>Concorsi
>Forum
>Bandi/G.U.
 
 
 
 
  Login |  Registrati 

NB: La redazione di mininterno.net non si assume alcuna responsabilità riguardo al contenuto dei messaggi.

commissario forestale prove scritte
9525 messaggi, letto 179963 volte

Registrati per aggiungere questa o altre pagine ai tuoi Preferiti su Mininterno.

Torna al forum  - Rispondi    


Pagina: 1, 2, 3, 4, 5, 6, ..., 291, 292, 293, 294, 295, 296, 297, 298, 299, 300, 301, ..., 313, 314, 315, 316, 317, 318 - Successiva >>

Da: Inirongis23/09/2011 22:20:18
Fatetur facinus, quisquis iudicium fugit.
Rispondi

Da: .....?24/09/2011 07:20:03
Stiamo proprio impazzendo...
Rispondi

Da: liorni24/09/2011 09:56:31
oooooooooo finalmente qualcosa di interessante sul forum!
Rispondi

Da: Aisha24/09/2011 09:58:14
Libia, messaggio di Aisha Gheddafi:
"Mio padre sta bene e combatte"

Aisha Gheddafi, 35 anni, è stata anche ambasciatrice all'Onu
La figlia del raiss attacca il n.2
del Cnt Jibril: «Ha già tradito una volta, potrebbe farlo di nuovo»

ROMA
Muammar Gheddafi «sta bene, porta con sé la sua pistola e continua a combattere al fianco dei suoi guerrieri». Parola della figlia Aisha, nel suo primo intervento dalla caduta di Tripoli in mano ai ribelli un mese fa, con un messaggio audio di quattro minuti trasmesso dall'emittente siriana Al-Rai e ridiffuso dai principali network arabi.

Con la madre e due fratelli, l'avvocato 35enne, già ambasciatrice di buona volontà dell'Onu per la Libia e membro del collegio difensivo di Saddam Hussein, era fuggita in Algeria alla fine di agosto. Le sorti del padre restano invece per il momento un mistero. Nel suo messaggio, Aisha ha puntato il dito contro i leader della transizione politica post-rivoluzionaria, sottolineando che alcuni di loro facevano parte del regime prima di disertare ed entrare a far parte del Cnt.

Riferendosi a Mahmoud Jibril, il n.2 del Cnt: «Come fate a essere certi che chi ha già tradito una volta, non lo farà di nuovo?» ha domandato la figlia del Colonnello, invitando i "leoni" di Tripoli e delle altre città libiche a ribellarsi e combattere contro la nuova classe dirigente. L'emittente Al-Rai è già stata usata più volte dalla famiglia Gheddafi come veicolo di propaganda. Lo stesso rais, il suo portavoce e il figlio Saif al-Islam hanno diffuso diverse dichiarazioni attraverso il canale siriano dopo la conquista di Tripoli da parte degli insorti.
Rispondi

Da: secondo anno24/09/2011 11:50:00
sarà il caso di iniziare a pensare al tirocinio, a come farlo in maniera seria, rischiamo che finisca tutto in un nulla di fatto come al solito.
Rispondi

Da: ...24/09/2011 12:09:10
ragazzi i prossimi 9 mesi saranno tutti volti a non insegnarci nulla come, dopo tutto, è successo fino ad ora. Invece che incazzarci (per carità lecito e umano) rassegnamoci e basta
Rispondi

E' disponibile l'App ufficiale di Mininterno per Android.
Scaricala subito GRATIS!

Da: pp24/09/2011 12:12:25
[Esplora il significato del termine: I giovani immigrati in Europa rifiutano la nostra civiltà D a molto tempo i sociologi hanno dimenticato due domande essenziali: come si forma una società? Cosa la tiene unita? Queste domande sono scomparse quando è prevalso anche in Europa il modo di pensare dominante negli Stati Uniti, l' utilitarismo, che spiega qualsiasi fenomeno sociale in base alla convenienza, al calcolo costi-benefici, come fa l' economia. Gli americani non hanno mai dato importanza alle passioni individuali o collettive, ai movimenti religiosi o rivoluzionari. Le provano e le descrivono nei loro libri e nei loro film, ma sul piano della riflessione filosofica o scientifica li hanno sempre giudicati fenomeni irrazionali e non degni di studio. Per questo non hanno capito la rivoluzione russa, il nazismo, il nazional-comunismo cinese, vietnamita, non hanno capito la rivoluzione islamica di Khomeini e si sono resi conto dei movimenti islamisti solo dopo l' attacco alle Torri gemelle. E non hanno capito nemmeno se stessi, come hanno fatto loro, immigrati di tutto il mondo, a diventare una nazione orgogliosa e compatta. Perché anche loro non sono nati dal calcolo economico, ma dall' entusiasmo e dalla dedizione di una guerra di liberazione animata da ideali politici e religiosi che sono diventati i principi sacri su cui è fondata la nazione e per cui i cittadini sono disposti a morire. Sono questi i fattori che fanno nascere una società e la tengono unita. Lo sviluppo economico è una conseguenza. È stato solo quando, dopo un secolo di anarchia, la Cina ha ritrovato la sua unità e la fede in se stessa che è stata capace di svilupparsi im modo imperioso, mentre l' URSS, quando ha perso la fede nel comunismo e nella sua missione si e dissolta. Gli Stati Uniti hanno assimilato tutti gli immigrati perché erano una civiltà in espansione che offriva loro non solo lavoro, ma una comunità ideale, una speranza, un' etica, dei valori e dei doveri assoluti. Solo così hanno potuto integrare popolazioni di lingue, razze e religioni diverse, come un tempo hanno fatto l' impero egiziano, quello cinese e quello romano. Ma quando non hai più la forza di trasmettere i tuoi valori non integri nulla. È quanto sta accadendo oggi in Europa, dove gli immigrati non desiderano ardentemente diventare cittadini europei, ma restano legati ai Paesi di origine, mentre i loro giovani non hanno più una tradizione, una civiltà, un sistema di valori comuni, un' etica che li orienti e li guidi. Non hanno più i fattori che danno ordine alla vita e perciò si ribellano come selvagg] I giovani immigrati in Europa rifiutano la nostra civiltà

D a molto tempo i sociologi hanno dimenticato due domande essenziali: come si forma una società? Cosa la tiene unita? Queste domande sono scomparse quando è prevalso anche in Europa il modo di pensare dominante negli Stati Uniti, l' utilitarismo, che spiega qualsiasi fenomeno sociale in base alla convenienza, al calcolo costi-benefici, come fa l' economia. Gli americani non hanno mai dato importanza alle passioni individuali o collettive, ai movimenti religiosi o rivoluzionari. Le provano e le descrivono nei loro libri e nei loro film, ma sul piano della riflessione filosofica o scientifica li hanno sempre giudicati fenomeni irrazionali e non degni di studio. Per questo non hanno capito la rivoluzione russa, il nazismo, il nazional-comunismo cinese, vietnamita, non hanno capito la rivoluzione islamica di Khomeini e si sono resi conto dei movimenti islamisti solo dopo l' attacco alle Torri gemelle. E non hanno capito nemmeno se stessi, come hanno fatto loro, immigrati di tutto il mondo, a diventare una nazione orgogliosa e compatta. Perché anche loro non sono nati dal calcolo economico, ma dall' entusiasmo e dalla dedizione di una guerra di liberazione animata da ideali politici e religiosi che sono diventati i principi sacri su cui è fondata la nazione e per cui i cittadini sono disposti a morire. Sono questi i fattori che fanno nascere una società e la tengono unita. Lo sviluppo economico è una conseguenza. È stato solo quando, dopo un secolo di anarchia, la Cina ha ritrovato la sua unità e la fede in se stessa che è stata capace di svilupparsi im modo imperioso, mentre l' URSS, quando ha perso la fede nel comunismo e nella sua missione si e dissolta. Gli Stati Uniti hanno assimilato tutti gli immigrati perché erano una civiltà in espansione che offriva loro non solo lavoro, ma una comunità ideale, una speranza, un' etica, dei valori e dei doveri assoluti. Solo così hanno potuto integrare popolazioni di lingue, razze e religioni diverse, come un tempo hanno fatto l' impero egiziano, quello cinese e quello romano. Ma quando non hai più la forza di trasmettere i tuoi valori non integri nulla. È quanto sta accadendo oggi in Europa, dove gli immigrati non desiderano ardentemente diventare cittadini europei, ma restano legati ai Paesi di origine, mentre i loro giovani non hanno più una tradizione, una civiltà, un sistema di valori comuni, un' etica che li orienti e li guidi. Non hanno più i fattori che danno ordine alla vita e perciò si ribellano come selvagg
Rispondi

Da: dg24/09/2011 12:14:28
Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e di interessi unilaterali?

Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire.

Ebbene, permettete che vi dica con la franchezza che un alto senso di responsabilità impone in quest'ora storica a ciascuno di noi, questo trattato è, nei confronti dell'italia, estremamente duro; ma se esso tuttavia fosse almeno uno strumento ricostruttivo di cooperazione internazionale, il sacrificio nostro avrebbe un compenso: l'Italia che entrasse, sia pure vestita del saio del penitente, nell'ONU, sotto il patrocinio dei Quattro, tutti d'accordo nel proposito di bandire nelle relazioni internazionali l'uso della forza (come proclama l'articolo 2 dello statuto di San Francisco) in base al "principio della sovrana uguaglianza di tutti i Membri", come è detto allo stesso articolo, tutti impegnati a garantirsi vicendevolmente "l'integrità territoriale e l'indipendenza politica", tutto ciò potrebbe essere uno spettacolo non senza speranza e conforto. L'Italia avrebbe subìto delle sanzioni per il suo passato fascista, ma, messa una pietra tombale sul passato, tutti si ritroverebbero eguali nello spirito della nuova collaborazione internazionale.

Si può credere che sia così?

Evidentemente ciò è nelle vostre intenzioni, ma il testo del trattato parla un altro linguaggio.

In un congresso di pace è estremamente antipatico parlar d'armi e di strumenti di guerra. Vi devo accennare, tuttavia, perché nelle precauzioni prese dal trattato contro un presumibile riaffacciarsi di un pericolo italiano si è andati tanto oltre da rendere precaria la nostra capacità difensiva connessa con la nostra indipendenza.

Mai, mai nella nostra storia moderna le porte di casa furono così spalancate, mai le nostre possibilità di difesa così limitate. Ciò vale per la frontiera orientale come per certe rettifiche dell'occidentale ispirate non certo ai criteri della sicurezza collettiva.

Nè questa volta ci si fa balenare la speranza di Versailles, cioè il proposito di un disarmo generale, del quale il disarmo dei vinti sarebbe solo un anticipo.

Ma in verità più che il testo del trattato, ci preoccupa lo spirito: esso si rivela subito nel preambolo.

Il primo considerando riguarda la guerra di aggressione e voi lo ritroverete tale quale in tutti i trattati coi così detti ex satelliti; ma nel secondo considerando che riguarda la cobelligeranza voi troverete nel nostro un apprezzamento sfavorevole che cercherete invano nei progetti per gli Stati ex nemici. Esso suona: "considerando che sotto la pressione degli avvenimenti militari, il regime fascista fu rovesciato … ".

Ora non v'ha dubbio che il rovesciamento del regime fascista non fu possibile che in seguito agli avvenimenti militari, ma il rivolgimento non sarebbe stato così profondo, se non fosse stato preceduto dalla lunga cospirazione dei patrioti che in Patria e fuori agirono a prezzo di mmensi sacrifici, senza l'intervento degli scioperi politici nelle industrie del nord, senza l'abile azione clandestina degli uomini dell'opposizione parlamentare antifascista (ed è qui presente uno dei suoi più fattivi rappresentanti) che spinsero al colpo di stato. Rammentate che il comunicato di Potsdam del 2 agosto 1945 proclama: "L'Italia fu la prima delle Potenze dell'Asse a rompere con la Germania, alla cui sconfitta essa diede un sostanziale contributo ed ora si è aggiunta agli Alleati nella guerra contro il Giappone".

"L'Italia ha liberato se stessa dal regime fascista e sta facendo buoni progressi verso il ristabilimento di un governo e istituzioni democratiche".

Tale era il riconoscimento di Potsdam. Che cosa è avvenuto perché nel preambolo del trattato si faccia ora sparire dalla scena storica il popolo italiano che fu protagonista? Forse che un governo designato liberamente dal popolo, attraverso l'Assemblea Costituente della Repubblica, merita meno considerazione sul terreno democratico?

La stessa domanda può venir fatta circa la formulazione così stentata ed agra della cobelligeranza: "delle Forze armate italiane hanno preso parte attiva alla guerra contro la Germania". Delle Forze? Ma si tratta di tutta la marina da guerra, di centinaia di migliaia di militari per i servizi di retrovia, del "Corpo Italiano di Liberazione", trasformatosi poi nelle divisioni combattenti e "last but non least" dei partigiani, autori soprattutto dell'insurrezione del nord.

Le perdite nella resistenza contro i tedeschi, prima e dopo la dichiarazione di guerra, furono di oltre 100 mila uomini tra morti e dispersi, senza contare i militari e civili vittime dei nazisti nei campi di concentramento ed i 50 mila patrioti caduti nella lotta partigiana.

Diciotto mesi durò questa seconda guerra, durante i quali i tedeschi indietreggiarono lentamente verso nord spogliando, devastando, distruggendo quello che gli aerei non avevano abbattuto.

Il rapido crollo del fascismo dimostrò esser vero quello che disse Churchill: "un uomo, un uomo solo ha voluto questa guerra" e quanto fosse profetica la parola di Stimson, allora Ministro della guerra americano: "La resa significa un atto di sfida ai tedeschi che avrebbe cagionato al popolo italiano inevitabili sofferenze".

Ma è evidente che, come la prefazione di un libro, anche il preambolo è stato scritto dopo il testo del Trattato, e così bisognava ridurre, attenuare il significato della partecipazione del popolo italiano ed in genere della cobelligeranza perché il preambolo potesse in qualche maniera corrispondere agli articoli che seguono.

Infatti dei 78 articoli del trattato la più parte corrisponde ai due primi considerando, cioè alla guerra fascista e alla resa: nessuno al considerando della cobelligeranza, la quale si ritiene già compensata coll'appoggio promesso all'Italia per l'entrata nell'ONU; compenso garantito anche a Stati che seguirono o poterono seguire molto più tardi l'esempio dell'Italia antifascista.

Il carattere punitivo del trattato risulta anche dalle clausole territoriali. E qui non posso negare che la soluzione del problema di Trieste implicava difficoltà oggettive che non era facile superare. Tuttavia anche questo problema è stato inficiato fin dall'inizio da una psicologia di guerra, da un richiamo tenace ad un presunto diritto del primo occupante e dalla mancata tregua fra le due parti più direttamente interessate.

Mi avete chiamato a Londra il 18 settembre 1945. Abbandonando la frontiera naturale delle Alpi e per soddisfare alle aspirazioni etniche jugoslave, proposi allora la linea che Wilson aveva fatta propria quando, il 23 aprile 1919, nella Conferenza della Pace a Parigi invocava "una decisione giusta ed equa, non già una decisione che eternasse la distinzione tra vincitori e vinti".

Proponevamo inoltre che il problema economico della Venezia Giulia venisse risolto internazionalizzando il porto di Trieste e creando una collaborazione col porto di Fiume e col sistema ferroviario Danubio-Sava-Adriatico.

Era naturalmente inteso che si dovesse introdurre parità e reciprocità nel trattamento delle minoranze, che Fiume riavesse lo status riconosciuto a Rapallo, che il carattere di Zara fosse salvaguardato.

Il giorno dopo, Signori Ministri, avete deciso di cercare la linea etnica in modo che essa lasciasse il minimo di abitanti sotto dominio straniero; a tale scopo disponeste la costituzione di una Commissione d'inchiesta. La commissione lavorò nella Venezia Giulia per 28 giorni. Il risultato dell'inchiesta fu tale che io stesso, chiamato a Parigi a dire il mio avviso il 3 maggio 1946, ne approvai, sia pure con alcune riserve, le conclusioni di massima. Ma i rappresentanti jugoslavi, con argomenti di sapore punitivo, sul possesso totale della Venezia Giulia e specie di Trieste. Cominciò allora l'affannosa ricerca del compromesso e, quando lasciai Parigi, correva voce che gli Anglo-Americani, abbandonando le linee etniche, si ritirassero su quella francese.

