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14 dicembre 2017: Atto giudiziario PENALE
384 messaggi, letto 26584 volte

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Da: cv1714/12/2017 11:28:38
concordo
Rispondi

Da: Pisellino58 14/12/2017 11:29:58
io e patroclo79 stiamo lavorando
Rispondi

Da: speranzoso14/12/2017 11:31:26
Grazie infinite!!
Rispondi

Da: raga è questa..Iuris et de iure..14/12/2017 11:32:55
All'uscita di una discoteca Tizio, già condannato con sentenze irrevocabili per delitti di rapina aggravata commessa nel 2009 e di furto commesso nel 2015, urta involontariamente Caio che, per tutta risposta, reagisce colpendolo al viso. Ne nasce tra i due una violenta colluttazione nel corso della quale Tizio, afferrato all'improvviso un tubo di ferro rinvenuto casualmente a terra, colpisce Caio più volte alla testa. Caio si accascia a terra privo di sensi, cominciando a perdere molto sangue, mentre Tizio si allontana per andarsi a sedere poco più in là.

Trasportati entrambi al più vicino nosocomio, mentre a Tizio vengono diagnosticate plurime ecchimosi a Caio vengono diagnosticate, oltre a plurime ecchimosi, anche una ferita lacero contusa alla regione temporale sinistra nonché la frattura dell'avambraccio destro e del setto nasale, con prognosi riservata.

Sottoposto a procedimento penale, Tizio viene condannato per il delitto di tentato omicidio con recidiva specifica reiterata  infraquinquennale, alla pena di anni 15 di reclusione, così ottenuta: pena base anni 9, aumentata di anni 6 per la recidiva.
Il candidato assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l'atto di appello avverso la citata sentenza di condanna.

BUON LAVORO A TUTTI
Rispondi

Da: xxx14/12/2017 11:33:36
filano1995, centra e come ! se solo conoscessi la giurisprudenza...
Rispondi

Da: traccia14/12/2017 11:34:27
avevamo conferme anche per l'altra traccia
Rispondi

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Da: xxx14/12/2017 11:38:12
oltre all'appello (discoteca), l'altra qual'è?
riesame mis caut reali diffamazione mezzo stampa -stampa on line ? oppure l'appello su 572???
Rispondi

Da: Marek8989 14/12/2017 11:38:55
Orario di consegna a Napoli?
Rispondi

Da: GiuliaAvv. per XXX 14/12/2017 11:39:21
In quale universo dettano più di una traccia a materia?
Rispondi

Da: mariolina87 14/12/2017 11:40:02
Napoli consegna ore 17.00
Rispondi

Da: Maruz14/12/2017 11:41:44
Pisellino puoi dirmi su quali argomenti ti stai concentrando? così mi metto a lavoro anche io! non mi pare ci siano sentenze che escludano il tentato omicidio in questi casi... pensavo all'attenuante della provocazione, che dite?
Rispondi

