuna possibile radice). Se il resto è 0, il numero utilizzato è una radice (e viceversa):

    |    +1    -4    +5     -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                               |
+1 |          +1    -3     +2                   -1 |          -1    +5    -10
----|----------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -3    +2      0                      |    +1    -5    +10    -12
    |    +1    -4    +5     -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                               |
+2 |          +2    -4     +2                   -2 |          -2    +12   -34
----|----------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -2    +1      0                      |    +1     -6    +17   -36
x1 = + 1, x3 = + 2 sono radici, mentre x2 = âˆ' 1 e x4 = âˆ' 2 non lo sono.

Secondo metodo  [modifica]
Iniziamo come nel primo metodo fino a che troviamo una radice. A questo punto, invece che ripartire con le altre radici possibili, si continua a provare, partendo dal polinomio quoziente ottenuto, riusando la radice appena trovata, per vedere se ci sono radici multiple:

    |    +1    -4    +5    -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                              |
+1 |          +1    -3    +2                   +2 |          +2    -4    +2
----|---------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -3    +2   | 0                      |    +1    -2    +1   | 0
    |                     |                        |                     |
+1 |          +1    -2   |                     +2 |          +2    +0   |
----|---------------------|                    --------------------------|
    |    +1    -2     0                            |    +1     0    +1
x1 = + 1 è una radice multipla, mentre x3 = + 2 è una radice semplice.

Fattorizzazione polinomiale  [modifica]
Dopo avere usato il metodo "p/q" mostrato sopra (o un qualunque altro modo) per trovare tutte le radici razionali reali di un certo polinomio, è semplice sfruttarle per fattorizzare parzialmente il polinomio stesso: a ogni fattore lineare (x - r) che divide un polinomio dato corrisponde una radice r, e viceversa.

Quindi, se abbiamo il polinomio:

;
e abbiamo trovato come sue radici:

;
consideriamo il prodotto:

.
Per il Teorema fondamentale dell'algebra, Q(x) sarebbe uguale a P(x) se tutte le radici di P(x) fossero razionali. Ma è assai probabile che Q(x) non sia uguale a P(x), dato che P(x) potrebbe avere anche radici irrazionali o complesse. Consideriamo allora il polinomio quoziente

.
Se S(x) = 1, allora Q(x) = P(x). Altrimenti, S(x) sarà un polinomio, per la precisione un altro fattore di P(x) che non ha radici razionali in . Dunque


è una fattorizzazione completa di P(x) su  se S(x) = 1, altrimenti sarà una fattorizzazione completa su , ma ci saranno altri fattori su  o su .

Primo esempio: nessun resto  [modifica]
Sia


Con i metodi descritti sopra, troviamo che le radici razionali di P(x) sono:


Pertanto, il prodotto di (x âˆ' ciascuna radice) è


P(x)/Q(x) dà


E così il polinomio fattorizzato è P(x) = Q(x) * 1 = Q(x):


Secondo esempio: con resto  [modifica]
Sia


Con i metodi descritti sopra, troviamo che le radici razionali di P(x) sono:


Pertanto, il prodotto di (x âˆ' ciascuna radice) è


P(x)/Q(x) dà


Dato che , il polinomio fattorizzato sui razionali è P(x) = Q(x) * S(x):


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Da: -----29/09/2011 16:49:45
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Monomio
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Trinomio
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Divisione dei polinomi
Divisibilità dei polinomi
Teorema di Ruffini
Regola di Ruffini
Divisibilità di binomi notevoli
In matematica, la regola di Ruffini permette di dividere velocemente un qualunque polinomio per un binomio di primo grado della forma x âˆ' a. È stata descritta da Paolo Ruffini nel 1809. La regola di Ruffini è un caso speciale della divisione polinomiale quando il divisore è un fattore lineare. La regola di Ruffini è anche nota come divisione sintetica.

Indice [nascondi]
1 L'algoritmo
2 Usi della regola
2.1 Divisione polinomiale per x âˆ' r
2.2 Divisione polinomiale per ax âˆ' k
2.3 Trovare le radici di un polinomio
2.3.1 Primo metodo
2.3.2 Secondo metodo
2.4 Fattorizzazione polinomiale
2.4.1 Primo esempio: nessun resto
2.4.2 Secondo esempio: con resto
3 Voci correlate


L'algoritmo  [modifica]
La regola di Ruffini stabilisce un metodo per dividere il polinomio


per il binomio


per ottenere il polinomio quoziente


e un resto R che è zero o un termine costante, visto che deve essere di grado minore rispetto al polinomio divisore.

L'algoritmo non è altro che la divisione polinomiale di P(x) per A(x) scritto in un'altra forma più economica.

Per dividere P(x) per A(x), infatti:

1. Si prendano i coefficienti di P(x) e li si scrivano in ordine. Si scriva quindi r in basso a sinistra, proprio sopra la riga:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |                                   
  r |                                   
----|---------------------------------------------------------
    |                                   
    |                                   
2. Si copi il coefficiente di sinistra (an) in basso, subito sotto la riga:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |                                   
  r |                                   
----|---------------------------------------------------------
    |        an                    
    |
    |      = bn-1                               
    |
3. Si moltiplichi il numero più a destra di quelli sotto la riga per r, e lo si scriva sopra la riga, spostato di un posto a destra:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r
----|---------------------------------------------------------
    |        an
    |
    |      = bn-1                               
    |
4. Si sommi questo valore con quello sopra di lui nella stessa colonna:

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r
----|---------------------------------------------------------
    |        an     an-1+(bn-1r)
    |
    |      = bn-1     = bn-2                               
    |
5. Si ripetano i passi 3 e 4 fino al termine dei coefficienti

    |        an        an-1        ...        a1         a0
    |
  r |                  bn-1r      ...        b1r        b0r
----|---------------------------------------------------------
    |        an     an-1+(bn-1r)   ...       a1+b1r       a0+b0r
    |
    |      = bn-1     = bn-2       ...       = b0        = R
    |
I valori b sono i coefficienti del polinomio risultante (Q(x)), il cui grado sarà inferiore di uno a quello di P(x). R è il resto.

Un esempio numerico viene fornito più sotto.

Usi della regola  [modifica]
La regola di Ruffini ha molte applicazioni pratiche; molte di esse si basano sulla divisione semplice (come mostrato sotto) o sulle estensioni usuali che seguono.

Divisione polinomiale per x âˆ' r  [modifica]
Ecco un esempio di divisione polinomiale, con tutti i passaggi evidenziati.

Siano

P(x) = 2x3 âˆ' 5x2 âˆ' x + 6
A(x) = x + 1
Vogliamo dividere P(x) per A(x) usando la regola di Ruffini. Il primo problema è che A(x) non è della forma x âˆ' r, ma piuttosto x + r. Questo è facile da risolvere: basta riscrivere A(x) come


Applichiamo ora l'algoritmo.

1. Scriviamo i coefficienti di P(x) e r:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |                        |
----|------------------------|------
    |                        |
    |                        |
2. Copiamo il primo coefficiente sotto:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |                        |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2                  |
3. Moltiplichiamo il numero più a destra sotto la riga per r:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2           |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2                  |
4. Sommiamo i valori della seconda colonna dopo la riga verticale:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2           |
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2     -7           |
5. Ripetiamo i passi 3 e 4 fino alla fine:

    |     2     -5     -1    | +6
    |                        |
-1 |           -2     +7    | -6
----|------------------------|------
    |                        |
    |     2     -7     +6    |  0   | {coefficienti} | {resto}
Insomma, abbiamo che

P(x) = A(x) * Q(x) + R, dove
Q(x) = 2x2 âˆ' 7x + 6 e R = 0.
Divisione polinomiale per ax âˆ' k  [modifica]
Applicando una facile trasformazione, la regola di Ruffini si può generalizzare anche per le divisioni di un polinomio per un binomio qualsiasi di primo grado A(x) = ax âˆ' k. Infatti, considerando la relazione fondamentale


dividendo tutto per a (sicuramente diverso da 0) otteniamo


Detti P(x) / a = P'(x) e R(x) / a = R'(x) otteniamo


Dunque il quoziente richiesto Q(x) è anche il quoziente della divisione di P'(x) per (x âˆ' k / a), che si può fare con la regola appena esposta. Per trovare il resto richiesto R(x) basterà moltiplicare il resto ottenuto R'(x) per a.

Trovare le radici di un polinomio  [modifica]
Il teorema delle radici razionali afferma che se un polinomio f(x)=anxn+an-1xn-1+...+a1x+a0 ha coefficienti interi, le sue radici razionali sono sempre della forma p/q, dove p e q sono interi coprimi, p è un divisore (non necessariamente positivo) di a0 e q un divisore di an. Se il nostro polinomio è quindi

,
le radici razionali possibili appartengono all'insieme dei divisori interi di a0 (âˆ'2):


Questo è un esempio semplice, perché il polinomio è monico (cioè, an=1); per i polinomi non monici, l'insieme delle possibili radici comprenderà alcune frazioni, ma solo in numero finito, dato che an e a0 hanno ciascuno un numero finito di divisori interi. In ogni caso per i polinomi monici ogni radice razionale è un intero, e quindi ogni radice intera dev'essere un divisore del termine costante. Si può dimostrare che questo resta vero anche per i polinomi non monici: insomma, per trovare le radici intere di un polinomio a coefficienti interi, basta verificare i divisori del termine costante. Infatti, ogni polinomio non monico può essere ricondotto al caso monico, semplicemente dividendo i coefficienti per an.

Provando pertanto a porre r pari a ciascuna delle radici possibili, si può provare a dividere il polinomio per (x-r). Se il polinomio quoziente risultante non ha resto, abbiamo trovato una radice.

Si può scegliere uno dei due metodi seguenti: essi danno gli stessi risultati, con l'eccezione che solo il secondo permette di trovare se una radice è ripetuta. (Ricordate che nessuno dei due metodi permette di scoprire radici irrazionali o complesse).

Primo metodo  [modifica]
Cerchiamo di dividere P(x) per il binomio (x âˆ' ciascuna possibile radice). Se il resto è 0, il numero utilizzato è una radice (e viceversa):

    |    +1    -4    +5     -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                               |
+1 |          +1    -3     +2                   -1 |          -1    +5    -10
----|----------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -3    +2      0                      |    +1    -5    +10    -12
    |    +1    -4    +5     -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                               |
+2 |          +2    -4     +2                   -2 |          -2    +12   -34
----|----------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -2    +1      0                      |    +1     -6    +17   -36
x1 = + 1, x3 = + 2 sono radici, mentre x2 = âˆ' 1 e x4 = âˆ' 2 non lo sono.

