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Concorso MAGISTRATURA 2016
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Da: Ehm ![]() | 08/02/2017 21:27:53 |
| Io ragiono come info 2017 con la particolarita' che ho aggiunto anche l orientamento minoritario citato da montovani. | |
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Da: Ehm ![]() | 08/02/2017 21:33:21 |
| Il 116 si applica a reato diverso gia' nel titolo con dolo dell'esecutore, tanto è che spesso ne è posta l' affinita' con l'83. Poi che possa non essere condiviso da da tutta la giurisprudenza è plausibile ma non la rende la soluzione. | |
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| Da: blocco universale saturnino vincitore statuisce | 08/02/2017 22:20:40 |
| sai quante risate a leggere i temi di penale, | |
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| Da: IL VERAMENTORE | 08/02/2017 22:21:10 |
| Non cercate di trovare la soluzione. E' impossibile. Cercate invece di fare l'unica cosa saggia: giungere alla verità. E cioè che la soluzione non esiste. Allora vi accorgerete che non è la soluzione a piegarsi alle vostre speranze, ma voi stessi. | |
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| Da: Riflessione81 | 08/02/2017 22:31:12 |
| http://www.corsomagistratura.it/analisi-tracce%20concorso-350-posti.pdf Ecco un'analisi delle tracce . | |
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Da: Per soluzione penale ![]() | 08/02/2017 22:59:53 |
| Vorrei ricordare che tempo fa qualcuno scrisse su questo forum una soluzione identica a quella di cui ora si discute e la maggior parte di voi l'hanno deriso e criticato. Mai giudicare quando non si è nelle condizioni per farlo. Nessuno di noi lo è perché nessuno di noi è in commissione, a meno che, quí, non vi sia qualche commissario sotto mentite spoglie, ma dubito in quanto avrebbe ben altro da fare. | |
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Da: faccio notare che ![]() | 08/02/2017 23:25:12 |
| delle dinamiche delle correzioni non capite un tubo, visto che ancora parlate di "soluzioni"..... | |
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Da: Per soluzione penale ![]() | 08/02/2017 23:27:36 |
| E allora spiegaci tu qualcosa dati che qui siamo ignoranti. | |
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Da: @statoansioso ![]() | 08/02/2017 23:39:47 |
| Hai notato chi è il relatore della sentenza da te citata? | |
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Da: Loldeep ![]() | 09/02/2017 00:11:48 |
| Potete riportare la parte ineressata della sentenza citata? Io nn riesco a trovarla. | |
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| Da: Secchionaggine wins | 09/02/2017 00:48:52 |
| Dovete aver studiato talmente tanto da far dire ai commissari:"Oh Cristo, ma questo quanto ha studiato, no, no, è d'obbligo, facciamolo passare!". Di quanti di voi si può dire lo stesso? Quanti di voi hanno passato gli anni universitari facendo le notti brave? | |
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Da: La vita una giungla ![]() | 09/02/2017 08:57:39 |
| @@stato ansioso Fammi indovinare... il relatore è un commissario? | |
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| Da: AdMaiora16 | 09/02/2017 10:31:54 |
| @ Per soluzione penale. chiariamo che qui nessuno deride, almeno parlo per me. Da sempre sono una possibilista e se scorri le pagine a ritroso te ne renderai conto. Una fautrice del ragionamento. E non mi dispiace affatto la tesi del reato colposo, che io non ho inserito nel tema, ma che mi piace, come ho già ammesso. Ma consentimi che se mi si dice che si possiede la verità assoluta sullo svolgimento corretto per la Commissione, oltretutto escludente gli altri (svolgimenti) a detta del suddetto possessore (no a detta mia!), esprimo le mie perplessità ove la suddetta soluzione presenti errori di diritto. @ehm "perchè sono abituata ad ascoltare altre soluzioni" poi però "...ma non la rende la soluzione" quando scrivi che non la rende la soluzione, stai facendo una contestazione, una critica, come hanno fatto altri prima di te.. che oltretutto non ti compete. Alcune non sono critiche a soluzioni che purchè ragionate, sono tutte condivisibili.. La critica è ai detentori delle verità assolute escludenti le altre.. | |
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| Da: Ah quindi | 09/02/2017 10:52:46 |
| siamo passati dalla traccia modellata sulla monografia del commissario a quella modellata sulla sentenza del commissario...... Se correggono così ci vuole il mago silvan per il tema...... Spero venga premiato il ragionamento in quanto a mio giudizio tutte le soluzioni prospettate se argomentate possono essere valide...... | |
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Da: Loldeep ![]() | 09/02/2017 10:58:07 |
| Scusate mi ma quale sarebbe sta sentenza del commissario? Non capisco..anche perché su internet non trovo nulla citando quei numeri. Mi potete spiegare per favore? | |
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Da: Loldeep ![]() | 09/02/2017 11:07:07 |
| Io trovo solo sentenze che applicano il 116 in caso di titolo di reato diverso. | |
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| Da: _Idealista_ | 09/02/2017 11:09:53 |
| Estremi:Cassazione penale, sez. I, 13/11/2015, (ud. 13/11/2015, dep.07/04/2016), n. 13973 Intestazione LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VECCHIO Massimo - Presidente - Dott. NOVIK Adet Toni - Consigliere - Dott. TARDIO Angela - Consigliere - Dott. CASA Filippo - rel. Consigliere - Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio - Consigliere - ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: S.G., N. IL (OMISSIS); L.G., N. IL (OMISSIS); D.R.C., N. IL (OMISSIS); R.F., N. IL (OMISSIS); P.L.J., N. IL (OMISSIS); SP.OR., N. IL (OMISSIS); avverso la sentenza n. 77/2013 CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI, del 26/06/2014; visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi proposti da L., D.R. e Sp. e per il rigetto dei ricorsi proposti da R., S. e P.. uditi, per le parti civili, Avv.ti Sica Maurizio (per i familiari della vittima) e Agati Ottorino (per la Federazione delle Associazioni antiracket ed antiusura italiane) che si sono riportati alle conclusioni scritte. Uditi i difensori avv.ti Krogh Massimo (per R.), Stravillo Ettore e Coppola Emanuele (entrambi per P.), che hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. Fatto RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22.2.2013, la Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere dichiarava S.G., C.A., L. G., D.R.C., R.F. e S. O. colpevoli del reato di omicidio volontario pluriaggravato in danno di G.R. (esclusi i riferimenti all'art. 112 c.p., n. 4 e art. 576 c.p., n. 1, per mero errore materiale riportati nel capo di accusa), nonchè delle connesse violazioni in materia di armi ritenute in continuazione con il reato più grave, condannando: - il S., il C., il L. e il D.R. alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per un anno e sei mesi; - il R., previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti del numero delle persone e della premeditazione, alla pena di ventotto anni di reclusione; - lo SP. alla pena di dodici anni e sei mesi di reclusione, previa concessione dell'attenuante ex L. n. 203 del 1991, art. 8 prevalente sulle aggravanti applicabili. Dichiarava, inoltre, P.L.J. colpevole del reato di cui all'art. 418 c.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7, così riqualificata l'originaria imputazione di concorso in omicidio, condannandolo alla pena di cinque anni di reclusione. Seguivano le pene accessorie di legge e le statuizioni in favore delle costituite parti civili (prossimi congiunti della vittima, Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiane). 1.1. Secondo la ricostruzione operata dalla Corte sammaritana in base alle dichiarazioni, ritenute intrinsecamente attendibili, rese dai collaboratori di giustizia SP.Or., A.M. e GA.Gi., l'omicidio di G.R., titolare del lido (OMISSIS), venne eseguito (OMISSIS) su ordine del S., capo della fazione bidognettiana del clan del casalesi, con la collaborazione e costante condivisione di tutte le decisioni da parte del suo luogotenente C.A.. Tale decisione conseguì ad un rifiuto opposto da G.M., figlio di R., ad una richiesta estorsiva fatta per conto del gruppo da GA.Gi.; venne ucciso il padre poichè fu quest'ultimo ad essere trovato presso lo stabilimento gestito dal figlio e colpirlo venne ritenuto equivalente, anche perchè lo stesso R. in passato aveva denunziato altro tentativo di estorsione. Furono incaricati dell'esecuzione lo SP. e il L., mentre al GA., all' A. e al D.R. vennero affidati i compiti di individuazione della vittima e di controllo dell'eventuale presenza di Forze dell'ordine; la base di partenza dell'operazione delittuosa venne individuata nel campeggio gestito dal P., confinante con il lido dei G., e la disponibilità di detta base venne assicurata dal R., cognato della sorella del P., che si interessò presso costui per ottenere libero accesso al campeggio da parte del commando. Il giorno convenuto, i cinque imputati prima menzionati, dopo essere transitati per la masseria del R., raggiunsero, guidati da quest'ultimo, il campeggio del P., dal quale GA. e A. si mossero più volte per il lido "La Fiorente", informando, alla fine, L. e SP. della presenza in loco del padre della vittima designata. Quindi, mentre il D. R. restava di vedetta, i due killer si recarono in moto presso il suddetto lido, dove il L., sceso dal veicolo, esplose più di dieci colpi di pistola all'indirizzo del G.R., provocandone la morte. 1.1.1. Secondo le valutazioni della prima Corte, doveva ritenersi provato il ruolo di mandanti di S. e C., nonchè quello di indispensabili concorrenti di L., SP. e D. R.. Anche il R., seppure in una posizione più defilata, doveva ritenersi pienamente consapevole del progetto omicidiario, aveva visto i killer armati, faceva pienamente parte dell'organizzazione criminale ed espletò prontamente il compito affidatogli, accompagnando dal P. gli incaricati dell'omicidio per assicurarsi che potessero sfruttarne la posizione. Quanto al P., il primo Giudice riteneva non vi fosse piena prova della conoscenza da parte sua dell'intento di coloro cui aveva dato, su richiesta del R., ospitalità per un paio d'ore; benchè sapesse di chi si trattava e della loro collocazione criminale, non risultava con certezza che egli avesse assistito a colloqui all'interno del bungalow, mentre SP. aveva negato espressamente che il correo fosse stato informato del progetto di omicidio sia dal R. che da coloro che si erano recati al campeggio. Tuttavia, la sua condotta era stata considerata tale da integrare il reato di assistenza agli associati, aggravato dalla finalità di favorire il gruppo camorristico. 