Da: Accursio07814/12/2017 11:42:34
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione penale Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 13/01/2016
n. 9142
Classificazioni: CIRCOSTANZE DEL REATO - Circostanze speciali o a effetto speciale: delitti commessi al fine di agevolare un'associazione mafiosa o avvalendosene (art. 7 d.l. [152/91] con - v. in l. [203/91])
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO  Silvio
Dott. DE MASI    Oronzo
Dott. MOCCI      Mauro
Dott. DI NICOLA  Vito
Dott. GAI        Emanuela -  rel. Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:
                     sentenza
sul ricorso proposto da:
-  Presidente   -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
1.
2.
3.
4.
avverso la sentenza del 03/03/2015 della Corte d'appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Emanuela Gai;
udito   il  Pubblico  Ministero,  in  persona  Sostituto  Procuratore
generale  Dr. Baldi Fulvio che ha concluso chiedendo il  rigetto  dei
ricorsi;
udito  per l'imputato     B. l'avv. Adami Giovanni che ha  concluso
chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 3 marzo 2015, la Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato la condanna inflitta a B. V., G.T., D.G.I., in relazione al reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis e comma 6, art. 80, comma 2 e D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, in relazione all'acquisito, detenzione e trasporto di un ingente quantitativo, pari a Kg 18, di hashish, trasportato da (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009.
In particolare, il giudice di secondo grado ha rilevato, dopo aver richiamato per relationem le motivazioni della sentenza del Giudice di primo grado, che il giudizio di responsabilità penale nei confronti dei ricorrenti, in relazione all'acquisito, detenzione di un ingente quantitativo pari a Kg 18 di hashish, trasportato da Milano a Torre del Greco, luogo ove era stato custodito nel garage di BI.An., tra (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009, è fondato su solidi elementi di prova, come evidenziato dal primo giudice, costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I., capo dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco, e di C.F., suo braccio destro, dichiarazioni intrinsecamente attendibili perchè precise, dettagliate etero e anche autoaccusatorie, vicendevolmente riscontrate, e dalle risultanze delle operazioni di intercettazione telefonica che consentivano di ripercorrere tutte le varie fasi della vicenda, dal viaggio a Milano all'arresto del BI.An..
   B.V., nato a (OMISSIS);
BI.An., nato a (OMISSIS);
G.T., nato a (OMISSIS);
D.G.I., nato a (OMISSIS);
Nei confronti di tutti i ricorrenti la Corte d'appello ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante

di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, avendo costoro agito allo scopo di agevolare il clan camorristico D.G., la circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 per aver partecipato alla commissione del reato in numero superiore a tre, ed esclusa la configurabilità dell'ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e confermata la ritenuta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, in capo al D.G., ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato le condanne inflitte a B.V., G.T., D.G. I..
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi BI.An., personalmente; l'Avv. Sergio Mazzone, difensore di fiducia di D. G.I.; l'Avv. Giovanni Adami, difensore di fiducia di B.V.; l'Avv. Antonio Gravante, difensore di fiducia di G.T. e ne hanno chiesto l'annullamento per i seguenti motivi, in parte comuni a tutti i ricorrenti, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Il ricorrente BI.An. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza a carico del medesimo della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, non ricorrendone i presupposti applicativi non essendo neppure provata l'esistenza del clan camorristico D.G., e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione, non avendo, la corte territoriale, motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'applicazione della circostanza aggravante di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 6 non essendo provata in capo al ricorrente la conoscenza che il reato era stato commesso da persone in numero superiore a tre in concorso tra loro, non essendo sufficiente il mero dato storico della presenza di almeno tre persone.
Con il terzo e quarto motivo, deduce la violazione della legge penale in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. avuto riguardo al trattamento sanzionatorio ancorato quale pena base di anni cinque e dunque quasi al massimo edittale e la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistente recidiva specifica e infraquinquennale, in realtà insussistente essendo la sentenza, a cui si riferisce la contestata recidiva, passata in giudicato nel 2011 e dunque dopo il fatto, oggi giudicato del 2009, con conseguente illegittimo aumento di pena.
Con il quinto motivo deduce la violazione della legge penale con riferimento all'art. 240 c.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexsies e vizio di motivazione avendo la corte d'appello omesso di considerare le allegazioni difensive sulle fonti lecite e proporzionate di reddito di guisa che il provvedimento ablatorio è privo di motivazione.
2.2. Il difensore di D.G.I. deduce la violazione di legge in relazione alla corretta applicazione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 e il vizio di motivazione per non aver applicato nella massima estensione l'attenuante pur avendo affermato il rilevante apporto collaborativo del ricorrente sin dall'inizio delle indagini preliminari; la violazione di legge in relazione alla applicazione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. su cui non vi è alcuna risposta da parte del giudice d'appello, e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena avendo fatto semplice richiamo all'art. 133 c.p..
2.3. Il difensore di B.V. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza, a carico del medesimo, della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione sul punto, non avendo la corte territoriale motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente che è un soggetto totalmente estraneo all'organizzazione criminale, circostanza questa che richiede un maggior rigore nella verifica della stessa aggravante e puntuale e rigorosa motivazione, non potendo questa essere soddisfatta dall'affermazione del carattere oggettivo della circostanza medesima dovendo sempre verificarsi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, in capo al soggetto agente, la