Questa linea francese era già una linea politica di comodo, non più una linea etnica nel senso delle decisioni di Londra, perché rimanevano nel territorio slavo 180.000 italiani e in quello italiano 59.000 slavi; soprattutto essa escludeva dall'Italia Pola, e le città minori della costa istriana occidentale ed implicava quindi per noi una perdita insopportabile. Ma per quanto inaccettabile, essa era almeno una frontiera italo-jugoslava che aggiudicava Trieste all'Italia.

Ebbene, che cosa è accaduto sul tavolo del compromesso durante il giugno, perché il 3 luglio il Consiglio dei Quattro rovesciasse le decisioni di Londra e facesse della linea francese non più la frontiera tra Italia e Jugoslavia, ma quella di un cosiddetto "Territorio libero di Trieste" con particolare statuto internazionale? Questo rovesciamento fu per noi una amarissima sorpresa e provocò in Italia la più profonda reazione. Nessun sintomo, nessun cenno poteva autorizzare gli autori del compromesso a ritenere che avremmo assunto la benché minima corresponsabilità di una simile soluzione che incide nelle nostre carni e mutila la nostra integrità nazionale. Appena avuto sentore di tale minaccia il 30 giugno telegrafavo ai Quattro Ministri degli Esteri la pressante preghiera di ascoltarmi dichiarando di volere assecondare i loro sforzi per la pace, ma mettendoli in guardia contro espedienti che sarebbero causa di nuovi conflitti. La soluzione internazionale, dicevo, com'è progettata, non è accettabile e specialmente l'esclusione dell'Istria occidentale fino a Pola causerà una ferita insopportabile alla coscienza nazionale italiana.

La mia preghiera non ebbe risposta e venne messa agli atti. Oggi non posso che rinnovarla, aggiungendo degli argomenti che non interessano solo la nostra nazione, ma voi tutti che siete ansiosi della pace del mondo.

Il Territorio libero, come descritto dal progetto, avrebbe una estensione di 783 kmq. con 334.000 abitanti concentrati per 3/4 nella città capitale. La popolazione si comporrebbe, secondo il censimento del 1921, di 266.000 italiani, 49.501 slavi, 18.000 altri. Lo Stato sarebbe tributario della Jugoslavia e dell'Italia in misura eguale per la forza elettrica, comunicherebbe con il suo hinterland con tre ferrovie slave ed una italiana. Le spese necessarie per il bilancio ordinario sarebbero da 5 a 7 miliardi; il gettito massimo dei tributi potrebbe toccare il miliardo.

Trieste ed il suo porto dall'Italia hanno avuto dal 1919 al 1938 larghissimi contributi per opere pubbliche e le industrie triestine come i cantieri, le raffinerie, le fabbriche di conserve, non solo sorte in seguito a facilitazioni, esenzioni fiscali, sussidii (anche le linee di navigazione), ma sono vincolate tutte ai mercati italiani. Già ora il trattato proietta la sua ombra sull'attività produttiva di Trieste perché non si crede alla vitalità della sistemazione e alla sua efficienza economica. Come sarà possibile, obiettano i triestini, mantenere l'ordine in uno Stato non accetto né agli uni né agli altri, se oggi ancora gli Alleati, che pur vi mantengono forze notevoli, non riescono a garantire la sicurezza personale?

Il problema interno è forse il più grave. Ogni gruppo etnico chiederebbe soccorso ai suoi e le lotte si complicherebbero col sovrapporsi del problema sociale, particolarmente acuto e violento in situazioni come quelle di un emporio commerciale e industriale. Come farà l'ONU ad arbitrare e ad evitare che le lotte politiche interne assumano carattere internazionale?

Voi rinserrate nella fragile gabbia d'uno statuto i due contendenti con razioni scarse e copiosi diritti politici e voi pretendete che non vengano alle mani e non chiamino in aiuto gli slavi, schierati tutti all'intorno a 8 chilometri di distanza, e gli italiani che tendono il braccio attraverso un varco di due chilometri?

Ovvero pensate davvero di fare del porto di Trieste un emporio per l'Europa Centrale? Ma allora il problema è economico e non politico. Ci vuole una compagnia, un'amministrazione internazionale, non uno Stato; un'impresa con stabili basi finanziarie, non una combinazione giuridica collocata sulle sabbie mobili della politica!

Per correre il rischio di tale non durevole spediente, voi avete dovuto aggiudicare l'81% del territorio della Venezia Giulia agli jugoslavi (ed ancora essi se ne lagnano come di un tradimento degli Alleati, e cercano di accaparrare il resto a mezzo di formule giuridiche costituzionali del nuovo Stato); avete dovuto far torto all'Italia rinnegando la linea etnica, avete abbandonata alla Jugoslavia la zona di Parenzo-Pola, senza ricordare la Carta Atlantica che riconosce alle popolazioni il diritto di consultazione sui cambiamenti territoriali, anzi ne aggravate le condizioni stabilendo che gli italiani della Venezia Giulia passati sotto la sovranità slava che opteranno per conservare la loro cittadinanza, potranno entro un anno essere espulsi e dovranno trasferirsi in Italia abbandonando la loro terra, le loro case, i loro averi, che più? i loro beni potranno venire confiscati e liquidati, come appartenenti a cittadini italiani all'estero, mentre l'italiano che accetterà la cittadinanza slava sarà esente da tale confisca.

L'effetto di codesta vostra soluzione è che, fatta astrazione dal Territorio libero, 180.000 italiani rimangono in Jugoslavia e 10 mila slavi in Italia (secondo il censimento del 1921) e che il totale degli italiani esclusi dall'Italia, calcolando quelli di Trieste, è di 446.000; né per queste minoranze avete minimamente provveduto, mentre noi in Alto Adige stiamo preparando una generosa revisione delle opzioni ed è già stato raggiunto un accordo su una ampia autonomia regionale da sottoporsi alla Costituente.

A qual pro dunque ostinarsi in una soluzione che rischia di creare nuovi guai, a qual pro voi vi chiuderete gli orecchi alle grida di dolore degli italiani dell'Istria - ho presente una sottoscrizione di Pola - che sono pronti a partire, ad abbandonare terre e focolari pur di non sottoporsi al nuovo regime?

Lo so, bisogna fare la pace, bisogna superare la stasi, ma se avete rinviato di un anno la questione coloniale, non avendo trovato una soluzione adeguata, come non potreste fare altrettanto per la questione giuliana? C'è sempre tempo per commettere un errore irreparabile. Il Trattato sta in piedi anche se rimangono aperte alcune clausole territoriali. E' una pace provvisoria: ma anche da Versailles a Cannes si dovette procedere per gradi. Altre questioni rimangono aperte o sono risolte nel Trattato negativamente. Non posso ritenere, per esempio, che i nostri rapporti con la Germania si possano considerare definiti con l'art. 67 di codesto Trattato, il quale impone all'Italia la rinuncia a qualsiasi reclamo, compresi i crediti contro la Germania e i cittadini germanici fino alla data dell'8 maggio 1945, dopo cioè che l'Italia era in guerra con la Germania da diciannove mesi.

I nostri tecnici calcolano a circa 700 miliardi di lire, cioè a circa 3 miliardi di dollari, la somma che possiamo reclamare dalla Germani per il periodo della cobelligeranza; e noi ci dovremmo semplicemente rinunciare? Non può essere questo un provvedimento definitivo; bisognerà pur riparlarne quando si farà la pace con la Germania: e allora non è questo un altro argomento per provare che il completo assestamento d'Europa non può avvenire che dopo la pace con la Germania? Stabiliamo le basi fondamentali del Trattato; l'Italia accetterà di fare i sacrifici che può.

Mettiamoci poi a tavolino, noi e gli jugoslavi in prima linea, e cerchiamo un modo di vita, una collaborazione, perché senza questo spirito le formule del Trattato rimarranno vuote.

Non è a dire con ciò che per tutto il resto il Trattato sia senz'altro accettabile.

Alcune clausole economiche sono durissime. Così per esempio l'art. 69 che concede ad ogni Potenza Alleata o Associata il diritto di sequestrare, ritenere o liquidare tutti i beni italiani all'estero, salvo restituire la eventuale quota eccedente i reclami delle Nazioni Unite. L'applicazione generale di tale articolo avrebbe conseguenze insopportabili per la nostra economia. Ci attendiamo che tali disposizioni vengano modificate soprattutto se - come non dubito - si darà modo ai miei collaboratori di esprimersi a fondo su questo come su ogni altro argomento, in seno alle competenti Commissioni. Così ancora all'art. 62 ci si impone una rinuncia contraria al buon diritto e alle norme internazionali, la rinuncia cioè a qualsiasi credito derivante dalle Convenzioni sul trattamento dei prigionieri.

Logica conseguenza della cobelligeranza è anche che a datare dal 13 ottobre 1943 lo spirito con cui devono essere regolati i rapporti economici tra noi e gli Alleati sia diverso. Non si tratta più di spese di occupazione, previste all'epoca dell'armistizio per un breve periodo, ma di spese di guerra sul fronte italiano. Ad esse il Governo italiano vuole contribuire nei limiti delle sue possibilità economiche, me nei modi che di tale capacità tengano conto.

In quanto alle riparazioni, pur essendo disposti a sopportare sacrifici, dobbiamo escludere che si facciano gravare sull'economia italiana oneri imprecisati e per un tempo indeterminato e nei riguardi dei territori ceduti o liberati si dovrà tener conto degli enormi investimenti da noi fatti per opere pubbliche per lo sviluppo culturale e materiale di tali Paesi. Se le clausole del trattato ci venissero imposte nella loro totalità e crudezza, noi, firmando, commetteremmo un falso perché l'Italia, nel momento attuale, con una diminuzione dei salari reali di oltre il 50% e del reddito nazionale di oltre il 45, ha già visto ridurre la sua capacità di produzione fino al punto da non poter acquistare all'estero le derrate alimentari e le materie prime. Ulteriori peggioramenti provocherebbero il caos monetario, l'insolvenza e la perdita della nostra indipendenza economica. A che ci gioverebbe allora essere ammessi ai benefici del Consiglio economico e sociale dell'ONU?

Prendiamo atto con soddisfazione che nella Conferenza dei Quattro - seduta del 10 maggio - la proposta di affidare all'Italia sotto forma di amministrazione fiduciaria le sue colonie ha incontrato consensi. Confidiamo che tale assenso trovi pratica applicazione nel momento di deliberare. In tale attesa, purché non si chiedano rinuncie preventive, non facciamo obbiezioni al rinvio né al prolungamento dell'attuale regime di controllo militare in quei territori. Ma noi ci attendiamo che l'amministrazione di quei territori durante l'anno di proroga sia, in conformità della legge internazionale, affidata almeno per un'equa parte ai funzionari italiani, sia pure sotto il controllo delle autorità occupanti. E facciamo viva istanza perché decine e decine di migliaia di profughi dalla Libia, Eritrea e Somalia che vivono in condizioni angosciose in Italia o in campi di concentramento della Rhodesia o nel Kenya possano ritornare alle loro sedi.

Circa le questioni militari, le nostre obbiezioni potranno più propriamente essere esposte nella Commissione rispettiva. Basti qui riaffermare che la flotta italiana, dopo essersi data tutta alla cobelligeranza e aver operato in favore della causa comune per tre anni e fino a tutt'oggi sotto propria bandiera agli ordini del Comando Supremo del Mediterraneo, non può oggi, per ovvie ragioni morali e giuridiche, venir trattata come bottino di guerra. Ciò non esclude che nello spirito degli accordi Cunningham - De Courten, essa contribuisca entro giustificati limiti a restituzioni o compensi.

Signori Ministri, Signori Delegati, per mesi e mesi ho atteso invano di potervi esprimere in una sintesi generale il pensiero dell'Italia sulle condizioni della sua pace, ed oggi ancora comparendo qui nella veste di ex-nemico, veste che non fu mai quella del popolo italiano, innanzi a Voi, affaticati dal lungo travaglio o anelanti alla conclusione, ho fatto uno sforzo per contenere il sentimento e dominare la parola, onde sia palese che siamo lungi dal voler intralciare ma intendiamo costruttivamente favorire la vostra opera, in quanto contribuisca ad un assetto più giusto del mondo.

Chi si fa interprete oggi del popolo italiano è combattuto da doveri apparentemente contrastanti.

Da una parte egli deve esprimere l'ansia, il dolore, l'angosciosa preoccupazione per le conseguenze del Trattato, dall'altra riaffermare la fede della nuova democrazia italiana nel superamento della crisi della guerra e nel rinnovamento del mondo operato con validi strumenti di pace.

Tale fede nutro io pure e tale fede sono venuti qui a proclamare con me i miei due autorevoli colleghi, l'uno già Presidente del Consiglio, prima che il fascismo stroncasse l'evoluzione democratica dell'altro dopoguerra, il secondo Presidente dell'Assemblea Costituente Repubblicana, vittima ieri dell'esilio e delle prigioni e animatore oggi di democrazia e di giustizia sociale: entrambi interpreti di quell'Assemblea a cui spetterà di decidere se il Trattato che uscirà dai vostri lavori sarà tale da autorizzarla ad assumerne la corresponsabilità, senza correre il rischio di compromettere la libertà e lo sviluppo democratico del popolo italiano.

Signori Delegati, grava su voi la responsabilità di dare al mondo una pace che corrisponda ai conclamati fini della guerra, cioè all'indipendenza e alla fraterna collaborazione dei popoli liberi. Come italiano non vi chiedo nessuna concessione particolare, vi chiedo solo di inquadrare la nostra pace nella pace che ansiosamente attendono gli uomini e le donne di ogni Paese che nella guerra hanno combattuto e sofferto per una mèta ideale. Non sostate sui labili espedienti, non illudetevi con una tregua momentanea o con compromessi instabili: guardate a quella mèta ideale, fate uno sforzo tenace e generoso per raggiungerla.

E' in questo quadro di una pace generale e stabile, Signori Delegati, che vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d'Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano.
Rispondi

Da: pt24/09/2011 12:15:28
Alle salme dei sei cittadini di Modena,

caduti nelle vie di questa città il giorno 9 gennaio, ai familiari affranti dal lutto, alla città intera, che abbiamo visto stamane ancora impietrita dallo stupore e dal dolore, ai lavoratori di Modena e di tutta l'Emilia qui convenuti e qui presenti, porto l'espressione della solidarietà e del cordoglio profondo del Partito comunista italiano, del partito di Antonio Gramsci, del partito che lavora nello spirito di Lenin e di Stalin.

Credo però che nessuno, in questo momento ed in questa circostanza, vorrà contestarmi il diritto di recarvi l'espressione della solidarietà e del cordoglio di tutti gli italiani i quali hanno senso di umanità e di fraternità civile.

Vero è che in questo momento, dì fronte alla maestà infinita della morte, di fronte allo schianto dei familiari e al dolore di tutto il popolo, di fronte agli occhi vostri pieni di lagrime, io sento soprattutto la vanità dì tutte le parole umane.

Ma parlare bisogna, perché voi, compagni e fratelli nostri, non siete caduti vittima di un tragico equivoco. Prima di voi, nelle stesse condizioni, per le stesse cause, altri lavoratori sono caduti e continuano a cadere. La fine vostra è indice di una tragedia che investe tutto il popolo, che tocca la vita stessa della nazione italiana.

Ed allora parlare bisogna, e chiaramente bisogna parlare; e debbono parlare chiaramente, prima di tutto, i partiti e gli uomini che si sentono legati al popolo da inscindibili legami, e che sentono rivolgersi verso di loro la fiducia e l'attesa dei lavoratori.

Bene hai fatto, o città di Modena, città eroica e gloriosa, medaglia d'oro della guerra per la libertà d'Italia, madre di lavoratori coraggiosi e disciplinati; bene hai fatto ad avvolgere le bare di questi tuoi figlioli caduti, nel drappo dei colori nazionali. Questo drappo e questi colori sono il simbolo della nostra unità, dell'unità della patria e dì tutti i cittadini italiani nella difesa dei valori essenziali della nostra esistenza. Tutta la nostra vita, tutta la vita e tutta la lotta del nostro partito, ci fanno fede che io non vorrei pronunciare, in questo momento, altre parole che non fossero un appello severo ad unirsi tutti, davanti a queste bare, per deprecare ciò che è accaduto, per respingere questa macchia dalla realtà della vita del nostro paese.

Ma voi, voi siete stati uccisi!

