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commissario forestale prove scritte
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| Da: Corsista | 21/10/2011 20:28:16 |
| Babà 2, che insolentisce gli altri, vuole impugnare il bando (2008!) con qualche annetto di ritardo. Si vede che ha soldi da buttare; visto che è dirigente scolastico, è un conforto per tutti coloro che aspirano al ruolo perché dimostra: - che lo stipendio consente di scialacquare - che non è difficile innalzare il livello della categoria. In attesa che, oltre i molti altri proficui studi, avvii quello in legge, legga intanto questo stralcio di sentenza del TAR, per tenersi in esercizio per gli orali DT cui presume di poter partecipare: "L'Adunanza plenaria ritiene che l'orientamento, secondo il quale i bandi di concorso, se contenenti clausole immediatamente lesive dell'interesse degli aspiranti al concorso (perché impongono determinati requisiti di partecipazione) devono essere immediatamente e autonomamente impugnati, con conseguente inammissibilità della impugnazione rivolta solo contro il provvedimento di esclusione, costituente atto meramente esecutivo e applicativo del bando, ovvero della impugnazione del bando unitamente al provvedimento di esclusione, ove siano ormai decorsi termini per il ricorso avverso il bando medesimo, debba essere confermato. | |
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| Da: | 23/10/2011 12:34:46 |
| ma basta scrivere queste minchiate, avete notato la figura di MERDA che ha fatto il tutor del 3° alla cerimonia del 15 ottobre?? e per fortuna era arrivato primo al suo corso di commissario( di lecchinaggio paragonabile ad una lumaca)?!?! qui, come sempre, c'è solo il silenzio degli ignavi senza palle (ma raccomandati di piombo attraverso padri illustri - vedi anche "funzionari di riguardo" in abito nero- e parenti vari ) che anzicchè ribellarsi a questo nuovo tutor nipaffino atteggiato (che è molto peggio del suo amico predecessore) atteggiato, raccomandato e servo delle 2/3 stelle e più (ergo figlio e lui stesso leccaculo del sistema entrato grazie al papà), continuano a beffeggiare chi non ha il calcio nel culo e non rientra nelle loro gioienon stando attenti che sono perseguibili anche penalmente, e lì funzionari di riguardo" in abito nero non può nulla!!!!!. ma che schifo!!!!!posti così di merda non ne ho mai visti!!!! | |
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| Da: studiamo un pò di storia: La prima guerra mondiale | 23/10/2011 15:07:38 |
| La prima guerra mondiale, per i contemporanei la Grande guerra, fu il conflitto cominciato il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia a seguito dell'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria, compiuto a Sarajevo il 28 giugno 1914 per mano del nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip, studente affiliato alla Mano Nera. Il conflitto si concluse oltre quattro anni dopo, l'11 novembre 1918, con la resa della Germania, l'ultimo degli Imperi centrali a deporre le armi. La prima guerra mondiale vide inizialmente lo scontro degli Imperi centrali di Germania e Austria-Ungheria contro la Serbia, ma in poche settimane il gioco di alleanze formatosi negli ultimi decenni dell'Ottocento tra gli stati europei comportò l'entrata nel conflitto degli stati dell'Intesa e delle rispettive colonie. Negli anni successivi la guerra raggiunse una scala mondiale, con la partecipazione di molte altre nazioni, fra cui l'Impero ottomano, l'Italia, la Romania, il Giappone, gli Stati Uniti e la Grecia, aprendo così altri fronti di combattimento, sia in terra sia sui mari. Militarmente il conflitto si aprì con l'invasione austro-ungarica della Serbia, e parallelamente, con una fulminea avanzata tedesca in Belgio, Lussemburgo e nel nord della Francia, giungendo a 40 chilometri da Parigi. L'esercito tedesco fu però bloccato dai francesi sul fiume Marna a pochi chilometri da Parigi, in una battaglia che verrà definita "il miracolo della Marna"[1] e che vanificherà le speranze tedesche di una guerra breve e vittoriosa. A quel punto la guerra sul fronte occidentale si trasformò in una lenta e sanguinosa guerra di posizione, dove, al costo di milioni di morti, il numero degli uomini impiegati e le nuove tecnologie messe in campo dalla Triplice Intesa ebbero la meglio sulla superiore organizzazione militare della Germania. Ma sanguinoso fu allo stesso modo l'altro fronte principale della guerra, il fronte orientale, combattuto dagli imperi centrali contro l'esercito russo. Anche in questo caso la guerra di movimento, così magistralmente attuata dall'esercito tedesco nelle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri, si trasformò in una guerra di posizione in grado di mietere milioni di vite. Determinante per l'esito finale del conflitto mondiale fu, al penultimo anno di guerra, l'ingresso degli Stati Uniti d'America, dell'Impero Giapponese e di innumerevoli altre nazioni che, pur non entrando militarmente a pieno regime nel conflitto, grazie agli aiuti economici dispensati agli alleati, si schierarono tutte contro gli imperi centrali facendo pendere definitivamente l'ago della bilancia già dapprima favorevole agli Stati dell'Intesa. La guerra si concluse l'11 novembre 1918, quando la Germania, ultima degli Imperi Centrali a combattere, firmò l'armistizio con le forze dell'Intesa. Dopo l'inizio del 1918, infatti, l'impossibilità di continuare la guerra di posizione spinse gli eserciti tedesco e austro-ungarico a lanciare grandi offensive impegnando tutti i propri uomini, ma vennero fermate. Il numero totale di morti è stato stimato in oltre sedici milioni: alle vittime militari vanno aggiunte le vittime civili, dovute non solo agli effetti diretti delle operazioni di guerra, ma anche alla carestia e alle malattie concomitanti la guerra, ad esempio in Germania, sottoposta al blocco navale degli alleati, la fame provocò migliaia di morti tra la popolazione civile. La guerra fu nello stesso tempo l'ultimo conflitto del passato, ma anche il primo grande conflitto in cui si usarono appieno tutti i mezzi moderni, come aeroplani, mezzi corazzati, sommergibili e le armi chimiche, tra cui il gas. Indice [nascondi] 1 Origini della guerra 2 Lo scoppio della guerra 3 I primi mesi di guerra 4 Il fronte occidentale 4.1 La corsa al mare 4.2 Guerra in trincea 4.3 La Somme e Passchendaele 5 Il fronte orientale e la Russia 5.1 Vittorie tedesche ad est 5.2 La Russia in subbuglio 5.3 La rivoluzione in Russia 6 Partecipazione italiana 6.1 Dalla neutralità all'entrata in guerra 6.2 L'Italia entra in guerra 6.3 Tanti caduti, pochi risultati 6.4 Da Caporetto alla fine della guerra 7 Teatri meridionali 7.1 I fronti ottomani 7.1.1 Premessa 7.1.2 La Campagna del Caucaso 7.1.3 Le campagne degli alleati 7.2 Il fronte serbo 7.3 La Grecia 7.4 Il ruolo italiano 8 Teatri asiatici: il contributo giapponese 9 Rovesciamento delle sorti 9.1 Ingresso degli Stati Uniti 9.2 Offensiva tedesca del 1918 9.3 Vittoria dell'Intesa 10 Fine della guerra 11 Guerra e tecnologia 11.1 I gas tossici e le nuove armi 11.2 Aeroplani e U-Boot 11.3 L'industria ottica 12 La percezione della guerra 13 Caratteristiche distintive della guerra 14 Perdite 14.1 Vittime civili 15 Conseguenze 16 Note 17 Bibliografia 18 Voci correlate 19 Altri progetti 20 Collegamenti esterni Origini della guerra [modifica] Lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 segnò la fine di un lungo periodo della storia europea, durato un secolo ed iniziato nel 1815 con la