consapevolezza ovvero l'ignoranza per colpa. Deduce, poi, la motivazione carente circa la sussistenza della citata aggravante perchè ritenuta sussistente sulla base di mere congetture (devono averlo messo al corrente della caratura criminale del D.G.) o circostanze contraddittorie (l'essersi presentato il B. armato all'incontro con il D.G.).
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale fondata su dichiarazioni prive di riscontro, ex art. 192 c.p.p., trattandosi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e stante l'assenza di intercettazioni dirette nei confronti del B. e l'omessa considerazione delle circostanze documentali che dimostrerebbero l'inattendibilità dei collaboratori di giustizia. In particolare sarebbero smentite le dichiarazioni rese da G.T. sulla presenza della moglie, unitamente al B., durante la visita del secondo a (OMISSIS), parimenti sarebbe smentita la dichiarazione circa il fatto che il B. fosse titolare di discoteche nell'hinterland milanese e gestore di un rent a car, su cui la corte non ha motivato congruamente. Lamenta poi il ricorrente l'omessa motivazione da parte della Corte d'appello della circostanza, emersa da un'intercettazione ambientale (che non risulta prodotta agli atti) registrata durante la traduzione dei detenuti G. e B. all'udienza, nella quale il primo avrebbe minacciato il secondo di fare "certe dichiarazioni", circostanza questa che inficia l'attendibilità del dichiarante le cui dichiarazioni frazionate richiederebbero un più penetrante giudizio e motivazione circa la sua attendibilità.
Con il terzo e quarto motivo deduce la violazione di legge in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena assestata in cinque anni e dunque prossima al massimo edittale di pena in assenza di perizia che attesti il principio attivo della sostanza stupefacente.
2.4. Il difensore di G.T. deduce la violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione del reato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per aver la corte d'appello escluso la riqualificazione con affermazioni generiche senza richiamo al tipo di sostanza stupefacente e il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena per avere la corte d'appello richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, per relationem, senza confutare le specifiche doglianze svolte nei motivi di appello.
Infine, deduce, il vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit per non aver la corte d'appello motivato sulla sussistenza in capo al ricorrente G. della circostanza in oggetto non potendo valere la motivazione riferita alla posizione degli altri ricorrenti.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Preliminarmente il Collegio evidenzia che l'istanza di rinvio di udienza per impedimento dell'avv. Gravante deve essere respinta atteso lo stato di detenzione in carcere dei ricorrenti e l'assenza di documentazione circa l'assoluto impedimento a comparire per concomitanti impegni professionali di cui non è dimostrata la precedenza dell'impegno rispetto all'odierno processo, così come risulta sfornita di prova l'impossibilità di nominare sostituti processuali.
5. Nel merito, va premesso che, secondo l'orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, è ammessa la motivazione del provvedimento con espresso richiamo per relationem alla motivazione di altro provvedimento, ancorchè non allegato o non trascritto nel provvedimento impugnato, purchè conosciuto o agevolmente conoscibile dall'interessato. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. Sez. U del 21/06/2000, n. 17 Primavera, Rv. 216664), hanno enucleato i requisiti necessari affinchè la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale possa essere considerata legittima, evidenziando che la motivazione: 1) deve fare riferimento, recettizio