In uno Stato che ha soppresso la pena di morte anche per i più efferati tra i delitti, voi siete stati condannati a morte, e la sentenza è stata su due piedi eseguita nelle vie della città, davanti al popolo inorridito.

Chi vi ha condannati a morte? Chi vi ha ucciso? Un prefetto, un questore irresponsabili e scellerati? Un cinico ministro degli interni. Un presidente del consiglio cui spetta solo il tristissimo vanto di aver deliberatamente voluto spezzare quella unità della nazione che si era temprata nella lotta gloriosa contro l'invasore straniero; di aver scritto sulle sue bandiere quelle parole di odio contro i lavoratori e di scissione della vita nazionale che ieri furono del fascismo e oggi sono le sue?

Voi chiedevate una cosa sola, il lavoro, che è la sostanza della vita di tutti gli uomini degni di questo nome. Una società che non sa dare lavoro a tutti coloro che la compongono è una società maledetta. Maledetti sono gli uomini che, fieri di avere nelle mani il potere, si assidono al vertice di questa società maledetta, e con la violenza delle armi, con l'assassinio e l'eccidio respingono la richiesta più umile che l'uomo possa avanzare: la richiesta di lavorare.

E' stato detto che questo stato di cose deve finire. E' stato detto: basta!

Ripetiamo questo basta, tutti assieme, dando ad esso la solennità e la forza che promanano da questa stessa nostra riunione. Ma dire basta, non è sufficiente, perché gli assassinii e gli eccidi si succedono come le note di una tragedia, in modo tale che non ha nessun precedente nel nostro paese, e che tutti riempie di orrore. Non è sufficiente dire basta, dobbiamo impegnarci a qualche cosa di più. Noi vogliamo la pace sociale e la pace tra i popoli. Anche a questo governo ed agli uomini che lo dirigono abbiamo offerto e chiesto una politica di distensione e di pace. A milioni di lavoratori che appoggiavano questa nostra offerta e richiesta, si è risposto con le armi da fuoco, con l'assassinio, con l'eccidio. Non possiamo non tener conto di questa risposta. E' di fronte ad essa che dobbiamo assumerci un nuovo impegno.

Come partito dì avanguardia della classe operaia e del popolo italiano, coscienti della nostra forza che ci ha consentito di conchiudere vittoriosamente cento battaglie, ci impegnarono ad una nuova, più vasta lotta, in difesa della esistenza, della sicurezza, degli elementari diritti civili dei lavoratori.

Ci impegniamo a svolgere un'azione tale, di propaganda, di agitazione, di organizzazione, che raccolga ed unisca in questa lotta nuovi milioni e milioni di lavoratori, tutte le forze sane del popolo italiano. Ci impegniamo a preparare e suscitare un movimento tale, un sussulto proveniente dal più profondo stato di cose che grida vendetta al cospetto di Dio.

E voi, compagni e fratelli caduti, Appiani Angelo di anni 30; Rovati Alberto di anni 36; Malagoli Arturo di anni 21; Garagnani Ennio di anni 21; Bersani Renzo di anni 21; Chiappelli Arturo di anni 43, riposate!

Non oso, non son capace di dirvi: riposate in pace! Troppo breve, troppo tempestosa, tragicamente troncata è stata la vostra esistenza. Troppo grave è l'appello che esce dalle vostre bare.

Ma voi, madri, sorelle, spose, non piangete! Non piangiamo, lavoratori di Modena. Sia l'acre sapore delle lagrime, per non piangere, inghiottito, stimolo aspro al lavoro nuovo, alla lotta!

Dobbiamo far uscire l'Italia da questa situazione dolorosa. Vogliamo che l'Italia diventi un paese civile, dove sia sacra la vita dei lavoratori, dove sacro sia il diritto dei cittadini al lavoro, alla libertà, alla pace!

Andiamo avanti, grazie allo sforzo unito di tutti i lavoratori, di tutto il popolo italiano; nostra deve essere, nostra sarà la vittoria!

Allora anche voi, compagni e fratelli caduti, riposerete in pace!
Rispondi

Da: ma che forum.......24/09/2011 16:51:34
..........compagni!!!
Rispondi

Da: 24/09/2011 18:03:43
e' un vero schifo i compagnucci servi di don rodrigo vogliono sabotare il forum!!!!!forse perche' abbiamo toccato la loro cornacchia nera e che quindi nonpotra' essere utile?????? fate schifo!!!!!!!!
Rispondi

Da: bc24/09/2011 19:26:09
l 5 agosto 1983, appena un giorno dopo aver formato il suo primo governo, Craxi istituisce il Consiglio di Gabinetto, dando seguito ad un impegno assunto con i partiti del Pentapartito nel corso delle consultazioni: «Si tratta - disse allora Craxi - di un Consiglio nel quale saranno rappresentate tutte le forze politiche; un Consiglio politico, che dovrà consentire consultazioni più rapide su tutte le questioni che saranno poi sottoposte al vaglio del Consiglio dei ministri, su tutte le questioni di indirizzo importanti. Si tratta di un organismo autorevole in cui saranno rappresentati anche i ministeri politici ed economici più importanti». La prima riunione si svolge il 26 agosto e vi prendono parte, oltre naturalmente a Craxi, Arnaldo Forlani, vicepresidente del Consiglio e Giulio Andreotti, ministro degli Esteri, Giovanni Goria, ministro del Tesoro, Oscar Luigi Scalfaro, ministro dell'Interno in rappresentanza della Dc, Giovanni Spadolini, segretario del Pri e ministro della Difesa, Renato Altissimo ministro dell'Industria del Pli, Gianni De Michelis, Psi e ministro del Lavoro e il ministro del Bilancio del Psdi Pietro Longo. Fanno parte del Consiglio quindi i rappresentanti di tutti e cinque i partiti dell'alleanza di governo. Il Consiglio in seguito assunse un ruolo centrale e agì come sede di concertazione delle principali decisioni politiche nel successivo triennio, contribuendo alla fama di "governo forte" che assunse quell'Esecutivo. Presenziava alle riunioni il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato (PSI).

Furono diversi i provvedimenti varati dal governo Craxi, fra i più importanti:

    il nuovo concordato con la Santa Sede, detto Accordi di Villa Madama perché firmato nel 1984 a Villa Madama con il cardinale Agostino Casaroli Segretario di Stato vaticano; il cattolicesimo abbandonava la nozione di "religione di Stato" e veniva abolita la "congrua". Veniva istituito il contribuito dell'8 per mille per i finanziamenti alla Chiesa cattolica e alle altre religioni e l'insegnamento facoltativo della religione cattolica nelle scuole[8].

    il contestato taglio di quattro punti della Scala mobile, a seguito del cosiddetto "decreto di San Valentino", ottenuto con la sola concertazione della CISL e della UIL. La CGIL, invece, abbandonò le trattative e diede vita a massicce manifestazioni di massa, con la collaborazione del Pci, che nel frattempo scatenò in Parlamento un ostruzionismo durissimo. Il decreto passò con la fiducia e in seguito venne avviata una raccolta di firme che portò ad un referendum abrogativo. Al referendum, che si tenne nella primavera del 1985, Craxi partecipò attivamente alla campagna elettorale a sostegno della sua riforma, riuscendo ad ottenere, a sorpresa, la sconfitta degli abrogazionisti[9].

    La politica economica dei suoi governi è stata molto discussa: da un lato l'inflazione, dal 1983 al 1987, scese dal 12,30% al 5,20%, e lo sviluppo dell'economia italiana, secondo soltanto a quello del Giappone, vide sia una crescita dei salari (in quattro anni, di quasi due punti al di sopra dell'inflazione), sia il momentaneo sorpasso del reddito nazionale e di quello pro-capite della Gran Bretagna, diventando il quinto paese industriale avanzato del mondo[10]. In quegli stessi anni però il debito pubblico passò da 234 a 522 miliardi di euro (dati valuta 2006) e il rapporto fra debito pubblico e PIL passò dal 70% al 90%[11]. Ciò ha fatto dire che la sua gestione del bilancio - sul punto non correttiva degli squilibri accumulativi nei conti pubblici nel decennio precedente - ha contribuito a provocare allo Stato l'enorme debito pubblico, decisamente superiore alla media europea.[12][13]

    La battaglia agli evasori fiscali nel commercio al minuto, che produsse l'obbligo del registratore di cassa e dello scontrino fiscale grazie ad una battaglia condotta dal ministro delle finanze Bruno Visentini[14].

    Il condono edilizio Nicolazzi del 1985: esso era inserito in una legge urbanistica, che non fu mai realmente applicata, che aveva l'ambizione di voltare pagina rispetto al passato ed introduceva un sistema di regole penali e una diretta attribuzione di responsabilità alle amministrazioni comunali per la repressione degli abusi[15].

    Il "decreto Berlusconi", varato dopo la decisione dei pretori di Torino, Roma e Pescara di oscurare i canali televisivi della Fininvest di proprietà di Silvio Berlusconi, allora un semplice imprenditore con cui Craxi aveva una forte amicizia (fece da testimone al suo secondo matrimonio). Il decreto stabilì la legalità delle trasmissioni delle televisioni dei grandi network privati, ma suscitò aspre critiche nel Paese[16] e fu approvato dal Parlamento solo tramite il voto di fiducia[17]
Rispondi

Da: gf24/09/2011 19:27:53
"Care amiche e cari amici di Mirabello, ogni volta che ho avuto modo di prendere la parola in questo piccolo paese che mi è caro per tante ragioni, ogni volta, ho sempre provato una certa emozione. Per ragioni note, perché qui affondano le radici di una parte della mia famiglia, perché qui anni fa un uomo certamente capace di guardare avanti, indicò al suo popolo la necessità di un salto di generazione. E credo che la presenza qui di un uomo come Mirko Tremaglia sia la più bella dimostrazione di quella idea e continuità. Mirabello come luogo - per tanti di noi - delle emozioni, che nel corso del tempo, dall'Msi ad An, si sono rinnovate. Qui la destra italiana ha vissuto dei momenti importanti. Qui, con Pinuccio Tatarella, annunciammo An. Qui, preconizzammo quell'ulteriore svolta che portò al Pdl. Ma, tutte le volte, credetemi, l'emozione è quella di ieri. Ma credo che mai nel mio cuore ci sia stata un'emozione forte come quella che provo ora. Questa festa del 2010, appuntamento rilevante per l'intera politica italiana, non solo per il Pdl. Mirabello è per un giorno la capitale della politica italiana. E credo, caro Vittorio Lodi, che questo sia il regalo più bello che ti possiamo fare: un appuntamento per la politica nazionale. Un ringraziamento sincero a Vittorio, a tutti gli uomini e le donne che ci hanno raggiunto da tutto il paese.

È la dimostrazione di un popolo che è qui perché non precettato, ma sente il profondo desiderio di partecipare, di ritrovare l'impegno politico, all'insegna di alcuni valori. Un popolo di uomini e donne che si ritrova. Spero che questa piazza che mi dà forza, e vi ringrazio, in questa fase di difficoltà possa esser l'occasione da parte mia per dare un contributo di chiarezza su quello che è accaduto e su quello che accadrà. Che cosa è accaduto in questo periodo estivo? Non lo si capisce se non si va indietro al 29 luglio. Quando l'ufficio politico del Pdl, dopo una riunione durata un paio d'ore, in mia assenza, mi ha di fatto estromesso dal partito, che io ho contribuito a fondare in rappresentanza della destra italiana. Al termine di questa riunione è stato approvato un documento in cui è scritto che la nostra linea politica era un continuo stillicidio, spesso in sintonia con l'opposizione e i temi della sinistra, e partecipe - questa fa ridere - con l'azione delle procure. Per cui Fini non sarebbe stato coerente con i principi del Pdl. E quindi, per fare chiarezza non c'è stata alcuna fuoriuscita, nessun tipo di scissione, nessun atteggiamento teso a demolire. Di fatto, un atto profondamente illiberale che nulla ha a che spartire con il pluralismo proprio di un partito liberale. Un atto, non ho difficoltà a dirlo, che forse è stato ispirato da quel libro nero del comunismo che ci fu regalato al congresso di An, un atto in perfetto stile stalinista. Quel documento fu una brutale aggressione al dissenso, teso ad annullare ogni tipo di diversità. E allora ragioniamo, chiediamoci. In quello che è stato definito "partito dell'amore" è possibile fare delle critiche? Da parte mia ci sono state, abbiamo fatto anche proposte. È possibile dire, ad esempio, che a fronte di un governo che per certi aspetti ha ben fatto contro la crisi, forse si potevano modulare in modo diverso quei tagli lineari alla spesa che hanno determinato due clamorose proteste. Mi ha ferito, ad esempio, quando a Venezia ho visto le forze di polizia manifestare il proprio dissenso.
Credo che meriti rispetto ogni dirigente, ogni cittadino colpito da quei tagli che non andavano fatti, e penso anche ai tagli ai fondi alla scuola, causa della protesta dei precari che ancora non sanno se fra qualche giorno avranno la cattedra. Non è una critica demolitoria. Allora, è lecito avanzare critiche, esprimere dubbi? Come quelli nei confronti del federalismo fiscale, non in sé ma per come viene attuato. Il federalismo fiscale è una grande occasione per l'Italia, certo, ma in alcuni momenti è apparso che così non fosse. Lo so che sono prospettive non condivise da tutti. Ma io le ho avanzate consapevolmente. Per esempio, quando si parla di lotta all'immigrazione clandestina si deve parlare anche di integrazione dell'immigrato onesto. E ancora, il garantismo è un principio sacrosanto, ma mai e poi mai può essere considerato una sorta di impunità permanente: garanzia dell'imputato, certo, ma i processi si devono svolgere. Tutto questo è eresia, è disfattismo? È stillicidio polemico ribadire che la magistratura è un caposaldo della democrazia? Non si può a causa di qualche mela marcia contestare quello che rimane un presidio della nostra Repubblica. È uno stillicidio dire che noi siamo un grande partito nazionale, e che proprio perché deve avere a cuore tutti, da Vipiteno a Lampedusa, non può appiattirsi su un alleato come la Lega che ha dimensione locale? Perché accontentare un migliaio di produttori di latte che sforavano le loro quote solo per compiacere Bossi a scapito di tanti agricoltori onesti? Il Pdl doveva essere un grande partito nazionale, un grande partito occidentale. Con valori di riferimento precisi: libertà, rispetto e dignità della persona umana. E se non fossi stato espulso dal Pdl avrei detto quello che dico adesso: quello di Gheddafi a Roma, un personaggio che non ha nulla da insegnarci, è stato uno spettacolo indecoroso. Da ex ministro degli Esteri conosco le ragioni della realpolitik, posso anche arrivare a dire che ci possa essere una quota di realpolitik in una logica di interessi nazionali. Ma questo non può portare a una sorta di genuflessione. E allora, continuando, è possibile dire all'interno del Pdl, come ho detto in passato, che c'è un preciso dovere per chi ha responsabilità istituzionali, quello di rispettare le altre istituzioni? Quando il premier chiede che gli venga riconosciuto il rispetto dovuto, lui deve riconoscerlo agli altri, in primis al capo dello Stato che rappresenta la Costituzione. E si deve rispettare il Parlamento, che non è una dependance dell'esecutivo. E non lo dico da presidente della Camera, ma perché devono essere equilibrati i poteri. È stillicidio dire che governare è una nobile e ardua impresa ma non può mai significare comandare? Sì, perché governare significa comprendere le ragioni di tutti e garantire equilibrio. E sempre per essere chiari: era stillicidio, provocazione, boicottaggio, ribadire che il Pdl doveva essere la garanzia di portare a termine grandi riforme economiche e istituzionali? È vero, la crisi è stata un ostacolo. Ma perché non si parla più di una grande riforma per far nascere l'alba di una nuova repubblica? Non avevamo concepito il Pdl per mantenere l'esistente, ma come forza di vero e autentico cambiamento.
Rispondi