2. Veniva proposto appello sia dal Procuratore distrettuale antimafia di Napoli (in relazione alla posizione del P.) che dagli imputati. Nel corso del giudizio L.G. rendeva a più riprese dichiarazioni spontanee, in cui, ribadita l'ammissione degli addebiti fatta nella parte finale del dibattimento di primo grado, scagionava dal reato i coimputati P. e R., a suo dire inconsapevoli del progettato omicidio del G.. Anche il D.R. rendeva spontanee dichiarazioni, ammettendo le proprie responsabilità. Interveniva, infine, con la stessa modalità, S.G., sostanzialmente ammettendo di aver conferito mandato a uccidere G.M. e al contempo rivendicando la propria estraneità alla decisione di assassinare il padre R.. All'esito del giudizio, la Corte territoriale, in parziale riforma della prima decisione: - dichiarava P.L.J. responsabile del reato a lui originariamente ascritto e lo condannava, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle attenuanti comuni, alla pena di diciotto anni e sei mesi di reclusione; - rideterminava la pena inflitta al S. e al L. in quella dell'ergastolo, escluso l'isolamento diurno; - rideterminava la pena inflitta al D.R. in quella di ventinove anni di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle ritenute aggravanti comuni; - dichiarava non doversi procedere nei confronti di SP. O. in ordine al reato continuato in materia di armi a lui ascritto perchè già giudicato e rideterminava la pena a lui inflitta in dodici anni di reclusione; - assolveva C.A. dai reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto. La Corte napoletana sostituiva, inoltre, nei confronti del D. R. la pena accessoria della interdizione legale in perpetuo con quella dell'interdizione legale durante la pena. Revocava nei confronti del medesimo le altre pene accessorie applicate. Infine, disponeva che, a pena espiata, D.R., P. e R. fossero sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di tre anni. Nel resto, la sentenza impugnata veniva confermata, con la condanna degli imputati S., L., D.R., SP., R. e P. alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio dalle parti civili costituite, e del P. anche al risarcimento dei danni a beneficio delle medesime parti civili. 2.1. Partendo dalla posizione del S., la seconda Corte osservava che la decisione punitiva del mandante era riferita all'intera famiglia G., che nel suo complesso gestiva l'attività economica suscettibile di subire l'imposizione della tangente e che si rifiutava - con l'atteggiamento di più di un componente - perfino di avere contatti, scacciando in modo netto ed immediato chi si recava da loro a nome degli "amici". Pertanto, la decisione assunta dal L. di mutare vittima, lungi dall'essere un imprevedibile scostamento dalle istruzioni impartite, rientrava pienamente nell'attuazione del programma dettato dal S., tanto che la sua mancata adozione sarebbe stata da costui considerata una colpevole inadempienza. 2.2. La Corte territoriale confutava, poi, l'obiezione mossa dalla difesa del R. circa la consapevolezza da parte di costui dell'intento di L. e sodali. Secondo i Giudici dell'appello non era credibile che il R., soggetto addentro alle logiche malavitose e affiliato al clan, ricevendo alle sette di mattina la visita di cinque affiliati, tra i quali due killer armati e latitanti, suggerisse - o accettasse il suggerimento - di avvalersi del campeggio gestito dal cognato, senza essere messo al corrente dello scopo al quale sarebbe servito. Non poteva trattarsi di semplice ospitalità o rifugio per i latitanti, data la presenza degli altri tre soggetti ( GA., A. e D.R.); il dispiegamento di mezzi e la disponibilità di armi rendevano evidente il progetto di un'azione cruenta; la collocazione dell'obiettivo doveva necessariamente essere stata rivelata al R., altrimenti non avrebbe avuto senso l'individuazione della struttura del P.. Inoltre, non era affatto plausibile - secondo la Corte di merito - che il R. avesse coinvolto il cognato senza che ve ne fosse una pressante necessità, scaturente proprio dalle ragioni dell'ausilio richiestogli. Se quanto comunicatogli da L., quale referente di S. e coordinatore del gruppo da lui giunto in quell'orario ed atteggiamento, non fosse stato di particolare premura ed importanza, R. avrebbe cercato di soddisfare la richiesta con proprie risorse; la scelta di rivolgersi con urgenza al cognato, ottenerne l'assenso ed accompagnare al campeggio quella compagine così schierata, chiaramente incaricata di incombenza importante ed indifferibile da realizzare con uso di armi, denotava piena consapevolezza della rilevanza che l'espletamento rapido ed efficace di tale incombenza aveva per il gruppo criminale. In altri termini, R. si era rivolto al P. perchè non poteva farne a meno in quanto era l'unico modo per riuscire a fare ciò che gli veniva chiesto (assicurare una base logistica per l'omicidio G.); la questione era nello stesso tempo grave, importante ed urgente; non vi era spazio per alcuna remora. Precisava la Corte di Assise di Appello che non erano, dunque, le mere asserzioni di SP. ad accusare R.. Le affermazione degli altri collaboratori - benchè non inerenti al contenuto di quanto portato a sua conoscenza - non si ponevano in contrasto con esse. Comunque, confermavano le linee essenziali dell'incontro con R. a casa sua e della condotta da lui posta in essere immediatamente dopo, fino ad assicurarsi che il gruppo avesse trovato, grazie a lui ed al cognato da lui interessato, una base particolarmente idonea per l'azione rivolta contro il lido "La Fiorente" ed il suo gestore. La prova logica confermava la piena compartecipazione all'intento omicidiario, non essendovi spiegazioni soddisfacenti del comportamento dell'imputato al di fuori della stringente necessità di agevolare il compimento di una risoluzione particolarmente grave; agevolazione cosciente e consapevole, non necessitata da minacce, ma derivante da ruoli e rapporti dell'imputato con i correi, il che escludeva l'ipotizzabilità della scriminante di cui all'art. 54 c.p.. Nè in questa ottica poteva attribuirsi rilievo determinante al mutamento di vittima, deciso dopo l'accompagnamento al campeggio e l'allontanamento del R.. Infatti, anche in questo caso, la finalità perseguita era quella di impartire una clamorosa e terribile lezione ad una impresa familiare, che, nel suo complesso, non si era piegata alle richieste estorsive. R., agevolando la spedizione criminale al lido "(OMISSIS)", aveva voluto che venisse colpito chi rappresentava quella struttura, accettando il rischio che, in luogo di G.M., vi fossero altri; tutto ciò in maniera premeditata e funzionale agli interessi del clan. 2.3. Discostandosi dalle conclusioni della Corte di primo grado, la Corte di Assise di Appello riteneva provato che P.L.J. avesse concorso nell'omicidio. Ad avviso della seconda Corte, non era determinante stabilire se il P. avesse accettato la richiesta del R. previa comunicazione di quanto le persone destinate a transitare per il campeggio avrebbero fatto. Certamente egli sapeva - per conoscenze pregresse e per il logico contenuto minimale delle informazioni ricevute dal cognato - che si trattava di appartenenti a gruppo camorristico; aveva anche immediatamente avuto percezione delle armi, tanto da preoccuparsi di spostare i soggetti in un luogo meno suscettibile di esposizione alla vista di clienti ed estranei. Era ugualmente certo che egli avesse notato A. e GA. andare e venire dal lido "(OMISSIS)", ritornando nel suo campeggio per informare L. e SP. dell'esito delle loro perlustrazioni. Ciò che, soprattutto, rilevava era la dichiarazione fatta da A. all'udienza del 28.3.2012 nel corso del dibattimento di primo grado secondo la quale, nel momento in cui il dichiarante riferì a L. che all'interno del lido si trovava il solo G.R. e L. decise di uccidere quest'ultimo, il P. era presente ed ascoltava. A giudizio della Corte partenopea, le dichiarazioni rese da SP. in altro procedimento (c. (OMISSIS) + 41, udienza del 27.10.2010) poste a base della più favorevole qualificazione giuridica adottata in primo grado, non si ponevano, di per sè, in contrasto con quelle dell' A., in quanto riferivano una impressione soggettiva circa il grado di comprensione del contenuto del dialogo prima menzionato tra L. e A. da parte del P., ma confermavano, in ogni caso, il fatto storico che, in presenza del P., si parlò dell'omicidio e del cambio di vittima. Il P., pur avendo visto che due persone erano armate, aveva fornito l'appoggio richiesto, accompagnando gli staffettisti dai killer, ascoltandone i discorsi e comprendendo certamente che il progetto di imminente attuazione era di forte impatto. Nulla aveva fatto per ridimensionare quell'appoggio, non si tirò indietro, non formulò alcuna protesta o recriminazione per sostenere che l'appoggio stesso non potesse spingersi fino alla copertura di un siffatto progetto. Nè valeva sostenere che, in tal caso, egli si sarebbe esposto alla reazione e alle vendette dei suoi ospiti, atteso che si era posto in tale condizione volontariamente, offrendo consapevolmente rifugio a latitanti armati e loro sodali impegnati in incombenza unitaria. Pertanto, ad avviso dei Giudici dell'appello, doveva ritenersi che il P. avesse aderito - almeno in un secondo momento, se non fin dalle informazioni inizialmente ricevute al proposito criminoso, persistendo nell'agevolare la rimozione di ostacoli logistici alla sua realizzazione con la protrazione di ospitalità e copertura sia agli staffettisti che ai killer. 2.4. In ordine alla posizione di SP.Or., la Corte di merito, accolto il rilievo difensivo sulla duplicazione della condanna per i reati in materia di armi e operata la relativa decurtazione di pena, negava la concessione delle attenuanti generiche, osservando che la scelta collaborativa non poteva comportare, di per sè, anche il riconoscimento di dette attenuanti, in quanto, nella concreta fattispecie, i motivi che avevano determinato il reato e le circostanze che lo avevano accompagnato si palesavano di gravità molto accentuata, caratterizzando la personalità dell'imputato in maniera tale da non poter considerare la condotta collaborativa rilevante a fini diversi da quelli ad essa propri. 