o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua, adeguata rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) deve fornire la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve essere conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quantomeno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione, requisiti che sono stati ribaditi in pronunce più recenti sicchè deve ritenersi ormai principio consolidato quello della legittimità della motivazione per relationem in presenza dei requisiti sopra evidenziati.
Dunque, non è sufficiente il mero richiamo tout court all'altro provvedimento, ma è necessario che il giudice dia conto di aver preso in considerazione le censure mosse al provvedimento impugnato ed abbia dato congrua motivazione sul richiamo alla motivazione per relationem; dunque, dimostri una non supina ed immotivata adesione al precedente provvedimento. Del resto l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non può ritenersi soddisfatto dal mero richiamo posto che il giudice dell'impugnazione è tenuto ad esaminare le singole censure mosse da colui che impugna il provvedimento e a dare conto delle ragione per cui le stesse vengono disattese. Con la precisazione che qualora le censure sollevate siano mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni genetiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013 Autieri, Rv. 257056; sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008 Baretti, Rv. 239735).
Siffatto principio va riaffermato e condiviso, e va ribadito il principio secondo cui l'integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado è legittima e non comporta il vizio di motivazione, soltanto se nella sentenza d'appello sia riscontrabile un nucleo di argomentazione da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all'esame delle censure dell'appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice dovendo l'ambito dell'autonoma valutazione del giudice d'appello essere correlato alla consistenza e qualità delle censure mosse dall'appellante.
6. Ciò posto, deve preliminarmente esaminarsi, per ragioni logiche, il secondo motivo dedotto dalla difesa di B.V. di violazione di legge penale, processuale e vizio di motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente contestata in ragione della ritenuta inattendibilità dei dichiaranti.
La vicenda, come ricostruita dal giudice di primo grado e confermata dalla Corte d'appello, trae origine dal sequestro, avvenuto in data (OMISSIS), di Kg 18 di hashish nel garage nella disponibilità di BI.An. in (OMISSIS). Le successive indagini svolte e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I. e C.F. avevano, poi, delineato compiutamente l'episodio contestato consistito nell'acquisito della sostanza stupefacente in Milano da B.V. e G.T., stupefacente che poi era stato trasportato a Torre del Greco, ove, nel garage di BI. A., era stato ritenuto il 18 luglio del 2009. La corte territoriale riporta puntualmente il racconto dei collaboratori D. G.I. e C.F. (coimputato non ricorrente), protagonisti della vicenda in prima persona e dunque a conoscenza diretta dei fatti. Costoro si erano recati in Milano, in quanto il D.G. era alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, qui aveva trattato l'acquisito di droga (dapprima l'acquisito era di cocaina, mentre poi avevano concluso l'acquisto dell'hashish) dal fornitore milanese B.V., indicato da Z.G., originario di Torre del Greco ma trasferitosi nel milanese (coimputato non ricorrente); l'acquisto non venne immediatamente concluso in quell'occasione, tant'è che venne lasciata a Milano l'autovettura opportunamente modificata per consentire l'occultamento della droga. Successivamente il B. e il G. si erano recati in Torre del Greco ove il primo si erà fatto consegnare un orologio marca Rolex che il D.G. indossava, a titolo di acconto; era poi seguita la consegna dei

