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17 dicembre 2014 - Parere PENALE
622 messaggi, letto 69103 volte

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Da: Prima traccia17/12/2014 10:14:32
Cass. pen., sez. VI, 07-11-2013, n. 5496.
FATTO E DIRITTO
1.-. Il difensore di Mo.Ra.           ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale, in data 13-12-12, la Corte di Appello di Roma, sezione 3 penale, ha confermato la condanna pronunciata nei confronti del predetto in primo grado, con attenuanti generiche, alla pena di anni tre di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, per il reato di cui all'articolo 317 c.p., per avere, abusando della sua qualità di ispettore del lavoro in servizio presso la ASL RM/X e segnatamente minacciando sanzioni per il presunto illecito impiego di lavoratori dipendenti presso l'autorimessa sita in via (omesso)    , indotto Sa.Fr.               a consegnargli indebitamente la somma di mille Euro (in (omesso)          ).
Il ricorrente deduce in primo luogo vizio di motivazione per errata valutazione delle prove, con particolare riferimento alla ritenuta prova del passaggio di denaro e quindi della dazione dello stesso. Secondo l'impostazione accusatoria, ritenuta accertata dai Giudici di merito, al Mo.     sarebbero stati consegnati euro mille in contanti, di cui lo stesso si sarebbe disfatto, buttando le banconote nei pressi di alcuni cassonetti dell'Ama che si trovavano in (omesso)    , luogo del fermo dell'imputato. Il ritrovamento delle banconote era avvenuto da parte del Carabiniere Pa.     successivamente alla perquisizione del prevenuto, il cui fermo non era stato poi convalidato dal GIP per difetto di flagranza. In realtà, ad avviso del ricorrente, non sarebbe stata dimostrata la presenza sul luogo dei cassonetti della spazzatura, ma anzi le banconote sarebbero state trovate vicino ad un furgone dietro all'Ama, e, in definitiva, non sarebbe stata acquisita alcuna prova in ordine alla avvenuta consegna del denaro.
Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge, in quanto la condotta posta in essere dal Mo.     avrebbe dovuto essere qualificata come induzione e non già come costrizione, sicchè il fatto avrebbe dovuto essere inquadrato nello schema tipico del nuovo articolo 319 quater c.p. e non nell'articolo 317 c.p.. Infatti nel caso di specie il funzionario pubblico, lungi dall'avere annientato la libertà di autodeterminazione del privato, avrebbe agito ricorrendo a forme di pressione tali da lasciare un margine di scelta al destinatario della pretesa, il quale, decidendo di versare il denaro, mirava per altro ad ottenere un provvedimento illegittimo ed a lui favorevole.
2.-. Il primo motivo di ricorso è sostanzialmente basato su doglianze non consentite in sede di giudizio di legittimità. Le censure del ricorrente attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. Il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo il contrasto giurisprudenziale che si era determinato dopo l'entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, hanno recentemente chiarito che la fattispecie di induzione indebita di cui all'articolo 319 quater c.p. è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio. Nella concussione di cui all'articolo 317 c.p., invece, si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del soggetto (v. informazione provvisoria n. 18, alla udienza del 24 ottobre 2013 in relazione alla questione rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza 9 maggio 2013 Maldera Giovanni + 8, la cui decisione è in corso di pubblicazione).
In applicazione di questi principi, la condotta posta in essere dall'imputato avere il Mo.     prospettato al Sa.        che con la dazione di mille euro in contanti e con la messa a punto delle sue automobili avrebbe risolto i suoi problemi in relazione alle violazioni riscontrate nella sua autofficina (lavoro nero; inidoneità della autocertificazione presentata) appare caratterizzata dalla strumentalizzazione delle funzioni dell'ufficio espletato a scopo di privato tornaconto, ma di certo non idonea a annientare la libertà di autodeterminazione del privato, avendo posto in essere forme di pressione che chiaramente lasciavano un margine di scelta al destinatario della pretesa, il quale denunciò il fatto ai Carabinieri, e, qualora avesse deciso di versare il denaro, avrebbe in realtà mirato, oltre tutto, ad ottenere un provvedimento illegittimo ed a lui favorevole.
Ne deriva la necessità di qualificare il fatto ascritto all'imputato ai sensi dell'articolo 319 quater c.p., con conseguente annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. D'altra parte la giurisprudenza di questa Corte è oramai consolidata nell'inquadrare la successione normativa fra il previgente testo dell'articolo 317 c.p., quello introdotto dalla L. n. 190 del 2012, articolo 1, comma 75 e quello del nuovo ed autonomo articolo 319 quater c.p. all'interno del peculiare fenomeno della successione di leggi penali, disciplinato dall'articolo 2 cod. pen., comma 4 (v. per tutte: sentenza n. 21701 del 07/05/2013, Rv. 255075, Ancona).
P.Q.M.
Qualificato il fatto ascritto all'imputato ai sensi dell'articolo 319 quater c.p., annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 201
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Da: da reggio17/12/2014 10:15:24
confermo le traccie
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Da: Marco1986.17/12/2014 10:15:51
Sulla traccia della concussione, si deve argomentare nel senso che, dopo la riforma, quella condotta ricade nell'induzione indebita ex 319quater. E la modifica in senso favorevole della pena si applica retroattivamente all'imputato, in virtù dell'art. 2, co.4 cp
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Da: molly8217/12/2014 10:16:08
guardate qua per la prima
http://www.questionegiustizia.it/stampa.php?id=19
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Da: Jac17/12/2014 10:17:37
la seconda traccia quella sul mancato pedaggio non è la più abbordabile?
Rispondi