2.5. Quanto alle posizioni del D.R. e il L., mentre la confessione del primo veniva valutata dalla Corte di Napoli idonea a giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alle contestate aggravanti, per quella del secondo, atteso il suo carattere strumentale alla tesi di una verità parziale, sostanziatasi nella negazione apodittica del ruolo di alcuni correi, andava esclusa siffatta idoneità, il che rendeva inevitabile la condanna all'ergastolo dell'imputato. 3. Ha proposto ricorso per cassazione S.G., per il tramite del difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla valutazione della responsabilità concorsuale dell'imputato nell'omicidio di G.R. (art. 125 c.p.p. e artt. 110, 116 e 575 c.p.). La decisione e l'iniziativa di uccidere persona diversa da quella originariamente indicata dal ricorrente fu presa dagli esecutori materiali in totale autonomia e senza alcun accordo con il predetto. La responsabilità del S. andava, quindi, valutata alla stregua delle ordinarie norme in tema di concorso di persone nel reato e, in particolare, secondo i criteri di cui all'art. 116 c.p.. Considerato che, sul preciso mandato a uccidere conferito dal ricorrente in danno di G.M. si era innestato, per la constatata assenza della vittima dal luogo della prevista esecuzione, un nuovo programma omicidiario ad opera dei correi L. e SP. in danno di G.R., non concordato, nè approvato dal S., questi non ne poteva rispondere nè ai sensi dell'art. 110 c.p., nè ai sensi dell'art. 116 c.p.. La responsabilità per concorso anomalo, invero, non discendeva da una semplice connessione causale, ma presupponeva un collegamento psichico con l'evento così da integrare la condizione di rimproverabilità coerente con l'art. 27 Cost. e con valutazione della prevedibilità dell'evento operata in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze della dinamica delittuosa. Nel caso di specie, il S. non poteva prevedere che gli esecutori materiali si sarebbero discostati dall'originario programma specificamente diretto all'uccisione di G.M., nè sapere che sul luogo del delitto sarebbe stato presente il padre della vittima designata e non quest'ultima. Nessuna circostanza era emersa dal processo per ritenere che l'imputato volesse, comunque, la morte di "qualcuno", posto che il progetto omicidiario prevedeva come unica vittima G.M.. Era, dunque, errato, sul piano logico-giuridico, il convincimento della Corte territoriale secondo il quale, a prescindere da ogni prevedibilità o volontà dell'evento, era ravvisabile nella condotta del S. efficienza causale determinante di quanto effettivamente avvenuto e per ciò solo doveva farsene discendere la sua responsabilità. Ancor più errata si rivelava la motivazione laddove la Corte napoletana formulava una propria ipotesi sulla volontà e sul mandato omicidiario riferibile indistintamente alla "famiglia G." che superava e stravolgeva i dati processuali obiettivamente emersi. 4. Ha proposto ricorso per cassazione SP.Or., per il tramite del difensore, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche (art. 125 c.p.p. e art. 62-bis c.p.). Nell'atto di appello la difesa aveva insistito nella richiesta di concessione delle attenuanti generiche, ponendo l'accento sugli elementi positivi valorizzati dalla stessa Corte di primo grado quali il "ravvedimento dimostrato, la maturità raggiunta e il corretto comportamento processuale". La motivazione della sentenza impugnata appariva incongrua e insoddisfacente, avendo omesso qualsivoglia specifico apprezzamento sui fattori attenuanti indicati nell'interesse dello SP.. Pur nella consapevolezza che il diniego delle attenuanti generiche poteva essere fondato anche su un solo elemento attinente alla personalità dell'imputato o alla gravità del reato ed alle modalità attuative dello stesso, doveva evidenziarsi che il Giudice, nell'esercizio del suo ampio potere discrezionale, non poteva prescindere in toto dalle specifiche considerazioni mosse nell'interesse dell'imputato. 5. D.RAFFAELE Carlo h.p.r.p.l. v.e.f.a.d.a.6.b.6.1.e.1. c.c.d.m. N.c.d.c.r.i.u.l.d.a. c.i.r.d.a.g.c.g.d. p.s.c.a.r.c.l.C.d. A.d.A.a.o.d.c. N.i.d.p.e.d.i.m.i.d.c.d. m.i.q.i.e.n.s.r.r.a. d.g.d.p. L.C.d.m.e.d.v.m.a.p.g. a.d.S.C.s.c.q.l.a. e.r.a.G.d.i.p.f. g.d.p.d.a.e.a.6.c.s. c.a.i.G.d.s.g.d.e. m.e.q.l.r.d.o.l. r.v.a.o.m.o.l.r.v. d.s.c.n.p.m.l.r.s.s. s.s.p.i.c. 6.H.p.r.p.c.LETIZIA Giovanni ,.p.i. t.d.d.c.v.d.l.e.v.d. m.i.r.a.d.d.r.d. c.a.g.e.c.r.a.m. i.d.c.u.p.l.d.i.c. d.p. L.s.C.d.A.d.A.a.d.a.i.m. d.u.s.d.c.c.s.v.c.a. d.p.i.C.a.o.u.p.p.i.m. a.r.d.a.g. I.s.i.s.e.d.a.d.c.d.LETIZIA . e.n.s.p.e.s.u.c.p. i.c.d.p.a.t.l.u.e. d.f.d.n.d.s. A.r.c.i.r.a.r.c.l. p.i.f.d.a.i.(.DI RAFFAELE ).e. s.v.".e.c.t.d.r. i.c.d.e.d.a.p.a. T.l.C.a.d.l.c.d. LE. "condizionato da preoccupazioni che esula(va)no dal riconoscimento della propria responsabilità", differenziando in modo incomprensibile rispetto al coimputato dette dichiarazioni confessorie affermando che il ricorrente si "(era) limita(to) ad ammettere la propria generica colpevolezza". Dunque, la Corte di Assise di Appello, non tenendo in debita considerazione le circostanze sinora rappresentate, aveva "dimostrato di seguire logiche improntate ad un eccessivo giustizialismo e alla strumentalizzazione dell'individuo" pervenendo all'irrogazione di una sanzione secondo una misura non giustificata sul piano giuridico a detrimento della funzione risocializzante della pena che la Costituzione prevede ed impone. 7. Ha proposto ricorso per cassazione R.F. per il tramite del difensore. 7.1. Con il primo motivo, si deducono difetto di motivazione e violazione di legge con riferimento alla valutazione di attendibilità dello SP. (artt. 546 e 192 c.p.p. e art. 575 c.p.). La Corte di Assise di Appello non aveva rivalutato gli argomenti addotti a sostegno della condanna in raffronto con le doglianze esposte nei motivi di appello, ma si era limitata a ripiegare sulla motivazione del primo Giudice, dando per scontata l'attendibilità dell'unico vero "pentito" accusatore, SP.Or.. La diffusa rassegna giurisprudenziale operata dalla Corte non poteva valere, in concreto, a dare per scontata l'attendibilità intrinseca ed estrinseca del propalante. Sul tema, la valutazione dei Giudici di primo grado, poi acriticamente recepita da quelli dell'appello, appariva piuttosto superficiale perchè basata in modo autoreferenziale sulla dichiarazione dello stesso collaborante, che aveva affermato di non voler rompere i legami affettivi con la propria famiglia; mentre, quanto ai delitti di cui si era assunta la diretta paternità, si trattava di affermazione di non particolare rilievo, essendo notorio che lo SP. fosse affiliato al clan dei casalesi, fazione B.. Inoltre, la Corte territoriale aveva trascurato come dichiarazioni di altri collaboranti contrastassero con quelle dello SP. così da potersi desumere, quanto meno in termini di ragionevole dubbio, che il R. non fosse stato informato del progetto omicidiario relativo alla persona del G.. D'altra parte, quest'ultimo venne ucciso al posto di un altro soggetto per una estemporanea risoluzione dell'ultim'ora, che sicuramente non poteva rientrare nelle conoscenze e nella volontà del ricorrente. I Giudici dell'appello avevano ignorato le contraddizioni emerse dal narrato dei collaboranti e, soprattutto, il contenuto delle dichiarazioni rese dal coimputato L., il quale, ammessa la propria responsabilità, aveva escluso quella del R. e del P., affermando che costoro non erano stati informati sulle ragioni finali del loro coinvolgimento nella vicenda. Infine, nella specie, mancavano del tutto i riscontri individualizzanti. 7.2. Con il secondo motivo, si denunciano difetto di motivazione e violazione di legge ancora in riferimento all'attendibilità dello SP. ed ai riscontri individualizzanti (artt. 546 e 192 c.p.p. e art. 575 c.p.). Oltre a non dare atto delle contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni dello SP. e quelle degli altri collaboranti ( F., C., T., B.M. e D.), la Corte era incorsa in carenza di motivazione sul contributo causale fornito dal R. nella commissione del delitto. Secondo la sentenza, l'appoggio si sarebbe concretizzato nella riunione asseritamente svoltasi presso l'abitazione del R. ed alla quale avrebbero partecipato gli esecutori dell'assassinio L. e SP.. Quest'ultimo, tuttavia, nonostante le specifiche domande postegli, non aveva spiegato le circostanze e le modalità che sarebbero state chiarite al R. per chiederne l'appoggio. Lo SP., dunque, assevera, non spiega, ed è esplicitamente smentito dal L. e implicitamente da tutti gli altri dichiaranti. Il Giudice d'appello, ignorando tutte le censure dedotte sul punto con i motivi di gravame, aveva dato per assodato che l'azione delittuosa fosse stata concretizzata dal gruppo dapprima raggiungendo la masseria del R. e, quindi, con la sua mediazione, il campeggio del P., base operativa perchè prossima allo stabilimento balneare dove avvenne l'omicidio. Su tale ultima circostanza, oltre tutto, la Corte si era espressa in forma dubitativa, affermando che il R. o il L. avrebbero avuto l'idea di appoggiarsi al campeggio del P., dubbio, che, poi, il L. aveva sciolto scagionando il correo. I Giudici, disattendendo tutto ciò, avevano dato per scontato che il R. sapesse e che avrebbe partecipato fornendo l'appoggio presso il campeggio, senza valorizzare alcun elemento di riscontro individualizzante e articolando una serie di congetture, come, ad esempio, quella di ritenere non plausibile che il ricorrente avesse coinvolto il cognato senza che vi fosse una pressante necessità derivante dalle ragioni dell'ausilio richiestogli. 