Kg 18 di hashish che il G. aveva consegnato al D.G. che, a sua volta, aveva consegnato al BI., uomo di fiducia del D.G., per l'occultamento. La corte territoriale ha argomentato l'attendibilità intrinseca dei dichiaranti che, in quanto partecipi in prima persona, erano a conoscenza diretta dei fatti, ed ha fondato il positivo giudizio di attendibilità sulla concordanza assoluta della narrazione delle circostanze fondamentali del viaggio e della trattativa che ha portato all'acquisito della sostanza stupefacente.
Ha messo in evidenza, la corte, che essendo il D.G. esponente di spicco dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco e il C. persona a lui vicina, erano una fonte particolarmente affidabile per la conoscenza diretta dei fatti. Ha ritenuto significativa la circostanza che i predetti non avevano avuto alcuna remora ad ammettere le proprie responsabilità nella vicenda, e dunque le dichiarazioni non erano solamente eteroaccusatorie. Infine ha individuato i riscontri esterni nelle risultanze delle operazioni di intercettazione che hanno fotografato la vicenda e nell'ammissione di alcuni imputati ( BI.An. e G.T.). Ha spiegato come le minime divergenze, quale il nome di battesimo errato del G. poi riconosciuto, non minassero l'attendibilità complessiva del racconto, ha argomentato con logicità sui rilievi mossi dalla difesa del B. circa l'assenza di accertamenti sulle discoteche del milanese, ritenuti non pertinenti e sulla presenza/assenza della di lui moglie anch'essa priva di rilievo decisivo. In conclusione, il percorso logico attraverso il quale i giudici del merito sono pervenuti all'affermazione della responsabilità dei ricorrenti per l'acquisito e trasporto dello stupefacente come contestato è congruo e logicamente motivato ed è conforme a diritto. Non sussiste, pertanto, il vizio di motivazione e la violazione di legge penale dedotto, quale secondo motivo, dalla difesa di B.V..
7. Le difese di BI.An., B.V., G. T. hanno dedotto, quale motivo comune, la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla ricorrenza dell'aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1, convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203. La difesa del BI. deduce, in particolare, l'omessa motivazione da parte della corte territoriale non essendo rinvenibile, in tutta la sentenza, alcun riferimento alle ragioni per le quali il BI. avrebbe agevolato l'associazione mafiosa. L'omessa motivazione è altresì dedotta dalla difesa del G.. La difesa del B. pone l'accento sulla circostanza che, essendo il ricorrente estraneo al clan D.G., la corte avrebbe dovuto argomentare con maggior rigore la sussistenza dell'aggravante nei suoi confronti, soprattutto con riguardo al profilo soggettivo dovendosi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, accertare se il B. fosse a conoscenza ovvero la ignorasse per colpa o la ritenesse per errore determinato da colpa.
8. Deve premettersi che ai ricorrenti è contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit. sotto il profilo della c.d.
agevolazione mafiosa. Non v'è dubbio che, a differenza dell'aggravante dell'uso del metodo mafioso, anch'essa contemplata nel citato art. 7, la prima debba essere qualificata quale circostanza soggettiva perchè incentrata su una particolare motivazione a delinquere desumibile dalla direzione finalistica della condotta, ossia dell'agevolare l'associazione mafiosa. Peraltro, in entrambe le ipotesi contemplate, la detta circostanza aggravante è applicabile in quanto conosciuta o ignorata per colpa o ritenuta insussistente per errore determinato da colpa (art. 59 c.p.), e, mentre la sola circostanza dell'uso del metodo mafioso, di natura oggettiva, si comunica ai concorrenti nel delitto anche quando questi ultimi non siano consapevoli della finalizzazione dell'azione delittuosa a vantaggio di un'associazione di stampo mafioso, quella dell'agevolazione mafiosa non si estende agli eventuali concorrenti nel reato ai sensi dell'art. 118 c.p..
Va, al proposito, evidenziato che la corte territoriale afferma la natura oggettiva della circostanza, in premessa, con richiamo di un arresto risalente al 2012; affermazione che non può essere condivisa alla luce della più recente e maggioritaria giurisprudenza della Corte di legittimità (Sez. 3, n. 36364 del 20 maggio 2015, Mancuso non massimata). In adesione al risalente orientamento argomenta la sussistenza dell'aggravante in capo a tutti gli imputati perchè, come riferito dai collaboratori di giustizia, l'acquisto di droga rientrava nella programmazione dell'attività del clan