Da: aiutinodacasa17/12/2014 10:17:58
quella del telepass è più semplice trovate la sentenza
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Da: sasy9017/12/2014 10:19:02
reggio calabria hanno le tracce???

Rispondi

Da: gdankg 17/12/2014 10:19:55
questa la sentenza per il telepass? Sentenza 17 ottobre - 14 novembre 2012, n. 44140 http://www.altalex.com/index.php?idnot=19705
Rispondi

Da: Denny8017/12/2014 10:20:28
sentenze di riferimento?
Rispondi

Da: Aleole  17/12/2014 10:21:15
Sapete se a Roma hanno dettato?
Rispondi

Da: apozz 17/12/2014 10:21:41
la seconda è truffa nei confronti dello stato
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Da: pipipi17/12/2014 10:22:19
confermo da napoli...tutti a lavoro...aiutateci
Rispondi

Da: SENTENZA TELEPASS17/12/2014 10:22:57
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

Sentenza 17 ottobre - 14 novembre 2012, n. 44140

Svolgimento del processo

Con sentenza dell'11/10/2008, il Tribunale di Pistoia dichiarò S.C. responsabile dei reati di truffa aggravata continuata e insolvenza fraudolenta continuata e - applicata la recidiva contestata, ritenuta la continuazione e con la riduzione per la scelta del rito - lo condannò pena di anni 1 e mesi 1 di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l'imputato propose gravame ma la Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 13/07/2011, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione l'imputato deducendo la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in merito all'attribuibilità a sè delle condotte di cui alle contestazioni e alla possibilità di poter configurare i reati di truffa e insolvenza fraudolenta.

Il ricorrente conclude, pertanto, per l'annullamento dell'impugnata sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato. Infatti, la Corte di appello evidenzia correttamente tutti gli elementi acquisiti che portano ad una piena attribuibilità delle condotte contestate allo S.. Questo è il fatto. Lo S. per ben 28 volte ha dichiarato all'addetto del casello autostradale, all'uscita, di aver perso il biglietto, di non aver soldi per pagare e quindi non ha pagato (reato di insolvenza fraudolenta per un ammontare complessivo di Euro 1.366,93); e per ben sette volte si è accodato a veicoli dotati di telepass riuscendo così a sfilare sulla scia dell'automobile che lo precedeva prima che la sbarra di blocco si fosse abbassata (reato di truffa aggravata per Euro 314,11). La Corte territoriale sottolinea, poi, che per accertare chi fosse la persona alla guida della autovettura di cui sopra, la P.G. ha condotto un indagine partendo da chi risultava essere proprietario e cioè la ditta s.r.l. Autotrasporti Sedoni.