Secondo metodo  [modifica]
Iniziamo come nel primo metodo fino a che troviamo una radice. A questo punto, invece che ripartire con le altre radici possibili, si continua a provare, partendo dal polinomio quoziente ottenuto, riusando la radice appena trovata, per vedere se ci sono radici multiple:

    |    +1    -4    +5    -2                      |    +1    -4    +5    -2
    |                                              |
+1 |          +1    -3    +2                   +2 |          +2    -4    +2
----|---------------------------               ----|---------------------------
    |    +1    -3    +2   | 0                      |    +1    -2    +1   | 0
    |                     |                        |                     |
+1 |          +1    -2   |                     +2 |          +2    +0   |
----|---------------------|                    --------------------------|
    |    +1    -2     0                            |    +1     0    +1
x1 = + 1 è una radice multipla, mentre x3 = + 2 è una radice semplice.

Fattorizzazione polinomiale  [modifica]
Dopo avere usato il metodo "p/q" mostrato sopra (o un qualunque altro modo) per trovare tutte le radici razionali reali di un certo polinomio, è semplice sfruttarle per fattorizzare parzialmente il polinomio stesso: a ogni fattore lineare (x - r) che divide un polinomio dato corrisponde una radice r, e viceversa.

Quindi, se abbiamo il polinomio:

;
e abbiamo trovato come sue radici:

;
consideriamo il prodotto:

.
Per il Teorema fondamentale dell'algebra, Q(x) sarebbe uguale a P(x) se tutte le radici di P(x) fossero razionali. Ma è assai probabile che Q(x) non sia uguale a P(x), dato che P(x) potrebbe avere anche radici irrazionali o complesse. Consideriamo allora il polinomio quoziente

.
Se S(x) = 1, allora Q(x) = P(x). Altrimenti, S(x) sarà un polinomio, per la precisione un altro fattore di P(x) che non ha radici razionali in . Dunque


è una fattorizzazione completa di P(x) su  se S(x) = 1, altrimenti sarà una fattorizzazione completa su , ma ci saranno altri fattori su  o su .

Primo esempio: nessun resto  [modifica]
Sia


Con i metodi descritti sopra, troviamo che le radici razionali di P(x) sono:


Pertanto, il prodotto di (x âˆ' ciascuna radice) è


P(x)/Q(x) dà


E così il polinomio fattorizzato è P(x) = Q(x) * 1 = Q(x):


Secondo esempio: con resto  [modifica]
Sia


Con i metodi descritti sopra, troviamo che le radici razionali di P(x) sono:


Pertanto, il prodotto di (x âˆ' ciascuna radice) è


P(x)/Q(x) dà


Dato che , il polinomio fattorizzato sui razionali è P(x) = Q(x) * S(x):


Rispondi

Da: Regole29/09/2011 16:50:45
L'Abate

Un abate degno di stare a capo di un monastero deve sempre avere presenti le esigenze implicite nel suo nome, mantenendo le proprie azioni al livello di superiorità che esso comporta.

Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome,

secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!"

Perciò l'abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore,

anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità.

Si ricordi sempre che nel tremendo giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo insegnamento, quanto dell'obbedienza dei discepoli

e sappia che il pastore sarà considerato responsabile di tutte le manchevolezze che il padre di famiglia avrà potuto riscontrare nel gregge.

D'altra parte è anche vero che, se il pastore avrà usato ogni diligenza nei confronti di un gregge irrequieto e indocile, cercando in tutti i modi di correggerne la cattiva condotta,

verrà assolto nel divino giudizio e potrà ripetere con il profeta al Signore: "Non ho tenuto la tua giustizia nascosta in fondo al cuore, ma ho proclamato la tua verità e la tua salvezza; essi tuttavia mi hanno disprezzato, ribellandosi contro di me".

E allora la giusta punizione delle pecore ribelli sarà la morte, che avrà finalmente ragione della loro ostinazione.

Dunque, quando uno assume il titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento,

mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani.

Confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole, per non correre il rischio di essere condannato dopo aver predicato agli altri

e di non sentirsi dire dal Signore per i suoi peccati: "Come ti arroghi di esporre i miei precetti e di avere sempre la mia alleanza sulla bocca, tu che hai in odio la disciplina e ti getti le mie parole dietro le spalle?"

e ancora: "Tu che vedevi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, non ti sei accorto della trave nel tuo".

Si guardi dal fare preferenze nelle comunità:

non ami l'uno piò dell'altro, a eccezione di quello che avrà trovato migliore nella condotta e nell'obbedienza:

non anteponga un monaco proveniente da un ceto elevato a uno di umili origini, a meno che non ci sia un motivo ragionevole per stabilire una tale precedenza.

Ma se, per ragioni di giustizia, riterrà di dover agire così lo faccia per chiunque; altrimenti ciascuno conservi il proprio posto,

perché, sia il servo che il libero, tutti siamo una cosa sola in Cristo e, militando sotto uno stesso Signore, prestiamo un eguale servizio. Infatti, "dinanzi a Dio non ci sono parzialità"

e una cosa sola ci distingue presso di lui: se siamo umili e migliori degli altri nelle opere buone.

Quindi l'abate ami tutti allo stesso modo, seguendo per ciascuno una medesima regola di condotta basata sui rispettivi meriti.

Per quanto riguarda poi la direzione dei monaci, bisogna che tenga presente la norma dell'apostolo: "Correggi, esorta, rimprovera"

e precisamente, alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle circostanze, sappia dimostrare la severità del maestro insieme con la tenerezza del padre.

In altre parole, mentre deve correggere energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, deve esortare amorevolmente quelli che obbediscono con docilità a progredire sempre più. Ma è assolutamente necessario che rimproveri severamente e punisca i negligenti e coloro che disprezzano la disciplina.

Non deve chiudere gli occhi sulle eventuali mancanze, ma deve stroncarle sul nascere, ricordandosi della triste fine di Eli, sacerdote di Silo.

Riprenda, ammonendoli una prima e una seconda volta, i monaci più docili e assennati,

ma castighi duramente i riottosi, gli ostinati, i superbi e i disobbedienti, appena tentano di trasgredire, ben sapendo che sta scritto: "Lo stolto non si corregge con le parole"

e anche: "Battendo tuo figlio con la verga, salverai l'anima sua dalla morte".

L'abate deve sempre ricordarsi quel che è e come viene chiamato, nella consapevolezza che sono maggiori le esigenze poste a colui al quale è stato affidato di più.

Bisogna che prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto di dirigere le anime e porsi al servizio dei vari temperamenti, incoraggiando uno, rimproverando un altro e correggendo un terzo:

perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza, in modo che, invece di aver a lamentare perdite nel gregge affidato alle sue cure, possa rallegrarsi per l'incremento del numero dei buoni.

Soprattutto si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche,

ma pensi sempre che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà rendere conto

e non cerchi una scusante nelle eventuali difficoltà economiche, ricordandosi che sta scritto :"Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in soprappiù"

e anche: "Nulla manca a coloro che lo temono".

Sappia inoltre che chi si assume l'impegno di dirigere le anime deve prepararsi a renderne conto

e stia certo che, quanti sono i monaci di cui deve prendersi cura, tante solo le anime di cui nel giorno del giudizio sarà ritenuto responsabile di fronte a Dio, naturalmente oltre che della propria.

Così nel continuo timore dell'esame a cui verrà sottoposto il pastore riguardo alle pecore che gli sono state affidate mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si fa più attento al proprio

e corregge i suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue ammonizioni.

Capitolo III - La consultazione della comunità

Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l'abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l'affare in oggetto.

Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno.

Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore.

I monaci poi esprimano il loro parere con tutta umiltà e sottomissione, senza pretendere di imporre a ogni costo le loro vedute;

comunque la decisione spetta all'abate e, una volta che questi avrà stabilito ciò che è più conveniente, tutti dovranno obbedirgli.

D'altra parte, come è doveroso che i discepoli obbediscano al maestro, così è bene che anche lui predisponga tutto con prudenza ed equità.

Dunque in ogni cosa tutti seguano come maestra la Regola e nessuno osi allontanarsene.

Nessun membro della comunità segua la volontà propria,

né si azzardi a contestare sfacciatamente con l'abate, dentro o fuori del monastero.

Chi si permette un simile contegno, sia sottoposto alle punizioni previste dalla Regola.

L'abate però dal canto suo operi tutto col timor di Dio e secondo le prescrizioni della Regola, ben sapendo che di tutte le sue decisioni dovrà certamente rendere conto a Dio, giustissimo giudice.

Se poi in monastero si devono trattare questioni di minore importanza, si serva solo del consiglio dei più anziani,

come sta scritto: "Fa' tutto col consiglio e dopo non avrai a pentirtene".
Rispondi

Da: Hobby29/09/2011 16:56:22
Il maestrale ("maestro ale" o mistral dall'antico provenzale maestral) è il vento che spira da Nord-Ovest. Tale direzione è indicata simbolicamente nella cosiddetta rosa dei venti. Vi sono due possibili etimologie di questo nome, a seconda che consideri la prassi romana collocare la rosa dei venti al centro del Mediterraneo o quella medioevale che la posiziona sull'isola di Zakynthos (Zante o Zacinto, in Grecia. In entrambi i casi la direzione nord-occidentale punta alla città più importante per chi ha dato il nome al vento: nel primo caso Roma, Magistra Mundi, oppure Venezia, la via maestra dal porto di origine.
Rispondi

Da: IMPORTANTE.......29/09/2011 17:00:28
La dolomia è una roccia sedimentaria carbonatica costituita principalmente dal minerale dolomite, chimicamente un carbonato doppio di calcio e magnesio.

Questa roccia prende il suo nome (come il minerale dolomite) dal naturalista e geologo francese Déodat de Dolomieu (1750-1801), il quale nel 1791 osservò tale roccia nei gruppi montuosi delle Dolomiti nel nord Italia.