sconfitta definitiva di Napoleone Bonaparte, senza un conflitto generalizzato che coinvolgesse tutte le grandi potenze europee[2]. Questo lungo periodo di pace era stato una novità per l'Europa, visto che fino alla battaglia di Waterloo ben pochi erano stati gli anni in cui una delle grandi potenze europee non fosse stata impegnata in un conflitto militare. La pace europea dell'inizio del XX secolo tuttavia non aveva basi solide: nel corso dei decenni del XIX secolo vi erano state cinque guerre[3] a carattere limitato che però avevano lasciato intuire quali distruzioni avrebbe portato il massiccio impiego di nuove tecnologie sui campi di battaglia[2]. Fuori dall'Europa le guerre del XIX secolo erano state ancora più sanguinose: la guerra civile americana aveva fatto circa 600.000 morti, mentre la rivolta dei Taiping in Cina aveva fatto milioni di morti nel periodo 1850-1864[2]. La guerra franco-prussiana aveva portato non solo alla fondazione di un potente e dinamico Impero tedesco, ma anche a un'eredità di animosità tra la Francia e la Germania, a seguito dell'annessione a quest'ultima dei territori francesi di Alsazia e Lorena; questa corrente ideologica francese viene denominata con il termine revanscismo[4][5]. Sotto la guida politica del suo primo cancelliere, Otto von Bismarck, la Germania assicurò la sua nuova posizione in Europa tramite l'alleanza con l'Impero austro-ungarico e l'Italia e un'intesa diplomatica con la Russia. L'ascesa al trono nel 1888 dell'imperatore Guglielmo II, portò sul trono tedesco un giovane governante determinato a dirigere da sé la politica, nonostante i suoi dirompenti giudizi diplomatici. Dopo le elezioni del 1890, nelle quali i partiti del centro e della sinistra ottennero un grosso successo ed in parte a causa della disaffezione nei confronti del Cancelliere che aveva guidato suo nonno per gran parte della sua carriera, Guglielmo II fece in modo di ottenere le dimissioni di Bismarck[6]. Gran parte del lavoro dell'ex cancelliere venne disfatto negli anni seguenti, quando Guglielmo II mancò di rinnovare il Trattato di controassicurazione con la Russia (1890), permettendo invece alla Francia repubblicana l'opportunità di concludere (1891-94) un'alleanza con la Russia[7]. Un altro passaggio fondamentale nel percorso verso la guerra mondiale fu la corsa al riarmo navale: Guglielmo riteneva che solo la creazione di una marina militare tedesca avrebbe reso la Germania una potenza mondiale[8]. Nel 1896 fu nominato alla guida della marina imperiale l'ammiraglio Alfred von Tirpitz, mentre nel marzo 1898 il Reichstag approvò la costruzione entro il 1905 di 11 navi da battaglia, 5 incrociatori pesanti e 17 incrociatori leggeri[9]. Tale decisione era una sfida aperta al secolare predominio navale britannico e favorì l'accordo anglo-francese (detto Entente cordiale) del 1904 e l'accordo anglo-russo, che chiudeva un secolo di rivalità fra le due potenze nello scacchiere asiatico[9]. La corsa agli armamenti non si limitò a Regno Unito e Germania, ma si estese al resto d'Europa, con tutte le principali potenze impegnate nello sviluppo della produzione industriale finalizzata alla costruzione di equipaggiamenti ed armi necessari a un possibile conflitto pan-europeo[10]. Tra il 1908 ed il 1913 le spese militari delle potenze europee aumentarono del 50%[11], mentre sia la Francia sia la Germania stavano pianificando di estendere il servizio militare di leva per un periodo di 3 anni (1913)[12]. La rivalità tra le potenze venne esacerbata negli anni ottanta del XIX secolo dalla corsa alle colonie, che portò gran parte dell'Africa e dell'Asia sotto la dominazione europea nel successivo quarto di secolo. Anche Bismarck, un tempo esitante sull'imperialismo[13], divenne ben presto un sostenitore della necessità di un impero tedesco d'oltremare, decidendo una serie di acquisizioni territoriali in Africa e nel Pacifico, che minacciava di interferire con gli interessi strategici e commerciali britannici[14][15]. Il supporto di Guglielmo all'indipendenza del Marocco dalla Francia, il nuovo partner strategico della Gran Bretagna, provocò la crisi di Tangeri del 1905[16]. Durante la crisi di Agadir, la presenza navale tedesca in Marocco mise di nuovo alla prova la coalizione anglo-francese. Un ingrediente chiave dell'emergente polveriera diplomatica fu la crescita delle forti aspirazioni nazionalistiche degli stati balcanici: ognuno dei quali guardava a Germania, Austria-Ungheria o Russia per ottenere supporto. La nascita di circoli anti-austriaci in Serbia contribuì a un'ulteriore crisi nel 1908 riguardante l'annessione unilaterale della Bosnia ed Erzegovina da parte dell'Austria oltre alla pressione tedesca per forzare un umiliante declino da parte della Russia, indebolita dai disordini rivoluzionari originati dalla sconfitta del 1905 contro il Giappone. Lo scoppio della guerra [modifica] Nazioni partecipanti alla prima guerra mondiale: ââ Stati dell'Intesa ââ Imperi centrali Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Attentato di Sarajevo e Crisi di luglio. Lo scoppio della guerra è convenzionalmente associato all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie per mano dello studente serbo Gavrilo Princip il 28 giugno 1914[17]; in ogni caso l'attentato di Sarajevo diede un formidabile Casus Belli all'Austria-Ungheria. All'attentato seguì un periodo di contatti diplomatici fra le potenze europee detto "crisi di luglio". I governi di Austria-Ungheria e Serbia furono i primi ad essere coinvolti nella crisi, visto il convincimento delle autorità austriache che l'attentato fosse stato preparato con la connivenza del governo e di ufficiali serbi[18]. Inoltre a Vienna si riteneva che la sopravvivenza della monarchia asburgica dipendesse dalla soluzione del problema delle minoranze nazionali all'interno dell'impero, pertanto l'attentato era anche un ottimo motivo per eliminare definitivamente l'influenza serba in Bosnia[18]. L'Austria-Ungheria il 23 luglio 1914 inviò alla Serbia un ultimatum, un insieme di dieci richieste quasi inaccettabili, compilate con l'intenzione di provocare la guerra con la Serbia.[19] L'ultimatum richiedeva di smantellare le organizzazioni patriottiche rivolte contro gli austriaci e di permettere la partecipazione di funzionari imperiali alle indagini sull'assassinio. L'ultimatum doveva essere accettato entro 48 ore per evitare gravi conseguenze. Il governo serbo accettò quasi tutte le richieste, rifiutando apertamente solo quella che avrebbe permesso alla polizia austriaca di condurre indagini in territorio serbo. L'Austria ruppe perciò le relazioni diplomatiche il 28 luglio e dichiarò guerra alla Serbia. La Russia, paese vicino alla Serbia politicamente ed etnicamente, mobilitò completamente le sue riserve il 30 luglio. La Germania richiese, invano, che la Russia sospendesse la mobilitazione e il 1º agosto mobilitò le sue forze dichiarando guerra alla Russia e all'alleata di quest'ultima, la Francia, due giorni dopo. Le procedure tedesche di mobilitazione prevedevano, infatti, inevitabilmente la guerra. Dopo l'aggressione tedesca del Belgio, indispensabile per la realizzazione del piano Schlieffen contro la Francia, la Gran Bretagna, il 4 agosto, dichiarò guerra alla Germania. I primi mesi di guerra [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci cronologia della prima guerra mondiale e schieramenti e armamenti nella prima guerra mondiale. Uno squadrone della Hochseeflotte tedesca. L'idea dei generali tedeschi era quella di una guerra lampo che cogliesse impreparato l'esercito francese, che non prevedeva un attacco attraverso il Belgio, che si era dichiarato neutrale. Il piano strategico tedesco per affrontare l'alleanza franco-russa prevedeva di costringere alla resa la Francia in sei settimane (usando una variante del piano Schlieffen), per concentrare poi le forze contro l'esercito russo, che, secondo le previsioni, avrebbe impiegato mesi alla mobilitazione[20]. Nell'agosto 1914 le 7 armate tedesche schierate sul fronte occidentale si misero in azione secondo il piano, ossia un rapido attacco alla Francia condotto attraverso le Ardenne e violando la neutralità del Belgio. Le tre armate sul settore nord (la 1ª, la 2ª e la 3ª armata) avrebbero dovuto avere la meglio sulle forze alleate, raggiungere Parigi ed infine completare la manovra circondando le armate francesi schierate sul confine tedesco, dove stava il sistema principale di fortificazioni allestito dalla Francia.