L'impiegata della predetta ditta, ha dichiarato che nel periodo in cui sono stati commessi i reati l'autovettura risultava noleggiata alla ditta s.a.s. Sprintcar di Ferrari Alessandro & C. Il F.A. ha confermato il noleggio e ha, poi, dichiarato di aver dato in uso la predetta autovettura, per tutto il periodo incriminato, all'imputato in sostituzione del suo mezzo che lo S. aveva lasciato nell'officina del F. perchè fossero effettuate riparazioni importanti e che richiedevano lunghi tempi di realizzazione. Lo S. ammetteva di aver avuto in possesso - nel periodo di tempo di cui sopra - l'autovettura, ma la Corte di appello ha correttamente escluso l'utilizzabilità di tali dichiarazioni - pur se si è proceduto con il giudizio abbreviato - perchè assunte in violazione dell'art. 63 c.p.p.

Invero, questa Suprema Corte ha più volte affermato che l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi sin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentito come indagato è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, pur se è stato disposto il giudizio abbreviato (Sez. 2, Sentenza n. 34512 del 29/04/2009 Ud. - dep. 07/09/2009 - Rv. 245226; Sez. 3, Sentenza n. 15372 del 10/02/2010 Cc. - dep. 22/04/2010 - Rv. 246599). Si deve, però, rilevare che in modo altrettanto corretto la Corte di appello ha ben evidenziato che nelle dichiarazioni rese da F. non sono emersi indizi di reato a carico dello stesso che imponessero l'interruzione dell'audizione nè vi era alcun motivo per dovere sentire il F., fin dall'inizio, in qualità di persona sottoposta alle indagini (si evidenzia, sul punto, che il F. è socio di una società in accomandita semplice e quindi non si poteva certo sapere chi tra i vari soci o dipendenti della stessa società avesse in ipotesi usato l'auto; si vedano, altresì, tutti i condivisi argomenti sul punto alla pagina 5 dell'impugnata sentenza). E' appena il caso di ricordare in proposito che questa Suprema Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio condiviso dal Collegio che in tema di dichiarazioni indizianti rese da persona non imputata nè sottoposta ad indagini, il giudizio circa la sussistenza "ab initio" di indizi di reità a carico del dichiarante costituisce accertamento di fatto la cui valutazione, se correttamente motivata dal giudice di merito, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 24953 del 15/05/2009 Cc. - dep. 16/06/2009 - Rv. 243892). Inoltre, in tema di prova dichiarativa, allorchè venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010 Ud. - dep. 21/04/2010 - Rv. 246584).

Infondati sono anche i due motivi con i quali il ricorrente contesta la correttezza della motivazione dei Giudici di merito che hanno ritenuto sussistenti i reati di truffa e di insolvenza fraudolenta continuati. E' infatti necessario premettere che la Corte di appello ha correttamente evidenziato la sussidiarietà tra l'illecito amministrativo previsto dall'art. 176 C.d.S., comma 17, e la truffa e l'insolvenza fraudolenta. Infatti questa Suprema Corte a Sezioni Unite (e la costante giurisprudenza di questa Corte successiva) ha affermato il principio - condiviso dal Collegio - che poichè l'art. 176 C.d.S., comma 17, - il quale punisce con la sanzione pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale - espressamente ed inequivocabilmente stabilisce la sussidiarietà di tale illecito amministrativo rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti, nei cui confronti, pertanto, non si pone in rapporto di specialità, nell'ipotesi di omesso adempimento, da parte dell'utente, dell'obbligo di pagamento del pedaggio autostradale, ben può configurarsi, ove ne sussistano in concreto gli elementi costitutivi, il delitto di insolvenza fraudolenta o di truffa (Sez. U, Sentenza n. 7738 del 09/07/1997 Ud. - dep. 31/07/1997 - Rv. 208219; Sez. 2, Sentenza n. 24529 dell'11/04/2012, dep. 20/06/2012).