Quando in un calcare la calcite è parzialmente sostituita da dolomite, esso viene chiamato calcare magnesiaco, calcare dolomitico o dolomia calcarea in funzione della specie mineralogica dominante in percentuale. Nello schema seguente è riportata la classificazione completa dei termini di transizione tra dolomie e calcari:


MgCa(CO3)2  CaCO3
0% - 5% calcari 100% - 95%
5% - 10% calcari magnesiaci 95% - 90%
10% - 50% calcari dolomitici 90% - 50%
50% - 90% dolomie calcaree 50% - 10%
90%- 100% dolomie 10% - 0%




Il metodo tradizionalmente usato per distinguere, in maniera speditiva sul terreno, nelle rocce carbonatiche fra calcare e dolomia è la prova dell'acido cloridrico (HCl): una goccia di acido (diluito in acqua al 5% di concentrazione) viene versata su un campione di roccia: il calcare reagisce immediatamente con una schiuma effervescente, mentre la dolomia rimane apparentemente inerte.



Origine
La dolomitizzazione si verifica in condizioni ambientali particolari quali possono essere quelle ipersaline come ad esempio in ambienti tidali e lacustri, o in zone del sottosuolo dove si incontrano e mescolano acqua meteorica e acqua marina cioè in condizioni schizoaline. Inoltre, anche l'attività biologica può essere un fattore importante nel processo di dolomitizzazione, visto che la materia organica, in particolare alghe e batteri, sembra ne favorisca lo sviluppo. I criteri per la classificazione delle dolomie possono essere sia composizionali, riguardanti il rapporto calcio/magnesio, tessiturali e genetici.

Le Dolomie di precipitazione diretta, o primarie, sono rarissime e la precipitazione diretta di dolomite nell'acqua marina è fondamentalmente un problema di nucleazione molecolare che è un processo estremamente lento a basse temperature e, inoltre, la struttura della dolomite è altamente ordinata. Tra gli Autori è opinione corrente che tale processo sia stato estremamente raro anche nel passato geologico, tranne però, durante il Precambriano o il Paleozoico in cui la precipitazione diretta sarebbe stata favorita dall'alta pressione di anidride carbonica nell'atmosfera, dovutamente alle ancora frequentissime eruzioni vulcaniche che, inoltre, producevano un elevato rapporto Magnesio/Calcio nelle acque.

Le Dolomie di sostituzione, invece, rappresentano la maggior parte delle dolomie antiche e recenti. Si formano a causa della conversione di un precursore minerale costituito da carbonato di calcio (solitamente calcite o aragonite), che sia sedimento sciolto o roccia, in dolomite: questo processo consiste essenzialmente in una parziale sostituzione degli atomi di calcio con quelli di magnesio. A basse temperature, lo smistamento degli ioni in una struttura cristallina è molto lento, anche tenendo in considerazione i tempi geologici: di conseguenza, si ipotizza che la dolomitizzazione non sia una reazione che avvenga allo stato solido ma che si attui mediante dissoluzione del carbonato di calcio e contemporanea precipitazione di dolomite a partire da una soluzione acquosa che attraversi il sedimento. In generale, perché si possa verificare sono necessarie due condizioni fondamentali: a) un rapporto Mg/Ca sufficientemente elevato e b) un meccanismo in grado di far fluire attraverso la roccia un volume sufficiente di soluzione "dolomitizzante", in modo che la reazione possa completarsi e quindi formarsi una vera roccia dolomitica. Naturalmente si necessita anche di un tempo sufficientemente lungo affinché la reazione possa espletarsi.

Modelli di Dolomitizzazione
Sulla base del chimismo del fluido dolomitizzante si possono distinguere modelli ipersalini e modelli salmastri.




Modelli Ipersalini
Le soluzioni ipersaline necessarie ad aumentare il rapporto Mg/Ca vengono prodotte tramite evaporazione e conseguente movimento ascensionale dei fluidi attraverso il sedimento che può esplicarsi con meccanismi differenti:

concentrazione capillare e pompaggio evaporitico
riflusso
Nel primo meccanismo si presuppone l'esistenza di una piana di marea retrostante una laguna; in condizioni climatiche aride, nei momenti di intensa evaporazione e ridotto rifornimento idrico, nelle aree sopratidali[3] si innesca un movimento di risalita delle acque con sviluppo di evapotraspirazione. La perdita d'acqua è rimpiazzata dalla continua introduzione nel sistema di nuova soluzione di derivazione marina (nei settori più esterni della piana tidale) o continentale: l'evaporazione lascia, come residuo, una salamoia interstiziale che può raggiungere valori di salinità 5 volte superiori all'acqua marina normale e rapporti Mg/Ca pari anche a 40:1. Con queste condizioni esistono le premesse allo sviluppo della dolomitizzazione dei sedimenti attraverso i quali passano (e ristagnano) tali salamoie.

In questo sviluppo ricopre una grande importanza la antecedente precipitazione di gesso, poiché non solo permette di fissare il calcio (essendo un solfato di calcio), elevando ancor di più il rapporto Mg/Ca, ma soprattutto rimuove lo ione solfato che inibisce lo sviluppo della dolomitizzazione.
I sedimenti dolomitizzati di queste aree tidali sono dolomie microcristalline caratterizzate da laminazioni algali, fratture e poligoni da essiccamento e le tipiche fenestrae.

Nel meccanismo del riflusso, si presuppone l'esistenza di una piattaforma carbonatica bordata da barriere (scogliere organogene, barre litorali...) che racchiudono lagune interne, più o meno ristrette. Se il clima è arido, nei settori più interni di tali lagune si vengono a concentrare, per successive evaporazioni, dense salamoie ipersaline che poi, per gravità, tendono a rifluire verso mare; la presenza delle barriere limiterebbe il riflusso libero determinando il ristagno delle salamoie nelle parti più depresse delle lagune. Le salamoie così formatesi, nel tentativo di rifluire verso mare, percolerebbero attraverso i sedimenti dolomitizzandoli.

Modello Salmastro 
In questo modello si spiega come acque salmastre derivate dalla miscela di acque ipersaline e dolci siano in grado di dolomitizzare efficacemente le rocce attraversate. La diluizione di salamoie da parte di acque dolci, provoca una drastica diminuzione della salinità, mantenendo quasi costante il rapporto Mg/Ca, e le soluzioni risultanti rientrano nel campo di stabilità della dolomite.

In condizioni ipersaline bisogna raggiungere valori molto elevati nel rapporto Mg/Ca affinché si verifichi la precipitazione di dolomite invece di aragonite e/o calcite, mentre in condizioni salmastre, al contrario, la dolomite cristallizza con rapporti molto minori: basti pensare che sono sufficienti percentuali di acqua marina comprese tra il 5% e il 50% affinché si abbia sovrasaturazione della dolomite e quindi si verifichi la precipitazione di tale minerale.

Gli ambienti in cui possono aversi queste situazioni sono gli ambienti schizoalini cioè, ad esempio, gli ambienti costieri periodicamente interessati da acque "dolci" meteoriche, in seguito alle quali è possibile l'instaurarsi di acquiferi di acque dolci sotterranee che quindi diventano potenziali aree di dolomitizzazione.

Questo descritto, in letteratura geologica, è noto come "modello Dorag" e spiega l'origine di quelle dolomie che non sono associate a rocce evaporitiche, oppure in quelle in cui non esistono evidenze di alti strutturali o piattaforme carbonatiche.

Usi 
La dolomia è usata come pietra ornamentale e come materia prima per la fabbricazione di cemento. È inoltre una fonte di ossido di magnesio.
È un'importante roccia serbatoio di petrolio.
A volte è usata al posto della calcite nel processo di produzione di ferro e di acciaio per la rimozione delle impurità durante la riduzione del minerale ferroso.

Rispondi

Da: in viaggio29/09/2011 19:49:15
Il Madagascar è un'isola tropicale che si trova al largo della costa orientale Africana, nell'Oceano Indiano a circa 400 km dalle coste del Mozambico.
Con una popolazione di più di sedici milioni di abitanti e una superficie di 587.000 km2 si tratta della quarta isola più grande del mondo.

La sua capitale è Antananarivo.
Ci sono due lingue principali parlate: Il malgasci ed il francese.
Ma anche se spiccicate un po' d'inglese, non dovreste avere grossi problemi a comunicare con gli abitanti.

Per recarsi in Madagascar è obbligatorio ottenere il visto d'entrata.
Questo visto può comodamente essere acquistato all'aeroporto internazionale di Madagascar per un controvalore di circa 30 dollari ed ha una validità complessiva di 30 giorni.

Quand'è il periodo migliore per passare le vacanze in Madagascar?
Purtroppo durante l'anno ci sono dei periodi di piogge intense da evitare.
Il periodo più adatto è tra Aprile e Ottobre.
Naturalmente possiamo andarci tutto l'anno, però per chi odia le piogge, i mesi tra Novembre e Marzo sarebbero in ogni caso da evitare.
Trattandosi di un'isola tropicale c'è anche un clima tropicale.
Questo clima tropicale è caratterizzato da due stagioni: come sopra citato c'è il periodo tra Aprile e Ottobre, che è senz'altro il periodo cosiddetto "secco", cioè con l'assenza assoluta delle piogge.
La stagione tra Novembre e Marzo invece è quella con la massima percentuale di precipitazioni.
Le temperature possono variare tra 0 gradi e 35 gradi. Generalmente soprattutto la costa mantiene una temperatura tra i 25 e i 35 gradi, il che è più che costante.

Che cosa si mangia in Madagascar?
I tipi principali tra carne, pesce e crostacei utilizzati in cucina sono maiale, pollo, tanti tipi di pesce diversi, gamberi e aragoste. Si tratta di una specie di piatto unico com'è anche servito nei paesi nordici.
La carne o il pesce sono spesso accompagnati da legumi e riso.
Esistono anche tanti tipi di salse diverse che contengono come alimento principale il cocco.

Se avete bisogno di una banca:
Generalmente non è un problema trovare una banca.
Bisogna però tener conto in anticipo che le banche saranno presenti soprattutto nei villaggi turistici o nei grandi centri urbani.
Le carte di credito non sono accettate dappertutto, ma probabilmente nella capitale stessa o nei grandi centri urbani non dovreste riscontrare grossi problemi a utilizzarle.
Informatevi per sicurezza sempre in anticipo!