Da: gf24/09/2011 19:29:06
E, ancora, è stata dimostrazione di preconcetta ostilità ribadire che in questa fase di crisi - in cui è ancora più indispensabile l'impegno per una politica con più attenzione al sociale - promuovere la rivoluzione del merito che deve diventare non un impegno elettorale, ma un atto politico conseguito giorno per giorno per privilegiare chi è più capace. E ritengo di avere diritto di porre alla mia comunità politica anche quesiti scomodi e questo non credo meriti il gesto infastidito di chi li dice incompatibili con l'atteggiamento politico. Il presidente del Consiglio, lo dico senza ironia, ha tanti meriti, ma anche qualche difetto: innanzitutto quello di non capire che in una democrazia non può esserci eresia. Gli siamo tutti grati per quello che ha fatto nel '94, per aver battuto la cosiddetta macchina da guerra, ma la gratitudine non implica che non possa esistere il confronto, che i distinguo debbano essere accusati di lesa maestà: perché non siamo un popolo di sudditi. Io gli ho contestato la sua attitudine a confondere la leadership con quello che è l'atteggiamento di un proprietario di azienda. Proprio perché il Pdl ha aperto orizzonti di grandi speranze, non può essere derubricato a contorno del leader, ma deve essere una fucina di idee, un polmone che respira e dà ossigeno all'intera nazione. Rivendicare la possibilità di esprimere opinioni non è boicottaggio ma democrazia interna, fisiologia di un partito di massa, non teatrino della politica. È possibile che la sola volta in cui si sia riunita la direzione del Pdl abbia segnato il momento di avvio del processo che ha portato al 29 di luglio? Giorno che considero lesivo non della mia persona, ma di un grande partito che è il Pdl e si fonda sulla democrazia.
Continuare in questa dialettica interna non significa tradire gli elettori perché ci sono tanti, tanti elettori del Pdl autenticamente moderati che non si accontentano dell'affermazione "siamo il partito dei moderati". Ci sono per davvero tanti elettori del Pdl convinti che la ragione prima della politica sia garantire l'interesse generale, della polis, l'interesse nazionale, non l'interesse di una parte. C'è gente che non capisce perché il Pdl anziché lavorare per unire, lavori per dividere, per alzare gli steccati, per determinare scontri.
Ecco il Pdl autenticamente nazionale. Certo, questi elettori del Pdl sono in molti casi donne e uomini che hanno votato Alleanza nazionale, ma non solo. Sono elettrici ed elettori di altre tradizioni politiche. E ne abbiamo avuto la riprova dopo l'espulsione, quando si sono costituiti i gruppi di Futuro e libertà. Si sono uniti uomini e donne che non avevano avuto niente a che fare con quella tradizione politica.
Il ringraziamento che voglio fare è a quei parlamentari che non erano mai stati a Mirabello. Fli non è An in sedicesimo. Chi lo pensa non ha capito assolutamente nulla. Qui c'è il tentativo difficile ma doveroso di non disperdere quel sogno. Dobbiamo dare risposte alle tante donne e ai tanti uomini che nemmeno leggono più le pagine della politica, che nutrono fastidio per telegiornali e giornali che sembrano essere fotocopie. Nel Paese sta crescendo il distacco nei confronti della politica. Fli, come punto di riferimento di tanti elettori che nelle ultime elezioni magari si sono astenuti o che nelle prossime amministrative, senza un'alternativa, si asterrebbero. Sono elettori che ci dicono di andare avanti, di cercare di difendere non solo le nostre buone ragioni ma i principi originari, più autentici del Pdl, che ci chiedono di dar vita a una buona politica, che è l'unico antidoto alla sfiducia crescente nelle istituzioni. Quando tante persone perdono fiducia nella politica è la vigilia di momenti che possono essere più problematici. Il Pdl, come lo avevamo concepito e voluto, è finito il 29 luglio perché è venuta meno la volontà di dar vita a quel confronto di idee che è il sale della democrazia. Il Pdl non c'è più, ora c'è il partito del predellino. Per certi aspetti il Pdl è Forza Italia che si è allargata con qualche colonnello o capitano che ha soltanto cambiato generale e magari è pronto a cambiarlo ancora. E il fatto che il Pdl non c'è più è la ragione per la quale è facile rispondere alla domanda: cosa accadrà? Ed è molto più facile rispondere se si ragiona, piuttosto che se ci si fa prendere dai desideri o dalle paure. Fli non può rientrare in ciò che non c'è più, non accadrà. Non si entra in ciò che non c'è più, si va avanti con le nostre idee, con il nostro impegno, con la nostra elaborazione politica. Non ci ritiriamo in convento né erriamo raminghi in attesa del perdono.
I gruppi parlamentari non possono essere trattati - Berlusconi è un uomo di spirito e non se la prenderà - come se fossero dei clienti della Standa, che se cambiano il supermercato dove fino a quel momento si sono serviti ottengono poi il premio di fedeltà. I parlamentari che stanno con noi hanno voglia di far politica, di parlare con la gente. Si va avanti con le nostre idee, con le nostre proposte, si va avanti senza farci intimidire da quello che è stato definito il "metodo Boffo", messo in campo nell'ultimo mese da alcuni giornali che dovrebbero essere il biglietto da visita del cosiddetto partito dell'amore. E se questo è l'andazzo, immaginate se non erano amorevoli cosa poteva succedere. Non ci facciamo intimidire perché di intimidazioni ne abbiamo vissute ben altre, in anni in cui i pericoli per la destra erano ben altri. Non ci facciamo intimidire da campagne paranoiche e patetiche. Paranoiche perché indecenti, e patetiche perché non si rendono conto del disprezzo che gli sta montando attorno.
Rispondi

Da: gf24/09/2011 19:29:54
Noi attendiamo fiduciosi i riscontri della magistratura, che dirà e stabilirà i responsabili di tanta volgarità, di tante menzogne e falsità. Altro che valori della libertà. È stato un atteggiamento infame, non perché rivolto alla mia persona, ma alla mia famiglia, ed è tipico degli infami. Si va avanti e lo si fa per tenere fede allo spirito delle origini, si va avanti per non tradire lo spirito del Pdl, si va avanti per evitare che il governo commetta altri errori, si va avanti - e se lo tolgono dalla testa - senza cambi di campo, senza ribaltoni e ribaltini, perché da questo punto di vista le polemiche sono indice dello scarso livello del comprendere. Si va avanti convinti, come siamo, della necessità di portare a termine il patto scritto con gli elettori, senza dimenticare parte del programma, senza inventare altre cose che poi diventano, a comando, emergenze. Si va avanti anche quando il presidente del Consiglio presenterà il patto dei cinque punti - la riforma della giustizia, il Mezzogiorno, il federalismo, il fisco e la sicurezza - è di tutta evidenza che i nostri capigruppo parleranno chiaro e forte e parleranno senza distinzioni tra falchi e colombe, perché a noi non interessa l'ornitologia.
E i parlamentari di Futuro e libertà, se vogliono ridare dignità e spirito di attuazione a quello che era il progetto del Pdl, possono opporsi ai capisaldi del programma? E allora sosterremo da donne e uomini liberi questo programma. Ma credo che non possa essere negato, a noi come a nessun deputato o senatore della maggioranza, di chiedere come si declineranno questi obiettivi del programma. Con spirito costruttivo chiederemo come si vuole dare vita a questo programma. Fli non rema contro, ma rappresenta l'azione politica di chi vuol far camminare veloce il governo in modo proficuo ristabilendo anche un buon rapporto con la pubblica opinione (perché c'è qualche segnale di stanchezza, amici miei, sondaggi o non sondaggi). Cercheremo di dare vita a un patto di legislatura, dunque, per riempire di fatti concreti gli anni che ci separano da quando andremo a votare. È un "interesse nazionale", e per questo riteniamo che sia avventurismo politico minacciare un giorno sì e l'altro pure le elezioni, magari per intimidirci e magari per regolare i conti con qualcuno. Governare è fatica, confidiamo nel senso di responsabilità di tutti, nessuno escluso. Perché il fallimento di questa legislatura sarebbe un fallimento per tutti: per me, per Fli, per Berlusconi. E credo che ne sia cosciente, Berlusconi. Perché al di là di tante espressioni polemiche, quando si ottiene una fiducia talmente ampia e si ottiene una maggioranza parlamentare come mai era capitato nella storia della Repubblica, la prima cosa da fare non è mettere alla porta il dissenso o chi magari è antipatico, ma governare. Siamo certi che un patto di legislatura posa garantire la legislatura. E credo che ne siano consapevoli anche Bossi e la Lega. Bossi capisce gli umori della gente, è un leader popolare. Abbiamo polemizzato spesso, è vero. Solo chi non conosce la storia, oltre che la geografia può pensare che la Padania esista per davvero! Bossi ha capito che quella bandiera che ha alzato per primo anni fa, anche raccogliendo l'ironia e lo scetticismo di molti, il federalismo, può essere una bandiera da alzare, che determinerebbe il compimento di quella missione storica che Bossi ha dato al suo movimento. Ma il federalismo è possibile solo se è nell'interesse di tutta l'Italia. Bossi è uomo concreto, sa che il nord ha bisogno del federalismo a condizione che sia nel nome dell'interesse generale. E potrei tranquillamente dire che nella commissione bicamerale con trenta componenti per il federalismo fiscale, il nostro senatore Baldassarri è determinante. Allora, discutiamo assieme a Lega e a Forza Italia allargata di che significa federalismo equo e solidale. È una grande questione che non si riduce al rapporto tra Calderoli e Tremonti. Si può realizzare a patto che si stabiliscano i costi standard.
Il Meridione ha tutto da guadagnare da una riforma in senso federalistico, nella quale è indispensabile valutare i costi standard nelle regioni, perchè nessuno può obiettare il fatto che i costi in Emilia Romagna non sono la stessa cosa di quelli in Calabria. Nessuno difende la spesa storica, quella in base alla quale le amministrazioni si vedevano pagare le loro spese a pié di lista, ma la definizione dei parametri di spesa non può non essere discussa, come si deve discutere dei tempi del federalismo o di cosa voglia dire fondo perequativo. Tanto più che, con questa riforma dobbiamo essere all'altezza di una ricorrenza, quella della celebrazione dei 150 anni di unità italiana, che non deve essere solo ricostruzione dei tempi storici, ma occasione per una riforma nazionale, che non lasci indietro alcune regioni, che non sia espressione di egoismo di parte ai danni di tutti. L'Italia una e indivisibile è non solo interesse del Sud, ma anche del Nord. E basta vedere cosa accade fuori dalla nostra nazione per occorgersi che se la crisi della Grecia fa tremare la Germania, la Padania non può certo sopravvivere alla crisi di un solo paese europeo o che si affaccia nel Mediterraneo. L'Italia ha il dovere di confermare la sua unità e di mettersi in competizione con gli altri paesi. Ha il dovere di fondare un nuovo patto di legislatura, che non sia più un tavolo a due gambe, né un accordo gestito con quiescenza.
Ma che fine ha fatto nel programma quel punto con il quale si pigliavano gli applausi relativo all'abolizione delle province? Che fine ha fatto quel punto del programma che prevedeva la privatizzazione delle municipalizzate? È stato sufficiente capire che in alcune aree diventavano i tesoretti di un partito per allineare la Lega alla sinistra italiana. Il nuovo patto di legislatura non è più soltanto tra Berlusconi e Bossi, ma nell'interesse di tutti, della Lega ma anche di Silvio Berlusconi. Sono convinto che nel suo realismo e pragmatismo metterà da parte l'ostracismo, anche perché non ci fermiamo. È inutile che dicano "facciano quello che vogliono", perché lo faremo. Non servono a nulla gli ultimatum anche perché non ci spaventano. Silvio Berlusconi ha il sacrosantodiritto di governare, perché è stato scelto in modo inequivocabile dagli elettori e non ho alcuna difficoltà a dire che pensare a scorciatoie giudiziarie per toglierlo di mezzo, rappresenterebbero un tradimento del volere democratico. Nessuno è contrario al lodo Alfano o al legittimo impedimento. Siamo convintissimi che occorra risolvere la questione relativa al diritto che Berlusconi ha di governare senza che vi sia l'interferenza di segmenti iperpoliticizzati della magistratura che vogliono metterlo in fuorigioco. Affidare al dottor Stranamore - che è l'onorevole Ghedini - è incomprensibile. La soluzione non si trova mai e il problema si acuisce. Non va fatta una legge ad personam che danneggi parte della società, ma una legge a tutela del capo del governo, del capo dello Stato che esiste in molti paesi d'Europa.
Il che non vuol dire impunità, non vuol dire cancellare i processi, ma la sospensione degli stessi. E dobbiamo farlo cercando di avere in mente che alcune riforme sono giuste: come si fa a essere contrari al processo breve? Si deve lavorare per quello e dobbiamo ricordare a proposito che l'Ue ci ha condannati più volte per l'eccessiva durata, occorrono anni per sapere come va a finire. Ma la cosa che non è accettabile è che una volta che il testo che è arrivato dal Senato si stravolga con il rischio che nel momento in cui tante vittime aspettano di sapere il destino del processo li si lasci poi con un pugno di mosche in mano. La riforma va fatta per garantire i cittadini. La riforma della giustizia non può essere fatta contro la magistratura, che certamente non ha il compiuto di interferire con il parlamento. E allora discutiamo in parlamento, di come garantire a Berlusconi il diritto di governare, discutiamo anche con le parti più responsabili dell'opposizione: una dimostrazione su questo punto l'ha data Casini. Discutiamone anche delle proposte che derivano dall'opposizione, senza che i solerti consiglieri del principe hanno subito stracciato, come quella dell'avvocato Pecorella. Facciamo la riforma della giustizia senza per questo determinare però un perenne cortocircuito tra il potere politico e la magistratura. È un impegno gravoso, difficile, che comunque dobbiamo portare avanti. Se la sovranità appartiene al popolo, la sovranità si esprime i tanti modi. Qui vogliamo rilanciare una proposta: una di quelle per le quali dicono "Fini dice cose che lo avvicinano alla sinistra": la sovranità popolare significa anche che la gente ha il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Se la sovranità è popolare credo che la gente abbia il diritto di scegliere anche questo. Federalismo e giustizia: sono grandi questioni, ma non posso:no essere i soli temi del dibattito. Perché l'attenzione degli italiani non è rivolta solo per la giustizia: oggi tanti italiani sono preoccupati per le condizioni economiche.
Gli italiani nel nord come nel sud sono preoccupati per le condizioni economiche e sociali, per il lavoro: non è propaganda, né demagogia, né "fare il verso" all'opposizione. Sono i problemi delle famiglie. Fli deve fare tutto per affiancare ai due temi del federalismo e della giustizia gli altri temi che davvero interessano i cittadini. Teniamo presente quello che hanno detto il capo dello stato, le imprese, i lavoratori. Possibile che nei 5 punti non ci sia nulla per far ripartire l'economia e renderla competitiva? C'è un Italia preoccupata. E Berlusconi ha ragione quando parla di ottimismo, ma non può essere ottimismo solo verbale, deve diventare azione concreta. Perché, fermata la crisi (e il nostro governo ha operato bene in questo senso), oggi dobbiamo far ripartire l'economia. Non possiamo accontentarci che le entrate siano garanzia dell'economia. Serve il coraggio politico di ridare vita a quelle riforme che erano nel programma originale del Pdl e di cui non sento parlare: per esempio, il superamento dei due miti fasulli del novecento, la lotta di classe e il mercatismo. È arrivato il tempo di dare vita a una sintesi, a nuovo patto tra capitale e lavoro: significa mettere i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata. Una proposta che feci in occasione di quella direzione nazionale e che è caduta nel nulla, è una riforma del mondo del lavoro. Serve una politica che comprenda le esigenze del nostro mondo produttivo. I piccoli imprenditori lo sanno meglio di tutti. È importante ricordare che il tessuto produttivo è diverso da altri paesi, si basa su imprese medio piccole. Si tagli il superfluo, ma non si lesini in infrastrutture, in ricerca, in produzione di eccellenze di avanguardia. Viviamo in una fase in cui i giacimenti culturali valgono più - nella globalizzazione - dei giacimenti petroliferi. Dobbiamo investire, anche se è evidente che la coperta è corta. Sarebbe facile dire "il governo tiri fuori le risorse". Ma dobbiamo passare dallo scontentare tutti a dire che c'è un settore su cui si deve investire, ed è il settore connesso a ciò che può dare competitività al nostro sistema produttivo. Soprattutto per le nostre imprese che esportano: non basta pensare alla delocalizzazione delle imprese, ma bisogna attrarre capitale e mettere chi vuole nelle condizioni di aprire un'impesa. Vuol dire dare attuazione ai punti qualificanti del programa del Pdl. Non voglio affondare il coltello nel burro ma nonostante il ghe pensi mi, vi sembra possibile che ancora non si conosca il nome ministro allo Sviluppo economico, in quale altro paese sarebbe possibile?
È chiaro che deve essere un ministro capace di ragionare e lavorare con il ministro dell'Economia. Ed è chiaro che serve una politica capace di liberalizzazioni, una politica che riesca a dare vita al patto generazionale. Perché credo ci sia un altro grande campo in cui un governo di centrodestra che ha a cuore il governo nazionale non deve risparmiarsi: è il contesto giovanile, infatti non esiste genitore degno di questo nome che non sia disposto a fare un sacrificio personale per il futuro dei propri figli.
La questione giovanile è centrale, e mi piange il cuore che tra i giovani ci sia un disoccupato su quattro. C'è chi contrabbanda la flessibilità, che è invece necessaria per l'economia e per le imprese, con la precarietà permanente: dimenticano che in Germania ci sono sì molti contratti a tempo determinato, però lì le buste paga non sono certo leggere come da noi, ma spesso più corpose di quelle dei contratti a tempo indeterminato. E dobbiamo renderci conto che il patto generazionele è importante come quello tra Nord e Sud se abbiamo a cuore il governo nazionale.
Perché non è giusto che serva l'aiuto del nonno per far vivere più sereno il nipote: si è completamente ribaltato il mondo, prima spesso era grazie al lavoro del nipote che si sosteneva il nonno.
Poniamoceli questi problemi. Chiediamo ai ragazzi un impegno e quando dico andiamo avanti e non ci fermiamo, lo dico anche perché in queste settimane abbiamo visto come siano i più giovani a dirci "provateci, non vi fermate, siamo con voi". Credo che sia estremamente bello vedere anche qui questa sera tante ragazze e tanti ragazzi che vogliono ancora credere in una politica capace di costruire il loro futuro. Il futuro della libertà. E la prima libertà è metterli nella condizione di far vedere ciò di cui sono capaci. Che fine ha fatto la rivoluzione meritocratica. Preoccupiamoci delle condizioni sociali. Credo che debba destare preoccupazioni in tutti leggere che nell'ambito della cosiddetta spesa sociale il nostro paese è uno degli ultimi paesi in Europa. Perché andrà avanti Futuro e libertà, perché sono servite le fondazioni che hanno riempito un vuoto? È doveroso chiedersi visto che la società è profondamente cambiata, la spesa sociale deve essere rivolta verso quelle categorie tradizionalmente più deboli o non è il momento di investire su quella famiglia che rimane il luogo in cui da sempre si dà vita alla trasmissione di valori, si crea la condizione per la quale ci si sente figli di una comunità? Un welfare delle opportunità per i giovani, basato sulle esigenze della famiglia, soprattutto quella monoreddito. Oggi il centrodestra deve saper tradurre in realtà ciò che era stato inserito nel programma di governo.
Intervenire con con politiche a sostegno delle famiglie, vuol dire anche che se nei cinque punti c'è la riduzione del carico fiscale non possiamo annunciarlo e basta ma si deve assume l'onore di fare delle proposte. E noi queste le abbiamo fatte: interveniamo ad esempio sul cosiddetto quoziente famigliare, che faccia si che chi ha a casa più figli o un disabile abbia poi un carico fiscale diverso dagli altri. Ed è necessario che di tutto ciò ne parliamo in parlamento, e mi fa piacere che lo abbia fatto ad esempio il ministro Tremonti. E facciamolo cercando di coinvolgere anche le opposizioni, se hanno delle idee, per capire anche se il concetto di interesse nazionale ha fatto breccia anche da quelle parti. Una maggiore giustizia sociale fa cuore a tutti, un governo grande sa prendere la buona idea anche se viene dall'opposizione. Prendiamo a raccolta questa Italia che lavora. L'Italia che lavora, che poi equivale all'Italia onesta, che quando sente parlare di etica del dovere non ha l'atteggiamento di chi alza le spalle e dice "è ragnatela del passato". È l'etica che il padre insegna al figlio, e la politica deve sentire il dovere di praticarla. Assieme al senso civico. Basta con questo egoismo diffuso, basta con questa Italia parcellizzata, che non si interressa del vicino…
Il senso civico, il senso di appartenenza. Basta con questo egoismo diffuso, con questa Italia parcellizzata che non si fa più carico del disagio del vicino. Una politica nazionale non ha timore di parlare di legge come garanzia per il più debole. Perché da che mondo a mondo se si dice che "la legge è uguale per tutti", perché la garanzia serve ai più deboli, non ai più potenti, a chi riesce a piegarla ai suoi interessi. Questoè il centrodestra. Se crediamo in queste cose, non stanchiamoci di ringraziare chi fa il suo dovere per lo stato: è gratitudine, è senso civico. Essere servitori dello stato, nell'Italia che sogniamo, deve essere motivo d'onore non si può dire che "sono poveretti che non sanno che altro fare e allora decidono di entrare nei carabinieri": significa servire il nostro popolo, la nostra patria. E ancora più convinti di prima, portiamo avanti la lotta contro ogni forma di criminalità, compresa quella dei colletti bianchi, dei furbetti del quartierino, di chi pensa che il garantismo è impunità. Contnuiamo la lotta per la legalità, rilanciamo ildecreto anticorruzione: cosa costa rimetterlo al centro dell'attenzione del Parlamento? Discutiamo sull'opportunità di stabilire un codice etico per chi ha cariche pubbliche. Stabilendo ciò che è legale e ciò che no, ma anche ciò che è opportuno e ciò che è no. Su questi temi e su altri, lavoriamo per unire non per dividere. Su queste questioni cerchiamo di dare vita a una politica che segni un salto di qualità. Gli italiani sono stanchi di questa perenne campagna elettorale che non finisce mai, di questo trionfo della propaganda, di questa ordalia quotidiana. Fli guarda a un futuro per unire, siamo convinti che su queste questioni, con un azione politica che parta dal centrodestra si possano ritrovare anche altri. Gli italiani sono stanchi di muri e di risse, smettiamola con gli insulti, con gli appelli che cadono nel vuoto. Diamo vita a una politica che sia capace di uno scatto di orgoglio, di uno scatto di reni, in nome di ciò che è giusto, non di ciò che è utile. Sapete, in molti mi hanno detto: "Chi te lo fa fare? Ma aspetta, sei più giovane!". Ma io credo che se vogliamo ridare all'Italia quella passione che merita, allora basta con l'utilitarismo, con la logica del meglio domani che oggi…
Rispondi