7.3. Con il terzo motivo, ci si duole di difetto di motivazione e violazione di legge in punto di uccisione di persona diversa da quella designata (artt. 546 e 192 c.p.p. e art. 575 c.p.). Secondo i Giudici di merito non poteva attribuirsi rilievo al mutamento della vittima, deciso senza la presenza e la diretta consapevolezza del R., in quanto la finalità perseguita con l'omicidio era quella di impartire una clamorosa lezione ad una impresa familiare che non sottostava alle richieste del pizzo, nel senso che l'obiettivo non era tanto la persona da uccidere quanto l'intera gestione del lido nella sua collettività. Tale argomentazione si sostanziava in una non condivisibile forzatura. Se era stata uccisa una persona diversa da quella asseritamente concordata con il R., mentre quest'ultima non veniva eliminata, è evidente che il contributo causale, ma, soprattutto, l'elemento soggettivo del reato non potesse essere addebitato a chi non sapeva nè aveva mostrato di volere che quella persona specifica fosse assassinata. Di certo, nella specie non poteva farsi riferimento ad una ipotesi di aberratio di cui all'art. 82 c.p., non essendo riconducibile l'omicidio commesso ad un errore nei mezzi di esecuzione, ma ad una scelta consapevole da parte dell'esecutore materiale del reato. Richiamato il dibattito giurisprudenziale sull'esigenza di ancorare lo statuto della causalità a parametri più rigorosi (viene citata la sentenza delle S.U. 10.7.2002, Franzese), il difensore del ricorrente stigmatizza che si sia irrogata una pena di ventotto anni di reclusione sostanzialmente eludendo il problema del nesso causale. Del pari trascurato il tema del concorso di persone nel reato nei termini più volte fissati dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui, pur nell'elasticità della formulazione normativa dell'istituto, doveva considerarsi indispensabile che la condotta di ogni concorrente fosse individuata e dimostrata, ovvero che fossero ben definiti i comportamenti fattuali di ciascuno in relazione soggettiva ed oggettiva con gli altri, rispetto al risultato. Il capo d'imputazione, così com'era costruito, non corrispondeva a queste regole e non era proponibile sul piano di un accordo finalistico comune, vista la diversità della persona uccisa. 7.4. Con il quarto motivo, il difensore del ricorrente insiste per la rinnovazione dibattimentale ex art. 603 c.p.p. e, comunque, per l'esercizio dei poteri decisori della Corte circa l'opportunità di ascoltare il R., il P. e tutti gli altri dichiaranti, compreso lo SP., al fine di consentire al Giudice d'appello di valutare non sulle carte, ma in seguito a un dibattito orale ogni eventuale responsabilità. 7.5. Con il quinto motivo, infine, si eccepiscono difetto di motivazione e violazione di legge in relazione all'eccessività della pena ed all'applicazione della libertà vigilata. La Corte territoriale, pur avendo riconosciuto la marginalità del ruolo del R., aveva escluso del tutto immotivatamente dalla comparazione tra le attenuanti e le aggravanti la circostanza dell'agevolazione del sodalizio criminoso, dal che discendeva una pena ingiustamente eccessiva. La misura di sicurezza della libertà vigilata era stata, poi, inflitta su considerazioni generiche e congetturali circa la presunta pericolosità sociale del ricorrente, in particolare circa il fatto che egli non avesse dimostrato un distacco dalle frequentazioni criminali. 8. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di P.J. L. è sottoscritto dall'imputato e dal suo difensore. 8.1. Con il primo motivo, deduce nullità dell'ordinanza in data 22.5.2014 e della sentenza impugnate per violazione di legge e/o erronea applicazione dell'art. 161 c.p.p., comma 4, con riferimento all'omessa notificazione all'imputato del decreto di citazione per il giudizio d'appello. Con l'ordinanza pronunciata all'udienza del 22.5.2014, la Corte territoriale aveva disposto procedersi in assenza del P., ritenendo che il decreto di citazione per il giudizio d'appello fosse stato validamente notificato ai difensori ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, in quanto il tentativo di eseguire la notificazione al domicilio da lui dichiarato al momento della scarcerazione - cioè, "(OMISSIS)" - era risultato vano a causa dell'inidoneità e/o insufficienza di detta dichiarazione e rigettando, così, l'eccezione preliminare sollevata sul punto dalla difesa. Tale decisione doveva considerarsi viziata da un errore di diritto. Invero, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte di merito, il domicilio dichiarato dal P. all'atto della sua scarcerazione non era nè insufficiente, nè inidoneo ai fini della notificazione, bensì diverso da quello dove l'Ufficiale giudiziario aveva tentato di eseguire l'adempimento, ma inutilmente, avendovi rinvenuto un ristorante. In particolare, il P. aveva indicato " (OMISSIS)", indicazione suffragata dal certificato anagrafico prodotto all'udienza del 22.5.2014 dal quale risultava la residenza dell'imputato nel comune di (OMISSIS), alla " (OMISSIS)". Pur essendo prive delle specificazioni "Esp. A, int. 1", le indicazioni fornite dall'imputato al momento della sua scarcerazione sarebbero state idonee e sufficienti a individuare con precisione il luogo - corrispondente alla sua residenza anagrafica - cui intendeva fare riferimento e a consentire che egli ricevesse la notifica del decreto di citazione per il giudizio, se l'Ufficiale giudiziario non avesse errato nell'individuarlo nel civico (OMISSIS) della via (OMISSIS) della località (OMISSIS) del comune di (OMISSIS) anzichè nel civico (OMISSIS) della via (OMISSIS) (OMISSIS) Patria del suddetto comune e avesse effettuato le ulteriori ricerche del caso. 8.2. Con il secondo e il terzo motivo, si denunciano vizio di motivazione e violazione dell'art. 192 c.p.p. e degli artt. 110 e 43 c.p. in relazione alla prova del concorso dell'imputato nell'omicidio G. anche sotto il profilo della sussistenza della prova del dolo. Senza procedere alla rinnovazione, nemmeno parziale, dell'istruttoria dibattimentale, la Corte di Assise di Appello di Napoli aveva, sulla base di una diversa parziale valutazione delle sole stesse dichiarazioni dell' A. e dello SP. che erano state prese in considerazione dalla prima Corte per giungere ad opposta conclusione, dichiarato il P. colpevole di aver concorso nell'omicidio di G.R., giudicando le dichiarazioni rese in proposito dall' A. decisive in tal senso e non di per sè in contrasto con quanto dichiarato dallo SP., il quale aveva confermato il fatto storico che, in presenza del P., si era parlato dell'omicidio e del cambio di vittima, aggiungendo, quale impressione soggettiva sulla quale non poteva fondarsi una conclusione favorevole al P., di non poter garantire che il correo avesse realmente compreso ciò che il L. e lo SP. si stavano accingendo a fare. Tale motivazione era inficiata da grave insufficienza e contraddittorietà sul piano della logica. Non poteva, infatti, non rilevarsi: - che dalle dichiarazioni dell' A., giudicate fondamentali dalla Corte di secondo grado, poteva, al più, ricavarsi che il P. fosse presente all'interno del container dove aveva in precedenza fatto sistemare il L. e lo SP. quando si svolse la discussione avente ad oggetto la comunicazione, da parte del L., della propria decisione di uccidere R. anzichè G.M., non anche che il ricorrente avesse ascoltato e compreso, o, quanto meno, avesse detto o fatto qualcosa da cui poter desumere con certezza che avesse ascoltato e compreso il contenuto di quella discussione; - che, pertanto, la certezza a quest'ultimo proposito espressa dalla Corte partenopea non poteva dirsi superiore ad ogni ragionevole dubbio, giacchè si fondava su un'illazione del tutto priva dei necessari riscontri logico-fattuali, questi non potendo rinvenirsi nè nelle predette dichiarazioni dell' A., nè nelle dichiarazioni rese il 27.10.2010 nell'ambito di altro processo dallo SP., che apparivano vaghe e imprecise quanto alle discussioni intercorse tra lo stesso dichiarante e i correi L., A., D.R. e GA. alla presenza del P.. Già alla luce di queste considerazioni era palese l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata a fondare l'affermazione di responsabilità del P.. Ancora più evidente era la contrarietà della decisione ai principi del giusto processo dettati dall'art. 6 della Convenzione EDU, recepiti dalla nostra giurisprudenza costituzionale e di legittimità, alla stregua dei quali il Giudice dell'appello non può dichiarare colpevole un imputato che sia stato assolto in primo grado: - giudicando attendibili o inattendibili le stesse dichiarazioni in ordine alla cui attendibilità il Giudice di primo grado abbia espresso un diverso avviso, qualora non abbia prima proceduto ad esaminare direttamente i loro autori; - sulla base di una motivazione dotata di un'efficacia persuasiva eguale od addirittura inferiore, secondo il metro della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, a quella della motivazione della sentenza di primo grado e, in particolare, che non sia idonea a dimostrare l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado con una completa, rigorosa e penetrante analisi critica di tutti gli elementi rilevanti ai fini della decisione emergenti dalle risultanze probatorie, compresi quelli eventualmente trascurati dal primo giudice. La violazione di tali principi da parte della Corte di Assise di Appello diventava addirittura eclatante alla luce delle molteplici risultanze probatorie rilevanti ai fini dell'accertamento del ruolo che il P. ebbe effettivamente nell'omicidio G. e che la Corte aveva immotivatamente del tutto omesso di prendere in considerazione. Risultavano, in particolare, trascurate: - le dichiarazioni rese dall' A. il 6.4.2011 nell'ambito di altro procedimento svoltosi davanti al Tribunale di S. Maria Capua Vetere (n. 1925/08, il cui verbale era stato ritualmente acquisito in primo grado), secondo le quali il P. non era presente alla discussione nel corso della quale si decise di dirigere l'azione omicidiaria contro G.R.; - le dichiarazioni dello stesso tenore rese dal GA. al Procuratore della Repubblica di Napoli il 7.5.2009 e davanti al Tribunale di S. Maria Capua Vetere nell'ambito del diverso procedimento n. 1925/08 (lo stesso di A.) il 24.11.2010 ed il 1 dicembre 2010 (acquisite nel presente processo); - le dichiarazioni rese nel presente processo dallo SP. il 17.2.2012, ancora circa la mancanza di consapevolezza, da parte del P., del progetto omicidiario di imminente realizzazione; - le dichiarazioni rese dallo SP. in data 27.10.2010 nell'ambito di altro procedimento, dalla cui integrale lettura emergeva chiaramente che i dubbi manifestati dal dichiarante sulla consapevolezza da parte del P. delle intenzioni criminali delle persone che questi aveva fatto accedere nel campeggio da lui gestito non costituivano affatto il frutto di una mera impressione soggettiva del propalante, ma si fondavano su ben precise circostanze di fatto; - le dichiarazioni spontaneamente rese dal L. all'udienza del 12.6.2014 per segnalare, tra l'altro, l'estraneità del P. e del R. all'omicidio del G.. In definitiva, la Corte di Assise