Nella suddetta sentenza delle Sezioni Unite si afferma, poi, che l'insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa perchè la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dello artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione della sua esistenza finalizzato all'inadempimento dell'obbligazione, in violazione di norme comportamentali. Orbene la Corte di appello con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria ben evidenzia: in cosa consistano gli artifici e raggiri (l'imputato ha imboccato la corsia che conduce alle porte riservate a chi è dotato di Telepass; poi si è posto sulla scia dell'autovettura che lo precedeva - regolarmente munito di telepass - riuscendo ad uscire dal casello prima che la sbarra si abbassasse); quale è l'atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole per la P.O. (consistente nel consentire l'uscita dalla sede autostradale ad un veicolo il cui conducente non ha assolto all'obbligazione di pagamento assunta); come l'atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole sia in evidente relazione causale diretta con gli artifici e raggiri sopra delineati. E' evidente che non incide su quanto sopra l'obbiezione che il casello sia regolato da un sistema automatico. Infatti tale sistema automatico è sotto la sorveglianza del personale addetto che interviene ogni volta che si verifica un problema; ma nel caso di specie la condotta truffaldina dell'imputato ha impedito proprio quell'intervento (si veda: Sez. 2, Sentenza n. 26289 del 18/05/2007 Ud. - dep. 06/07/2007 - Rv. 237150).

Anche per quanto riguarda gli episodi di insolvenza fraudolenta il Collegio ritiene che la Corte territoriale abbia fatto corretta" applicazione di principi consolidati (cfr. SS.UU. 9 luglio 1997, n. 7738 sopra citati), secondo cui l'art. 176 C.d.S., comma 17, che punisce con la sanzione pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale, si pone in rapporto di sussidiarietà e non già di specialità rispetto ad altre fattispecie penali eventualmente concorrenti. In particolare il reato di insolvenza fraudolenta - in ipotesi di mancato adempimento, da parte dell'automobilista, dell'obbligazione di pagamento del pedaggio autostradale, inerente al negozio di utilizzo della relativa rete - non è escluso nè dalla coesistenza di una figura integrante un illecito amministrativo, stante la sua funzione sussidiaria della norma penale, nè dalla natura del pedaggio, che ha funzione di corrispettivo e non di tassa.

Spetta al giudice di merito verificare di volta in volta se, nella fattispecie sottoposta al suo esame, sussistano gli elementi dell'insolvenza fraudolenta, sia sotto il profilo materiale che psicologico. Il che nel caso di specie risulta puntualmente avvenuto, posto che la Corte di appello ha delibato con riguardo a tutti i profili rilevanti nella fattispecie con argomentazioni immuni da rilievi logici o giuridici. Valga considerare quanto segue.