Da: ripeto24/09/2011 19:30:37
I nostri tecnici calcolano a circa 700 miliardi di lire, cioè a circa 3 miliardi di dollari, la somma che possiamo reclamare dalla Germani per il periodo della cobelligeranza; e noi ci dovremmo semplicemente rinunciare? Non può essere questo un provvedimento definitivo; bisognerà pur riparlarne quando si farà la pace con la Germania: e allora non è questo un altro argomento per provare che il completo assestamento d'Europa non può avvenire che dopo la pace con la Germania? Stabiliamo le basi fondamentali del Trattato; l'Italia accetterà di fare i sacrifici che può.
Rispondi

Da: ......!?25/09/2011 07:12:43
Quello di pensare al tirocinio e' una cosa che ci riguarda tutti e diamoci da fare altrimenti poi ci dovremmo adattare a ciò che propone l'amministrazione. Io sono del parere di farlo presso il proprio domicilio come vorrebberlo far fare anche al corso ispettori che e' appena partito così si risparmierà anche qualcosa visti i periodi di crisi e poi stare a casa x un Po prima delle destinazioni farà bene.
Ovviamente proporrei 3 mesi....( tanto poi riducono quindi e' meglio stare larghi) !!!
Ma chi e' che sta sabotando il forum???
Rispondi

Da: .....25/09/2011 09:25:23
Questo è il centrodestra. Se crediamo in queste cose, non stanchiamoci di ringraziare chi fa il suo dovere per lo stato: è gratitudine, è senso civico. L'Italia che lavora, che poi equivale all'Italia onesta, che quando sente parlare di etica del dovere non ha l'atteggiamento di chi alza le spalle e dice "è ragnatela del passato". È l'etica che il padre insegna al figlio, e la politica deve sentire il dovere di praticarla. Assieme al senso civico. Basta con questo egoismo diffuso, basta con questa Italia parcellizzata, che non si interressa del vicinoâ��
Rispondi

Da: cd25/09/2011 09:27:13
La Camera,
   premesso che:
    lo svolgimento delle ultime consultazioni referendarie ha confermato le disfunzioni legate alle procedure di voto all'estero, in particolare per quanto riguarda l'invio e la ricezione dei plichi elettorali e, in alcuni casi, la riconsegna degli stessi;
    è nota l'incertezza venutasi a creare a seguito dell'invio agli elettori della scheda contenente il quesito sull'energia nucleare, formulato facendo riferimento a una normativa superata e formalmente diverso da quella su cui, a seguito della decisione della Corte di cassazione, si sono, invece, espressi i cittadini residenti sul territorio nazionale;
    la serietà delle disfunzioni verificatesi può essere evidenziata da alcuni esempi: nella circoscrizione di competenza del consolato di Monaco di Baviera 2.000 plichi sono stati inviati a indirizzi errati, in ragione dell'inesatta menzione del cognome del coniuge sulla busta; nella circoscrizione di competenza del consolato di Berlino centinaia di elettori hanno ricevuto il plico elettorale contenente due buste di uguali dimensioni, senza l'indirizzo del consolato e senza affrancatura; nella circoscrizione del consolato di San Paolo sono pervenuti plichi privi del certificato elettorale; sono molto numerosi i casi di elettori che iscritti all'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire) da diversi mesi o cancellatisi da tempo da tali liste non hanno potuto votare né all'estero, né in Italia;
    altri casi di disfunzioni elettorali negli ultimi giorni sono rimbalzati anche sui maggiori organi d'informazione, come Il Corriere della Sera, La Stampa e la Repubblica, che hanno riportato le testimonianze di connazionali impediti ad esercitare il loro fondamentale diritto di voto;
    la non sempre corretta gestione delle operazioni elettorali rischia ingiustificatamente di sollevare ombre sullo stesso esercizio del voto dei connazionali all'estero;
    al di là degli aspetti di gestione procedurale, persiste comunque una questione di fondo, attinente all'incompiuto allineamento dei dati di competenza del Ministero degli affari esteri con quelli dell'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire) gestiti dal Ministero dell'interno;
    nonostante una progressiva riduzione delle posizioni disallineate, persiste, tuttavia, una forbice consistente riguardante al 2010 circa 355.402 situazioni di cittadini presenti solo nell'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire), senza riscontro negli schedari consolari, e ben 588.587 situazioni di soggetti presenti negli elenchi consolari, ma non in quelli dell'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire);
    il numero delle persone alle quali di fatto sono negati l'esercizio del voto e la fruizione degli altri servizi consolari o comunali resta preoccupante: 943.989 cittadini, equivalenti a oltre il 20 per cento degli iscritti all'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire);
    il mancato allineamento, peraltro, rappresenta un'obiettiva ragione di scarsa partecipazione al voto e un fattore d'insicurezza nello svolgimento delle operazioni elettorali, dal momento che centinaia di migliaia di plichi vengono indirizzati a persone di cui è incerto il recapito e addirittura l'esistenza in vita;
    oltre all'allineamento dei dati dell'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire), un contributo essenziale a una maggiore regolarità e certificazione delle operazioni di cittadini italiani all'estero può venire da un intervento di modifica della legge n. 459 del 2001, le cui linee sono contenute nelle proposte di legge già assegnate alla Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera dei deputati,

impegna il Governo:

   a presentare nelle competenti sedi parlamentari un'attendibile documentazione dell'andamento del voto all'estero nelle ultime consultazioni referendarie, comparandola con quello degli ultimi appuntamenti elettorali;
   in tale occasione, ad accompagnare la documentazione sull'esperienza acquisita con indicazioni relative ai punti da affrontare prioritariamente in sede di modifica della legge n. 459 del 2001;
   ad adottare un piano straordinario d'intervento volto al superamento del divario tra i dati dell'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire) e quelli degli schedari consolari, prevedendo anche nei prossimi documenti finanziari la spesa necessaria per ovviare in tempi brevi alle situazioni che anche nelle ultime consultazioni si sono manifestate.
(1-00655)
«Garavini, Amici, Barbi, Bressa, Gianni Farina, Fedi, Narducci, Pistelli, Porta, Tempestini, Zacchera».
(16 giugno 2011)
Rispondi

Da: cd25/09/2011 09:28:17
 La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 48 della Carta costituzionale italiana «sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività»;
    ai sensi della normativa vigente, anche gli italiani residenti all'estero ed iscritti all'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire), nonché particolari categorie di italiani temporaneamente all'estero, come disposto dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 37 del 2011, hanno potuto partecipare alle consultazioni referendarie indette in Italia il 12 e il 13 giugno 2011, esprimendo il proprio voto per corrispondenza;
    entro il 25 maggio 2011 ciascun consolato italiano di riferimento ha inviato a ciascuno degli elettori sopra indicati, presso il domicilio, il plico elettorale contenente le schede e le istruzioni sulle modalità di voto;
    stando alla normativa di riferimento, le schede votate dagli italiani residenti all'estero pervenute ai consolati entro le ore 16 del 9 giugno 2011 sono state poi trasmesse in Italia, dove ha avuto luogo lo scrutinio a cura dell'ufficio centrale per la circoscrizione estero, istituito presso la corte di appello di Roma;
    già a poche ore dalla conclusione delle procedure di trasmissione dei plichi elettorali presso i singoli consolati si sono moltiplicate in ogni area della circoscrizione elettorale estera le denunce di plichi smarriti, di plichi mai recapitati, di refusi ortografici ed anagrafici sulle schede trasmesse nei plichi ai singoli cittadini presso il loro domicilio;
    migliaia di cittadini italiani residenti oltre confine hanno segnalato ai consolati, ai parlamentari italiani eletti oltre confine, alle redazioni dei giornali dell'emigrazione, nonché ai vari social network il mancato recapito del plico elettorale e la conseguente impossibilità ad esercitare il proprio diritto di voto;
    il moltiplicarsi dei refusi anagrafici che ha contribuito al mancato recapito dei plichi, nonché - in alcuni casi - all'invalidamento di alcuni voti espressi, evidenzia un chiaro problema gestionale presso le anagrafi consolari, che in taluni casi risultano aver registrato informazioni diverse rispetto a quelle contenute nelle liste dell'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire) dei comuni italiani di provenienza dei cittadini residenti oltre confine;
    in virtù dei molteplici errori di archivio molte schede sono state inviate alle donne italiane residenti oltre confine ed iscritte all'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire), indicando, però, il loro cognome da nubili, con la conseguenza che ad oggi sono migliaia i plichi mai recapitati o ritornati presso i consolati, in considerazione del fatto che in Paesi, come Germania, Belgio e Australia, le donne coniugate assumono il cognome del marito e, dunque, il domicilio indicato sui plichi non coincide con il nominativo corrispondente;
    in data 8 giugno 2011, nell'ambito dello svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea il deputato Aldo Di Biagio ha evidenziato talune criticità in merito alla gestione e alle modalità di esercizio del diritto di voto dei connazionali residenti all'estero, chiedendo al Ministro dell'interno «quali iniziative a carattere urgente si intendano predisporre al fine di garantire la legittima espressione del diritto di voto in capo ai nostri connazionali nell'ambito delle consultazioni referendarie, eventualmente attraverso la salvaguardia delle preferenze già espresse e la rettifica degli errori di procedura maturati nelle dinamiche di trasmissione dei plichi elettorali presso i domicili dei connazionali residenti oltre confine»;
    in occasione del sopra indicato confronto istituzionale, il Ministro Elio Vito, chiamato a rispondere per conto del Ministero dell'interno, ha evidenziato che con riguardo all'inconveniente tecnico che ha determinato la restituzione dello 0,8 per cento dei circa 485.000 plichi inviati in Germania, il Ministero degli affari esteri fa sapere di essere immediatamente intervenuto, dando puntuali istruzioni ai consolati interessati per risolvere il problema. I plichi restituiti dalle poste tedesche sono stati, quindi, prontamente registrati in un apposito elenco e, dopo la sostituzione della busta esterna e l'apposizione del corretto cognome del coniuge delle elettrici, sono stati nuovamente recapitati alle destinatarie in tempo utile per la restituzione entro il termine del 9 giugno 2011;
    inoltre, secondo il Ministero degli affari esteri non risulterebbero problematiche analoghe in altri Paesi, come, ad esempio, in Belgio e in Australia;
    le dichiarazioni dei Ministeri coinvolti, manifestando, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, completa disinformazione riguardo agli eventi esposti in premessa, lasciano emergere un evidente scollamento tra amministrazione e società civile, caratterizzato - a detta dei firmatari del presente atto di indirizzo - da un completo disinteresse, unito ad una deprecabile superficialità manifestata nella gestione delle dinamiche di esercizio del diritto di voto di oltre tre milioni di cittadini aventi diritto;
    secondo i dati del Ministero dell'interno, i cittadini italiani residenti oltre confine aventi diritto all'esercizio del voto in occasione del referendum del giugno 2011 risultano 3.300.496;
    stando ai dati ufficializzati dal Ministero dell'interno, all'indomani delle operazioni di scrutinio, i cittadini italiani iscritti all'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire) e quelli residenti temporaneamente all'estero che hanno esercitato il diritto di voto per le consultazioni referendarie 2011 risultano essere circa 762 mila, per un totale di circa il 23,07 per cento di votanti;
    il sopra indicato dato lascerebbe emergere un netto calo nelle affluenze rispetto ai dati delle elezioni politiche del 2008, in occasione delle quali i cittadini italiani residenti all'estero votanti ammontavano a circa 1.100.000 per un totale di circa il 39 per cento di votanti;
    in considerazione delle criticità che hanno accompagnato la distribuzione dei plichi elettorali e ogni fase della gestione dell'esercizio del diritto di voto dei sopra indicati cittadini, appaiono chiare le cause che hanno condotto ad un ridimensionamento di circa il 15-16 per cento del numero dei cittadini votanti e che vanno rinvenute certamente non nella mancata volontà da parte degli stessi di partecipare alla vita democratica del loro Paese;
    in data 13 giugno 2011 un referente diplomatico in Venezuela - dove la comunità italiana risulta tra le più vessate in termini di negazione o complessità nell'esercizio del diritto di voto in questo referendum - ha evidenziato che una delle cause dei problemi verificatisi andava ricercata nel lavoro della ditta che si è occupata di stampare le schede, che, stando alla dichiarazione, non avrebbe rispettato un contratto, commettendo, dunque, un errore grave;
    la vergognosa impasse che ha contraddistinto la gestione della sopra indicate dinamiche elettorali referendarie lascia emergere un doppio livello di criticità, sebbene esse siano strettamente interconnesse. Da un lato, l'evidente debolezza normativa di una legge - la n. 459 del 2001 - che, sebbene sia storicamente e normativamente encomiabile, necessita, come ha dimostrato l'attualità, di essere perfezionata sotto più profili. Dall'altro, le evidenti difficoltà gestionali in capo alle strutture consolari che hanno dimostrato in questa occasione elettorale, confermando una certa tendenza già consolidata in precedenti consultazioni, di avere difficoltà nel disbrigo delle procedure basilari dell'esercizio di voto, con la conseguenza di incorrere in grossolani quanto incostituzionali vizi di procedura;
    alla luce di tali criticità, emerge, dunque, anche l'esigenza di rivedere la legge n. 459 del 2001, la cosiddetta legge Tremaglia, in virtù dell'oggettiva lacunosità nel sistema di controllo, monitoraggio ed organizzazione delle operazioni preliminari e successive all'esercizio del voto per i nostri connazionali;
    le principali criticità, riscontrate nelle consultazioni elettorali che hanno coinvolto la circoscrizione estero, afferiscono per l'appunto alle modalità di gestione - spesso poco trasparenti - delle schede elettorali nel passaggio consolato-elettore, ma anche, e soprattutto, alle dinamiche attinenti alla stampa del medesimo materiale elettorale, che, nell'attuale disposto legislativo, spetta al consolato di riferimento;
    sarebbe auspicabile rendere più fruibile e maggiormente trasparente la partecipazione alle elezioni nazionali ed ai referendum dei cittadini italiani residenti all'estero, al fine di legittimare un chiaro e fondamentale adempimento costituzionale sancito dall'articolo 56 della Costituzione, oltre a creare uno strumento concreto attraverso cui sia possibile materializzare il legame tra le nostre comunità oltre confine e la terra di origine,