di Appello aveva ribaltato il giudizio di primo grado in ordine alla corresponsabilità del P.: - sulla base di solo alcune delle dichiarazioni rese sul punto dall' A. e dallo SP., acquisite e dichiarate utilizzabili in primo grado, e, per di più, traendone certezze che, secondo logica e secondo quanto disposto dall'art. 192 c.p.p., non potevano essere tratte ed illogicamente svilendo gli elementi di segno contrario emergenti dalle dichiarazioni rese dallo SP.; - senza aver proceduto ad un nuovo esame dell' A. e dello SP.; - immotivatamente ignorando le ulteriori dichiarazioni rese dagli stessi A. e SP. e tutte le dichiarazioni rese dal GA. che fornivano chiare indicazioni di segno contrario e che pure erano state ritualmente acquisite al processo, nonchè le dichiarazioni spontaneamente rese in appello dal L.. Il che già bastava per concludere per la totale inidoneità dell'apparato argomentativo della sentenza impugnata a dare ragione dell'affermazione di colpevolezza del P. come concorrente nell'omicidio di G.R.. D'altro canto, anche a voler ammettere che il P. fosse stato presente alla menzionata riunione in cui si decise di cambiare obiettivo e avesse compreso il contenuto di quella discussione, egli, da quel momento, non aveva tenuto alcuna condotta positiva suscettibile di essere apprezzata come concausa dell'omicidio. Il P., cioè, allorchè apprese delle intenzioni omicidiarie dei suoi ospiti, passò, repentinamente e inopinatamente, dalla posizione di complice ignaro a quella di complice consapevole, ma ormai inutile, degli autori del delitto. Nè prima, nè dopo quel momento, dunque, egli ebbe quella posizione di complice consapevole ed utile agli autori del delitto necessaria al fine di predicare una sua responsabilità quale concorrente nell'omicidio di G.R.. La condotta meramente passiva nella specie tenuta dal P. non era ormai più idonea a fornire, e in effetti non fornì, alcun apprezzabile contributo causale alla realizzazione del suddetto omicidio e, anche a voler ritenere il contrario, sarebbe stata giustificata dall'inesigibilità di un comportamento oppositivo agli sviluppi del piano criminoso dei suoi ospiti, così ricadendo sotto l'orbita scriminante della legittima difesa o dello stato di necessità. 9. In data 27.10.2015 è stata depositata memoria integrativa nell'interesse del P. a firma degli avvocati STRAVINO e COPPOLA che, nella sostanza, ricalca i motivi dedotti in ricorso. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Vanno dichiarati inammissibili i ricorsi proposti da L. G. e SP.Or.. 1.1. L.G. contesta la mancata concessione delle attenuanti generiche in suo favore, dolendosi di una pretesa disparità di trattamento riservatagli dalla Corte di Assise di Appello rispetto alla posizione del D.R., reo confesso come il L., ma, al contrario di quest'ultimo, premiato dalla concessione delle suddette attenuanti. Le censure peccano di aspecificità sotto il profilo del difetto di correlazione con le argomentazioni svolte dalla Corte partenopea e si rivelano, comunque, manifestamente infondate. Occorre rammentare che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 dell'11/10/2004, Rv. 230691). Nel caso di specie, la Corte di Assise di Appello, con motivazione del tutto congrua, ha attribuito alla confessione resa dal L. carattere strumentale alla tesi di una verità parziale, nella quale assumeva rilievo soprattutto la negazione dei ruoli svolti dai correi R. e P., negazione che, oltre tutto, il dichiarante faceva discendere dalle proprie mere asserzioni, senza fornire un racconto completo dei fatti alla stregua del quale poter verificare coerenza e logicità delle asserzioni medesime. Tale tipologia di confessione, secondo le logiche considerazioni della Corte di merito, non poteva rivestire valenza sintomatica della propria resipiscenza e della consapevole volontà di non sottrarsi alle personali responsabilità e, quindi, non giustificava la concessione delle attenuanti generiche. Altro elemento giustamente vagliato dalla Corte di secondo grado in senso ostativo alla concessione delle invocate attenuanti era costituito dalla particolare rilevanza del ruolo svolto dal ricorrente nella vicenda - il che lo differenziava ulteriormente dal D.R. - in quanto il L. era stato il coordinatore del gruppo di fuoco, l'esecutore materiale dell'omicidio e il soggetto che aveva deciso di non desistere dal proposito delittuoso anche dopo aver constatato l'assenza della vittima designata G.M.. A fronte di una decisione congrua e del tutto scevra da vizi logici, il ricorso del L., come già accennato, si limita a muovere censure di carattere generico, in fatto e senza confrontarsi con la complessiva trama motivazionale del provvedimento impugnato. 1.2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi per la posizione del ricorrente SP.. Anche in tal caso la motivazione sul diniego delle richieste attenuanti generiche non presta il fianco a censure apprezzabili in sede di legittimità, avendo posto in rilievo, con argomentare sintetico ma adeguato sul piano logico, la particolare gravità dei motivi che avevano determinato il reato e le circostanze che lo avevano accompagnato, elementi che si riflettevano in modo assai negativa sulla personalità dell'imputato ("esecutore della soppressione di un innocente, a lui sconosciuto, soltanto perchè incaricatone nell'ambito della sua appartenenza al gruppo criminale, le cui scelte venivano da lui acriticamente recepite ed attuate con zelo": pag. 12 sentenza impugnata), così da non poter considerare la sua condotta collaborativa rilevante a fini diversi da quelli ad essa propri. Il ricorso sviluppa censure che rimangono sul piano della genericità e assertività, senza tradursi in argomentati rilievi critici dell'apparato motivazionale. 2. Il ricorso proposto da D.R.C. è infondato e va, pertanto, rigettato. Si ritiene destituita di fondamento la censura con cui si contesta carenza di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche con carattere di prevalenza sulle contestate aggravanti. Per stessa ammissione del ricorrente, con il gravame di merito non era stato devoluto al giudice dell'appello il tema relativo alla concessione delle attenuanti generiche prevalenti, poi (tardivamente) sollevato in sede di discussione nel giudizio d'impugnazione. Va, ricordato, sul piano dei principi, che, ai sensi dell'art. 597 c.p.p., comma 5, il potere del giudice d'appello di applicare, anche ex officio, le predette misure si pone come eccezionale rispetto al principio generale, dettato dal cit. art. 597, comma 1, secondo il quale l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, e che, conseguentemente, il mancato esercizio di tale potere non è censurabile in cassazione, nè è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di una specifica richiesta, oltre che nei motivi di appello, nel corso del giudizio di secondo grado (Sez. 1, n. 8558 del 2/5/1997, Chiavaroli, Rv. 208572; Sez. 6, n. 13911 del 6/2/2004, P.G. in proc. Addala, Rv. 229214). Tuttavia, deve rilevarsi, come, nel caso di specie, la Corte di merito, laddove riporta la richiesta dell'appellante volta ad ottenere la concessione delle attenuanti generiche "nella massima ampiezza", si sia, comunque, fatta carico della questione - ritenuta implicita in detta richiesta - del giudizio di prevalenza delle stesse, risolvendolo, peraltro, negativamente per la tardività della confessione resa dall'imputato ("nonostante la sua collocazione in fase molto avanzata del giudizio"). Trattasi di motivazione sintetica, ma ragionevole, che resiste ai rilievi del ricorrente. 3. Va respinto in quanto infondato il ricorso proposto nell'interesse di S.G.. L'impugnazione prospetta la tesi secondo la quale, atteso che, sul preciso mandato a uccidere conferito dal ricorrente in danno di G.M. (circostanza pacificamente accertata nel giudizio e addirittura rivendicata dall'imputato) si era innestato, per la constatata assenza della vittima dal luogo della prevista esecuzione, un nuovo programma omicidiario ad opera dei correi L. e SP. in danno di G.R., non concordato, nè approvato dal S., questi non ne potesse rispondere nè ai sensi dell'art. 110, nè ai sensi dell'art. 116 c.p.. Sotto quest'ultimo profilo, la difesa del ricorrente deduce che questi non potesse prevedere che gli esecutori materiali si sarebbero discostati dall'originario programma specificamente diretto all'uccisione di G.M., nè sapere che sul luogo del delitto sarebbe stato presente il padre della vittima designata e non quest'ultima. Era, dunque, errato, sul piano giuridico, attribuire al S. la responsabilità dell'omicidio di G.R. ai sensi dell'art. 116 c.p. a prescindere da ogni prevedibilità o volontà dell'evento da parte sua. La tesi difensiva dev'essere disattesa. Occorre brevemente ricordare che la componente psichica del cd. "concorso anomalo" per il quale il concorrente di un reato ne risponde anche quando sia diverso da quello voluto, se l'evento è conseguenza della sua condotta - si colloca in un'area compresa tra la mancata previsione di uno sviluppo in effetti imprevedibile (situazione nella quale la responsabilità resta esclusa), e l'intervenuta rappresentazione dell'eventualità che il diverso evento potesse verificarsi, anche in termini di mera possibilità o scarsa probabilità (situazione nella quale si realizza un'ordinaria fattispecie concorsuale su base dolosa). La norma dell'art. 116 c.p. si applica dunque quando l'imputato, pur non avendo previsto la commissione del diverso illecito da parte dei concorrenti, avrebbe potuto rappresentarsene l'eventualità quale sviluppo logicamente prevedibile della condotta concordata da parte di un soggetto di normale intelligenza e cultura media, secondo regole di ordinaria coerenza dello svolgersi dei fatti umani, non interrotta da fattori accidentali e imprevedibili (Sez. 6, n. 7388 del 13/1/2005, P.G. in proc. Lauro, Rv. 231460). Sono, quindi, necessarie due condizioni negative: che l'evento diverso non sia stato voluto neanche sotto il profilo del dolo alternativo od eventuale, perchè altrimenti sussisterebbe la responsabilità di cui all'art. 110 c.p., e che l'evento più grave concretamente realizzato non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base, non prevedibili da parte dell'agente (Sez. 1, n. 37940 del 24/10/2006, De Cristofaro e altro, Rv. 235427). E' stato efficacemente precisato che la diversità di disciplina che caratterizza l'aberratio delicti plurilesiva ex art. 83 