Buon viaggio!
Rispondi

Da: L’ELFO E LA BAMBINA (UN MAGICO INCONTRO)29/09/2011 19:50:52
- nonna - disse Frida - mi racconti una storia?
- si, piccola mia - disse la nonna, andiamo nel mio soggiorno e mettiamoci a sedere sui divani vicino al caminetto, ti voglio raccontare una bellissima storia che sa dell'incredibile… Ascolta!
In un piccolo paese della Germania Est viveva con la zia una splendida bambina di circa 10 anni che aveva un nomignolo molto curioso: la gente del luogo la soprannominava "goccia di latte" perché la sua pelle era trasparente come una goccia e bianca come il latte.
Era una bambina deliziosa, esilarante e molto solare. Un tantino assai vivace, aveva però un piccolo difetto: era alquanto dispettosa, le piaceva scherzare con tutti e a volte la gente povera di spirito si arrabbiava terribilmente.
A quei tempi nel paese girava voce di un'antica e misteriosa leggenda che aleggiava fin dai tempi più remoti. Si diceva che nei pressi di un lungo fiume si stendeva adiacente un immenso e vasto bosco molto folto e profondo, dove abitavano misteriose creature magiche dai caratteri un po' burloni.
Questi piccoli omini cosi buffi e bizzarri venivano chiamati dalla voce del popolo ELFI..!
- nonna - disse Frida chi sono gli elfi?
- Ora te lo dico nipotina mia - rispose la nonna.
- Gli ELFI sono creature buone e pacifiche che amano tanto gli esseri umani e la natura, amano molto ballare e cantare, ma soprattutto nelle notti estive di luna piena con il cielo trapuntato di stelle si radunano ai margini dei boschi, in luoghi solitari ricoperti da muschio. Alcuni cantano e hanno una voce melodiosa altri suonano dolcemente e tutti danzano tenendosi per mano in cerchio formando immensi girotondi. Spesso decidono di vivere accanto agli uomini, però gli esseri umani non li vedono mai, a meno che questi non lo vogliono, perché non soltanto possono vedere gli uomini, ma anche palesarsi e rendersi visibile ad essi! A volte però, se sentono arrivare qualcuno a loro non gradito si tramutano in lucciole, ceppi, sassi o radici per non farsi scoprire -
- Nonna vuol dire che se io dovessi incontrare una lucciola o vedere un sasso potrebbe essere un ELFO? - Disse Frida.
- Potrebbe, nipotina mia - disse la Nonna, - ma queste creature solitamente abitano nei luoghi oscuri, fra immense foreste, conifere, brughiere e radure erbose. Non è facile incontrare un ELFO ma quando capita è davvero un esperienza entusiasmante e se riuscirai a fartelo amico ti porterà tanta fortuna e felicità.
Ma proseguiamo il nostro racconto.
Molte illustri persone del paese e dintorni si erano addentrate nel bosco alla ricerca spasmodica degli ELFI, ma i viaggi intrapresi risultarono alquanto vani. Oramai la gente del paese era molto restia circa quanto si mormorava su questa antica leggenda, in realtà nessuno ci credeva più perché nessuno mai fino ad allora era riuscito ad incontrare queste magiche creature.
- Nonna - disse Frida - ma tu credi agli ELFI? -
- si piccola mia - rispose la Nonna, - Io ho sempre creduto fin da quando avevo la tua età -
Adesso però ascolta.
Una calda notte d'estate di luna piena quando tutti in paese già dormivano compresa "goccia di latte", un misterioso puntino verde si accostò lentamente dinanzi al davanzale di una finestra. Era la finestra della cameretta di "goccia di latte"che ignara di tutto era immersa in un dolce sonno profondo. All'improvviso si udì un suono festante di campanellini che turbò il sonno di quella dolce bambina che si svegliò repentinamente. e vide sul parapetto della finestra un minuscolo omino colorato molto buffo dal visino verde.
- Nonna com'era il suo aspetto ? - Balbettò Frida
- Ora te lo dico nipotina mia - disse la Nonna. - Devi sapere che sono creature molto piccole e fragili, sono alti meno di un metro, hanno la testa grossa, due orecchie lunghe a punta, un nasino a patatina, due vispi occhietti quasi fosforescenti che gli permettono di scrutare meglio il buio durante la notte, indossano sul capo un lungo cappello di piuma, hanno pantaloni e casacca verde con grandi bottoni e calzano su ciascun piede stivaletti a mezza gamba.
"Goccia di latte" quasi non credeva ai suoi occhi, era rimasta esterefatta da quella piccola visione, non poteva mai immaginare di poter incontrare un ELFO. Ma la cosa ancora più misteriosa era che quel piccolo folletto parlava.
- E cosa diceva Nonna - disse Frida !
- Ora ascolta attentamente il mio racconto - disse la Nonna ! - "Goccia di latte" apri di rimpetto la finestra della sua cameretta e, ancora basita, con la bocca spalancata e con l'espressione di stupore, invitò quel piccolo omino ad entrare nella stanzetta ma lui si rifiutò categoricamente: non entrò ma chiese con voce armoniosa a quella dolce bambina se poteva seguirlo nel bosco! E le disse - Tu hai avuto il privilegio di vedermi, perché io mi sono visibilmente mostrato a te, io ti ho scelto perché tu mi possa fare un grande favore, mi accompagneresti nel mio bosco? Ti prego -
- Ma io non conosco il bosco - disse "goccia di latte" - è troppo vasto ed immenso per me, è un luogo dove rischierei di perdermi e poi ho paura.
- Non devi avere paura - disse L'ELFO - prendimi tra le tue mani delicatamente e posami sulla tua spalla destra, quando ti incamminerai e ti dirigerai verso il bosco un armonioso suono di campanellini ti farà compagnia e ti indicherà la strada da seguire, ogni suono ha una melodia diversa ed io te la mostrerò… fidati non te ne pentirai -
"Goccia di latte" sbigottita, dopo molte reticenze accettò perché sapeva in cuor suo che quel magico ELFO l'avrebbe protetta! Cosi si avviò lungo il fiume che divideva il paese e prosegui il suo viaggio verso il bosco.
Quel dolce e incantevole suono di campanellini la condusse per tutto il lungo tragitto. Quella magica notte la madre luna era più splendente che mai, il cielo era terso, le stelle sembravano nastri d'argento colorati e brillavano con tutta la loro forza; all'avvicinarsi del bosco si udivano canti melodiosi di uccelli che svolazzavano da un ramo all'altro lasciandosi cullare dal fruscio delle foglie.
- Benvenuta in questa terra viandante - disse L'ELFO a "goccia di latte" che si trovava a dover esplorare i sentieri che snodavano gli alberi secolari di quel bosco .Tutto sembrava magico e tutto lasciava presagire come in un sogno.
Giunti nel cuore dell'incantevole foresta "goccia di latte" disse al suo piccolo ELFO - Finalmente siamo approdati nel bosco, io ti ho portato fin qui, ma ora come farò a tornare indietro da sola per andare a casa? -
- Che fretta hai? - disse L'ELFO con una voce musicale , - Rimani qui con me per un po': ti voglio far conoscere la dimora del mio popolo, però devi sapere che per far questo entreremo nella terra di mezzo -
- E che cos'è la terra di mezzo? - disse "goccia di latte" che se ne stava rannicchiata sotto l'albero più alto del bosco. L'ELFO rispose - La terra di mezzo è un luogo aldilà del tempo e dello spazio che però è in comunicazione con gli uomini, questo è accaduto a causa dell'iniquità e della crudeltà che gli uomini hanno avuto nei nostri confronti della bellezza della natura. Noi piccoli ELFI amiamo molto la natura, e' il nostro vivo patrimonio secolare, la nostra risorsa, la nostra ricchezza incontaminata; per questo va curata e preservata, ma tutto ciò ha fatto si che noi non abitassimo più tra gli uomini ma nella terra di mezzo -
"Goccia di latte" ascoltava con stupore tutto ciò che L'ELFO raccontava e pensava tra se' che quella mirabile notte fosse solo una bellissima chimera.
- Nonna - disse Frida - esiste davvero un posto chiamata terra di mezzo?
- Si piccola mia - Rispose la Nonna, - ascolta il seguito del racconto! -
"Goccia di latte" si incamminò nella foresta insieme al suo piccolo ELFO che volle insistentemente condurla nella terra di mezzo e disse - Tra poco varcheremo i confini di questo immenso bosco; li davanti a te troverai giacente un enorme pianta di BIANCOSPINO tutta ornata da fiori bianchi e profumati, è la pianta magica del nostro piccolo popolo -
- Perché è magica? - disse "goccia di latte.
L'ELFO rispose - perché ogni qual volta che noi la tocchiamo, ogni fiore bianco diventa di un colore diverso ed ogni colore possiede una tonalità diversa: è l'unità dei nostri sentimenti! -
"Goccia di latte" rispose - Vuol dire che attraverso questi fiori, io potrò riconoscere lo stato d'animo di ciascun ELFO ? -
- Si è proprio cosi - rispose L'ELFO - ma non è tutto, la pianta del BIANCOSPINO cresce nei tumuli che si formano in cerchi di pietra qui, noi spesso ci raduniamo per divertirci balliamo, cantiamo,suoniamo, facciamo festa, ci piace ridere, scherzare. far baldoria e a volte fare anche piccoli dispetti. E' cosi che qui passiamo il tempo, il nostro mondo è un mondo incantato che nessuno sa, neanche voi esseri umani, tranne te che ora sei stata la mia prescelta! -
- Non ti ho chiesto ancora come ti chiami? - Disse goccia di latte.
L'ELFO rispose - Noi non possediamo nomi come voi essere umani, noi siamo tutti di un popolo, siamo ELFI, ci distinguiamo tramite i suoni dei nostri campanellini che portiamo tra le piume dei nostri cappelli colorati! Adesso però entriamo nella terra di mezzo, ti farò conoscere la stirpe del mio piccolo popolo, entriamo nella porta dei cerchi di pietra -
- Io sono troppo alta per entrarci mentre tu sei piccolino - disse "goccia di latte".
- Non ti preoccupare - disse L'ELFO - Questa porta è magica, per questo nessuno riesce a vederla, tranne noi ELFI e adesso la mostrerò anche a te a grandezza d'uomo -
"Goccia di latte" presa dallo sconcerto per tutto ciò che aveva visto, rimase senza parole in uno stato d'intorpidimento. All'improvviso quella magica porta piccolina diventò sempre più grande, era tutta argentata come le stelle del firmamento, con rifiniture color oro, come la luna che splende nel cielo sconfinato. Nascosta tra i cespugli del BIANCOSPINO, la porta si apri lentamente senza far rumore, mille pensieri attraversavano la mente di "goccia di latte" che si diresse verso l'uscio.
- Che meraviglia - disse "goccia di latte"
- Questo è il mio villaggio - disse L'ELFO, con espressione fiera, - entriamo, ti farò esplorare le meraviglie della nostra dimora -
Il villaggio era bellissimo circondato da un immenso verde lussureggiante, si vedevano sgorgare acque azzurre di grandi laghi che sembravano specchi incantati, grandi giardini di fiori profumati e scintillanti come lumi accesi, tra gli alberi saltavano qua e la bellissime colombe dalle piume variopinte che infondevano l'eco di un dolce e antico canto e tra l'erba danzavano mille lucciole luminose irradiando scintille di luce folgorante che sembravano coriandoli di porcellana. Era proprio un paradiso.
"Goccia di latte" scrutava le meraviglie di quel villaggio incantato, non aveva mai visto un posto cosi bello! Nella piazza del villaggio giaceva immobile con grande rilievo un'enorme fontana di gesso bianco a forma di farfalla che sembrava una scultura secolare e al centro scorreva a zampillo un fiume d'acqua corrente che al guardare cambiava spesso tono di colore: un po' azzurra, un po' blu, un po' turchese e mentre "goccia di latte" si accingeva a toccarla, l'acqua variava di colore, era freddissima quasi ghiacciata come al polo nord.
Il piccolo ELFO invitò "goccia di latte" ad entrare nella porta dei "forzieri dei tesori", un luogo nascosto del villaggio dove gli ELFI custodivano preziosamente un antico tesoro di famiglia, era un ORACOLO, un grande libro rosso legato da un enorme fiocco dorato e conteneva tutta la saggezza del popolo!
"Goccia di latte" sorpresa prese in mano il libro, slegò il fiocco e comincio a sfogliare ad uno ad uno le pagine dell'inveterato oracolo e disse - Ma è impossibile leggerlo, non appartiene alla mia lingua! -
Infatti quel libro era indecifrabile, sembrava tutto scritto in codice, effettivamente era impossibile consultarlo. Il piccolo ELFO rispose - Questo libro lo possiamo leggere solo noi perché è scritto nella nostra lingua, in coboldo -
- Ma che lingua è? - disse "goccia di latte"
L'ELFO rispose - E' il nostro idioma, noi famiglia degli ELFI abitanti della Germania ci siamo dati da secoli un nome: i coboldi -
- Capisco - disse "goccia di latte" e depositò il libro che aveva nelle mani nel leggio appartenente alla famiglia degli ELFI!
Dopo questa avventura goccia di latte quella stessa notte decise di tornare a casa, ma prima di salutare, L'ELFO avanzò con discrezione, di colpo si tolse con la manina il cappellino verde di piuma depositato sul capo e disse - Ti consegno il mio cappello perché tu lo serbi come ricordo, prendine cura, è un portafortuna, racchiude un campanellino dal dolce suono soave, mi raccomando -
"Goccia di latte" commossa dalle parole del piccolo ELFO disse - Grazie di tutto amico mio, prometto che custodirò con affetto questo piccolo cappellino che diventerà il simbolo della nostra eterna amicizia -
L'ELFO sorrise, ma di colpo un fitta nebbia bianca si alzò da terra come una nuvola, avvolgendo la foresta ed il villaggio degli ELFI e come per incanto tutto spari.
"Goccia di latte" con l'aiuto magico del cappellino di piuma verde trovò la strada per raggiungere casa e arrivata a destinazione salì nella sua cameretta, poggiò il cappellino sul suo comodino ai piedi del letto e si riaddormentò profondamente.
La mattina seguente svegliandosi vide che alcuni oggetti di sua appartenenza che stavano nella stanzetta sparirono istantaneamente e disse - Ma dov'è sparita la mia borsetta? E le scarpe? E i libri? E tutti i miei oggetti sulla scrivania? Qualcuno di nascosto è entrato in camera mia? -
E già… qualcuno dispettoso e burlone era entrato nella cameretta di "goccia di latte" ma chi mai sarà stato?
- Nonna - disse Frida - che racconto stupendo, - ma poi come finirà? -
- Il finale lo sai già nipotina mia - disse la Nonna - Ora vai a giocare con le tua amichette, sono giù in giardino che ti aspettano, io nel frattempo metterò un po' di ordine nel mio soggiorno, poi verrò subito da te -
- Va bene Nonna, adesso vado a giocare - disse Frida.
Mentre la Nonna spolverava i libri della sua biblioteca dietro gli scaffali del secondo piano tirò fuori una bellissima scatola fiorata, la prese tra le mani la poggiò sul tavolo e la apri con delicatezza: c'era ancora il cappellino di piuma verde ben custodito.
Eh si, bambini! Era proprio lei la famosa "goccia di latte", la bambina che vide il folletto, la Nonna rise sul suo volto solcato dalle rughe e pensò ad alta voce - Non ti dimenticherò mai, sei sempre nel mio grande cuore mio piccolo ELFO, e ti racconterò ogni qualvolta che un bambino mi chiederà di te! -
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Da: Ricetta carne alla brace o alla griglia, il sapore29/09/2011 23:28:20
Ricetta facilissima per tutti gli amanti della cucina al barbecue. E cosa c'è di meglio per una scampagnata magari di Pasquetta? L'importante avere la possibilità di fare la brace e poi tutto il resto…va in fumo!!!