camorristico D.G., e il G., originario di Torre del Greco, era perfettamente a conoscenza della caratura criminale del D.G. I. come riferito nel corso del suo interrogatorio. Quanto al B., argomenta la corte, che durante la permanenza in Milano del D.G. e dello Z., in occasione delle trattative volte all'acquisto di stupefacente, "costoro dovevano avere messo al corrente il primo della qualità di capo dell'omonimo clan del D. G.". Prova ne è che il B. si era recato all'appuntamento con il D.G. armato di pistola e quindi poteva rendersi conto della caratura criminale del D.G..
Tale motivazione è da censurare perchè in larga misura carente e assertiva, e comunque fondata su presupposti giuridici errati. Ciò che appare certo è che la finalità agevolatrice, perseguita dall'autore del delitto, deve essere oggetto di rigorosa verifica in sede di formazione della prova sotto il duplice profilo della prova della condotta agevolatrice ossia la prova che il reato sia stato commesso al fine specifico di favorire l'attività dell'associazione mafiosa (Sez. 2, n. 24753 del 09/03/2015, Rv. 264218; Sez. 1, n. 2667 del 30/01/1997 Rv. 207178) e la consapevolezza dell'ausilio all'associazione mafiosa o camorristica, sussistente anche qualora l'autore del reato persegua un ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso (Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262713), onde evitare il rischio della diluizione nella semplice contestualità ambientale. Come già affermato dalla Corte di legittimità, l'aggravante di cui al citato art. 7, postula che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, ed implica necessariamente l'esistenza reale e non più semplicemente supposta di questa, essendo impensabile un aggravamento di pena per l'agevolazione dell'attività di un'entità solo immaginaria. Ne consegue che l'aggravante in esame postula l'esistenza effettiva di una associazione avente i caratteri di cui all'art. 416 bis c.p. di cui deve essere data dimostrazione (Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013 BI., Rv 257240; Sez. 1, n. 1327 del 18/03/1994, Torcasio, Rv.
197430);a ciò non opponendosi la diversa pronuncia (Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Pagano Rv 260007) secondo cui l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, per la sua stessa natura giuridica, prescinde dalla effettiva sussistenza di una specifica associazione criminosa. Tale contrasto è, in realtà, solo apparente, posto che l'affermazione, riportata anche nella massima reperibile sul CED, è stata resa in un contesto nel quale la Corte di legittimità aveva affermato il principio secondo il quale l'aggravante può sussistere anche per l'estraneo al contesto mafioso che pone in essere un reato per agevolarne l'associazione che era nata da una scissione di un noto clan camorristico, anche se non ancora perfettamente autonoma da questo. La giurisprudenza di legittimità, infatti, dopo aver affermato il principio secondo cui un delitto aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7 può anche essere commesso da un soggetto non inserito in nessuna compagine associativa (Sez. 5, n. 45711 del 02/10/2003), ha sottolineato come la ratio dell'aggravante non è solo quella di aggravare la pena per l'affiliato che utilizzi metodi mafiosi ovvero agisca al fine di agevolare associazioni mafiose, ma anche di reprimere il comportamento di chi agisca con quello specifico metodo, ovvero dia un contributo al raggiungimento dei fini di un'associazione mafiosa pur non essendovi organicamente inserito.
Ciò che conta è la specifica finalità con cui si agisce da cui la configurabilità dell'aggravante anche nei confronti del reato commesso dall'estraneo al sodalizio criminoso.
Ciò posto, la corte territoriale, nell'affermare la natura oggettiva dell'aggravante in questione, ha disatteso i principi ermeneutici che il Collegio intende confermare e ribadire. Ha, poi, argomentato in maniera insufficiente la configurabilità dell'aggravante nei confronti dei ricorrenti fondata su affermazioni assertive - "devono averlo messo al corrente della qualità di capo dell'omonimo clan" - quanto alla posizione di B.V., soggetto estraneo all'associazione camorristica del D.G., e " G.T. e Z.G., originari di Torre del Greco, erano perfettamente al corrente della caratura delinquenziale del D.G.". Anche la circostanza che il B. andò all'incontro, con il D.G. armato non è, di pe sè, dimostrativa della conoscenza dell'appartenenza del D.G. ad un'associazione mafiosa, atteso che nell'incontro le parti trattavano l'acquisito di una partita di droga, reato non necessariamente costituente programma criminoso di un'associazione mafiosa. La sentenza impugnata va annullata sul punto nei confronti di G.T. e B.V.. Con riferimento alla posizione del B. la corte territoriale