c.p., comma 2, e la deviazione individuale del piano concordato, disciplinato dall'art. 116 nell'ambito del concorso di persone, e l'impossibilità di applicare alla ipotesi di realizzazione cumulativa la regola contenuta nell'art. 83, comma 2, si spiega considerando che nell'ipotesi di concorso, contrariamente a quanto avviene nella realizzazione monosoggettiva, il concorrente, che affida ad altri (o anche ad altri) il dominio dell'accadimento, necessariamente si rappresenta, in relazione anche alla natura del reato concordato, che taluno dei partecipi possa andare oltre i limiti dell'accordo o che prenda di sua iniziativa delle decisioni autonome per superare le difficoltà, che possono insorgere durante l'esecuzione dell'impresa criminosa. Di conseguenza, qualora il reato diverso, commesso dall'esecutore materiale, si prospetti come lo sviluppo logico e prevedibile dello accordo criminoso, nell'evolversi delle situazioni umane, egli risponde anche di tale reato a titolo di dolo e la pena per esso prevista, è diminuita, ove il reato realizzato sia più grave (Sez. 1, n. 5250 del 27/4/1987, dep. 30/4/1988, Guarino, Rv. 178264). La Corte di Assise di Appello di Napoli si è correttamente attenuta agli enunciati principi, applicando la disciplina del concorso anomalo in relazione ad una fattispecie in cui il reato eseguito non è stato "più grave" di quello originariamente concordato (si è trattato sempre di un omicidio), ma ha colpito una vittima diversa da quella designata (e, dunque, è stato un reato "diverso" da quello "voluto"). Il ragionamento svolto dalla Corte partenopea nell'escludere il carattere di imprevedibilità (più dettagliatamente esposto al paragrafo 2.2. della superiore esposizione in fatto), rispetto all'originario mandato del S., della decisione assunta dal L. (e condivisa dallo SP.) di uccidere G. R. in luogo di G.M. non presta il fianco a censure, poichè risulta ancorato a un complesso di considerazioni pienamente plausibili e, comunque, non manifestamente illogiche, che tengono conto della finalità cinicamente ritorsiva dell'agguato - volto a punire, secondo consolidate strategie camorristiche, l'imprenditore che si è rifiutato di pagare il "pizzo" - della connotazione familiare dell'impresa (coinvolgente sia G. padre che i figli), del rifiuto di pagare la "tangente" opposto in passato ai malavitosi da G.R. e dell'indifferibilità dell'azione delittuosa, che indusse il L. a escludere di "ritirarsi a mani vuote", facendo "una brutta figura nei confronti di S.". Deve reputarsi, pertanto, coerente, alla stregua delle premesse considerazioni, l'approdo cui è pervenuta la Corte di merito nel ritenere, alla stregua degli elementi considerati, attribuibile al ricorrente, quale prevedibile sviluppo dell'originario accordo criminoso, la esecuzione dell'omicidio di G.R., diverso da quello voluto (di G.M.) ma giudicato equipollente nell'ottica della ritorsione camorristica (tesa a colpire un'impresa familiare), avendo il S., nell'affidare ad altri il "dominio" dell'accadimento, assunto consapevolmente anche il rischio di un'iniziativa autonoma da parte dell'incaricato del delitto, finalizzata a superare l'insorgere di una difficoltà nel corso dell'esecuzione del mandato; decisione che non poteva, perciò, costituire un imprevedibile, eccezionale scostamento dalle istruzioni impartite. 4. E' infondato anche il ricorso proposto nell'interesse di R. F.. 4.1. Sono, in primo luogo, destituite di fondamento le censure dedotte, nei primi due motivi, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, afferenti alla valutazione della chiamata in correità di SP.Or.. Occorre premettere che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595). La Corte di Assise di Appello, nel confermare la condanna a carico del R., ha fatto sovente richiamo, avendoli pienamente condivisi, agli elementi di prova valutati dal primo Giudice, anche con riferimento alla chiamata in correità dello SP. ed alla valutazione in termini di attendibilità intrinseca ed estrinseca del suo narrato, inclusa l'analisi degli elementi di riscontro. Non corrisponde al vero che la seconda Corte di merito abbia "dato per scontata" l'attendibilità del collaborante, "accontentandosi" delle sue "autoreferenziali" dichiarazioni e non curandosi delle "contraddizioni" esistenti con le propalazioni rese dagli altri collaboratori di giustizia F., C., T., B.M. e D.. La valutazione della soggettiva credibilità dello SP. formulata dalla Corte di Assise sammaritana e fatta propria dai Giudici dell'appello riposa, infatti, sul corretto apprezzamento sia del movente familiare (la volontà di non perdere i legami affettivi con la propria famiglia), sia del rilevante contributo alle indagini relative a molteplici episodi delittuosi ascrivibili alla fazione "bidognettiana" del clan dei casalesi, offerto dall'imputato indicando gli autori di 22 omicidi e assumendosi la paternità di circa 10-12 omicidi, contributo che è stato riconosciuto giudizialmente attraverso il riconoscimento, in tre occasioni (la tentata strage del (OMISSIS), la strage di (OMISSIS) e l'estorsione in danno del lido "(OMISSIS)" consumata dopo l'uccisione di G.R.), della diminuente di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 (v. pag. 34 sentenza di primo grado). Palesemente infondato il rilievo sulla pretesa contraddizione tra il narrato dello SP. e quello dei collaboranti F., C., T., B.M. e D.. Invero, in tanto può parlarsi di "contraddizione", in quanto più fonti dichiarative abbiano riferito, in modo diverso (in tutto o in parte), sullo stesso episodio. Tuttavia, non risulta in alcun modo, dal corpo delle due decisioni di merito, che i dichiaranti menzionati dalla difesa del R. abbiano mai reso propalazioni sull'omicidio G., nè la difesa, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, si è fatta carico di fornire o incorporare nell'atto impugnatorio gli eventuali brani d'interesse. Del resto, si rileva dalla decisione di prime cure che ben tre dei dichiaranti indicati dal ricorrente ( CA., B. M. e D.) entrarono a far parte del gruppo S. soltanto nell'ottobre del 2008, ossia in data successiva di tre mesi all'omicidio G., sicchè, su tale episodio, costoro non avrebbero potuto fornire, in ipotesi, che dichiarazioni de relato (ma neppure di queste vi è traccia). Quanto al contrasto con le spontanee dichiarazioni rese dal L. nel corso della discussione del giudizio di appello, la Corte distrettuale ha correttamente argomentato, per giustificare il diniego delle attenuanti generiche, sul carattere parziale e strumentale della "confessione" resa dall'imputato, tesa essenzialmente a scagionare i correi P. e R., ma senza fornire elementi circostanziati tali da supportare la sua versione. Infondato è il rilievo che stigmatizza l'inesistenza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni accusatorie dello SP., atteso che la sentenza ha dato esattamente risalto alle propalazioni rese dai correi A. e GA., convergenti sulle linee essenziali dell'incontro con il R. presso la sua masseria (indicazione data direttamente da S.) e della condotta dal ricorrente posta in essere immediatamente dopo, fino ad assicurarsi che il gruppo di fuoco avesse trovato, grazie alla sua intermediazione e a quella del P. da lui interessato, una base particolarmente idonea per l'azione ritorsiva diretta contro il lido "(OMISSIS)". Sulla consapevole partecipazione del R. al progetto omicidiario ordito da S., la Corte di Assise di Appello ha correttamente valutato, in riscontro alla chiamata di correo dello SP., elementi di carattere logico. Va rammentato, al riguardo, che, in tema di chiamata in correità, i riscontri dei quali necessita la narrazione, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purchè la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto- reato, ma anche la riferibilità dello stesso all'imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perchè, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (tra le più recenti, v. Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260607; Sez. 6, n. 1249 del 26/9/2013, dep. 14/1/2014, Ceroni, Rv. 258759). Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha puntualmente valorizzato una serie di elementi (l'intraneità del R. al gruppo criminale; il pieno affidamento nella sua disponibilità da parte del "capo" S., che aveva dato l'indicazione di recarsi alla masseria del coimputato; l'effettivo immediato dispiegarsi della disponibilità di quest'ultimo all'arrivo, di prima mattina, presso detta masseria, dei cinque affiliati al clan D.R., L., SP., GA. e A.; il visibile armamento detenuto, nelle circostanze, da L. e SP., latitanti e come tali conosciuti dal R.; la pronta attuazione del contatto con il P., finalizzato ad assicurare ai cinque affiliati la base logistica per l'omicidio G.), concludendo, in modo del tutto plausibile e non manifestamente illogico, circa la necessitata conducenza degli stessi nella direzione di una consapevole compartecipazione del R. al piano omicidiario, nella forma di un'agevolazione dello stesso sotto il profilo logistico nei termini riferiti dallo SP.. 4.2. E' parimenti infondato il terzo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza laddove non ha ritenuto di attribuire rilievo, nel valutare la responsabilità concorsuale del R., al mutamento della vittima, deciso dopo l'allontanamento del ricorrente dal campeggio gestito dal P.. Sul punto, la Corte ha fornito adeguata risposta, osservando che l'imputato, nell'agevolare la spedizione criminale al lido " (OMISSIS)", individuato come obiettivo dell'azione ritorsiva camorristica, aveva accettato il rischio che, anzichè G. M., potessero essere colpiti altri soggetti comunque legati alla gestione dello stabilimento. 4.3. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, atteso che non risulta dagli atti che il ricorrente abbia chiesto la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello ai sensi dell'art. 603 c.p.p.. 4.4. Inammissibile per manifesta infondatezza e genericità, infine, è l'ultimo motivo di ricorso, con cui si contestano, per difetto di motivazione e violazione di legge, l'eccessività della pena e l'applicazione della libertà vigilata. La Corte di merito ha correttamente escluso l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 dal giudizio di comparazione fra le attenuanti generiche e le altre circostanze aggravanti contestate (di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 1 e art. 577 c.p., comma 1, n. 3), ostando alla inclusione dell'aggravante speciale nel giudizio ex art. 69 c.p. la deroga espressamente disposta dal citato art. 7, comma 2. Anche l'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata non presta il fianco a censure, essendo adeguatamente fondata sulla mancata allegazione, da parte del ricorrente, di un distacco dalle sue frequentazioni criminali e sulla formulazione di una prognosi non favorevole di astensione da condotte violative di leggi e di regole di convivenza civile. 