[21] La manovra ebbe inizialmente successo, in modo particolare nella battaglia delle frontiere (14-24 agosto), di modo che i tedeschi poterono continuare l'avanzata verso Parigi. La situazione per gli alleati sembrava volgere al peggio: il 2 settembre il governo francese abbandonava la capitale per trasferirsi a Bordeaux[22], mentre il giorno dopo l'esercito tedesco era a soli 40 km da Parigi[23]. In questa situazione di panico generale - un milione di parigini aveva abbandonato la città[22] - il generale Gallieni, governatore militare di Parigi approntava le difese, avendo a disposizione una nuova armata appena costituita da schierare nel sistema di trincee e fortificazioni che attorniavano la capitale[23]. Tuttavia il 12 settembre, i francesi, con l'aiuto della British Expeditionary Force, bloccarono l'avanzata nemica ad est di Parigi nella prima battaglia della Marna (5-12 settembre). Gli ultimi giorni di questa battaglia segnarono la fine della guerra mobile ad occidente.[21] Anche ad oriente, dove la Germania schierava la sola 8ª Armata con il compito di difendere la Prussia Orientale, non tutto andò secondo le previsioni. La Russia mobilitò più velocemente del previsto e due armate invasero la Prussia Orientale, obbligando i tedeschi a spostare verso oriente i rinforzi previsti per il fronte occidentale. La Germania sconfisse duramente la Russia nelle battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri, ma questa diversione di forze fu decisiva per fermare l'avanzata tedesca su Parigi. Al termine dei primi due mesi di guerra, svanì l'illusione di una rapida guerra e gli Imperi Centrali furono costretti a combattere un'inevitabile e logorante guerra su due fronti. La prima occupazione alleata del territorio nemico fu in Africa dove le forze britanniche attaccarono e catturarono la sede amministrativa tedesca dell'odierna Namibia, al tempo colonia tedesca. Il fronte occidentale [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce fronte occidentale (prima guerra mondiale). La corsa al mare [modifica] Nelle trincee Gli alleati erano riusciti a fermare l'avanzata dei tedeschi nella prima battaglia della Marna, ma erano esausti e senza i numeri necessari per sfruttare la vittoria, pertanto i tedeschi furono in grado di riorganizzare le proprie linee a nord del fiume Aisne[24] Intanto il 14 settembre il kaiser aveva rimosso von Moltke e nominato il ministro della guerra prussiano Erich von Falkenhayn nuovo capo di stato maggiore[25]. Falkenhayn aveva un problema strategico difficile da risolvere: il fronte tedesco ad occidente si stava consolidando, però il fianco della prima armata era protetto da un solo corpo della riserva, in Belgio la mancata conquista della fortezza di Anversa costituiva una minaccia per il settore nord, occorreva rinforzare le posizioni conquistate in territorio francese, recuperare lo slancio che aveva animato le truppe prima della Marna ed infine mandare rinforzi sul fronte orientale[26]. Intanto, come nuovo obiettivo immediato, la Germania puntò, attraverso la cosiddetta "corsa al mare", al controllo dei porti sul canale della Manica[24]. Se i tedeschi avessero preso Calais e Boulogne-sur-Mer avrebbero ottenuto notevoli vantaggi, ostacolando il rifornimento alle truppe britanniche in Francia, allontanando la minaccia della Royal Navy e permettendo invece alla Marina Imperiale Tedesca di dare un contributo alle operazioni militari nella zona costiera del fronte[26]. Guerra in trincea [modifica] Francia e Gran Bretagna si trovarono ad affrontare le posizioni tedesche trincerate, dalla Lorena fino alle coste belghe nelle Fiandre[21]. Entrambi gli schieramenti presero posizione, i francesi e i britannici cercando di andare all'attacco, i tedeschi cercando di difendere il territorio da loro occupato. Di conseguenza, le trincee tedesche erano molto meglio costruite di quelle dei loro nemici, dato che quelle anglo-francesi erano pensate solo per essere "temporanee"[27]. Le forze di entrambi gli schieramenti provarono a rompere la situazione di stallo creata dal trinceramento attraverso nuove tecnologie applicate agli armamenti. Il 22 aprile 1915 durante la seconda battaglia di Ypres, i tedeschi (in violazione della Convenzione dell'Aia del 1899) impiegarono per la prima volta sul fronte occidentale gas a base di cloro. Le truppe algerine colpite dal gas subirono gravissime perdite e i sopravvissuti si ritirarono, aprendo così una breccia di 6 chilometri nella linea alleata che consentì ai tedeschi di conquistare Bois-de-Cuisinères. La breccia fu chiusa solo dopo il successivo intervento delle truppe canadesi[28]. Nel corso dei 4 anni della guerra di trincea, nessuno dei due schieramenti si dimostrò in grado di assestare un colpo decisivo all'avversario, per quanto la protratta azione tedesca nella battaglia di Verdun e il fallimento alleato della primavera successiva, portarono l'esercito francese sull'orlo del collasso, mentre le diserzioni di massa minavano la linea del fronte. Circa 800.000 soldati dalla Gran Bretagna e dall'Impero britannico si trovavano contemporaneamente sul fronte occidentale: 1.000 battaglioni, ognuno occupante un settore del fronte, dal Belgio fino all'Arne, che operavano su un sistema mensile a quattro stadi, a meno che non ci fosse un'offensiva in corso. Il fronte conteneva quasi 10.000 chilometri di trincee. Ogni battaglione teneva il suo settore per quattro settimane prima di tornare nelle retrovie, quindi nella riserva e infine per una settimana in licenza, spesso nella zona di Poperinge o di Amiens. La Somme e Passchendaele [modifica] Carro Mk canadese durante la Battaglia di Vimy Sia la battaglia della Somme (1916) sia la battaglia di Passchendaele (1917), sempre sul fronte occidentale, portarono enormi perdite di vite da entrambe le parti ma minimi progressi nella situazione della guerra. È interessante notare che quando i britannici attaccarono nel primo giorno della battaglia della Somme e persero un enorme numero di uomini (più di quelli persi durante tutte le guerre napoleoniche) sotto le continue raffiche delle mitragliatrici tedesche, riuscirono comunque a guadagnare del terreno. Ciò fece sì che il comando tedesco ordinasse ai suoi soldati di riprendersi il terreno perso, con risultati molto simili dal punto di vista delle perdite. Quindi, invece di un combattimento sbilanciato con i soli britannici all'attacco, che avrebbe causato enormi perdite solo dalla loro parte, il volume degli attacchi fu equamente distribuito, così come le perdite sofferte. Il fronte orientale e la Russia [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce fronte orientale (prima guerra mondiale). Lo svolgimento della prima guerra mondiale sul fronte orientale ebbe caratteristiche notevolmente differenti rispetto al fronte occidentale, dove in breve tempo si era raggiunto lo stallo nelle trincee. Secondo i piani iniziali dello Stato Maggiore tedesco era necessario concludere rapidamente una campagna vittoriosa sul fronte occidentale prima di spostare ad est il grosso delle forze, confidando sul fatto che i russi avrebbero impiegato molto tempo prima di completare la mobilitazione. Dal suo canto la Russia aveva preso in considerazione per la guerra due diversi piani strategici: il "piano A" prevedeva di attaccare l'Austria-Ungheria in Galizia nel caso in cui la Germania si fosse concentrata ad ovest; l'alternativo "piano G" sarebbe stato eseguito nell'ipotesi che la Germania avesse adottato una strategia orientale. La decisione finale del 6 agosto 1914 fu di procedere col "piano A"[29]. Vittorie tedesche ad est [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci invasione russa della Prussia Orientale (1914) e battaglia di Galizia. Il piano strategico A fu però modificato, pertanto accanto all'invasione della Galizia austriaca, fu deciso dallo Stato Maggiore russo di passare all'offensiva anche in Prussia Orientale, in modo da minacciare la stessa Berlino[30]. Anche se l'iniziale avanzata in Galizia fu di ampio successo, i russi vennero respinti in Prussia dalle vittorie dei generali tedeschi Hindenburg e Ludendorff a Tannenberg e ai Laghi Masuri nell'agosto e settembre del 1914. L'organizzazione militare ed economica russa, meno sviluppata, si rivelò presto insufficiente davanti alle forze combinate di Germania e Austria-Ungheria. Nella primavera del 1915 i russi vennero respinti in Galizia e in maggio gli Imperi Centrali ottennero un importante sfondamento ai confini meridionali del Regno del Congresso, l'odierna Polonia, espugnando Varsavia il 5 agosto e costringendo i russi alla "Grande Ritirata" dalla Galizia, mentre la Germania estendeva il suo controllo sulle terre polacche, oltre che sulla Lituania e su gran parte della Lettonia.[31] La Russia in subbuglio [modifica] L'insoddisfazione nei confronti della condotta di guerra del governo russo crebbe, nonostante i successi contro gli austriaci del giugno 1916 (offensiva Brusilov) nella Galizia Orientale ed in Bucovina.[31] Le fortune alleate si ravvivarono solo temporaneamente con l'ingresso in guerra della Romania, il 27 agosto. Le forze tedesche arrivarono in aiuto delle unità austriache impegnate in Transilvania, e Bucarest cadde ai piedi degli Imperi Centrali il 6 dicembre. Nel frattempo, l'instabilità interna crebbe in Russia, e lo Zar rimase isolato al fronte, mentre il sempre più incompetente governo dell'Imperatrice provocò proteste da tutti i segmenti della vita politica russa, risultando nell'assassinio del consigliere prediletto della zarina Alessandra, Rasputin, da parte di nobili conservatori alla fine del 1916. La rivoluzione in Russia [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Rivoluzione Russa. Vladimir Illyich Lenin. Il 23 febbraio 1917 (8 marzo per il calendario in vigore nell'Europa occidentale), le dimostrazioni di San Pietroburgo (ribattezzata Pietrogrado per abbandonare il toponimo germanico, inopportuno in tempo di guerra) culminarono nell'abdicazione di Nicola II e alla nomina di un debole Governo provvisorio centrista, che condivise il potere con i socialisti del Soviet di Pietrogrado. Questa divisione dei poteri portò alla confusione e al caos, sia al fronte che a casa, e l'esercito divenne sempre meno capace di resistere efficacemente alla Germania. Nel frattempo, la guerra e il governo divennero sempre più impopolari, e il malcontento venne usato strategicamente dal Partito Bolscevico, guidato da Vladimir Lenin, allo scopo di prendere il potere. Il trionfo dei Bolscevichi, in novembre (ottobre per il calendario russo), fu seguito in dicembre da un armistizio e da negoziati con la Germania. All'inizio, i Bolscevichi rifiutarono i duri termini imposti dalla Germania, ma quando questa riprese la guerra e cominciò a marciare impunita attraverso l'Ucraina, il nuovo governo accettò il Trattato di Brest-Litovsk il 3 marzo 1918, che portò la Russia fuori dalla guerra dietro cessione agli Imperi Centrali di vasti territori comprendenti la Finlandia, le Province Baltiche, la Polonia e l'Ucraina (che comprendevano più di un quarto della popolazione russa). Partecipazione italiana [modifica] Dalla neutralità all'entrata in guerra [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce neutralità italiana (1914-1915). Dal 1882, l'Italia era alleata di Germania e Austria-Ungheria, ma negli anni precedenti allo scoppio della Grande Guerra, intensificò i rapporti con Regno Unito e Francia, conscia che gli accordi con gli austriaci non le avrebbero garantito quei territori italiani ancora staccati dalla Madrepatria[32]. Inoltre, l'annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina fu percepita, sia a Vienna sia a Roma, come una violazione del Trattato, che era basato sul mantenimento dello status quo nei Balcani[33]. Pochi giorni dopo lo scoppio della guerra, il 3 agosto 1914, il governo guidato dal conservatore Antonio Salandra dichiarò che l'Italia non avrebbe preso parte al conflitto, forte del fatto che la Triplice Alleanza aveva carattere difensivo, mentre in questo caso era stata l'Austria-Ungheria ad attaccare. In realtà, sia Salandra sia il ministro degli esteri Sidney Sonnino avviarono presto trattative con i due schieramenti per capire cosa avrebbero potuto ottenere da una o dall'altra parte. E, anche se la maggioranza del parlamento era assolutamente contraria all'entrata in guerra, primo tra tutti l'ex presidente del Consiglio Giolitti, molti intellettuali e alcuni politici[34] si schierarono con gli «interventisti», per lo più nazionalisti e parte dei liberali. Alla fine, il 26 aprile del 1915, al termine di un'ardua trattativa, l'accordo con l'Intesa si concretizzò nel Patto di Londra, firmato da Sonnino all'insaputa del parlamento italiano[35]. Con il Patto di Londra l'Italia ricevette la promessa di ottenere, in caso di vittoria, i territori rivendicati[36][37]. Così il 3 maggio, l'Italia si disimpegnò dalla Triplice Alleanza, mentre i nazionalisti manifestavano in piazza per l'entrata in guerra[38], i parlamentari neutralisti ricevettero minacce e intimidazioni, (lo stesso Giolitti dovette assumere una scorta). Il 13 maggio Salandra presentò al re le dimissioni; Giolitti, nel timore di approfondire una grossa frattura all'interno del paese, di provocare una crisi istituzionale di larga portata e di compromettere il paese all'esterno, rinunciò alla successione e fece in modo in sostanza che l'incarico venisse conferito nuovamente a Salandra. L'Italia entrò perciò in guerra per volontà di un gruppo di relativa minoranza, chiamando a combattere i militari lungo più di 750 chilometri di fronte, che andavano dal Mare Adriatico al confine svizzero. L'Italia entra in guerra [modifica] Postazione d'artiglieria sul Monte Cevedale (1915). Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci fronte italiano (prima guerra mondiale) e guerra Bianca in Adamello. « Cittadini e soldati, siate un esercito solo! Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. » (Vittorio Emanuele III) L'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria la sera del 23 maggio 1915, e alla Germania quindici mesi più tardi. Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il nuovo fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro l'arco alpino dallo Stelvio al mare Adriatico e lo sforzo principale tendente allo sfondamento del fronte fu attuato nella regione della valli isontine, in direzione di Lubiana. Anche qui, dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di trincea simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi, fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine. Tanti caduti, pochi risultati [modifica] La cartolina di un soldato al fronte alla famiglia, circa 1917. Nei primi mesi di guerra l'Italia sferrò quattro offensive contro gli austro-ungarici ad est, le prime quattro offensive sull'Isonzo, che non portarono nessun risultato degno di nota, si arrivò così all'inizio del 1916. Mentre in febbraio gli austro-ungarici ammassarono truppe in Trentino, l'11 marzo, per otto giorni, si svolse la Quinta battaglia dell'Isonzo, anch'essa non portò ad alcun risultato, nè apportarono significativi cambiamenti al fronte le successive battaglie tra giugno e novembre 1916. La ripresa delle operazioni arrivò nel maggio dell'anno successivo. Dal 12 maggio al 28 maggio 1917 si svolse la decima battaglia dell'Isonzo. Dal 10 giugno al 25 giugno si svolse invece la battaglia del Monte Ortigara voluta da Cadorna per riconquistare alcuni territori del Trentino rimasti in mano austro-ungarica. Il 18 agosto ebbe inizio la più imponente delle offensive italiane, l'undicesima battaglia dell'Isonzo: anche questa non porterà significativi cambiamenti e verrà pagata a caro prezzo, sia come perdite che come conseguenze. Da Caporetto alla fine della guerra [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci battaglia di Caporetto e Caporetto (nodo storico-politico). Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana, austro-ungarici e tedeschi decisero di contrattaccare. Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi sfondarono il fronte dell'Isonzo a nord convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2ª Armata italiana[39], da lì gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. La Disfatta di Caporetto provocò il crollo del fronte italiano sull'Isonzo con la conseguente ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, oltre alle perdite umane e di materiale[40][41]. La ritirata venne prima effettuata portando l'esercito lungo il Tagliamento, ed in seguito fino al Piave, l'11 novembre 1917, quando tutto il Veneto sembrava potesse andare perduto. In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito, per volere del nuovo presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando, dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del monte Grappa e del Piave. Gli austro-ungarici e i tedeschi chiusero il 1917 con le offensive sul Piave, sull'Altipiano di Asiago e sul monte Grappa; la ritirata sul fronte del Grappa-Piave però consentì all'esercito italiano, ora in mano a Diaz, di concentrare le sue forze su di un fronte più breve e soprattutto, con un mutato atteggiamento tattico, più orgoglioso e determinato. Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. La fine della guerra contro la Russia fece sì che la maggior parte dell'esercito impiegato sul fronte orientale potesse spostarsi a ovest. L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella cosiddetta battaglia del solstizio, che vide gli italiani resistere all'assalto e infliggere al nemico pesantissime perdite. Gli austro-ungarici, per i quali la battaglia del solstizio era l'ultima possibilità per dare una svolta al conflitto e ribaltarne le sorti, persero le loro speranze[42], e con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione. L'Italia anticipò ad ottobre l'offensiva prevista per il 1919, impedendo la prosecuzione dell'offensiva. Da Vittorio Veneto il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste, chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. « 4 novembre 1918, ore 12 La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S. M. il Re Duce Supremo, l'Esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.[...] I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza[...]. Diaz » (Dal comunicato del Comando Supremo "Bollettino della Vittoria") Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume[43]. L'esercito italiano forzò la linea del trattato di Londra intendendo occupare anche Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe. Teatri meridionali [modifica] I fronti ottomani [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Teatro di guerra del Medio Oriente. Premessa [modifica] Benché ritenute di importanza secondaria rispetto ai fronti europei, l'insieme delle campagne militari che coinvolsero l'Impero ottomano durante la prima guerra mondiale ebbero un'importanza decisiva per la storia delle nazioni coinvolte e per i successivi sviluppi avvenuti nella regione mediorientale nel corso del XX secolo. Tra i fattori più importanti che mossero i protagonisti del conflitto occorre ricordare: La rivalità storica fra gli imperi russo e turco nella regione del mar Nero e del Caucaso I giacimenti di petrolio in Persia, fondamentali per la Royal Navy e per la prosperità dell'Impero britannico Ragioni di prestigio, essendo le grandi potenze europee non disposte ad accettare termini da un impero musulmano in declino, ed essendo invece i popoli turchi desiderosi di rivincita e di una posizione nuovamente dominante nel Vicino Oriente ed in Asia Centrale Il completamento della linea ferroviaria Berlino-Baghdad, che avrebbe permesso alla Germania di accedere rapidamente via terra alle risorse petrolifere del Vicino Oriente e di muovere truppe alle porte dell'India, il gioiello dell'Impero britannico. Tale obiettivo richiedeva in via preliminare la conquista della Serbia, l'unico territorio attraversato dalla linea Berlino-Baghdad non controllato dalle Potenze Centrali. L'Impero ottomano, dopo molte sollecitazioni da parte degli Imperi Centrali si unì a loro il 29 ottobre 1914[44], creando una minaccia per i territori russi del Caucaso e per le comunicazioni britanniche con l'India e l'Oriente attraverso il canale di Suez. Cause principali dell'ingresso in guerra furono sia la germanofilia del ministro ottomano della guerra Enver Pasha[45], che il 1º agosto 1914 aveva firmato con la Germania un trattato segreto di natura militare e alimentare, sia la mancata consegna da parte del governo britannico di due nuovi incrociatori leggeri. Infatti l'Impero ottomano entrò in guerra dopo una lunga schermaglia diplomatica tra britannici e tedeschi. La Gran Bretagna commise l'errore di sequestrare due corazzate del tipo "dreadnought", la Sultano Osman I e la Reshadieh, appena costruite nei cantieri britannici per la Marina turca.