dovrà compiere un novo esame attenendosi al principio secondo cui in tema di reati di criminalità organizzata, la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991, può qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un'associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale (Sez. 6, n. 2696 del 13/11/2008 P.M. in proc. D'Andrea, Rv. 242686).
Infine, nella sentenza impugnata non si rinviene un nucleo motivazionale con riguardo alla posizione di BI.An., custode della droga ricevuta dal D.G.. La motivazione in punto configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 7 cit. nei confronti del ricorrente è del tutto omessa. Anche per il BI. la Corte d'appello dovrà uniformarsi ai principi sopra evidenziati.
9. Con riferimento aì restanti motivi, osserva il Collegio che manifestamente infondata è la censura, mossa dal ricorrente BI. A., di inosservanza della legge penale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 avendo la corte territoriale fatto corretta applicazione del principio secondo cui in tema di sostanze stupefacenti, perchè possa sussistere l'aggravante del concorso di tre o più persone, occorre che ciascuno dei soggetti coinvolti agisca nell'ambito di una delle condotte previste per l'integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione, o altre), essendo, nel caso in esame, a ciascuno dei partecipi riconosciuto uno specifico ruolo ( B. offre in vendita, Z. intermedia, D.G. acquista e BI. detiene) (Sez. 6, n. 10269 del 21/11/2013 Metani Rv. 261719).
10. Manifestamente infondata è la doglianza proposta da G. T. sul mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, già prospettata nel giudizio di appello e ampiamente vagliata e disattesa dalla corte che ha fatto buon governo dei principii, più volte stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, anche all'esito della formulazione normativa introdotta dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2 (conv. nella L. n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (da ultimo, v. Sez. 3, n. 27064 del 19/03/2014, dep. 23/06/2014, Rv.
259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, dep. 26/09/2013, Rv.
256610). In applicazione di tale regula iuris, la corte d'appello ha correttamente ritenuto, confermando la decisione del giudice di primo grado, di escludere che la lesione del bene giuridico protetto fosse di lieve entità, facendo riferimento, con motivazione immune da vizi logico-giuridici in questa sede rilevabili, ai dati inerenti al dato ponderale significativo pari a Kg 18 di hashish, significativo di collegamenti con i fornitori ad un livello elevato, alla circostanza, inerente alle modalità dell'azione per cui il fatto complessivamente considerato desta elevato allarme sociale. In definitiva la sentenza impugnata ha, con motivazione adeguata, coerente e immune da vizio logico, escluso la ricorrenza di un fatto di lieve entità, e dimostra di aver autonomamente esposto le ragione del diniego, del che è da escludersi l'ulteriore censura dell'omessa motivazione.
11. Parimenti, manifestamente infondati sono i motivi in punto trattamento sanzionatorio, diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche svolti dal BI., G. e D.G..
Nei confronti del primo la corte d'appello ha rideterminato la pena riducendola, pur confermando il diniego di concessione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. con richiamo alla gravità del fatto e alla pericolosità desunti dai precedenti penali e dunque con motivazione immune da vizio logico; il G. si limita ad invocare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed il contenimento della pena inflitta sulla scorta di considerazioni del tutto generiche. Quanto al B. la

conferma del trattamento sanzionatorio è ancorata alla gravità del fatto e al ruolo del medesimo nella vicenda, elementi su cui fonda il diniego delle circostanze attenuanti generiche, dunque la motivazione è adeguata ed è incensurabile in sede di legittimità. Quanto al D.G. osserva la corte che non è possibile addivenire ad un trattamento sanzionatorio più mite giacchè il giudice di primo grado, nella determinazione della pena, aveva omesso l'aumento di pena per l'aggravante di cui alla L. n. 231 del 1991, art. 7, avendola elisa con l'attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 la cui misura, non nel massimo come vorrebbe il ricorrente, è legale e non presenta profilo di illogicità nella sua determinazione nel range previsto. Infine le circostanze attenuanti generiche al D. G. sono state concesse già dal giudice di primo grado.
Infine è inammissibile ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, perchè non devoluta nei motivi di appello, la dedotta violazione di legge con riferimento all'aumento di pena per la ritenuta recidiva in capo a BI.An..
12. Infine le doglianze contenute nel ricorso del BI. relative all'insussistenza dei presupposti dell'operata confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies sono in parte del tutto generiche ed in parte infondate. Va premesso che all'imputato, sono stati confiscati, ai sensi della L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, beni immobili e autovetture dei quali non ha giustificato la provenienza e di cui risulta avere la disponibilità, aventi un valore sproporzionato rispetto alle capacità reddituali sue e del suo nucleo familiare. La vicinanza del BI. al capo clan D.G., con cui era in affari di droga, e la circostanza che i redditi famigliari non avrebbero consentito gli acquisiti effettuati, sono elementi che la corte ha valutato per confermare il provvedimento di sequestro a fronte del quale il ricorrente oppone generiche affermazioni comprovanti le fonti di reddito lecite non supportate da documenti e/o altri elementi. La genericità del motivo rende lo stesso inammissibile.
13. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 nei confronti di BI. A., B.V. e G.T. con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
14. Il ricorso di D.G.I. deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di D.G.I. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di BI.An., B.V. e G.T. limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. 203 del 1991, art. 7 e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2016.
Rispondi