Ingredienti per la carne alla brace per 4 persone:

4 fette di carne da 250gr ognuna
1 cucchiaio d'olio
1 spicchio d'aglio
1 rametto di rosmarino
sale


Preparazione: ritirate la carne dal frigo almeno mezz'ora prima della cottura per evitare che sia ancora fredda all' interno al momento della cottura. In una ciotola unite l'olio, l'aglio tagliato a pezzi e il rosmarino. Miscelate bene il tutto. Preparate la brace e quando sarà pronta sistemate la griglia, fatela riscaldare e sistemate la carne spennellata con il condimento, fate cuocere dai ai 5 ai 10 minuti per lato secondo i vostri gusti. Ricordate che la carne deve essere girata una sola volta altrimente si perdono tutti i succhi. Quando sarà pronta salate e servite subito.



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Da: Insalata di pomodorini ciliegia e pomodori secchi29/09/2011 23:32:09
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
• 250 g di Pomodori ciliegia di Pachino
• 60 g di pomodori secchi sott'olio
• 10 g di foglie di basilico
• 2 cucchiai di olio extravergine di oliva
• sale

PREPARAZIONE
Lavate le foglie di basilico e asciugatele. Lavate i pomodorini, asciugateli e tagliateli a metà.
Sgocciolate dall'olio di conservazione i pomodori secchi e tagliateli grossolanamente oppure, se preferite, lasciateli interi. Versate in un'insalatiera i pomodorini, conditeli con sale e olio e mescolate. Unite i pomodori secchi insieme con le foglie di basilico, mescolate e servite.
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Da: Hamburger: ricetta originale americana29/09/2011 23:34:36
Per preparare la ricetta originale dell'hamburger all'americana servono pochissimi passi ed ingredienti che uniti tra di loro, creano quel mix perfetto di sapori a cui nessuno può resistere. L'hamburger, chiamato in Italia anche svizzera o pressata è una polpetta di carne bovina o di pollo (se la si preferisce più magra) schiacciata, di solito cotta alla piastra. Successivamente, con la nascita e l'introduzione dei fast food, il termine si è esteso ad identificare anche quel cibo composto da pane morbido, farcito di carne bovina tritata, salse, condimenti come pomodoro, bacon, insalata, cipolle, cetrioli e formaggio.

Origini dell'hamburger


Il nome hamburger è stato preso in prestito un po' di tempo fa da una città tedesca e dall'inglese colloquiale e la ricetta è stata portata nell'America del nord dai tedeschi, partiti dal porto di Amburgo (da notare l'assonanza tra i due termini), punto focale per il commercio con i paesi esteri. La prima ricetta amercana è apparsa già nel 1836, anche se la registrazione ufficiale dell'hamburger come alimento tipicamente americano è avvenuta nel 1884, quando il questo piatto tanto amato ha cominciato a sbancare e a diventare molto richiesto dalla popolazione.


Il successo planetario dell'hamburger


Con il boom economico dell'hamburger le multinazionali statunitensi ed europee sono riuscite a garantire in un arco di tempo molto ristretto una celere diffusione di questo secondo piatto, così buono che si può mangiare in pochi bocconi, in modo tale da farlo diventare l'icona della globalizzazione e della moderna società e rendendolo importante nel mondo quasi allo stesso livello della pizza, che come tutti sanno è una preparazione tanto amata e tipica della nostra penisola.


Hamburger e salute


Alimento molto calorico, partito dagli Stati Uniti alla conquista del pianeta, l'hamburger è diventato un punto fisso soprattutto nei gusti alimentari dei giovanissimi e dei bambini. Diversamente da quanto si potrebbe pensare oggigiorno, la ricetta originale americana dell'hamburger non è dannosa per la salute; anzi è realizzata con carne magra bovina, crusca ed ingredienti sani. Purtroppo, con il trascorrere del tempo, la ricetta classica dell'hamburger ha subito delle variazioni negative dal punto di vista nutrizionale, ma positive in quanto a gusto.