A) Innanzitutto risulta correttamente individuata la condotta materiale, descritta dalla norma penale nel triplice momento della "dissimulazione dello stato di insolvenza", dell'assunzione dell'obbligazione" e dell'"inadempimento". A tal riguardo la Corte territoriale evidenzia che lo S. ha (ben 28 volte) accettato, con il fatto stesso del ritiro del tagliando, la prestazione offertagli dall'ente gestore dell'autostrada e così assunto l'obbligazione corrispettiva (mentre avrebbe potuto non aderire all'offerta, scegliendo un percorso alternativo; quanto sopra evidenzia la non incidenza, sulla ravvisabilità del reato, il fatto che all'ingresso in autostrada vi è una macchina che distribuisce i tagliandi e non una persona); che l'imputato ha, inoltre, approfittato della fiducia che l'ente gestore del servizio prestava nell'assolvimento del pedaggio, avuto riguardo alla modestia del corrispettivo e alla qualità del debitore (che, per il fatto stesso di transitare alla guida di un automezzo, induceva a confidare sulla sua solvibilità); che il medesimo imputato ha, quindi, omesso di provvedere al pagamento del relativo pedaggio (per complessivi Euro 1.366,93 con riguardo ai percorsi autostradali contestati nel capo di imputazione) lasciando insoluta la prestazione del corrispettivo anche in prosieguo. Si rammenta, a tal riguardo, che la dissimulazione di cui all'art. 641 c.p. può realizzarsi con comportamenti diversi, positivi o negativi, tra i quali ultimi rientrano la reticenza o il silenzio; in particolare, questa sezione, con argomentazioni condivise dal Collegio, ha precisato che, trattandosi dell'utilizzazione dell'autostrada, che la società concessionaria fornisce prima del pagamento del pedaggio, il contratto si stipula per facta concludentia ed il mancato pagamento è riconducile ad un elemento soggettivo, non caratterizzato dall'induzione in errore, ma da un mero atteggiamento negativo dell'autore nei confronti dell'errore sulla solvibilità in cui versa la parte offesa, alla contrattazione (Cass. pen., Sez. 2, 04/07/2000, n. 43730).

B) Con specifico riguardo all'atteggiamento psicologico - vale a dire al dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza dello stato di insolvenza e dall'elemento volitivo, costituito dal preordinato proposito di non adempiere - la sentenza impugnata da conto della consapevolezza da parte dello S. di non poter adempiere, desumendola da elementi induttivi seri e univoci, quali sono quelli ricavati dalla reiterazione delle condotte dissimulatorie e dal persistente inadempimento, che lasciano intendere che il sin dal momento della stipula del contratto fosse già maturo, nel soggetto, l'intento di non far fronte agli obblighi conseguenti (lo S. quando arrivava al casello diceva, infatti, di non poter pagare perchè non aveva soldi; si veda pagina 11 del ricorso).

Risulta, dunque, correttamente colto il discrimine tra il mero inadempimento di natura civilistica e la commissione del reato, che poggia sull'elemento ispiratore della condotta, giacchè il comportamento consistente nel tenere il creditore all'oscuro dello stato di insolvenza in cui si versa al momento di contrarre l'obbligazione ha rilievo, agli effetti della norma penale, quando sia legato al preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, mentre l'inadempimento contrattuale non preordinato non costituisce il delitto di cui all'art. 641 c.p. e ricade, normalmente, solo nell'ambito della responsabilità civile.

C) Infine - relativamente alla prova dello stato di insolvenza, su cui specificamente si appuntano le censure del ricorrente - la Corte territoriale ha correttamente rimarcato non solo la circostanza del mancato pagamento, ma anche il fatto che, già all'epoca, lo S. avesse accumulato debiti per Euro 1.366,93 per mancati pagamenti di pedaggi autostradali e che neppure in epoca successiva abbia provveduto al pagamento dei corrispettivi indicati nel capo di imputazione, dimostrando chiaramente di trovarsi nell'impossibilità di pagare le somme dovute. La questione risulta, dunque, delibata in conformità a principi costantemente espressi da questa Suprema Corte e ribaditi dalle SS.UU., nella sentenza Gueli (la n. 7738 del 1997 sopra citata), secondo cui la prova della condizione di insolvenza può desumersi dal comportamento precedente e successivo dell'imputato (Sez. 2, Sentenza n. 2376 del 20/11/1986 Ud. - dep. 20/02/1987 - Rv. 175206) o anche da quello da medesimo tenuto al momento dell'inadempimento (Sez. 2, Sentenza n. 10247 del 23/09/1996 Ud. - dep. 28/11/1996 - Rv. 206286). Invero attribuire esclusiva rilevanza alla circostanza che il soggetto agente abbia dichiarato o meno di non volere pagare (e nel caso di specie il ricorrente ha ammesso -si veda ad es. pag 11 del ricorso - di aver detto al casellante di non avere sodi per pagare), significa non considerare che, per un verso, l'inadempimento" si verifica per il fatto stesso del mancato pagamento del corrispettivo alla scadenza (e quindi, nello specifico, al termine del percorso autostradale), indipendentemente da ciò che dichiara il debitore e, per altro verso, che la "situazione di insolvenza" è una situazione di carattere obiettivo, da intendersi come impossibilità, totale o parziale, di adempiere all'obbligazione e da rapportarsi sia al momento dell'assunzione dell'obbligazione sia a quello dell'inadempimento (come si desume dalla previsione della causa di non punibilità prevista dal cpv. dell'art. 641 c.p.; si vedano, in proposito, anche: Sez. 2, Sentenza n. 11734 del 06/03/2008 Ud. -dep. 14/03/2008 - Rv. 239750; Sez. 2, Sentenza n. 24529 dell'1/04/2012, dep. 20/06/2012). In definitiva i motivi addotti a fondamento del ricorso si rivelano infondati, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione della norma penale e non emergendo alcun contrasto disarticolante nelle argomentazioni svolte.