Da: Pisellino58 14/12/2017 11:43:40
si stiamo pensando pure noi a questo ma anche alle lesioni personali così da derubricare il tentato omicidio
Rispondi

Da: carmenreginadellapace14/12/2017 11:44:39
per cortesia mi dici con sicurezza se è questa...te ne prego
Rispondi

Da: Pisellino58 14/12/2017 11:46:54
cristo santo è quella che ho scritto prima mi è arrivata per foto quante volte lo dobbiamo dire
Rispondi

Da: Nio14/12/2017 11:54:36
Eccesso colposo legittima difesa -> lesioni personali colpose con attenuante della provocazione, posta in bilanciamento con la recidiva (peraltro aspecifica)
Rispondi

Da: avv.7514/12/2017 11:56:38
Invece di di essere così banalmente cattivi, aiutate il prossimo. Non costa nulla.
Rispondi

Da: Filano199514/12/2017 12:06:32
@xxxx se solo conoscessi l'italiano.....
Rispondi

Da: Michele29128014/12/2017 12:06:57
Che pena mi fanno quello che criticano ed addirittura postano cose per disturbare.... se siete colleghi vi compiatisco evidentemente siete così sfigati e disperati da avere terrore nella concorrenza di questi ragazzi che fanno l'esame
Rispondi

Da: rogiy14/12/2017 12:07:05
prescrizione  di anno dalla consegna ex art. 2951 c.c.
Rispondi

Da: Pisellino58 14/12/2017 12:08:42
@Nio secondo noi è più lesioni aggravate che eccesso colposo di legittima difesa, cmq ci ragioneremo sopra
Rispondi

Da: per aiutare14/12/2017 12:17:30
ragazzi c'è una sentenza di riferimento?
Rispondi

Da: XXX13 14/12/2017 12:19:45
Ben detto Michele291280
Rispondi

Da: cv1714/12/2017 12:21:39
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20160121/snpen@s60@a2016@n02347@tS.clean.pdf
Rispondi

Da: roby-----8214/12/2017 12:26:22
a primo impatto:
- derubricare in lesioni
- rideterminare la pena per applicazione dell'art 62 cp
- considerare la desistenza..art.56 comma 3 in quanto dopo che Caio si accascia.. Tizio si allontana.. e questo fa cadere il tentato omicidio.
- applicazione della recidiva sulle lesioni

questo potrebbe essere un primo ragionamento.. che ne dite?
Rispondi

Da: rts14/12/2017 12:28:29
raga eccesso colposo. se applichiamo la scriminante della legittima difesa la situazione cambia
Rispondi

Da: patroclo79 14/12/2017 12:29:03
Più o meno, ho fatto lo stesso ragionamento. Ma sentenze???
Io ho trovato solo questa, ma non so se va bene al 100%
"Nell'ipotesi dell'omicidio solo tentato, ai fini dell'accertamento della volontà omicidiaria assume valore determinante l'idoneità dell'azione che va apprezzata in concreto sulla base di una prognosi formulata ex post. Ne consegue che ricorre la fattispecie di tentato omicidio, e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma impiegata e specificamente l'idoneità offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal colpo di arma e la profondità della ferita inferta inducano a ritenere la sussistenza in campo al soggetto agente del cosiddetto "animus necandi".
Rispondi

Da: rts14/12/2017 12:30:15
12813 2017
Rispondi

Da: avv.7514/12/2017 12:30:52
roby-----82   
a primo impatto:
- derubricare in lesioni
- rideterminare la pena per applicazione dell'art 62 cp
- considerare la desistenza..art.56 comma 3 in quanto dopo che Caio si accascia.. Tizio si allontana.. e questo fa cadere il tentato omicidio.
- applicazione della recidiva sulle lesioni

per me ok
Rispondi

Da: @buffoni14/12/2017 12:32:00
Siete ridicoli
Rispondi

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