[46] In Turchia, l'indignazione fu enorme perché i soldi per le due unità erano stati raccolti con una grande sottoscrizione popolare, alla quale avevano partecipato anche le classi più povere del Paese. I tedeschi approfittarono dell'incidente: inviarono a Costantinopoli il nuovissimo incrociatore da battaglia Goeben e l'incrociatore leggero Breslau. Il 29 e 30 ottobre 1914 le due navi tedesche, con altri vascelli turchi, bombardarono le postazioni russe sulle coste del mar Nero. La Turchia aveva fatto la sua scelta di campo: e il 31 ottobre 1914, Gran Bretagna, Francia e Russia le dichiararono guerra. La Campagna del Caucaso [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Campagna del Caucaso. Il fronte del Caucaso fra il 1914 ed il 1916 Nella zona del Caucaso l'obiettivo iniziale degli ottomani era la riconquista dei territori dell'Anatolia orientale persi durante la Guerra turco-russa del 1877-1878, ed in modo particolare le città di Kars e Batumi. Lo schieramento iniziale degli Ottomani sul Caucaso era formato dalla 3ª Armata, per un totale di circa 120.000 uomini[47], a questa si opponeva l'Armata del Caucaso, forte di circa 100.000 uomini[48], comandata sulla carta dal generale Illarion Ivanovič Voroncov-Daškov, il viceré del Caucaso russo, e sul campo, per gran parte della guerra, dal generale Nikolaj Nikolaevič Judenič. Teatro della campagna del Caucaso fu un territorio montuoso in cui le vie di comunicazioni erano quasi inesistenti e le condizioni ambientali per i soldati estremamente difficili, soprattutto durante i periodi invernali. L'obiettivo a lungo termine di Enver Pasha, ministro della guerra e supremo comandante dell'esercito ottomano, era far rientrare i territori dell'Asia centrale nella sfera di influenza turca; tuttavia egli non era un grande stratega[49]. Enver Pasha decise di prendere l'iniziativa sul fronte del Caucaso nel dicembre 1914, attaccando frontalmente nel settore di Sar±kam±ş con la Terza Armata le posizioni dei russi, avvantaggiati dal terreno montagnoso e dalle rigide condizioni ambientali; la battaglia di Sar±kam±ş si rivelò una terribile disfatta per gli ottomani che persero quasi interamente le forze impiegate. Tra il 1915 ed il 1916 il comandante russo Judenič grazie a una serie di vittorie riuscì a far arretrare le posizioni turche lungo tutto il fronte del Caucaso meridionale, conquistando importanti città ottomane fra cui Erzurum, Erzincan e Trebisonda. Nelle intenzioni del nuovo comandante russo dell'Armata del Caucaso, il granduca Nikolaj Romanov, che prese il posto di Voroncov-Daškov, vi era la costruzione di una linea ferroviaria fra la Georgia ed i territori conquistati, in modo di rendere più rapido l'afflusso di truppe e rifornimenti al fronte per una nuova offensiva prevista per il 1917. Tuttavia nel marzo 1917, a seguito della rivoluzione russa di febbraio, lo Zar Nicola II fu spodestato e l'Armata Russa del Caucaso iniziò a sfaldarsi. Durante questo periodo di caos la situazione politica e militare nella regione del Caucaso russo si complicò a causa dell'emergere di nuovi elementi, quali ad esempio le attività di guerriglia di unità militari irregolari, sia contro i russi in ripiegamento sia contro i turchi, che, sebbene provati dalle numerose sconfitte subite, puntavano ad occupare le posizioni abbandonate dai russi in tutta la regione. L'ostacolo maggiore all'avanzata dei turchi fu posto dalle unità irregolari e dalle milizie armene sotto il comando del generale Tovmas Nazarbekian, già appartenente all'Armata del Caucaso, mentre Drastamat Kanayan[50], detto Dro, svolgeva il ruolo di commissario civile dell'amministrazione dell'Armenia occidentale. Il conflitto fra turchi ed armeni proseguì anche dopo il trattato di Brest-Litovsk. Le campagne degli alleati [modifica] Abbozzo guerra Questa sezione sull'argomento guerra è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Gli alleati (britannici, francesi, australiani e neozelandesi) aprirono nel 1915 un nuovo fronte con lo sbarco nei pressi di Gallipoli che avrebbe dovuto condurre rapidamente alla presa degli Stretti Turchi e di Istanbul. Tuttavia i turchi riuscirono con successo a contenere gli attacchi degli alleati, che alla fine, sia per le gravi perdite subite sia per la situazione di stallo, decisero di evacuare la zona di Gallipoli fra il dicembre 1915 ed il gennaio 1916. In Mesopotamia invece, dopo il disastro dell'assedio di Kut, i britannici si riorganizzarono e catturarono Baghdad nel marzo 1917. Più a ovest, in Palestina, gli iniziali fallimenti britannici vennero ribaltati con la conquista di Gerusalemme nel dicembre 1917 e la Forza di spedizione egiziana guidata da Edmund Allenby che sconfisse le forze ottomane nella battaglia di Megiddo. Decisiva, nella campagna britannica in Medio Oriente, fu l'azione di T.E. Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d'Arabia che, riuscendo a coinvolgere le tribù arabe contro l'Impero ottomano, conquistò il porto di Aqaba, sul Mar Rosso e successivamente la città di Damasco. Il fronte serbo [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Campagna di Serbia. Dopo aver respinto tre tentativi di invasione, operati dalle forze austro-ungariche dall'agosto al dicembre del 1914, la Serbia cedette all'urto del contingente di 500.000 uomini, formato da Germania, Austria-Ungheria e Bulgaria, guidato da feldmaresciallo August von Mackensen. L'offensiva degli Imperi Centrali, lanciata in Kosovo il 6 ottobre 1915, frantumò la resistenza dei 250.000 serbi, in un feroce scontro nella piana dei Merli, già teatro di una precedente disfatta serba, nel XIV secolo. Completamente in rotta, le truppe serbe tentarono di raggiungere l'Albania, dove il porto di Valona era saldamente presidiato dall'esercito italiano, o il nord della Grecia, dove una forza franco-britannica di 200.000 uomini era sbarcata a Salonicco, il 5 ottobre, per tentare di unirsi all'esercito serbo. Le truppe degli Imperi Centrali incontrarono la forte resistenza delle popolazioni civili nelle varie cittadine che rallentò l'avanzata dei vincitori; come nella cittadina di Pirot, dove le colonne dell'esercito bulgaro vennero seriamente impegnate da una moltitudine di ragazzi e donne, armati solo di coltelli e rudimentali bombe a mano. La ritirata dell'esercito serbo si trasformò in una vera ecatombe per i 70.000 prigionieri austro-ungarici al seguito, già debilitati da mesi di durissima prigionia, che vennero falcidiati dalle malattie e dagli stenti. Di questi, solo 27.000 giunsero a Valona e, molti, in condizioni disperate per la denutrizione, il tifo e il colera. Le autorità sanitarie italiane tentarono ogni mezzo per salvare le loro vite, fino all'alimentazione con latte e brodo di gallina, dopo che la distribuzione del normale rancio aveva causato centinaia di morti per l'atrofia dell'apparato digerente dovuta al lungo digiuno. La Grecia [modifica] La Grecia, guidata da Re Costantino I, si dichiarò neutrale allo scoppio del conflitto; tuttavia la zona di Salonicco fu impiegata dagli Alleati come base di appoggio per le operazioni sul fronte serbo e bulgaro. La situazione precipitò nel 1917: il re mostrò un atteggiamento propenso a sostenere gli Imperi Centrali. Per non correre rischi, gli Alleati lo rovesciarono e lo sostituirono con suo figlio Alessandro, che il 27 giugno dichiarò guerra agli ottomani e iniziò le operazioni in Tracia, che fu occupata nell'anno successivo. Il ruolo italiano [modifica] Anche l'Italia diede il suo contributo alla campagna contro gli Ottomani sul fronte balcanico. Due divisioni di 10.000 uomini furono sbarcate a Salonicco e diedero battaglia durante la campagna in Serbia. Le navi principali furono invece ancorate a Valona e altri porti albanesi. Furono decisive anche quando gli Ottomani tentarono un fallito attacco a Suez, unendosi agli inglesi. Inoltre, nella guerra italo-turca, la Regia Marina aveva distrutto la quasi totalità della flotta ottomana, indebolendo molto un già affaticato impero. Teatri asiatici: il contributo giapponese [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce teatro dell'Asia e del Pacifico della prima guerra mondiale. L'Impero Giapponese dichiarò guerra alla Germania il 23 agosto 1914, trovandosi alleato dell'Impero