impegna il Governo:

   a riferire al Parlamento in merito a quanto verificatosi nella circoscrizione estero e descritto in premessa;
   ad avviare - nell'ambito delle proprie competenze - un'indagine che coinvolga la rete diplomatico-consolare italiana oltre confine, le modalità di gestione da essa utilizzate, nonché gli appalti da essa affidati a società esterne per il disbrigo delle procedure di stampa e di distribuzione, al fine di chiarire le ragioni e le responsabilità inerenti alle lacune e alle mancanze segnalate in premessa;
   ad assumere in tempi rapidi iniziative normative volte a modificare la disciplina del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero, al fine di approdare ad un testo di riforma, completo ed esaustivo, tale da rendere maggiormente trasparente un istituto partecipativo costituzionalmente sancito, garantendo la massima sicurezza del procedimento, attraverso le necessarie garanzie per la segretezza, la genuinità e l'efficacia del voto dei nostri connazionali oltre confine.
(1-00663)
«Di Biagio, Della Vedova, Zacchera».
(21 giugno 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 48 della Costituzione prevede il diritto di voto per ogni cittadino italiano, residente sia in Italia che all'estero;
    le attuali norme per l'esercizio del voto per i cittadini italiani residenti all'estero prevedono il voto per corrispondenza, in base al quale ogni connazionale restituisce al consolato di appartenenza una doppia busta contenente le proprie schede votate, sia in occasione delle elezioni politiche che dei referendum;
    in particolare, il voto degli italiani all'estero può essere fondamentale per il raggiungimento o meno del quorum per rendere validi i referendum abrogativi previsti dalla Costituzione;
    anche in occasione dello svolgimento dell'ultima consultazione referendaria sono stati sollevati molti problemi circa l'esercizio del diritto di voto all'estero; sono state denunciate irregolarità e disservizi, mancato arrivo dei plichi elettorali, difformità delle anagrafi consolari e altro;
    in passato, soprattutto in occasione delle elezioni politiche, si sono evidenziati veri e propri brogli elettorali che impongono adeguate ed immediate contromisure per assicurare - anche in continuità con la legge vigente - una maggiore trasparenza del voto all'estero,

impegna il Governo:

   a fornire elementi in merito alle disfunzioni segnalate nel voto all'estero anche in occasione dei recenti referendum;
   ad avviare in tempi brevi un'indagine consolare per verificare, caso per caso, quale sia il grado di trasparenza del voto, quanti siano i plichi inviati e ritornati, se vi sia o vi sia stato il fondato sospetto di operazioni irregolari da parte di singoli candidati o schieramenti;
   a promuovere una riforma della legge in vigore per adeguare le operazioni di voto a criteri di trasparenza, segretezza, tempestività nell'esercizio del voto all'estero.
(1-00672)
«Zacchera, Pittelli, Berardi, Minasso, Cassinelli, Lisi, Ventucci, Cristaldi, Torrisi, Vitali, Stracquadanio».
(30 giugno 2011)
Rispondi

Da: sr25/09/2011 09:30:30
AVORI PUBBLICI, COMUNICAZIONI    (8ª)



GIOVEDÌ 22 SETTEMBRE 2011

321ª Seduta



Presidenza del Presidente

GRILLO



            Interviene, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, il dottor Ettore Morace, amministratore delegato della Compagnia italiana di navigazione.      



La seduta inizia alle ore 8,45.



SULLA PUBBLICITA' DEI LAVORI 



Il PRESIDENTE avverte che è stata presentata richiesta di attivazione dell'impianto audiovisivo per lo svolgimento della procedura informativa all'ordine del giorno. Comunica, altresì, che il Presidente del Senato, in previsione di tale richiesta, ha preannunciato il suo assenso.



La Commissione accoglie la proposta e, conseguentemente, viene adottata tale forma di pubblicità, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, per il successivo svolgimento dei lavori.



PROCEDURE INFORMATIVE

  Seguito dell'indagine conoscitiva sul trasporto marittimo e sulla continuità territoriale: audizione dell'Amministratore delegato della Compagnia italiana di navigazione  



Riprende l'indagine conoscitiva sospesa nella seduta di ieri.



Il presidente GRILLO ringrazia il dottor Morace per la sua presenza.



Il dottor MORACE illustra le fasi che porteranno al definitivo trasferimento del compendio Tirrenia, con particolare riferimento alla tempistica della procedura antitrust e di quella sindacale.

Ricordato che la convenzione obbliga CIN (Compagnia italiana di navigazione) a garantire la continuità territoriale, sia nel periodo estivo che in quello invernale, indicando frequenze dei collegamenti e massimi tariffari, dichiara che CIN rispetterà in maniera scrupolosa tali impegni.

Sottolinea che, rispetto al passato, la nuova convenzione prevede un importo fisso per i contributi relativi alla continuità territoriale e pesanti sanzioni in caso di inottemperanza.

Espone le strategie future della Compagnia, che includono l'immissione di nuovo naviglio, ad esempio sulla linea Civitavecchia-Cagliari, la rottamazione dei traghetti più vecchi, nonché l'attuazione di programmi di formazione del personale.



Il senatore Marco FILIPPI (PD), premesso di non essere particolarmente convinto della complessiva operazione Tirrenia, dichiara che la Commissione vigilerà con attenzione, ma senza preconcetti, sugli esiti dell'operazione stessa, con particolare riferimento all'adempimento degli obblighi in materia di continuità territoriale e all'andamento delle tariffe.

Considerato che i documenti non sono stati pubblicati, chiede se vi sia una perfetta identità di rotte tra la vecchia e la nuova convenzione.

Domanda inoltre un approfondimento sulle dinamiche tariffarie.



Il senatore RANUCCI (PD) domanda se l'immissione di nuovo naviglio prevista dalla CIN sarà realizzata attraverso l'acquisto di navi da altri operatori o mediante la costruzione di nuovi mezzi.

Chiede conferma del corrispettivo per l'acquisto del compendio e dell'entità dei contributi per la continuità territoriale. Domanda infine chi sia il soggetto responsabile della gestione di Tirrenia fino al momento della conclusione definitiva dell'operazione e a quanto ammonti il capitale sociale di CIN.



Il senatore MASSIDDA (PdL), lamentata preliminarmente la mancanza di informazioni circa gli esatti contenuti della convenzione, chiede delucidazioni sulla tratta Olbia-Genova, nonché sul fatto che in alcuni casi i residenti della Sardegna si trovino a pagare tariffe che sono paradossalmente più elevate di quelle per i non residenti.



Il presidente GRILLO comunica che l'Amministratore straordinario di Tirrenia, diversamente da quanto aveva dichiarato nel corso della seduta di ieri, ha successivamente chiarito che la convenzione non è pubblica e che, finché essa non sia stata sottoscritta, egli non ritiene di poterla divulgare senza la preventiva autorizzazione del Governo.



Il senatore Marco FILIPPI (PD) ritiene inammissibile limitare l'accesso alle informazioni da parte del Parlamento e ricorda che anche in altri casi ha dovuto sollecitare più volte l'invio di documenti da parte del Governo.



Il dottor MORACE conferma che nella nuova convenzione le rotte e le frequenze sono identiche a quelle del passato.

In merito alle tariffe, segnala che la tariffa massima è stabilita nella convenzione e non può dunque essere modificata, con le uniche eccezioni delle tratte Genova-Porto Torres e Civitavecchia-Olbia sulle quali, nei soli mesi estivi, è consentito applicare tariffe di mercato al fine di fronteggiare la concorrenza. Sulle altre nove rotte, anche d'estate trova applicazione il massimo tariffario fisso.

La convenzione indica anche le caratteristiche minime delle navi, pertanto l'immissione di nuovo naviglio avverrà mediante il reperimento sul mercato delle navi più convenienti aventi tali caratteristiche. Ritiene che al momento le condizioni di mercato rendano più conveniente l'acquisto di navi rispetto alla loro costruzione e che, in tale maniera, si evitano anche i lunghi tempi di attesa necessari per la consegna.

Fornisce delucidazioni sul corrispettivo previsto per il trasferimento del compendio e sull'entità del contributo per la continuità territoriale, sottolineando le differenze di natura tra i due.

Chiariti la struttura e il capitale sociale di CIN, afferma che, fino al momento del definitivo passaggio del compendio Tirrenia alla Compagnia, la gestione resterà in capo all'Amministrazione straordinaria.

Ricorda che la continuità territoriale riguarda non solo la Sardegna, ma anche la Sicilia e le isole Tremiti e approfondisce le caratteristiche della tratta Ravenna-Catania.

Afferma che le differenze tariffarie lamentate dal senatore Massidda sarebbero riconducibili ad un errore materiale. Si sofferma sulla tratta Olbia-Genova, indicando possibili soluzioni per un rafforzamento del servizio.

Espone infine le modalità attraverso le quali l'aumento del prezzo del carburante si riflette sul prezzo dei biglietti.



Il presidente GRILLO, dopo aver ringraziato il dottor Morace e i senatori intervenuti, dichiara conclusa l'audizione e rinvia il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.



SULLA PUBBLICAZIONE DEI DOCUMENTI ACQUISITI NEL CORSO DELLE AUDIZIONI 



Il PRESIDENTE comunica che nel corso dell'audizione dell'Amministratore delegato di Expo Milano 2015 svolta ieri in Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi parlamentari è stata acquisita una documentazione che sarà resa disponibile per la pubblica consultazione sulla pagina web della Commissione.



La Commissione prende atto.



La seduta termina alle ore 9,40.
Rispondi

Da: sr25/09/2011 09:33:05
Sosta in doppia fila per ritirare i soldi. Un lettore filma e racconta: "E' rimasto in coda allo sportello una decina di minuti". Poi è tornato, ma nel frattempo l'autobus si era svuotato: quasi tutti erano stati costretti a scendere. Il conducente è stato sospeso
Rispondi

Da: ......!25/09/2011 22:33:49
Ma chi e' questo fuori di testa che passa da palo....in....!!! Stai proprio impazzendo, fai qualcosa nel week che e' meglio....
Rispondi

Da: pit26/09/2011 00:27:45
Quello che modernamente conosciamo come teorema di Pitagora viene solitamente attribuito al filosofo e matematico Pitagora. In realtà il suo enunciato (ma non la sua dimostrazione) era già noto[1] ai babilonesi, ed era conosciuto anche in Cina e forse in India. La dimostrazione del teorema è invece con ogni probabilità successiva a Pitagora.

Enunciato  [modifica]In un triangolo rettangolo, l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui due cateti.
Dato un triangolo rettangolo di lati a, b e c, ed indicando con c la sua ipotenusa e con a e b i suoi cateti, il teorema è espresso dall'equazione:


o, in alternativa, risolvendolo per c:


Da cui si ricavano i rispettivi cateti:





e


Se la terna a,b,c è costituita da numeri interi essa si chiama terna pitagorica.

Inversamente, ogni triangolo in cui i tre lati verificano questa proprietà è rettangolo: questo teorema, con la sua dimostrazione, appare negli Elementi immediatamente dopo il teorema di Pitagora stesso.

Dimostrazioni  [modifica]
Animazione di una dimostrazioneLa dimostrazione classica del teorema di Pitagora completa il primo libro degli Elementi di Euclide, e ne costituisce il filo conduttore. Dato che richiede il postulato delle parallele, esso non vale nelle geometrie non-euclidee e nella geometria neutrale. Nel testo di Euclide la dimostrazione del teorema è immediatamente preceduta dalla dimostrazione della costruibilità dei quadrati. L'esistenza stessa dei quadrati dipende infatti dal postulato delle parallele e viene meno nelle geometrie non euclidee. Questo aspetto del problema è in genere trascurato nella didattica contemporanea, che tende spesso ad assumere come ovvia l'esistenza dei quadrati.

La dimostrazione del teorema di Pitagora consiste nel riempire uno stesso quadrato di lato uguale alla somma dei cateti prima con quattro copie del triangolo rettangolo più il quadrato costruito sull'ipotenusa e poi con quattro copie del triangolo rettangolo più i quadrati costruiti sui cateti, come in figura.

Essendo il teorema uno dei più noti della storia della matematica, ne esistono moltissime dimostrazioni, in totale alcune centinaia, opera di matematici, astronomi, agenti di cambio, per esempio un presidente americano James A. Garfield e Leonardo da Vinci. Questo numero così alto accomuna il teorema di Pitagora a quello della reciprocità quadratica[senza fonte], per questo teorema sono state classificate dallo scienziato americano Elisha Scott Loomis 371 differenti dimostrazioni, che sono state pubblicate nel 1927 nel suo libro The Pythagorean Proposition.