Un consumo corretto dell'hamburger


Per evitare che l'hamburger possa diventare una vera bomba ipercalorica e un problema per la vostra sana e corretta alimentazione, cercate di mangiarlo una volta ogni due settimane, come consigliano i nutrizionisti, per evitare di incorrere nel problema obesità, che sfortunatamente è in continuo aumento e conseguenzialmente in malattie cardiovascolari. Oppure, preferite ricette di hamburger un po' più all'italiana e meno farcite. Per saperne di più date uno sguardo a questi approfondimenti:



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Da: ...!30/09/2011 02:18:41
Certo la fantasia non ti manca te che copi un Po di ...tutto da internet..., ma non hai proprio nient'altro da fare?
Come e possibile che dicono gli orari e poi li cambiano e li cambiano, che buffonata, ridicoli!!!
Rispondi

Da: ATTENZIONE! BATTAGLIONE!30/09/2011 09:01:40
art.660 codice penale: reato contravvenzionale di molestia, o disturbo alle persone.
" chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico (ovvero col mezzo del telefono) PER PETULANZA O ALTRO BIASIMEVOLE MOTIVO RECA A TALUNO MOLESTIA O DISTURBO è PUNITO...."
nell'interpretazione giurisprudenziale, per "petulanza" deve intendersi "un comportamento impertinente, arrogante o un modo di agire non conforme ai principi della società civiel",ovvero" anche un modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto, impertinente che finisce per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà di altre persone".
non trovate che qualche corsista sia un pò... petulante'?!
meditate gente, meditate...
Rispondi

Da: ...sapete che c''è?30/09/2011 09:58:39
ai raccomandati incapaci e maleducati; agli stupidi prepotenti; ai commissari e commissarie "allegri" e senza scrupoli; ai leccapiedi; ai "furbi" presuntuosi che credono sempre di essere più dritti degli altri, e di avere la verità in tasca; agli ipocriti che stanno zitti, non si espongono mai ma dentro sono pieni di livore ( e lo riversano in questo bel forum); ai poveretti che scelgono le loro "amicizie" sulla base delle parentele... la vita vi giudicherà.
purtroppo per voi, tra 9 mesi il parco giochi/villaggio vacanze (come qualcuno intende questo corso) chiude, e allora non ci saranno paraventi. sarete tutti valutati per quello che siete e che valete, e il personale potrà anche portarvi (forse) un formale rispetto, ma alle vostre saplle si piegherà dalle risa (come purtoppo già fa: molti si sono fatti conoscere/ riconoscere  prima ancora di prender/ riprendere servizio).che meraviglia!
Rispondi