Il ricorso va, pertanto, rigettato. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè alla rifusione di quelle sostenute in questo grado dalla P.C. che liquida in complessive Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione di quelle sostenute in questo grado dalla P.C. che liquida in complessive Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 ottobre 2012.
Rispondi

Da: Jac17/12/2014 10:23:11
A che ora si consegna a Napoli?
Rispondi

Da: ddsd17/12/2014 10:23:12
Transito nelle corsie "telepass" senza consentire la registrazione del passaggio, utilizzo delle corsie di uscita anziché di quelle di entrata: la condotta palesemente decettiva (sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo) dell'imputato integra il delitto di truffa - come correttamente ritenuto dai giudici di secondo grado - tutte le volte in cui l'inganno abbia comportato l'elusione, da parte sua, del pagamento dovuto, elusione nella quale si è, di volta in volta, concretato il danno dell'esercente.

(Cass. Penale Sez. II, 11 gennaio 2010, n. 666)





Corte Suprema di Cassazione

Sezione seconda Penale

Sentenza 11 gennaio 2010, n. 666



MOTIVI DELLA DECISIONE

1. [OMISSIS] è stato dichiarato colpevole del delitto di truffa in danno dell'esercente un'autostrada, nella quale transitava in più occasioni, eludendo, con accorgimenti diversi, il pagamento del pedaggio.

2. Con il ricorso denuncia:

- violazione degli artt. 640, c.p., e 530, c.p.p., nonché vizio della motivazione. Osserva il ricorrente che il comportamento ascrittogli - transito nelle corsie "telepass" senza consentire la registrazione del passaggio, utilizzo delle corsie di uscita anziché di quelle di entrata - sia privo di significatività giuridica e non possa costituire il sintomo di una consapevole condotta raggirante; rileva in proposito come i transiti così effettuati non abbiano tratto in inganno alcuno, avendo i casellanti segnalato all'amministrazione l'abusivo ingresso ed essendo stato questo registrato dal sistema di sorveglianza, sicché l'espediente è risultato inidoneo alla produzione del profitto, non avendo mai la società Autostrade Meridionali perduto il diritto ad ottenere il pagamento del pedaggio; deduce, altresì, che il fatto dovrebbe integrare al più l'illecito amministrativo di cui all'art. 176, C.d.S.

3. Le doglianze sono manifestamente infondate.

Osserva la Corte che la condotta palesemente decettiva (sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo) dell'imputato abbia integrato il delitto di truffa - come correttamente ritenuto dai giudici di secondo grado - tutte le volte in cui l'inganno abbia comportato l'elusione, da parte sua, del pagamento dovuto, elusione nella quale si è, di volta in volta, concretato il danno dell'esercente.