5. Il ricorso proposto nell'interesse di P.L.J. va accolto nei termini che qui di seguito si precisano. 5.1. Va, anzi tutto, respinto per infondatezza il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 161 c.p.p., comma 4, con riferimento all'omessa notificazione all'imputato del decreto di citazione a giudizio. Questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide e ribadisce, secondo cui, in tema di notificazioni, costituisce dichiarazione o elezione di domicilio insufficiente quella che rechi l'indicazione della strada, ma non del numero civico dell'abitazione con la conseguenza che, anche in tal caso, la notificazione va effettuata mediante consegna al difensore (Sez. 1, n. 45274 del 10/10/2013, D'Ambra, Rv. 257897). Nel caso del P., correttamente la Corte di merito ha ritenuto inidonea la dichiarazione di domicilio resa dall'imputato all'atto della sua scarcerazione ("(OMISSIS)Montenuovo(OMISSIS)Licola (OMISSIS)"), in quanto, pur corredata dell'indicazione del numero civico, risultava priva di un'ulteriore, decisiva, indicazione, risultante dal certificato anagrafico ((OMISSIS)): a causa di tale decisiva omissione, l'ufficiale giudiziario incaricato non era stato in grado di perfezionare la notificazione, dal momento che al civico (OMISSIS) della strada indicata dal ricorrente aveva rinvenuto esclusivamente la sede di un ristorante. 5.2. Ciò precisato, deve ritenersi fondato il ricorso laddove si è ravvisato un profilo di illegittimità della sentenza impugnata nel rilievo che, in contrasto con l'art. 117 Cost. e con l'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo (CEDU), la riforma in appello della sentenza di assoluzione (rectius di condanna per il reato di cui agli artt. 418 c.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7, così modificata l'originaria imputazione di omicidio aggravato) sia avvenuta senza la preventiva necessaria rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per una nuova audizione delle fonti dichiarative già escusse in primo grado. 5.2.1. Al riguardo va, anzitutto, ricordato come questa Corte abbia già avuto occasione di precisare (in termini, Sez. 2, n. 29452 del 17/5/2013, Marchi e altri, Rv. 256468) che, a partire dalle così dette sentenze "gemelle" nn. 348 e 349 del 2007, la Corte Costituzionale ha statuito che, nel sistema delle fonti del nostro ordinamento, le disposizioni della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, hanno il rango di norme interposte (o, se si preferisce, di livello subcostituzionale) che, attraverso il meccanismo di adattamento previsto dall'art. 117 Cost., comma 1, diventano esse stesse parametro di legittimità costituzionale delle norme di diritto interno, di guisa che il giudice nazionale deve applicare queste ultime secondo un'interpretazione non solo costituzionalmente conforme, ma anche convenzionalmente orientata (si vedano, più di recente, anche Corte cost. n. 1 e n. 113 del 2011; Corte cost. n. 93, n. 138, n. 187 e n. 196 del 2010; Corte cost. n. 239 n. 311 en. 317 del 2009; Corte cost. n. 39 del 2008). 5.2.1.1. Ciò ribadito, va sottolineato che, nella propria giurisprudenza, la Corte di Strasburgo non ha affermato che l'art. 6 CEDU condizioni indefettibilmente il potere del giudice d'appello di "ribaltare" una precedente pronuncia assolutoria alla rinnovazione delle prove dichiarative assunte in primo grado. 5.2.1.1.2. La nota sentenza del 5 luglio 2011 Dan c. Moldavia, al pari delle omologhe ad essa precedenti (v. sent. 21/9/2010, Marcos Barrios c. Italia; 27/11/ 2007, Popovici c. Moldavia) e di quelle successive dello stesso tenore (5/3/2013, Manolachi c. Romania; 9/4/2013, Flueras, c. Romania; 4/6/2013, Hanu c. Romania), ha infatti statuito che il diritto dell'imputato ad un giudice indipendente ed imparziale viene ad essere violato quando la condanna sia pronunciata per la prima volta in appello, sulla base delle stesse prove dichiarative già esaminate dal primo giudice - che abbia pronunciato sentenza assolutoria senza che, tuttavia, il giudice del secondo grado abbia potuto fruire della osservazione diretta dell'atteggiamento del o dei testimoni fondanti per l'accusa, per valutarne personalmente la credibilità. Il giudice, in altri termini, in appello, è tenuto, anche di ufficio - così hanno precisato le sentenze Manolachi, Flueras e Hanu - a disporre nuovamente la deposizione del teste prima di decidere, salvo casi particolari, nei quali tale incombente non è espletabile. Deve, però, rilevarsi che una simile necessità non è assoluta. Non può, cioè, affermarsi che sia sempre e comunque da annullare, sia pure con rinvio, la sentenza di appello che abbia ribaltato il verdetto assolutorio di primo grado, senza che prima il giudice abbia provveduto alla nuova deposizione del o dei testi dell'accusa. Tale necessità non ricorre, ad esempio, in tutti i casi nei quali la condanna in appello non sia derivata semplicemente dal ribaltamento della valutazione - frutto di un soggettivo apprezzamento del giudice - sulla attendibilità del o dei testi decisivi dell'accusa, ma sia dipesa, diversamente, anche da altri elementi indiziari o probatori, di natura storica o idonei a far risaltare un travisamento. Questi, cioè, sono idonei ampiamente a sostenere e a giustificare senza che ricorra la violazione del principio del giudice indipendente e imparziale - un mutamento in appello anche dell'apprezzamento delle testimonianze fondamentali: infatti, tale mutamento risulterà fondato e rafforzato da elementi o circostanze obiettive o comunque tali da allontanare del tutto - ovviamente, se il ragionamento probatorio è coerente - il sospetto che la giurisprudenza CEDU fa gravare sulla valutazione di attendibilità del teste da parte del giudice dell'appello che si sia concentrato esclusivamente sulle trascrizioni delle testimonianze, già valutate in senso liberatorio dal primo giudice. In tal senso si è già espressa questa Corte con le sentenze n. 38085 del 5/7/2012, Rv 253541; n. 10965 dell'11/1/2013, Rv 255223; n. 16566 del 26/2/2013, Rv. 254623; n. 29452 del 17/5/2013, Rv. 256467; n. 29452 del 17/5/2013 Rv. 256467; n. 32368 del 17/7/2013, Rv. 255984; n. 8654 dell'11/2/2014, Rv. 259107; n. 16975 del 12/2/2014, Rv. 259843; n. 8423 del 16/10/2013, dep. 21/2/2014, Rv. 258945. 5.2.2. Il principio di diritto che può desumersi dalle menzionate decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è, dunque, il seguente: laddove la prova essenziale consista in una o più prove orali che il primo giudice abbia ritenuto, dopo averle personalmente raccolte, non attendibili, il giudice di appello, per disporre condanna, non può procedere ad un diverso apprezzamento della medesima prova sulla sola base della lettura dei verbali, ma è tenuto a raccogliere nuovamente la prova innanzi a sè per poter operare un'adeguata valutazione di attendibilità. 5.2.3. Nel caso di specie, la Corte di Assise di Appello di Napoli non si è attenuta all'enunciato principio, fondando l'affermazione di responsabilità del P. essenzialmente sulle dichiarazioni accusatorie dei due collaboratori di giustizia A. e SP., che il primo Giudice aveva diversamente apprezzato, nel ravvisarvi un contrasto insanabile, giudicando "circostanza credibile" quella riferita dallo SP. circa il fatto che il P. non sapesse dell'omicidio da compiersi per ordine del S. ai danni del G.. La Corte di secondo grado, senza procedere a nuovo ascolto dello SP., ha, nella sostanza, reinterpretato le sue dichiarazioni del 27.10.2010 - rese, tra l'altro, nel diverso procedimento c. LUBELLO Giovanni + 41 trattato dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere valutandole alla stregua di una "impressione soggettiva" circa il grado di comprensione, da parte del P., dei dialoghi sull'imminente omicidio intercorsi tra lo SP., l' A., il GA. e il D.R., "impressione" che, ad avviso dei Giudici dell'appello, non consentiva di "fondarvi una conclusione favorevole all'imputato P.". Nel pervenire a tale approdo, la Corte di Assise di Appello si è anche discostata dal consolidato insegnamento di questa Corte, secondo il quale la motivazione della sentenza d'appello che riformi in senso radicale la decisione di primo grado si caratterizza per un obbligo peculiare e "rafforzato" di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà, desumibile dalla formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (Sez. 6, n. 46847 del 10/7/2012, Rv. 253718; Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 10/1/2013, Rv. 254024; Sez. 6, n. 8705 del 24/1/2013, Rv. 254113; Sez. 6, Sentenza n. 46742 dell'8/10/2013, Rv. 257332; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 14/1/2014, Rv. 258005). Tale obbligo non è stato assolto, nel caso di specie, in quanto la Corte territoriale si è limitata ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perchè ritenuta preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato, senza confutare specificamente i più rilevanti argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza. Va, inoltre, sottolineato che la Corte di Napoli, nel "reinterpretare" le dichiarazioni rese dallo SP. in altro procedimento il 27.10.2010, non si è misurata con quelle, rese dallo stesso imputato nel procedimento d'interesse il 17.2.2012 circa la mancanza di consapevolezza, da parte del P., del progetto omicidiario di imminente realizzazione, con ciò incorrendo in una lacuna motivazionale che deve essere sanata. Così come non si è misurata con le dichiarazioni rese da A. e GA. nel diverso procedimento n. 1925/08 svoltosi davanti al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, acquisite nel processo principale, secondo le quali il P. non sarebbe stato presente alla discussione nel cui ambito si decise di uccidere G. R.. 5.3. Per le esposte considerazioni, con riferimento alla posizione del P., la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli, che procederà a nuova audizione di SP.Or. nonchè a sanare le lacune motivazionali evidenziate. 6. I ricorrenti, ad esclusione del P., vanno condannati, oltre al pagamento delle spese processuali (e L. e SP. anche al versamento della somma di 1.000,00 Euro ciascuno alla Cassa delle ammende), alla rifusione alla F.A.I. delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo. I ricorrenti, con l'esclusione di P. e di SP., vanno, infine, condannati a rifondere a favore dei difensori antistatari delle residue parti civili avvocati Antonio De Girolamo e Maurizio Sica le spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo. PQM P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di P.L.J. e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. Rigetta i ricorsi di D.R.C., R.F. e S.G., che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di L.G. e S. O., che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. Condanna, altresì, i ricorrenti, con esclusione di P., a rifondere alla F.A.I. le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge. Condanna, altresì, i ricorrenti, con esclusione di P. e di SP., a rifondere a favore dei difensori antistatari delle residue parti civili avvocati Antonio de Girolamo e Maurizio Sica le spese del presente giudizio che, per ciascuno dei suddetti difensori, liquida in Euro 6.000,00 oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015. Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2016 | |