Da: A.M.30/09/2011 10:41:07
Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina. Don Abbondio in vece non sapeva altro ancora se non che l'indemani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa in consulte angosciose. Non far caso dell'intimazione ribalda, né delle minacce, e fare il matrimonio, era un partito, che non volle neppur mettere in deliberazione. Confidare a Renzo l'occorrente, e cercar con lui qualche mezzo... Dio liberi! - Non si lasci scappar parola... altrimenti... ehm! - aveva detto un di que' bravi; e, al sentirsi rimbombar quell'ehm! nella mente, don Abbondio, non che pensare a trasgredire una tal legge, si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua. Fuggire? Dove? E poi! Quant'impicci, e quanti conti da rendere! A ogni partito che rifiutava, il pover'uomo si rivoltava nel letto. Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo, menando Renzo per le lunghe. Si rammentò a proposito, che mancavan pochi giorni al tempo proibito per le nozze; «e, se posso tenere a bada, per questi pochi giorni, quel ragazzone, ho poi due mesi di respiro; e, in due mesi, può nascer di gran cose». Ruminò pretesti da metter in campo; e, benché gli paressero un po' leggieri, pur s'andava rassicurando col pensiero che la sua autorità gli avrebbe fatti parer di giusto peso, e che la sua antica esperienza gli darebbe gran vantaggio sur un giovanetto ignorante. «Vedremo, - diceva tra sé: - egli pensa alla morosa; ma io penso alla pelle: il più interessato son io, lasciando stare che sono il più accorto. Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di mezzo». Fermato così un poco l'animo a una deliberazione, poté finalmente chiuder occhio: ma che sonno! che sogni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate. Il primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un impiccio, è un momento molto amaro. La mente, appena risentita, ricorre all'idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo. Assaporato dolorosamente questo momento, don Abbondio ricapitolò subito i suoi disegni della notte, si confermò in essi, gli ordinò meglio, s'alzò, e stette aspettando Renzo con timore e, ad un tempo, con impazienza. Lorenzo o, come dicevan  tutti, Renzo non si fece molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al curato, v'andò, con la lieta furia d'un uomo di vent'anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama. Era, fin dall'adolescenza, rimasto privo de' parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir così, nella sua famiglia; professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora già in decadenza, ma non però a segno che un abile operaio non potesse cavarne di che vivere onestamente. Il lavoro andava di giorno in giorno scemando; ma l'emigrazione continua de' lavoranti, attirati negli stati vicini da promesse, da privilegi e da grosse paghe, faceva sì che non ne mancasse ancora a quelli che rimanevano in paese. Oltre di questo, possedeva Renzo un poderetto che faceva lavorare e lavorava egli stesso, quando il filatoio stava fermo; di modo che, per la sua condizione, poteva dirsi agiato. E quantunque quell'annata fosse ancor più scarsa delle antecedenti, e già si cominciasse a provare una vera carestia, pure il nostro giovine, che, da quando aveva messi gli occhi addosso a Lucia, era divenuto massaio, si trovava provvisto bastantemente, e non aveva a contrastar con la fame. Comparve davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario colore al cappello, col suo pugnale del manico bello, nel taschino de' calzoni, con una cert'aria di festa e nello stesso tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti. L'accoglimento incerto e misterioso di don Abbondio fece un contrapposto singolare ai modi gioviali e risoluti del giovinotto.
         «Che abbia qualche pensiero per la testa», argomentò Renzo tra sé; poi disse: - son venuto, signor curato, per sapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.
         - Di che giorno volete parlare?
         - Come, di che giorno? non si ricorda che s'è fissato per oggi?
         - Oggi? - replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta. - Oggi, oggi... abbiate pazienza, ma oggi non posso.
         - Oggi non può! Cos'è nato?
         - Prima di tutto, non mi sento bene, vedete.
         - Mi dispiace; ma quello che ha da fare è cosa di così poco tempo, e di così poca fatica...
         - E poi, e poi, e poi...
         - E poi che cosa?
         - E poi c'è degli imbrogli.
         - Degl'imbrogli? Che imbrogli ci può essere?
         - Bisognerebbe trovarsi nei nostri piedi, per conoscer quanti impicci nascono in queste materie, quanti conti s'ha da rendere. Io son troppo dolce di cuore, non penso che a levar di mezzo gli ostacoli, a facilitar tutto, a far le cose secondo il piacere altrui, e trascuro il mio dovere; e poi mi toccan de' rimproveri, e peggio.
         - Ma, col nome del cielo, non mi tenga così sulla corda, e mi dica chiaro e netto cosa c'è.
         - Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per fare un matrimonio in regola?
         - Bisogna ben ch'io ne sappia qualche cosa, - disse Renzo, cominciando ad alterarsi, - poiché me ne ha già rotta bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma ora non s'è sbrigato ogni cosa? non s'è fatto tutto ciò che s'aveva a fare?
         - Tutto, tutto, pare a voi: perché, abbiate pazienza, la bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non far penare la gente. Ma ora... basta, so quel che dico. Noi poveri curati siamo tra l'ancudine e il martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superiori... basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.
         - Ma mi spieghi una volta cos'è quest'altra formalità che s'ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.
         - Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?
         - Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?
         - Error, conditio, votum, cognatio, crimen,Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
         Si sis affinis,... - cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
         - Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?
         - Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.
         - Orsù!...
         - Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V'è saltato il grillo di maritarvi...
         - Che discorsi son questi, signor mio? - proruppe Renzo, con un volto tra l'attonito e l'adirato.
         - Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento.
         - In somma...
         - In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l'ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti.
         - Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?
         - Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet...
         - Le ho detto che non voglio latino.
         - Ma bisogna pur che vi spieghi...
         - Ma non le ha già fatte queste ricerche?
         - Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico.
         - Perché non le ha fatte a tempo? perché dirmi che tutto era finito? perché aspettare...
         - Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facilitato ogni cosa per servirvi più presto: ma... ma ora mi son venute... basta, so io.
         - E che vorrebbe ch'io facessi?
         - Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuol caro, qualche giorno non è poi l'eternità: abbiate pazienza.
         - Per quanto?
         «Siamo a buon porto», pensò fra sé don Abbondio; e, con un fare più manieroso che mai, - via, - disse: - in quindici giorni cercherò,... procurerò...
         - Quindici giorni! oh questa sì ch'è nuova! S'è fatto tutto ciò che ha voluto lei; s'è fissato il giorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene a dire che aspetti quindici giorni! Quindici - riprese poi, con voce più alta e stizzosa, stendendo il braccio, e battendo il pugno nell'aria; e chi sa qual diavoleria avrebbe attaccata a quel numero, se don Abbondio non l'avesse interrotto, prendendogli l'altra mano, con un'amorevolezza timida e premurosa: - via, via, non v'alterate, per amor del cielo. Vedrò, cercherò se, in una settimana...
         - E a Lucia che devo dire?
         - Ch'è stato un mio sbaglio.
         - E i discorsi del mondo?
         - Dite pure a tutti, che ho sbagliato io, per troppa furia, per troppo buon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana.
         - E poi, non ci sarà più altri impedimenti?
         - Quando vi dico...
         - Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene che, passata questa, non m'appagherò più di chiacchiere. Intanto la riverisco -. E così detto, se n'andò, facendo a don Abbondio un inchino men profondo del solito, e dandogli un'occhiata più espressiva che riverente.
         Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L'accoglienza fredda e impicciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que' due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d'incontrarsi con le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quell'accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che don Abbondio aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlar più chiaro; ma, alzando gli occhi, vide Perpetua che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un orticello pochi passi distante dalla casa. Le diede una voce, mentre essa apriva l'uscio; studiò il passo, la raggiunse, la ritenne sulla soglia, e, col disegno di scovar qualche cosa di più positivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.
         - Buon giorno, Perpetua: io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme.
         - Ma! quel che Dio vuole, il mio povero Renzo.
         - Fatemi un piacere: quel benedett'uomo del signor curato m'ha impastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben capire: spiegatemi voi meglio perché non può o non vuole maritarci oggi.
         - Oh! vi par egli ch'io sappia i segreti del mio padrone?
         «L'ho detto io, che c'era mistero sotto», pensò Renzo; e, per tirarlo in luce, continuò: - via, Perpetua; siamo amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.
         - Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo.
         - E' vero, - riprese questo, sempre più confermandosi ne' suoi sospetti; e, cercando d'accostarsi più alla questione, - è vero, - soggiunse, - ma tocca ai preti a trattar male co' poveri?
         - Sentite, Renzo; io non posso dir niente, perché... non so niente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio padrone non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa.
         - Chi è dunque che ci ha colpa? - domandò Renzo, con un cert'atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con l'orecchio all'erta.
         - Quando vi dico che non so niente... In difesa del mio padrone, posso parlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. Pover'uomo! se pecca, è per troppa bontà. C'è bene a questo mondo de' birboni, de' prepotenti, degli uomini senza timor di Dio...
         «Prepotenti! birboni! - pensò Renzo: - questi non sono i superiori». - Via, - disse poi, nascondendo a stento l'agitazione crescente, - via, ditemi chi è.
         - Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perché... non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda, che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt'e due -. Così dicendo, entrò in fretta nell'orto, e chiuse l'uscio. Renzo, rispostole con un saluto, torna indietro pian piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell'orecchio della buona donna, allunga il passo; in un momento fu all'uscio di don Abbondio; entrò, andò diviato al salotto dove l'aveva lasciato, ve lo trovò, e corse verso lui, con un fare ardito, e con gli occhi stralunati.
         - Eh! eh! che novità è questa? - disse don Abbondio.
         - Chi è quel prepotente, - disse Renzo, con la voce d'un uomo ch'è risoluto d'ottenere una risposta precisa, - chi è quel prepotente che non vuol ch'io sposi Lucia?
         - Che? che? che? - balbettò il povero sorpreso, con un volto fatto in un istante bianco e floscio, come un cencio che esca del bucato. E, pur brontolando, spiccò un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi all'uscio. Ma Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, e stava all'erta, vi balzò prima di lui, girò la chiave, e se la mise in tasca.
         - Ah! ah! parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i fatti miei, fuori di me. Voglio saperli, per bacco, anch'io. Come si chiama colui?
         - Renzo! Renzo! per carità, badate a quel che fate; pensate all'anima vostra.
         - Penso che lo voglio saper subito, sul momento -. E, così dicendo, mise, forse senza avvedersene, la mano sul manico del coltello che gli usciva dal taschino.
         - Misericordia! - esclamò con voce fioca don Abbondio.
         - Lo voglio sapere.
         - Chi v'ha detto...
         - No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subito.
         - Mi volete morto?
         - Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere.
         - Ma se parlo, son morto. Non m'ha da premere la mia vita?
         - Dunque parli. Quel «dunque» fu proferito con una tale energia, l'aspetto di Renzo divenne così minaccioso, che don Abbondio non poté più nemmen supporre la possibilità di disubbidire.
         - Mi promettete, mi giurate, - disse - di non parlarne con nessuno, di non dir mai...?
         - Le prometto che fo uno sproposito, se lei non mi dice subito subito il nome di colui.
         A quel nuovo scongiuro, don Abbondio, col volto, e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del cavadenti, proferì: - don...
         - Don? - ripeté Renzo, come per aiutare il paziente a buttar fuori il resto; e stava curvo, con l'orecchio chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all'indietro.
         - Don Rodrigo! - pronunziò in fretta il forzato, precipitando quelle poche sillabe, e strisciando le consonanti, parte per il turbamento, parte perché, rivolgendo pure quella poca attenzione che gli rimaneva libera, a fare una transazione tra le due paure, pareva che volesse sottrarre e fare scomparir la parola, nel punto stesso ch'era costretto a metterla fuori.
         - Ah cane! - urlò Renzo. - E come ha fatto? Cosa le ha detto per...?
         - Come eh? come? - rispose, con voce quasi sdegnosa, don Abbondio, il quale, dopo un così gran sagrifizio, si sentiva in certo modo divenuto creditore. - Come eh? Vorrei che la fosse toccata a voi, come è toccata a me, che non c'entro per nulla; che certamente non vi sarebber rimasti tanti grilli in capo -. E qui si fece a dipinger con colori terribili il brutto incontro; e, nel discorrere, accorgendosi sempre più d'una gran collera che aveva in corpo, e che fin allora era stata nascosta e involta nella paura, e vedendo nello stesso tempo che Renzo, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col capo basso, continuò allegramente: - avete fatta una bella azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di questa sorte a un galantuomo, al vostro curato! in casa sua! in luogo sacro! Avete fatta una bella prodezza! Per cavarmi di bocca il mio malanno, il vostro malanno! ciò ch'io vi nascondevo per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete? Vorrei vedere che mi faceste...! Per amor del cielo! Non si scherza. Non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza. E quando, questa mattina, vi davo un buon parere... eh! subito nelle furie. Io avevo giudizio per me e per voi; ma come si fa? Aprite almeno; datemi la mia chiave.
         - Posso aver fallato, - rispose Renzo, con voce raddolcita verso don Abbondio, ma nella quale si sentiva il furore contro il nemico scoperto: - posso aver fallato; ma si metta la mano al petto, e pensi se nel mio caso...
         Così dicendo, s'era levata la chiave di tasca, e andava ad aprire. Don Abbondio gli andò dietro, e, mentre quegli girava la chiave nella toppa, se gli accostò, e, con volto serio e ansioso, alzandogli davanti agli occhi le tre prime dita della destra, come per aiutarlo anche lui dal canto suo, - giurate almeno... - gli disse.
         - Posso aver fallato; e mi scusi, - rispose Renzo, aprendo, e disponendosi ad uscire.
         - Giurate... - replicò don Abbondio, afferrandogli il braccio con la mano tremante.
         - Posso aver fallato, - ripeté Renzo, sprigionandosi da lui; e partì in furia, troncando così la questione, che, al pari d'una questione di letteratura o di filosofia o d'altro, avrebbe potuto durar dei secoli, giacché ognuna delle parti non faceva che replicare il suo proprio argomento.
         - Perpetua! Perpetua! - gridò don Abbondio, dopo avere invano richiamato il fuggitivo. Perpetua non risponde: don Abbondio non sapeva più in che mondo si fosse.
         E' accaduto più d'una volta a personaggi di ben più alto affare che don Abbondio, di trovarsi in frangenti così fastidiosi, in tanta incertezza di partiti, che parve loro un ottimo ripiego mettersi a letto con la febbre. Questo ripiego, egli non lo dovette andare a cercare, perché gli si offerse da sé. La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte, la paura avuta in quel momento, l'ansietà dell'avvenire, fecero l'effetto. Affannato e balordo, si ripose sul suo seggiolone, cominciò a sentirsi qualche brivido nell'ossa, si guardava le unghie sospirando, e chiamava di tempo in tempo, con voce tremolante e stizzosa: - Perpetua! - La venne finalmente, con un gran cavolo sotto il braccio, e con la faccia tosta, come se nulla fosse stato. Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese, i «voi sola potete aver parlato», e i «non ho parlato», tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Basti dire che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stanga all'uscio, di non aprir più per nessuna cagione, e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato era andato a letto con la febbre. Salì poi lentamente le scale, dicendo, ogni tre scalini, - son servito -; e si mise davvero a letto, dove lo lasceremo.
         Renzo intanto camminava a passi infuriati verso casa, senza aver determinato quel che dovesse fare, ma con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. Renzo era un giovine pacifico e alieno dal sangue, un giovine schietto e nemico d'ogni insidia; ma, in que' momenti, il suo cuore non batteva che per l'omicidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare un tradimento. Avrebbe voluto correre alla casa di don Rodrigo, afferrarlo per il collo, e... ma gli veniva in mente ch'era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al di fuori; che i soli amici e servitori ben conosciuti v'entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi; che un artigianello sconosciuto non vi potrebb'entrare senza un esame, e ch'egli sopra tutto... egli vi sarebbe forse troppo conosciuto. Si figurava allora di prendere il suo schioppo, d'appiattarsi dietro una siepe, aspettando se mai, se mai colui venisse a passar solo; e, internandosi, con feroce compiacenza, in quell'immaginazione, si figurava di sentire una pedata, quella pedata, d'alzar chetamente la testa; riconosceva lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva la mira, sparava, lo vedeva cadere e dare i tratti, gli lanciava una maledizione, e correva sulla strada del confine a mettersi in salvo. «E Lucia?» Appena questa parola si fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era avvezza la mente di Renzo, v'entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de' suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e de' santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata di trovarsi senza delitti, all'orrore che aveva tante volte provato al racconto d'un omicidio; e si risvegliò da quel sogno di sangue, con ispavento, con rimorso, e insieme con una specie di gioia di non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco! Tante speranze, tante promesse, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto sicuro, e quel giorno così sospirato! E come, con che parole annunziarle una tal nuova? E poi, che partito prendere? Come farla sua, a dispetto della forza di quell'iniquo potente? E insieme a tutto questo, non un sospetto formato, ma un'ombra tormentosa gli passava per la mente. Quella soverchieria di don Rodrigo non poteva esser mossa che da una brutale passione per Lucia. E Lucia? Che avesse data a colui la più piccola occasione, la più leggiera lusinga, non era un pensiero che potesse fermarsi un momento nella testa di Renzo. Ma n'era informata? Poteva colui aver concepita quell'infame passione, senza che lei se n'avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in là, prima d'averla tentata in qualche modo? E Lucia non ne aveva mai detta una parola a lui! al suo promesso!
         Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch'era nel mezzo del villaggio, e, attraversatolo, s'avviò a quella di Lucia, ch'era in fondo, anzi un po' fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino. Renzo entrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S'immaginò che sarebbero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quel mercato, con quella nuova in corpo e sul volto. Una fanciulletta che si trovava nel cortile, gli corse incontro gridando: - lo sposo! lo sposo!
         - Zitta, Bettina, zitta! - disse Renzo. - Vien qua; va' su da Lucia, tirala in disparte, e dille all'orecchio... ma che nessun senta, né sospetti di nulla, ve'... dille che ho da parlarle, che l'aspetto nella stanza terrena, e che venga subito -. La fanciulletta salì in fretta le scale, lieta e superba d'avere una commission segreta da eseguire.
         Lucia  usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s'andava schermendo, con quella modestia un po' guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s'apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d'argento, che si dividevano all'intorno, quasi a guisa de' raggi d'un'aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d'oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch'esse, a ricami. Oltre a questo, ch'era l'ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano d'una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevan sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand'in quando sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare. La piccola Bettina si cacciò nel crocchio, s'accostò a Lucia, le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse la sua parolina all'orecchio.
         - Vo un momento, e torno, - disse Lucia alle donne; e scese in fretta. Al veder la faccia mutata, e il portamento inquieto di Renzo, - cosa c'è? - disse, non senza un presentimento di terrore.
         - Lucia! - rispose Renzo , - per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie.
         - Che? - disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontò brevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con angoscia: e quando udì il nome di don Rodrigo, - ah! - esclamò, arrossendo e tremando, - fino a questo segno!
         - Dunque voi sapevate...? - disse Renzo.
         - Pur troppo! - rispose Lucia; - ma a questo segno!
         - Che cosa sapevate?
         - Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere. Corro a chiamar mia madre, e a licenziar le donne: bisogna che siam soli.
         Mentre ella partiva, Renzo sussurrò: - non m'avete mai detto niente.
         - Ah, Renzo!  - rispose Lucia, rivolgendosi un momento, senza fermarsi. Renzo intese benissimo che il suo nome pronunziato in quel momento, con quel tono, da Lucia, voleva dire: potete voi dubitare ch'io abbia taciuto se non per motivi giusti e puri?
         Intanto la buona Agnese (così si chiamava la madre di Lucia), messa in sospetto e in curiosità dalla parolina all'orecchio, e dallo sparir della figlia, era discesa a veder cosa c'era di nuovo. La figlia la lasciò con Renzo, tornò alle donne radunate, e, accomodando l'aspetto e la voce, come poté meglio, disse: - il signor  curato è ammalato; e oggi non si fa nulla -. Ciò detto, le salutò tutte in fretta, e scese di nuovo.
         Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar l'accaduto. Due o tre andaron fin all'uscio del curato, per verificar se era ammalato davvero.
         - Un febbrone, - rispose Perpetua dalla finestra; e la trista parola, riportata all'altre, troncò le congetture che già cominciavano a brulicar ne' loro cervelli, e ad annunziarsi tronche e misteriose ne' loro discorsi.
Rispondi