Dimostrazione di Abu'l-Wafa  [modifica]
Dimostrazione di Abu'l-Wafa' i PerigalLa dimostrazione attribuita al matematico e astronomo persiano Abu'l-Wafa verso la fine del X secolo d.C.[2][3] e riscoperta dall'agente di cambio Henry Perigal (trovata nel 1835-1840[4], pubblicata nel 1872 e successivamente nel 1891[5]) si basa sulla scomposizione del quadrato costruito sul cateto maggiore, in giallo nell'immagine: tagliandolo infatti con due rette passanti per il suo centro, una perpendicolare ed una parallela all'ipotenusa, si può ricomporre in maniera da incorporare l'altro quadrato, e formando il quadrato sull'ipotenusa, come nella figura. Questo procedimento è legato al problema della trisezione del quadrato.

Dimostrazione di Airy  [modifica]
Dimostrazione di AiryEsiste anche una dimostrazione in forma poetica, dell'astronomo Sir George Airy, in inglese:

"I am, as you can see,
a² + b² - ab
When two triangles on me stand,
Square of hypothenuse is plann'd
But if I stand on them instead
The squares of both sides are read."
di cui una traduzione letterale è

"Come potete vedere, sono
a² + b² - ab
Quando ci sono due triangoli sopra di me
È rappresentato il quadrato dell'ipotenusa
Ma se invece sto io sopra di loro
Si leggono i quadrati dei due lati"
I versi si riferiscono alla parte bianca: i primi due triangoli sono quelli rossi, i secondi quelli blu.

Sia quella di Perigal che quest'ultima sono interessanti, in quanto sono puramente geometriche, ossia non richiedono alcuna definizione di operazioni aritmetiche, ma solo congruenze di aree e di segmenti.

Quadrati concentrici di Pomi  [modifica]
Dimostrazione con quadrati concentriciDimostrazione geometrica basata su due quadrati concentrici, di lati rispettivamente pari all'ipotenusa (c) e alla somma dei due cateti (a+b).

Come si vede dalla figura, tolti i 4 triangoli rettangoli (in giallo di area (a * b) / 2) al quadrato più grande, che corrisponde all'area (a + b)2, si ottiene il quadrato più piccolo, rappresentato in bianco, che equivale invece all'area c2.

Quindi (a + b)2 âˆ' 4 * (a * b) / 2 = c2
da sui risolvendo si ottiene : a2 + b2 = c2

Questa dimostrazione ha il vantaggio di avere una rappresentazione visiva semplice e diretta, che non richiede lo spostamento e sovrapposizione di forme come le altre dimostrazioni geometriche formulate.

Dimostrazione di Garfield  [modifica]
Dimostrazione di GarfieldUn'altra dimostrazione geometrica particolarmente significativa, in quanto nella costruzione non compare alcun quadrato, fu trovata nel 1876 da Garfield, che in seguito divenne il ventesimo Presidente degli Stati Uniti d'America. Allora nell'esercito, Garfield commentò il suo risultato: "Questo è qualcosa su cui i due rami del parlamento potranno essere d'accordo".

La dimostrazione è la seguente:

consideriamo una copia del triangolo rettangolo in questione, ruotata di 90 gradi in modo da allineare i due cateti differenti (nella figura a lato il rosso ed il blu). Si uniscono poi gli estremi delle ipotenuse, e si ottiene un trapezio. Uguagliando l'area del trapezio alla somma di quelle dei tre triangoli retti, si dimostra il teorema.
In formule, detto a il cateto rosso, b il blu e c l'ipotenusa, e ricordando la potenza del binomio


Una apparente dimostrazione con i numeri complessi  [modifica]Una (apparente) dimostrazione puramente algebrica fa uso dei numeri complessi e della formula di Eulero: siano a, b i cateti e c l'ipotenusa. Se i cateti sono allineati sugli assi, abbiamo

a + ib = ceiθ
Consideriamo ora il complesso coniugato di a + ib:

a âˆ' ib = ce âˆ' iθ
Moltiplicando tra loro otteniamo

a2 + b2 = c2
In realtà si tratta di una dimostrazione apparente, poiché il risultato è supposto implicitamente nell'uso dell'identità eiθe âˆ' iθ = 1 .

Se infatti si sostituisce all'esponenziale immaginario la sua definizione, l'identità si rivela essere: (cosθ + isenθ)(cosθ âˆ' isenθ) = 1, ossia cos2θ + sen2θ = 1

e l'ultima ben nota identità non è altro che una possibile formulazione dell'enunciato del teorema di Pitagora.

(Se invece l'esponenziale immaginario è definito attraverso la somma della sua serie di Taylor, allora il problema diviene quello di dimostrare la relazione a + ib = ceiθ, dove a, b e c sono le misure di cateti e ipotenusa di un triangolo rettangolo: problema la cui soluzione di nuovo non è più semplice di una delle dimostrazioni precedenti del teorema di Pitagora).

Con i teoremi di Euclide  [modifica]
Dimostrazione con EuclideUn'altra dimostrazione utilizza il primo teorema di Euclide. Si traccia l'altezza sull'ipotenusa, di lunghezza h. Questa spezza l'ipotenusa in due segmenti, di lunghezza p e q. Il teorema di Euclide fornisce le relazioni


da cui


e quindi


Con i teoremi dell'Incerchio  [modifica]Un'altra dimostrazione può essere ottenuta attraverso alcuni teoremi legati alla circonferenza inscritta ad un triangolo e tramite qualche semplice passaggio algebrico.



Lemma 1: Tenendo conto del teorema delle tangenti si può dedurre dalla figura precedente che la distanza tra un vertice ed il punto di tangenza di uno dei due lati di cui è estremo con l'incerchio è uguale alla differenza tra il semiperimetro ed il lato opposto a quel vertice. Infatti ogni lato è composto da due di questi tre segmenti, inoltre questi segmenti sono uguali a due a due (quelli adiacenti, sempre per il teorema delle tangenti) e la somma di tutti e sei è uguale al perimetro; perciò la somma di tutti e tre i segmenti di lunghezza distinta è uguale al semiperimetro ed ognuno di questi è quindi il semiperimetro meno la somma degli altri due, quindi il lato opposto al vertice a cui appartiene.

Lemma 2: Nel caso particolare di un triangolo rettangolo il raggio della circonferenza inscritta è uguale al segmento che va dal vertice dell'angolo retto al punto di tangenza con l'incerchio. Ciò perché, considerando il quadrilatero avente come vertici il vertice dell'angolo retto, i punti di tangenza sui cateti e l'incentro, si vedrebbe che ha tre angoli retti(quindi anche il quarto) e cioè che è un rettangolo; ma anche che ha due lati consecutivi congruenti(ancora una volta per il teorema delle tangenti), perciò è un rettangolo con le dimensioni congruenti, ovvero un quadrato e quindi per definizione ogni suo lato è congruente a tutti gli altri. Questo implica il lemma che volevamo dimostrare.

Lemma 3: Sia p il semiperimetro, Ri il raggio della circonferenza inscritta e A l'area del triangolo in questione(non necessariamente rettangolo, ma tale nella parte seguente della nostra dimostrazione); si ha la formula: A = Rip. Questo si può verificare considerando i tre triangoli aventi come altezza Ri e come base ed esso relativa uno dei tre lati e constatando che A è uguale alla somma delle aree di quei tre triangoli; quindi, chiamando a, b e c i tre lati: A = Ria / 2 + Rib / 2 + Ric / 2 = Ri(a + b + c) / 2 = Rip.

Dimostrazione algebrica: Siano a e b i cateti e c l'ipotenusa del nostro triangolo rettangolo. in base a quanto detto fin ora abbiamo: ab / 2 = (p âˆ' c)p

ab / 2 = ((a + b + c) / 2)((a + b âˆ' c) / 2) a questo punto, usando il prodotto notevole "somma per diferenza" otteniamo:

ab / 2 = ((a + b)2 âˆ' c2) / 4 adesso, tramite "quadrato di un binomio" otteniamo:

ab / 2 = (a2 + b2 + 2ab âˆ' c2) / 4 semplificando i denominatori:

ab = (a2 + b2 + 2ab âˆ' c2) / 2 segue:

ab = a2 / 2 + b2 / 2 + ab âˆ' c2 / 2

0 = a2 / 2 + b2 / 2 âˆ' c2 / 2

c2 / 2 = a2 / 2 + b2 / 2 e da qui, come ultimo passaggio:

c2 = a2 + b2 che corrisponde appunto all'enunciato del teorema di pitagora.

Inverso  [modifica]Vale anche l'inverso del Teorema di Pitagora (proposizione 48 del primo libro degli Elementi di Euclide): "Se in un triangolo di lati a, b e c vale la relazione a2 + b2 = c2, allora il triangolo è rettangolo".

Dimostrazione. Sia T un triangolo di lati a, b e c tale che a2 + b2 = c2. Consideriamo un secondo triangolo rettangolo T' che abbia i cateti pari ad a e b (è sempre possibile costruire un triangolo rettangolo dati i due cateti). Per il Teorema di Pitagora (diretto) l'ipotenusa del triangolo T' sarà pari a , ossia sarà uguale al lato c del triangolo T. I due triangoli T e T' risulteranno dunque congruenti per il terzo criterio di congruenza, avendo tutti e tre i lati ordinatamente uguali. Ma allora anche il triangolo T sarà rettangolo (CVD).

Applicazioni pratiche dell'enunciato inverso  [modifica]L'enunciato inverso fornisce anche un semplicissimo sistema per costruire un angolo retto (o per controllare la quadratura di un angolo già esistente) in situazioni pratiche, come la topografia o l'agrimensura.

A titolo di esempio, con una fune di lunghezza pari alla somma di una terna pitagorica (diciamo 12, somma di 5, 4 e 3, in una qualche unità di misura) sarebbe sufficiente disporre le due porzioni minori della corda (quelle di misura 4 e 3) ad un certo angolo fra loro; se gli estremi della fune, disposta infine in forma triangolare, si chiudono, si saprà che l'angolo compreso fra le due porzioni minori della corda (a questo punto i due cateti) è certamente retto.

Generalizzazioni  [modifica]Il teorema di Pitagora può essere generalizzato in vari modi. Solitamente, una generalizzazione è una relazione che si applica a tutti i triangoli, e che applicata ai triangoli rettangoli risulta essere equivalente al teorema di Pitagora.

Teorema del coseno  [modifica]
Un triangolo qualsiasi. Per approfondire, vedi la voce Teorema del coseno.

La generalizzazione più importante del teorema di Pitagora è forse il teorema del coseno, che si applica ad un triangolo qualsiasi (non necessariamente retto). In un triangolo con vertici e angoli indicati come in figura, vale l'uguaglianza:


Nel caso in cui γ sia retto, vale cosγ = 0 e quindi l'enunciato è equivalente al teorema di Pitagora. Il termine aggiuntivo può essere interpretato come il prodotto scalare dei vettori CA e CB.

Teorema dei seni  [modifica] Per approfondire, vedi la voce Teorema dei seni.


Il teorema dei seni mette in relazione lunghezze dei lati e angoli opposti.Il teorema dei seni mette in relazione le lunghezze dei lati di un triangolo e i seni degli angoli opposti. Anche questa relazione si applica a qualsiasi triangolo e, nel caso in cui questo sia rettangolo, può essere ritenuta equivalente al teorema di Pitagora (benché in modo meno immediato rispetto al teorema del coseno).

Il teorema dei seni asserisce che in un triangolo qualsiasi, con le notazioni come in figura, valgono le relazioni seguenti:


Elevando al quadrato:


Sommando i termini si ottiene:


Quando α è un angolo retto, si ottiene β = Ï€ / 2 âˆ' γ e quindi


Si ottiene quindi in questo caso il teorema di Pitagora


Generalizzazione che non fa uso di trigonometria  [modifica]
Generalizzazione del teorema di Pitagora.È possibile estendere il teorema di Pitagora ad un triangolo qualsiasi senza fare uso di funzioni trigonometriche quali il seno ed il coseno. Dato un triangolo ABC come in figura, si tracciano due segmenti che collegano il vertice A con due punti g e h contenuti nel segmento opposto BC (oppure in un suo prolungamento), in modo tale che gli angoli AgB e AhC siano entrambi uguali all'angolo α del vertice A. La figura mostra un caso in cui l'angolo α è ottuso: se è acuto, i due punti g e h sono in ordine inverso (il primo a destra e il secondo a sinistra) e possono uscire dal segmento BC.

Vale la relazione seguente:


Quando α è un angolo retto, i punti g e h coincidono e si ottiene il teorema di Pitagora


La relazione generale può essere dimostrata sfruttando la similitudine fra i triangoli ABC, gBA e hAC, che porta alle relazioni


Si ottiene quindi


Sommando le due eguaglianze si ottiene la relazione iniziale.

Leggenda di Pitagora e delle piastrelle  [modifica]
Rappresentazione grafica del teorema.Una leggenda racconta che Pitagora abbia formulato il suo teorema mentre stava aspettando un'udienza da Policrate. Seduto in un grande salone del palazzo di Samo, Pitagora si mise ad osservare le piastrelle quadrate del pavimento, si pensa che ne abbia vista una rotta perfettamente su di una diagonale, così da formare due triangoli rettangoli uguali, ma oltre ad essere 2 triangoli rettangoli erano anche isosceli, avendo i due lati uguali. Pitagora immaginò un quadrato costruito sulla diagonale di rottura della piastrella, un quadrato avente come lati le diagonali delle piastrelle circostanti.

La dimostrazione è la seguente:

l'area di ciascuna delle piastrelle adiacenti ai cateti era di: 2 mezze piastrelle (=1 piastrella);
la somma delle due aree era quindi di: 4 mezze piastrelle (=2 piastrelle);
l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa (diagonale della piastrella) era di: 4 mezze piastrelle.[
Rispondi

Da: pit26/09/2011 00:27:46
Quello che modernamente conosciamo come teorema di Pitagora viene solitamente attribuito al filosofo e matematico Pitagora. In realtà il suo enunciato (ma non la sua dimostrazione) era già noto[1] ai babilonesi, ed era conosciuto anche in Cina e forse in India. La dimostrazione del teorema è invece con ogni probabilità successiva a Pitagora.

Enunciato  [modifica]In un triangolo rettangolo, l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui due cateti.
Dato un triangolo rettangolo di lati a, b e c, ed indicando con c la sua ipotenusa e con a e b i suoi cateti, il teorema è espresso dall'equazione:


o, in alternativa, risolvendolo per c:


Da cui si ricavano i rispettivi cateti:





e


Se la terna a,b,c è costituita da numeri interi essa si chiama terna pitagorica.

Inversamente, ogni triangolo in cui i tre lati verificano questa proprietà è rettangolo: questo teorema, con la sua dimostrazione, appare negli Elementi immediatamente dopo il teorema di Pitagora stesso.

Dimostrazioni  [modifica]
Animazione di una dimostrazioneLa dimostrazione classica del teorema di Pitagora completa il primo libro degli Elementi di Euclide, e ne costituisce il filo conduttore. Dato che richiede il postulato delle parallele, esso non vale nelle geometrie non-euclidee e nella geometria neutrale. Nel testo di Euclide la dimostrazione del teorema è immediatamente preceduta dalla dimostrazione della costruibilità dei quadrati. L'esistenza stessa dei quadrati dipende infatti dal postulato delle parallele e viene meno nelle geometrie non euclidee. Questo aspetto del problema è in genere trascurato nella didattica contemporanea, che tende spesso ad assumere come ovvia l'esistenza dei quadrati.

La dimostrazione del teorema di Pitagora consiste nel riempire uno stesso quadrato di lato uguale alla somma dei cateti prima con quattro copie del triangolo rettangolo più il quadrato costruito sull'ipotenusa e poi con quattro copie del triangolo rettangolo più i quadrati costruiti sui cateti, come in figura.

Essendo il teorema uno dei più noti della storia della matematica, ne esistono moltissime dimostrazioni, in totale alcune centinaia, opera di matematici, astronomi, agenti di cambio, per esempio un presidente americano James A. Garfield e Leonardo da Vinci. Questo numero così alto accomuna il teorema di Pitagora a quello della reciprocità quadratica[senza fonte], per questo teorema sono state classificate dallo scienziato americano Elisha Scott Loomis 371 differenti dimostrazioni, che sono state pubblicate nel 1927 nel suo libro The Pythagorean Proposition.