Né vale argomentare che gli artifici siano stati individuati dal sistema di controllo o che l'imputato sia comunque tenuto al risarcimento o alle restituzioni, non avendo l'ente raggirato perso il diritto all'adempimento dell'obbligazione nascente dalla fruizione del servizio reso, trattandosi di elementi del tutto estranei (il primo peraltro meramente eventuale) al perfezionamento del delitto, consumatosi con il conseguimento, da parte dell'agente, dell'ingiusto profitto consistente nell'elusione, al momento dell'uscita, dell'obbligo di pagamento assunto con l'ingresso in autostrada, ed il corrispondente danno del gestore (atto di disposizione patrimoniale di tipo omissivo).

4. Manifestamente infondato, altresì, è il richiamo alla disposizione del codice della strada (art. 176), contemplante un illecito amministrativo che la norma pone in espresso rapporto di sussidiarietà con la violazione penale (Sez. Un. 09.07.1997, Gueli, rv 208219).

5. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

cichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro  1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Rispondi

Da: katy17/12/2014 10:23:24
ma la seconda è insolvenza fraudolente ex art. 641 cp?
Rispondi

Da: Derrick 17/12/2014 10:23:26
belle tracce comunque .. non molto difficili.
Rispondi

Da: Aiutotutti17/12/2014 10:24:00
Per il pedaggio, Cassazione penale 19643 del 2014:
va ribadita la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la fattispecie in esame non integra il delitto di insolvenza fraudolenta di cui all'art. 641 cod. pen. ma il delitto di truffa, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio: infatti, va ritenuta fraudolenta la condotta di chi transita con l'autovettura attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera: Cass. 26289/2007 riv 237150.
Il reato, poi, non può ritenersi depenalizzato, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disposizione di cui all'art. 176 nuovo C.d.S., comma 17, secondo la quale è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale, non ha depenalizzato gli eventuali reati commessi dall'utente
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Da: Deris17/12/2014 10:24:56
per la prima altri suggerimenti??
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Da: dori19811217/12/2014 10:25:07
Qual è la sentenza più corretta da applicare alla fattispecie?
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Da: Lecce17/12/2014 10:25:26
Ragazzi non riesco a trovare il testo della sentenza del 2014
se la trovate postate.
Insolvenza fraudolenta per l' automobilista che non paga il pedaggio autostradale dopo aver ritirato il talloncino al casello in entrata!

Chi, al casello autostradale, ritira il talloncino di ingresso, ma poi non paga il relativo pedaggio e/o le spese ulteriori dovute a causa dell'omesso versamento, non compie un semplice illecito civile (ossia un inadempimento contrattuale), bensì un vero e proprio reato. Si tratta, in particolare, della cosiddetta "insolvenza fraudolenta" che scatta ogni qualvolta qualcuno, nascondendo la propria incapacità a poter pagare, contragga ugualmente un'obbligazione e, poi, non la adempia integralmente.

Nel caso dell'automobilista, l'obbligo di pagare il pedaggio nasce già al momento della consegna del talloncino al casello autostradale di ingresso.

A tali severe conclusioni è giunta una sentenza recentissima della Cassazione . (Cass. sent. n. 11745 dell'11.03.2014)

La pena prevista, in questi casi, dalla legge non è di poco conto. Si tratta, in particolare, della reclusione fino a due anni o della multa fino a 516 euro.

Esiste però un modo per evitare tale sanzione e, con essa, chiudere anche il procedimento penale a proprio carico che ne è derivato: è necessario pagare il dovuto, ossia adempiere all'obbligazione fino all'ultimo centesimo, comprese le spese accessorie. A tal fine, bisognerà dare la prova al giudice di aver pagato tali somme prima della condanna definitiva!
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Da: Derrick 17/12/2014 10:26:02
la seconda è sia insolvenza che truffa. Poi c'è il vincolo della continuazione ex art. 81 2 c. c.p.