Da: B0t4nn1c430/09/2011 10:43:58
Fagus è un genere di piante angiosperme dicotiledoni appartenente alla famiglia delle Fagaceae che comprende specie arboree e arbustive originarie dell'Europa, America, Giappone e Cina, con altezza dai 15-20 m fino ai 30-35 m. Il nome latino del genere potrebbe derivare dal greco faghein (= mangiare) per i frutti eduli di cui i maiali sono ghiotti.

In Italia il genere è rappresentato dall'unica specie Fagus sylvatica L. diffusa sulle Alpi e sugli Appennini, dove forma boschi puri (faggete) o misti (di solito con Abies alba Mill. o Picea abies Karst.), nelle stazioni oltre i 500 m sulle Alpi e oltre i 900 m s.l.m. sugli Appennini. Localmente, quando le condizioni climatiche lo consentono, il faggio lo si può trovare molto più in basso: sul Gargano, nei pressi della Foresta Umbra, e precisamente nel comune di Ischitella sono presenti faggete depresse a 300 metri s.l.m. Una delle faggete più lussureggianti e celebri e quella di Monte Cimino nel comune di Soriano nel Cimino (VT).

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Uso  [modifica]Per decorare parchi e giardini
In silvicoltura per la forestazione di montagne a clima fresco e nebbioso, con frequenti precipitazioni estive
Il legno di faggio, omogeneo e pesante, privo di elasticità ma resistente, inizialmente di colore bianco o, col tempo, rossastro, è ottimo per lavori di tornitura e mobileria, ed era un tempo utilizzato per le traversine ferroviarie e come ottimo combustibile. Usato per molti strumenti musicali (violini, pianoforti), la sua resistenza a scheggiarsi lo rendeva il materiale ideale per fabbricare i calci dei fucili.
I frutti sono acheni. Se privati del pericarpo velenoso, si consumano arrostiti come succedanei di castagne, nocciole o mandorle, tostati sono un surrogato del caffè. I frutti sono detti "faggiole" e somigliano a delle piccole castagne triangolari, racchiuse a due a due in un involucro legnoso ricoperto da aculei morbidi. Ne sono ghiotte alcune specie di fauna selvatica compreso il cinghiale.
L'olio estratto dai semi, di colore pallido e sapore dolciastro viene utilizzato come condimento e un tempo come combustibile
Le foglie sono ovali, hanno una sottile peluria sulle nervature, sono lucide su entrambe le facce, ma sono più chiare nella pagina inferiore, hanno margine ondulato, ciliato quando sono giovani. Sul ramo si dispongono in modo alterno. In autunno assumono colori dal giallo-arancio al rosso-bruno. Vengono anche usate come foraggio dove i pascoli sono scarsi.
Rispondi

Da: Silvae30/09/2011 10:48:41
Metodi e organizzazione dei dati per la pianificazione forestale in Emilia-Romagna
L'Assestamento forestale è la disciplina della pianificazione del bosco, è il modo per pensare il bosco e per agire al suo interno. Pianificare il bosco significa studiarne i meccanismi evolutivi, prevederne e guidarne lo sviluppo nello spazio e nel tempo, progettare gli interventi e verificarne costantemente gli esiti.
I PIANI D'ASSESTAMENTO FORESTALE (sin.: Economici o "di gestione") a livello consorziale e/o aziendale (sono compresi anche i "Complessi forestali" o "Foreste" di proprietà pubblica) costituiscono lo strumento per definire le strategie di intervento finalizzate all'erogazione continua e ottimale di beni e servizi.
La loro realizzazione viene incentivata dalla Regione Emilia-Romagna, che al termine dell'iter li approva, attraverso l'erogazione di contributi nella misura dell'80% della spesa ammessa.
La redazione dei piani d'assestamento viene condotta dal 1989 secondo specifiche Norme approntate dall'Azienda Regionale delle Foreste dell'Emilia-Romagna e dall'Accademia Italiana di Scienze Forestali a cura dal Prof. Massimo Bianchi. Tali Norme, inizialmente adottate per l'Emilia-Romagna con deliberazione di Giunta n. 6320 del 28.11.1989, sono state poi aggiornate in base ai più recenti avanzamenti compiuti dalla ricerca forestale ed adeguate allo sviluppo delle tecnologie informatiche in un Sistema Informativo per l'Assestamento forestale  appositamente costruito in collaborazione con I.S.S. - Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo e con I.S.A.F.A. - Istituto Sperimentale per l'Assestamento Forestale e l'Alpicoltura di Trento (successivamente entrambi gli istituti sono confluiti nell'attuale C.R.A. - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) .
Questa metodologia è stata testata e implementata da un gruppo di lavoro interregionale tramite il Sottoprogetto 4.2 (Sistemi Informativi di supporto per la gestione forestale) del Coordinamento Nazionale RI.SELV.ITALIA e in seguito adottata da diverse Regioni. In Emilia-Romagna, il Sistema Informativo per l'Assestamento forestale è stato approvato con determinazione del Direttore Generale all'Ambiente n. 766 del 29.01.2003 quale riferimento tecnico normativo per la realizzazione dei Piani di gestione forestale nel territorio della regione. La successiva Deliberazione della Giunta regionale n. 1911 del 27.11.2008 nel confermare il riferimento alla metodologia informatizzata (PROGETTOBOSCO) completa e riordina il quadro delle procedure tecnico-amministrative riguardanti l'iter di approvazione dei Piani di Assestamento.
Attualmente la superficie forestale assestata in Emilia-Romagna assomma oltre 83.000 ettari per 106 piani vigenti, ai quali sono destinati ad aggiungersi ulteriori 22.000 ettari per 38 piani in fase di realizzazione.

Rispondi

Da: Silvae30/09/2011 10:49:05
Metodi e organizzazione dei dati per la pianificazione forestale in Emilia-Romagna
L'Assestamento forestale è la disciplina della pianificazione del bosco, è il modo per pensare il bosco e per agire al suo interno. Pianificare il bosco significa studiarne i meccanismi evolutivi, prevederne e guidarne lo sviluppo nello spazio e nel tempo, progettare gli interventi e verificarne costantemente gli esiti.
I PIANI D'ASSESTAMENTO FORESTALE (sin.: Economici o "di gestione") a livello consorziale e/o aziendale (sono compresi anche i "Complessi forestali" o "Foreste" di proprietà pubblica) costituiscono lo strumento per definire le strategie di intervento finalizzate all'erogazione continua e ottimale di beni e servizi.
La loro realizzazione viene incentivata dalla Regione Emilia-Romagna, che al termine dell'iter li approva, attraverso l'erogazione di contributi nella misura dell'80% della spesa ammessa.
La redazione dei piani d'assestamento viene condotta dal 1989 secondo specifiche Norme approntate dall'Azienda Regionale delle Foreste dell'Emilia-Romagna e dall'Accademia Italiana di Scienze Forestali a cura dal Prof. Massimo Bianchi. Tali Norme, inizialmente adottate per l'Emilia-Romagna con deliberazione di Giunta n. 6320 del 28.11.1989, sono state poi aggiornate in base ai più recenti avanzamenti compiuti dalla ricerca forestale ed adeguate allo sviluppo delle tecnologie informatiche in un Sistema Informativo per l'Assestamento forestale  appositamente costruito in collaborazione con I.S.S. - Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo e con I.S.A.F.A. - Istituto Sperimentale per l'Assestamento Forestale e l'Alpicoltura di Trento (successivamente entrambi gli istituti sono confluiti nell'attuale C.R.A. - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) .
Questa metodologia è stata testata e implementata da un gruppo di lavoro interregionale tramite il Sottoprogetto 4.2 (Sistemi Informativi di supporto per la gestione forestale) del Coordinamento Nazionale RI.SELV.ITALIA e in seguito adottata da diverse Regioni. In Emilia-Romagna, il Sistema Informativo per l'Assestamento forestale è stato approvato con determinazione del Direttore Generale all'Ambiente n. 766 del 29.01.2003 quale riferimento tecnico normativo per la realizzazione dei Piani di gestione forestale nel territorio della regione. La successiva Deliberazione della Giunta regionale n. 1911 del 27.11.2008 nel confermare il riferimento alla metodologia informatizzata (PROGETTOBOSCO) completa e riordina il quadro delle procedure tecnico-amministrative riguardanti l'iter di approvazione dei Piani di Assestamento.
Attualmente la superficie forestale assestata in Emilia-Romagna assomma oltre 83.000 ettari per 106 piani vigenti, ai quali sono destinati ad aggiungersi ulteriori 22.000 ettari per 38 piani in fase di realizzazione.

Rispondi

Da: non è che avresti30/09/2011 10:58:50
qualche buona ricetta di torte al cioccolato?
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