Dimostrazione di Abu'l-Wafa  [modifica]
Dimostrazione di Abu'l-Wafa' i PerigalLa dimostrazione attribuita al matematico e astronomo persiano Abu'l-Wafa verso la fine del X secolo d.C.[2][3] e riscoperta dall'agente di cambio Henry Perigal (trovata nel 1835-1840[4], pubblicata nel 1872 e successivamente nel 1891[5]) si basa sulla scomposizione del quadrato costruito sul cateto maggiore, in giallo nell'immagine: tagliandolo infatti con due rette passanti per il suo centro, una perpendicolare ed una parallela all'ipotenusa, si può ricomporre in maniera da incorporare l'altro quadrato, e formando il quadrato sull'ipotenusa, come nella figura. Questo procedimento è legato al problema della trisezione del quadrato.

Dimostrazione di Airy  [modifica]
Dimostrazione di AiryEsiste anche una dimostrazione in forma poetica, dell'astronomo Sir George Airy, in inglese:

"I am, as you can see,
a² + b² - ab
When two triangles on me stand,
Square of hypothenuse is plann'd
But if I stand on them instead
The squares of both sides are read."
di cui una traduzione letterale è

"Come potete vedere, sono
a² + b² - ab
Quando ci sono due triangoli sopra di me
È rappresentato il quadrato dell'ipotenusa
Ma se invece sto io sopra di loro
Si leggono i quadrati dei due lati"
I versi si riferiscono alla parte bianca: i primi due triangoli sono quelli rossi, i secondi quelli blu.

Sia quella di Perigal che quest'ultima sono interessanti, in quanto sono puramente geometriche, ossia non richiedono alcuna definizione di operazioni aritmetiche, ma solo congruenze di aree e di segmenti.

Quadrati concentrici di Pomi  [modifica]
Dimostrazione con quadrati concentriciDimostrazione geometrica basata su due quadrati concentrici, di lati rispettivamente pari all'ipotenusa (c) e alla somma dei due cateti (a+b).

Come si vede dalla figura, tolti i 4 triangoli rettangoli (in giallo di area (a * b) / 2) al quadrato più grande, che corrisponde all'area (a + b)2, si ottiene il quadrato più piccolo, rappresentato in bianco, che equivale invece all'area c2.

Quindi (a + b)2 âˆ' 4 * (a * b) / 2 = c2
da sui risolvendo si ottiene : a2 + b2 = c2

Questa dimostrazione ha il vantaggio di avere una rappresentazione visiva semplice e diretta, che non richiede lo spostamento e sovrapposizione di forme come le altre dimostrazioni geometriche formulate.

Dimostrazione di Garfield  [modifica]
Dimostrazione di GarfieldUn'altra dimostrazione geometrica particolarmente significativa, in quanto nella costruzione non compare alcun quadrato, fu trovata nel 1876 da Garfield, che in seguito divenne il ventesimo Presidente degli Stati Uniti d'America. Allora nell'esercito, Garfield commentò il suo risultato: "Questo è qualcosa su cui i due rami del parlamento potranno essere d'accordo".

La dimostrazione è la seguente:

consideriamo una copia del triangolo rettangolo in questione, ruotata di 90 gradi in modo da allineare i due cateti differenti (nella figura a lato il rosso ed il blu). Si uniscono poi gli estremi delle ipotenuse, e si ottiene un trapezio. Uguagliando l'area del trapezio alla somma di quelle dei tre triangoli retti, si dimostra il teorema.
In formule, detto a il cateto rosso, b il blu e c l'ipotenusa, e ricordando la potenza del binomio


Una apparente dimostrazione con i numeri complessi  [modifica]Una (apparente) dimostrazione puramente algebrica fa uso dei numeri complessi e della formula di Eulero: siano a, b i cateti e c l'ipotenusa. Se i cateti sono allineati sugli assi, abbiamo

a + ib = ceiθ
Consideriamo ora il complesso coniugato di a + ib:

a âˆ' ib = ce âˆ' iθ
Moltiplicando tra loro otteniamo

a2 + b2 = c2
In realtà si tratta di una dimostrazione apparente, poiché il risultato è supposto implicitamente nell'uso dell'identità eiθe âˆ' iθ = 1 .

Se infatti si sostituisce all'esponenziale immaginario la sua definizione, l'identità si rivela essere: (cosθ + isenθ)(cosθ âˆ' isenθ) = 1, ossia cos2θ + sen2θ = 1

e l'ultima ben nota identità non è altro che una possibile formulazione dell'enunciato del teorema di Pitagora.

(Se invece l'esponenziale immaginario è definito attraverso la somma della sua serie di Taylor, allora il problema diviene quello di dimostrare la relazione a + ib = ceiθ, dove a, b e c sono le misure di cateti e ipotenusa di un triangolo rettangolo: problema la cui soluzione di nuovo non è più semplice di una delle dimostrazioni precedenti del teorema di Pitagora).

Con i teoremi di Euclide  [modifica]
Dimostrazione con EuclideUn'altra dimostrazione utilizza il primo teorema di Euclide. Si traccia l'altezza sull'ipotenusa, di lunghezza h. Questa spezza l'ipotenusa in due segmenti, di lunghezza p e q. Il teorema di Euclide fornisce le relazioni


da cui


e quindi


Con i teoremi dell'Incerchio  [modifica]Un'altra dimostrazione può essere ottenuta attraverso alcuni teoremi legati alla circonferenza inscritta ad un triangolo e tramite qualche semplice passaggio algebrico.



Lemma 1: Tenendo conto del teorema delle tangenti si può dedurre dalla figura precedente che la distanza tra un vertice ed il punto di tangenza di uno dei due lati di cui è estremo con l'incerchio è uguale alla differenza tra il semiperimetro ed il lato opposto a quel vertice. Infatti ogni lato è composto da due di questi tre segmenti, inoltre questi segmenti sono uguali a due a due (quelli adiacenti, sempre per il teorema delle tangenti) e la somma di tutti e sei è uguale al perimetro; perciò la somma di tutti e tre i segmenti di lunghezza distinta è uguale al semiperimetro ed ognuno di questi è quindi il semiperimetro meno la somma degli altri due, quindi il lato opposto al vertice a cui appartiene.

Lemma 2: Nel caso particolare di un triangolo rettangolo il raggio della circonferenza inscritta è uguale al segmento che va dal vertice dell'angolo retto al punto di tangenza con l'incerchio. Ciò perché, considerando il quadrilatero avente come vertici il vertice dell'angolo retto, i punti di tangenza sui cateti e l'incentro, si vedrebbe che ha tre angoli retti(quindi anche il quarto) e cioè che è un rettangolo; ma anche che ha due lati consecutivi congruenti(ancora una volta per il teorema delle tangenti), perciò è un rettangolo con le dimensioni congruenti, ovvero un quadrato e quindi per definizione ogni suo lato è congruente a tutti gli altri. Questo implica il lemma che volevamo dimostrare.

Lemma 3: Sia p il semiperimetro, Ri il raggio della circonferenza inscritta e A l'area del triangolo in questione(non necessariamente rettangolo, ma tale nella parte seguente della nostra dimostrazione); si ha la formula: A = Rip. Questo si può verificare considerando i tre triangoli aventi come altezza Ri e come base ed esso relativa uno dei tre lati e constatando che A è uguale alla somma delle aree di quei tre triangoli; quindi, chiamando a, b e c i tre lati: A = Ria / 2 + Rib / 2 + Ric / 2 = Ri(a + b + c) / 2 = Rip.

Dimostrazione algebrica: Siano a e b i cateti e c l'ipotenusa del nostro triangolo rettangolo. in base a quanto detto fin ora abbiamo: ab / 2 = (p âˆ' c)p

ab / 2 = ((a + b + c) / 2)((a + b âˆ' c) / 2) a questo punto, usando il prodotto notevole "somma per diferenza" otteniamo:

ab / 2 = ((a + b)2 âˆ' c2) / 4 adesso, tramite "quadrato di un binomio" otteniamo:

ab / 2 = (a2 + b2 + 2ab âˆ' c2) / 4 semplificando i denominatori:

ab = (a2 + b2 + 2ab âˆ' c2) / 2 segue:

ab = a2 / 2 + b2 / 2 + ab âˆ' c2 / 2

0 = a2 / 2 + b2 / 2 âˆ' c2 / 2

c2 / 2 = a2 / 2 + b2 / 2 e da qui, come ultimo passaggio:

c2 = a2 + b2 che corrisponde appunto all'enunciato del teorema di pitagora.

Inverso  [modifica]Vale anche l'inverso del Teorema di Pitagora (proposizione 48 del primo libro degli Elementi di Euclide): "Se in un triangolo di lati a, b e c vale la relazione a2 + b2 = c2, allora il triangolo è rettangolo".

Dimostrazione. Sia T un triangolo di lati a, b e c tale che a2 + b2 = c2. Consideriamo un secondo triangolo rettangolo T' che abbia i cateti pari ad a e b (è sempre possibile costruire un triangolo rettangolo dati i due cateti). Per il Teorema di Pitagora (diretto) l'ipotenusa del triangolo T' sarà pari a , ossia sarà uguale al lato c del triangolo T. I due triangoli T e T' risulteranno dunque congruenti per il terzo criterio di congruenza, avendo tutti e tre i lati ordinatamente uguali. Ma allora anche il triangolo T sarà rettangolo (CVD).

Applicazioni pratiche dell'enunciato inverso  [modifica]L'enunciato inverso fornisce anche un semplicissimo sistema per costruire un angolo retto (o per controllare la quadratura di un angolo già esistente) in situazioni pratiche, come la topografia o l'agrimensura.

A titolo di esempio, con una fune di lunghezza pari alla somma di una terna pitagorica (diciamo 12, somma di 5, 4 e 3, in una qualche unità di misura) sarebbe sufficiente disporre le due porzioni minori della corda (quelle di misura 4 e 3) ad un certo angolo fra loro; se gli estremi della fune, disposta infine in forma triangolare, si chiudono, si saprà che l'angolo compreso fra le due porzioni minori della corda (a questo punto i due cateti) è certamente retto.

Generalizzazioni  [modifica]Il teorema di Pitagora può essere generalizzato in vari modi. Solitamente, una generalizzazione è una relazione che si applica a tutti i triangoli, e che applicata ai triangoli rettangoli risulta essere equivalente al teorema di Pitagora.

Teorema del coseno  [modifica]
Un triangolo qualsiasi. Per approfondire, vedi la voce Teorema del coseno.

La generalizzazione più importante del teorema di Pitagora è forse il teorema del coseno, che si applica ad un triangolo qualsiasi (non necessariamente retto). In un triangolo con vertici e angoli indicati come in figura, vale l'uguaglianza:


Nel caso in cui γ sia retto, vale cosγ = 0 e quindi l'enunciato è equivalente al teorema di Pitagora. Il termine aggiuntivo può essere interpretato come il prodotto scalare dei vettori CA e CB.

Teorema dei seni  [modifica] Per approfondire, vedi la voce Teorema dei seni.


Il teorema dei seni mette in relazione lunghezze dei lati e angoli opposti.Il teorema dei seni mette in relazione le lunghezze dei lati di un triangolo e i seni degli angoli opposti. Anche questa relazione si applica a qualsiasi triangolo e, nel caso in cui questo sia rettangolo, può essere ritenuta equivalente al teorema di Pitagora (benché in modo meno immediato rispetto al teorema del coseno).

Il teorema dei seni asserisce che in un triangolo qualsiasi, con le notazioni come in figura, valgono le relazioni seguenti:


Elevando al quadrato:


Sommando i termini si ottiene:


Quando α è un angolo retto, si ottiene β = Ï€ / 2 âˆ' γ e quindi


Si ottiene quindi in questo caso il teorema di Pitagora


Generalizzazione che non fa uso di trigonometria  [modifica]
Generalizzazione del teorema di Pitagora.È possibile estendere il teorema di Pitagora ad un triangolo qualsiasi senza fare uso di funzioni trigonometriche quali il seno ed il coseno. Dato un triangolo ABC come in figura, si tracciano due segmenti che collegano il vertice A con due punti g e h contenuti nel segmento opposto BC (oppure in un suo prolungamento), in modo tale che gli angoli AgB e AhC siano entrambi uguali all'angolo α del vertice A. La figura mostra un caso in cui l'angolo α è ottuso: se è acuto, i due punti g e h sono in ordine inverso (il primo a destra e il secondo a sinistra) e possono uscire dal segmento BC.

Vale la relazione seguente:


Quando α è un angolo retto, i punti g e h coincidono e si ottiene il teorema di Pitagora


La relazione generale può essere dimostrata sfruttando la similitudine fra i triangoli ABC, gBA e hAC, che porta alle relazioni


Si ottiene quindi


Sommando le due eguaglianze si ottiene la relazione iniziale.

Leggenda di Pitagora e delle piastrelle  [modifica]
Rappresentazione grafica del teorema.Una leggenda racconta che Pitagora abbia formulato il suo teorema mentre stava aspettando un'udienza da Policrate. Seduto in un grande salone del palazzo di Samo, Pitagora si mise ad osservare le piastrelle quadrate del pavimento, si pensa che ne abbia vista una rotta perfettamente su di una diagonale, così da formare due triangoli rettangoli uguali, ma oltre ad essere 2 triangoli rettangoli erano anche isosceli, avendo i due lati uguali. Pitagora immaginò un quadrato costruito sulla diagonale di rottura della piastrella, un quadrato avente come lati le diagonali delle piastrelle circostanti.

La dimostrazione è la seguente:

l'area di ciascuna delle piastrelle adiacenti ai cateti era di: 2 mezze piastrelle (=1 piastrella);
la somma delle due aree era quindi di: 4 mezze piastrelle (=2 piastrelle);
l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa (diagonale della piastrella) era di: 4 mezze piastrelle.[
Rispondi

Da: dp26/09/2011 00:29:48
Applicazioni pratiche dell'enunciato inverso  [modifica]L'enunciato inverso fornisce anche un semplicissimo sistema per costruire un angolo retto (o per controllare la quadratura di un angolo già esistente) in situazioni pratiche, come la topografia o l'agrimensura.

Rispondi

Da: luca 322226/09/2011 00:31:25
LucaN o diablor1,nella pagina precedente si scriveva che una volta esaurita la riserva del 45% ,questa percentuale andava alla graduatoria di merito..Ma questo 45% non doveva andare ai civili?
Rispondi

Da: luca 322226/09/2011 00:34:01
Ti dirò, escludo categoricamente che sia stato un membro della commissione :)
Piuttosto, dando per acquisito che le correzioni siano ormai ultimate, potrebbe essere stato un "ben informato"...ritengo che ce ne siano, di ben informati :)
Poi, sai, come scrivevo sopra, i numeri, quei numeri sembrano parecchio "precisi"...è sufficiente pensare alla data (28/09/2011)..il giorno dopo la conclusione degli orali per gli interni.
Comunque, a prescindere da tutto, ripeto, sec me, conosceremo entro settembre  
Rispondi

Da: luca 322226/09/2011 00:35:18
secondo me il livello è basso in entrambi i temi tenendo conto che POCHI erano ben preparati sulle misure di prevenzione, NESSUNO o quasi era ben preparato sulla misura di prevenzione della confisca (sapere cos'è è un po' diverso da avere gli elementi per farci un tema), e NESSUNO era preparato sul diritto d'asilo...
secondo me verranno premiati la capacità di ragionamento e di argomentazione, certamente la valutazione non si baserà sul nozionismo visto che poche persone potevano vantarlo per questi due temi...
Rispondi

Da: meteo 201126/09/2011 00:40:01
Temporali al sud e Sicilia, altrove sole e mite. Poi tutto Sole fino al Weekend
Lunedì-Martedì temporali al sud e Sicilia, anche forti su Sicilia orientale e Calabria Ionica, locali al centro e basso Lazio e cagliaritano. Mercoledì ultime piogge sulla Sicilia, altrove sole e mite. Poi tempo migliore, più sole e mite fino al Weekend. NEW: Guarda i VIDEO
Rispondi

Pagina: 1, 2, 3, 4, 5, 6, ..., 291, 292, 293, 294, 295, 296, 297, 298, 299, 300, 301, ..., 313, 314, 315, 316, 317, 318 - Successiva >>


Aggiungi la tua risposta alla discussione!

Il tuo nome

Testo della risposta

Aggiungi risposta
 
Avvisami per e-mail quando qualcuno scrive altri messaggi
  (funzionalità disponibile solo per gli utenti registrati)