In riferimento alla condotta dell'imputato che per molte volte si presenta al casello autostradale dichiarando di non avere denaro e in altre occasioni si accoda a veicoli che lo precedono per non pagare il pedaggio, la reiterazione delle condotte dissimulatorie unitamente al persistente inadempimento sono elementi che inducono a ritenere che l'intento di non adempiere fosse già maturo nel soggetto alla guida del veicolo sin dal momento della stipula del contratto avvenuta "per facta concludentia" (confermata la condanna per insolvenza fraudolenta e truffa).

Cassazione penale, sez. II, 17/10/2012, n. 44140
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Da: pink8417/12/2014 10:26:12
come v sembrano le tracce?
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Da: fabrix8717/12/2014 10:27:44
La prima traccia è di una facilità imbarazzante.
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Da: ti84 17/12/2014 10:28:50
scusate ma per la prima traccia, sicuri che sia questa la sentenza? Cass. pen., sez. VI, 07-11-2013, n. 5496.
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Da: asg17/12/2014 10:31:38
per la prima non è questa????
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 14 marzo 2014, n.12228
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Da: Jac17/12/2014 10:32:03
Ragazzi, soprattutto penalisti, potete suggerire uno schema di parere? magari per entrambi..enumerando i reati che andrebbero trattati
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Da: asg17/12/2014 10:33:46
Il reato di cui all'art. 317 cod. pen., come novellato dalla legge n. 190 del 2012, è designato dall'abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o, più di frequente, mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario, che, senza alcun vantaggio indebito per sé, è posto di fronte all'alternativa secca di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell'indebito.

2. Il reato di cui all'art. 319-quater cod. pen., introdotto dalla legge n. 190 del 2012, è designato dall'abuso induttivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, vale a dire da una condotta di persuasione, di suggestione, di inganno (purché quest'ultimo non si risolva in induzione in errore sulla doverosità della dazione), di pressione morale, con più tenue valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione.

3. Nei casi c.d. ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine tra la concussione e l'induzione in debita (la c. d. "zona grigia" dell'abuso della qualità, della prospettazione di un male indeterminato, della minaccia-offerta, dell'esercizio del potere discrezionale, del bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale), i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica all'interno della vicenda concreta, individuando, all'esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti.

4. V'è continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale, tra la previgente concussione per costrizione e il novellato art. 317 cod. pen., la cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale, alla prima, con l'effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla vecchia norma.

5. L'abuso costrittivo dell'incaricato di pubblico servizio, illecito attualmente estraneo allo statuto dei reati contro pubblica amministrazione, è in continuità normativa, sotto il profilo strutturale, con altre fattispecie incriminatrici di diritto comune, quali, a seconda dei casi concreti, l'estorsione, la violenza privata, la violenza sessuale (artt. 629, 610, 609-bis, con l'aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 9, cod. pen.).

6. Sussiste continuità normativa, quanto alla posizione del pubblico agente, tra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 cod. pen. e il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater cod. pen., considerato che la pur prevista punibilità, in quest'ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttura dell'abuso induttivo, ferma restando, per i fatti pregressi, l'applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma.

7. Il reato di concussione e quello di induzione in debita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l'extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l'accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l'incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti.

8. Il tentativo di induzione indebita, in particolare, si differenzia dall'istigazione alla corruzione attiva di cui all'art. 322, commi terzo e quarto, cod. pen., perché, mentre quest'ultima fattispecie s'inserisce sempre nell'ottica di instaurare un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti, diretto al mercimonio dei pubblici poteri, la prima presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione, avanzando una richiesta perentoria, ripetuta, più insistente e con più elevato grado di pressione psicologica rispetto alla mera sollecitazione, che si concretizza nella proposta di un semplice scambio di favori.
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Da: Lecce17/12/2014 10:33:46
D'accordo con Derrick ritengo che le sentenze siano la 11745 del 11-03-2014 e la 19643 del 2014.
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Da: nori 17/12/2014 10:33:50
FABRIX 87, se è così "facilmente imbarazzante", perchè non proponi una soluzione con tanto di schema per il parere?
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