russo sconfitto 9 anni addietro nella guerra russo-giapponese. Lo stato giapponese aveva come imperatore, dal 1912, Taishō, sotto il cui regno si stava attraversando un periodo di benessere economico e di sviluppo militare. Nel 1914 la Marina Imperiale Giapponese era senza dubbio la forza più potente nel Pacifico, superiore perfino alle flotte inglese e americana nell'area[51]: essa disponeva di 22 corazzate, 2 incrociatori da battaglia, 15 incrociatori corazzati, 19 incrociatori, 50 cacciatorpediniere, 40 torpediniere e 13 sommergibili. Tutte le unità erano di recente costruzione e molte erano prodotte in patria secondo i migliori standard militari europei: molte parteciparono in seguito anche alla seconda guerra mondiale. Poco dopo il 23 agosto, le truppe giapponesi sbarcarono 150 chilometri a nord della base tedesca di Tsingtao, assediando la città che capitolò il 7 novembre successivo; in breve tempo la marina nipponica acquisì il controllo di vaste zone del Pacifico e dell'isola di Palau, costringendo alla ritirata le unità tedesche presenti. La squadra navale del viceammiraglio Maximilian Johannes von Spee fu costretta a rientrare verso la Germania attraverso lo Stretto di Magellano e venne poi affondata dagli inglesi nella battaglia delle Falkland. L'operato della marina giapponese impedì attacchi all'India, all'indocina e alla Malesia. Neutralizzate le colonie e la flotta tedesche ed assicuratosi il controllo dell'Oceano Pacifico, il Giappone rimase in relativa tranquillità fino al 1917, quando su pressante richiesta dei francesi fu inviata una squadra navale per dare la caccia agli u-boot tedeschi nel Mediterraneo, che stavano tagliando le linee di rifornimento marittime della Francia, già sotto pressione sul fronte nord[52]. La flotta giapponese nel Mediterraneo era comandata dal viceammiraglio Satou ed era costituita dall'incrociatore Akashi e dodici cacciatorpediniere, fra cui il Katsura, il Kusunoki e l'Ume, tutte unità modernissime, che eliminarono con efficienza ogni minaccia al traffico mercantile alleato. Politicamente, militarmente e moralmente, fu per il Giappone un successo clamoroso: era infatti la prima flotta asiatica della storia a combattere e vincere nei mari occidentali. Grazie a questi risultati le forze armate giapponesi e in particolar modo la marina acquisirono in patria un enorme prestigio, che permise loro di condizionare in seguito, fino alla sconfitta subita nella seconda guerra mondiale, la politica del paese. Rovesciamento delle sorti [modifica] Il 1917 vide l'ingresso in guerra degli Stati Uniti a fianco delle potenze dell'Intesa, mentre il collasso dell'impero russo permise alla Germania di spostare ad ovest le truppe dispiegate sul fronte orientale (ed in secondo luogo all'Austria di rafforzare il fronte italiano). Sarebbe stato dunque sul fronte occidentale che sarebbe stato deciso l'esito della guerra. Ingresso degli Stati Uniti [modifica] All'inizio del 1917 tre elementi spingevano a favore di un impegno militare americano a fianco dell'Intesa. Sebbene nel dicembre 1916 gli imperi centrali fossero riusciti ad impadronirsi di un importante canale di approvvigionamento con l'occupazione della Romania e l'acquisizione del controllo della regione danubiana, il nulla di fatto con cui si era conclusa la battaglia dello Jütland (31 maggio - 1 giugno 1916) aveva lasciato agli inglesi il dominio dei mari, permettendo loro di mantenere il blocco navale ai danni della Germania. Il gioco del blocco marittimo britannico era ormai diventato un problema ineludibile, ma d'altro canto i vertici militari erano confidenti che, una volta annientato il blocco, avrebbero potuto risolvere la partita sul fronte occidentale nel giro di pochi mesi; così i vertici tedeschi si risolsero per estendere la guerra sottomarina, anche se ciò comportava inevitabilmente la prospettiva del coinvolgimento americano. In effetti gli Stati Uniti erano assurti al ruolo di grande potenza industriale già all'inizio del secolo, e nel corso del primo decennio avevano proceduto ad incrementare la produzione del 76%; all'inizio degli anni dieci gli Stati Uniti erano anche tra i maggiori esportatori di prodotti alimentari (leader in particolare nelle esportazioni di cereali e carne bovina); nei primi tre anni di guerra il volume delle esportazioni americane in Europa si era quadruplicato, nonostante il commercio con la Germania fosse azzerato dal blocco inglese. Pertanto la prospettiva tedesca di incentivare la guerra sottomarina, al di là delle ripercussioni sui sentimenti umanitari e sulle sensibilità delle diverse opinioni pubbliche, avrebbe necessariamente leso gli enormi interessi commerciali dei paesi fornitori, primi fra tutti gli USA. Il primo febbraio 1917 la Germania formalizzò la cosiddetta guerra sottomarina indiscriminata: da quel momento in avanti ogni nave diretta ai porti dell'Intesa sarebbe stata considerata un bersaglio legittimo; pochi giorni dopo gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche col Reich.[53] Sempre all'inizio del 1917, nell'eventualità del coinvolgimento americano i tedeschi provarono a sondare il Messico per un'alleanza economico-militare contro gli USA; ma il Telegramma Zimmermann (16 gennaio) venne intercettato dagli inglesi, fatto pervenire al governo statunitense mediante canali diplomatici (21 febbraio), quindi pubblicato dalla stampa (1 marzo). Una volta che la notizia ebbe a rivelarsi attendibile, l'opinione pubblica americana reagì con forte preoccupazione: gli USA in quel momento avevano grossi interessi economici in Messico, per via degli ingenti investimenti effettuati e del delicato quadro geopolitico della regione conseguente alla guerra civile messicana; i fiorenti traffici (più o meno legali) di frontiera ed il flusso migratorio in ingresso erano considerati irrinunciabili; infine la semplice promessa tedesca di ricompense territoriali a spese dell'Unione fu considerata irritante.[54] Dal punto di vista economico, vi era sul piatto una questione ancora più stringente di quella delle esportazioni messe a repentaglio dalla guerra sottomarina. Infatti già nel corso dei primi due anni di guerra i rapporti di forza tra i sistemi finanziari americano ed europeo si erano rovesciati: se inizialmente gli europei avevano contribuito a finanziare in larga parte l'industrializzazione americana, ora gli USA erano diventati creditori nei confronti di tutti paesi europei impiegati nello sforzo bellico. Ma all'inizio del 1917 la situazione creditizia degli opposti schieramenti era ormai pesantemente asimmetrica, dacché, se il debito tedesco ammontava a circa 27 milioni di dollari, quello inglese si attestava attorno ai 2 miliardi: ossia era oltre settanta volte superiore. Pertanto una sconfitta dell'Intesa avrebbe provocato la prevedibile insolvibilità dei principali creditori degli americani, e le ripercussioni sulla loro economia sarebbero state a dir poco disastrose.