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Da: Loldeep per Idealista ![]() | 09/02/2017 11:17:36 |
| Grazie mille. :) | |
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| Da: _Idealista_ | 09/02/2017 11:20:23 |
| di nulla, trovata su De Jure :) | |
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Da: Penalista ![]() | 09/02/2017 11:22:14 |
| Mi associo ad @admaiora quando precisa che le critiche sono state mosse verso chi si presenta su questo forum come il verbo, e non verso le soluzioni in sè. Ciò non toglie però che queste ultime possano prestarsi a obiezioni, laddove non ritenute condivisibili. Io, personalmente e umilmente, non condivido la tesi dello sdoppiamento tra tentativo e omicidio colposo. La trovo una forzatura, che contrasta con lo stesso dato normativo. Il fatto che l'identità personale della vittima non sia elemento costitutivo del reato di omicidio (e come tale non debba ricadere nel fuoco del dolo),ma sia una mera circostanza esterna, idonea, al più, ad incidere sul trattamento sanzionatorio, ce lo dice chiaramente l'art. 60 c.p., non a caso richiamato dall'art. 82. Pertanto mi chiedo perché arrovellarsi tanto il cervello, quando per una volta il dato normativo è cristallino. Inoltre, l'esegesi delle norme non solleva nemmeno dubbi di costituzionalità. Perché, mentre nel caso del 116, una lettura costituzionalmente orientata è imposta nella misura in cui la norma imputa all'agente un REATO DIVERSO (e più grave) rispetto a quello voluto; nel caso di cui all'art. 82 il reato è il medesimo, il disvalore penale espresso dalla condotta non cambia solo perché viene attinta una persona diversa. Certo, se le qualità personali della vittima effettivamente lesa, i suoi rapporti col colpevole etc., andassero ad accentuare la gravità de fatto, colorandolo di maggiore offensività, il divalore sarebbe maggiore e il reato cosi aggravato non potrebbe essere imputato all'agente in assenza di un coefficiente psicologico minimo. Ma ciò non avviene, atteso che tale ipotesi è espressamente contemplata dal già menzionato art 60 che salvaguarda proprio il principio di colpevolezza. Questa lettura mi sembra la più coerente anche con la nota distinzione operata dalla Corte Cost. tra elementi significativi e non significativi della fattispecie incriminatrice. La Corte, invero, ha statuito che il divieto di responsabilità oggettiva non è assoluto, ma investe solo gli elementi significativi della fattispecie (ossia quelli fondanti rispetto l'offesa e significativi rispetto al trattamento sanzionatorio). L'identità personale della vittima non è elemento che fonda l'offesa del reato di omicidio (che punisce chi cagiona la morte di un UOMO, qualunque uomo). Tuttavia, può diventare elemento significativo in relazione al trattamento sanzionatorio (es. per errore uccido mio padre anziché il quisque de populo) ma in tal caso l'aggravante non viene addebitata ex art. 60. Il principio di colpevolezza, dunque, non viene in alcun modo intaccato. | |
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| Da: _Idealista_ | 09/02/2017 11:50:30 |
| Secondo me le possibili risposte al quesito sotteso alla traccia di penale cambiavano molto a seconda della configurazione del caso concreto. Chi avrà portato anche esempi pratici dovrebbe quindi uscirne avantaggiato. | |
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Da: La vita una giungla ![]() | 09/02/2017 11:50:53 |
| Il ragionamento di soluzione tema penale, sotto un profilo strettamente logico-giuridico, fila, anche se mi ci sono volute due ore per comprenderlo (sul piano della capacità espositiva andiamo maluccio eh...). Però, certo, in un'ottica di politica criminale non è condivisibile, perché lascia impunito il mandante. Se mancano gli estremi del tentativo dell'omicidio della persona originariamente designata, resta fuori dal gabbio!!! La sentenza che hanno postato su non è pertinente invece. Perché è il caso in cui l'esecutore, di propria iniziativa, uccide persona diversa da quella designata. Quindi non è il caso dell'errore nell'esecuzione. | |
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Da: La vita una giungla ![]() | 09/02/2017 11:56:30 |
| Concordo con @idealista. Ogni soluzione è accettabile, se ben argomentata. Del resto, a prescindere dall'ultimissima cassazione, altri orientamenti della corte di legittimità in passato propendevano per 110,575,82. Dobbiamo solo sperare che i commissari abbiano una mente elastica, aperta a qualsiasi tipo di ragionamento, purché ben strutturato. E ciò non solo dopo aver visto che nessuno seguiva il loro, ma sin dall'inizio. Altrimenti davvero il momento della correzione avrà una rilevanza non indifferente. Il che mi sembra alquanto iniquo... D'altra parte si sa che questo concorso è così... | |
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| Da: _Idealista_ | 09/02/2017 11:57:53 |
| "Premessi cenni sul concorso, ordinario e anomalo, di persone nel reato, nonché sull'aberratio ictus, si soffermi il candidato sul titolo di responsabilità del mandante del delitto nel caso di omicidio di persona diversa dalla vittima designata." attenzione, nella traccia non si è mai parlato di errore nell'esecuzione. | |
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| Da: _Idealista_ | 09/02/2017 11:59:55 |
| @la vita una giungla ci siamo sovrapposti nelle risposte... secondo me è un tema in cui giocherà molto la capacità espositiva. Però proprio per questo dovrebbe essere più semplice individuare quelli che proprio non hanno un livello adeguato a superare il concorso :) | |
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| Da: blocco universale saturnino vincitore statuisce | 09/02/2017 12:02:40 |
| io ho provato ad effettuare varianti al mandato tipo mandato specifico ad uccidere un personaggio pubblico in un contesto pubblico ad ogni costo un mandato che pone libertà di scelta esecutiva un mandato il cui rapporto già a livello di accertamento nesso causale viene interrotto (tizio uccide caio dovendo assassinare sempronio, ma nel tragitto trova soggetto terzo totalmetne estraneo che lo ostacola e lo uccide) e via dicendo, mi sono posto dall'angolo visuale e rappresentativo del mandante che non è mai un semplice determinatore ma pone spesso un assetto ben preciso nell'esecuzione, chiarisce l'interesse a far eseguire quel dato mandato e via dicendo...comunque la traccia è infinita se vogliono mantenere asticella a livello medio alto moltissimi saranno ritenuti inidonei, ma ora temo anche per idoneità civile, come a dire abbiamo preteso meno per il penale , ma per il civile esigiamo un quadro sistematico che vada oltre il vomito delle su o la ricostruzione positiva della disciplina del leasing | |
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Da: La vita una giungla ![]() | 09/02/2017 12:03:01 |
| Hai ragione. Ricordavo male. Il riferimento all'82 mi avrà traviato!! Quindi la sentenza è calzante! Ciononostante considerare l'omicidio di persona diversa reato diverso mi pare proprio una forzatura | |
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| Da: Secchionaggine wins | 09/02/2017 12:03:16 |
| Quello che alcuni sbagliano e che li porta a presentarsi ogni anno a cazzum, non consegnando o consegnando cagate, è la convinzione di poter "beccare la traccia", senza considerare che i commissari premiano solo la c.d. "dimostrazione di erudizione acquisita con quantità di studio mastodontico", non essendoci soluzioni "corrette" da proporre, per la fluidità della materia. E' un concorso che premia chi studia tanto perchè ha il D.N.A. del secchione ed è semrpe stao il primo della classe. LA MATERIA E' FLUIDA, capite che vuol dire?!? | |
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| Da: Secchionaggine wins | 09/02/2017 12:11:31 |
| Guardata la dottrina, che scrive cose a volte in assoluto contrasto con la giurisprudenza e veramente fantasiose, ma poi l'Autore ci mette dentro tanta scienza giuridica ed erudizione che nessuno potrebbe considerare lo svolgimento non sufficiente, sebbene non condivisibile. | |
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Da: La vita una giungla ![]() | 09/02/2017 12:13:47 |
| Il punto è: ragionandoci anche un giorno intero (e non solo un paio d'orette, considerando che in otto ore si deve ricostruire il pensiero, scriverlo e, possibilmente ricopiarlo in bella) e avendo davanti un fatto storico ben delineato, con circostanze concrete dettagliate, allora si può stendere anche un trattato approfondito!! Però davvero stavolta hanno preteso troppo. Da una traccia di tre righe, molto molto generica, e in un paio d'ore (di cui la prima spesa a chiedersi perché non essersi iscritti a fisioterapia) che si aspettavano che avremmo partorito? Tra l'altro i cenni all'82, personalmente, mi hanno indotto a restringere il campo alle ipotesi di errore nell'esecuzione. Non ho mai considerato che il caso da cui avevano tratto la fattispecie fosse di un'iniziativa dell'esecutore di discostarsi dal piano concordato!! Che ce l'hanno messo a fare l'82 allora??? | |
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