[55] Il presidente Woodrow Wilson presentò al Congresso la proposta di entrare in guerra; il 6 aprile 1917 gli USA dichiararono guerra alla Germania. L'esercito statunitense e la Guardia Nazionale erano già stati mobilitati nel 1916 per dare la caccia al rivoluzionario messicano Pancho Villa, il che rese gli spostamenti più veloci. La Marina statunitense fu in grado di inviare un gruppo di navi da guerra a Scapa Flow per unirsi alla flotta britannica e un gruppo di incrociatori a Queenstown, in Irlanda, per aiutare a scortare i convogli. Comunque, occorse del tempo prima che le forze statunitensi fossero in grado di contribuire significativamente sul fronte occidentale e su quello italiano. Con l'entrata in guerra degli USA, si crea una potentissima alleanza: la grande potenza economica, i due imperi più grandi del tempo (Impero britannico e russo), delle nazioni economicamente forti (Italia, Francia, Giappone e gli stati del Commonwealth che erano sotto il controllo del Regno Unito ma godevano di ampia autonomia). Tutta questa potenza era contrapposta all'Impero tedesco, potente ma alleato con due nazioni decadenti (Impero ottomano e Impero austro-ungarico) e con la piccola Bulgaria che, pur tenace, non rappresentava un ostacolo insormontabile: la vittoria era quindi prossima. Britannici e francesi insistettero sull'invio di fanteria statunitense per rinforzare le linee. Durante la guerra, le forze americane furono a corto di una propria artiglieria, aviazione e di unità del genio. Comunque, il generale John J. Pershing, comandante della forza di spedizione americana, rifiutò il disgregamento delle unità statunitensi, suggerito dagli alleati[senza fonte] per utilizzarle come rinforzo di quelle francesi e britanniche. Offensiva tedesca del 1918 [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Kaiserschlacht. L'entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917 aveva reso certo l'eventuale arrivo di nuovi uomini per le potenze dell'Intesa, mentre il ritiro della Russia e la disfatta italiana di Caporetto avevano permesso il trasporto di truppe tedesche ad ovest. Quattro successive offensive tedesche seguirono quella del 27 maggio, portando a guadagni in direzione di Parigi, comparabili a quelli dell'avanzata del 1914. Il blocco navale imposto dall'Intesa, però, limitava agli imperi centrali lo sforzo bellico. Da qui l'esigenza di passare all'offensiva. Il 21 marzo 1918 la Germania lanciò una grossa offensiva, l'"operazione Michael", contro le truppe britanniche e del Commonwealth. L'esercito tedesco aveva sviluppato una nuova tattica che prevedeva l'utilizzo di incursori addestrati ad infiltrarsi nelle trincee e catturarle. L'artiglieria tedesca alle 4.40 del mattino, iniziò un bombardamento di 5 ore con 6000 bocche da fuoco e oltre 3000 mortai, nei cieli 326 caccia tedeschi si misero in moto, due ore e mezzo dopo la prima ondata di fanteria tedesca uscì dalle trincee e attaccò, avanzando in alcuni punti anche di 6-7 km. Il 23 marzo tre cannoni costruiti appositamente dalle acciaierie Krupp bombardarono Parigi da Crepy-en-Laonnois (a 120 km di distanza da Parigi). Nel bombardamento morirono 256 parigini. Il 26 marzo gli alleati reagirono incaricando il maresciallo francese Ferdinand Foch di coordinare le attività alleate in Francia, e in seguito nominandolo comandante supremo di tutte le forze alleate. Il 30 marzo truppe inglesi, australiane e canadesi passarono al contrattacco, bloccando i tedeschi a 16 km da Amiens[56]. L'offensiva tedesca si mosse in avanti di 60 km e premette le truppe della forza di spedizione britannica (BEF), tanto che il loro comandante, il maresciallo di campo Sir Douglas Haig, emise un ordine generale l'11 aprile che dichiarava: «Con le spalle al muro, e credendo nella giustezza della nostra causa, ognuno di noi deve combattere fino alla fine». Comunque, per quel momento, l'offensiva tedesca si era fermata, a causa di problemi logistici. I contrattacchi dei canadesi e delle forze dell'ANZAC spinsero indietro i tedeschi. Parallelamente, in giugno, anche gli austro-ungarici operarono una violenta offensiva sul fronte italiano, nel tentativo di sfondare la linea del Piave e giungere fino alla valle Padana, chiudendo definitivamente la partita con gli italiani. Ma in quella che fu poi definita la Battaglia del solstizio, gli italiani non solo seppero resistere alla potente offensiva, ma anzi inflissero pesantissime perdite agli austro-ungarici, che videro così sfumare l'ultima occasione di vittoria, peraltro in un quadro di gravissima difficoltà interna economica e sociale, dovuta al protrarsi del conflitto. Vittoria dell'Intesa [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci offensiva dei cento giorni e battaglia di Vittorio Veneto. Prigionieri tedeschi La forza di spedizione americana, comandata dal generale Pershing, entrò in battaglia in numeri significativi nell'aprile 1918. Nella battaglia di Bosco Belleau, dal 1º al 30 giugno 1918, la seconda divisione, comprendente reparti del Corpo dei Marines, aiutò ad annullare l'offensiva tedesca che minacciava Parigi. Il 18 luglio 1918, alla battaglia di Château-Thierry, le forze francesi e statunitensi passarono all'offensiva. L'esercito britannico, usando un gran numero di carri armati, attaccò ad Amiens l'8 agosto causando tale sorpresa e confusione che il comandante in capo tedesco, generale Ludendorff, disse che fu «il giorno più nero dell'esercito tedesco». Il 12 settembre la Prima Armata statunitense, che era stata recentemente costituita dalla Forza di spedizione americana, andò all'attacco del saliente di Saint-Mihiel, che la Germania occupava dal 1914. Questo saliente minacciava la linea ferroviaria Parigi-Nancy. Le forze americane erano carenti di supporto dell'artiglieria, che veniva fornito da francesi e britannici. Questa fu anche la prima occasione in cui vennero usati i carri armati americani, guidati dal tenente colonnello George Smith Patton. Quattro giorni dopo il saliente era stato ripulito. Alle 5.30 del 26 settembre le forze americane iniziavano l'offensiva Mosa-Argonne, che continuò fino alla fine della guerra; si misero in moto più di 700 carri armati seguiti dalla fanteria e i tedeschi furono costretti a ripiegare di 5 km.[57]. Un posto di osservazione chiave dei tedeschi, sulla quota 305 a Montfaucon-d'Argonne venne catturato il 27 settembre, quel giorno i tedeschi prigionieri furono più di 23.000. Circa 18.000 americani caddero durante l'offensiva, che fu la prima condotta dagli Stati Uniti come esercito indipendente. Il generale Pershing puntava al fiume Reno, che si aspettava di oltrepassare all'inizio del 1919. Il 24 ottobre l'esercito italiano, con un limitato supporto alleato (3 divisioni francesi, 2 inglesi, un reggimento americano) iniziò la sua offensiva (che durò fino al 4 novembre) che vide lo scontro tra 55 divisioni italiane contro 60 austriache. Il comando italiano aveva studiato bene il piano, che non prevedeva attacchi frontali, ma un colpo concentrato su un unico punto per spezzare il fronte. Il punto prescelto era Vittorio Veneto, dove la 5ª e la 6ª Armata austriaca si congiungevano: quindi un punto nevralgico per i collegamenti. L'offensiva iniziò con una manovra diversiva, la 4ª Armata iniziò un attacco sul Monte Grappa, attirandosi contro la maggioranza dei rinforzi austriaci. La piena del Piave costrinse all'inazione quel fronte, gli austriaci credettero che quello della 4ª Armata fosse l'attacco principale e continuarono a contrastarlo con tutte le forze. Nella notte tra 28 e 29 anche sul Piave si passò all'attacco, le prime ore furono terribili, la corrente era forte e le teste di ponte restavano spesso isolate, ma alla fine l'8ª Armata superò il fiume ed iniziò ad avanzare, la 10ª e la 12ª si allargarono sulle sue ali per coprire l'avanzata, il fronte si spezzò e si innescò una processo di disfacimento che rese l'esercito imperiale ingovernabile. Il profilarsi della sconfitta fece aumentare le diserzioni, interi reparti abbandonarono le linee; il 30 ottobre l'esercito italiano era a Vittorio Veneto, mentre altre unità militari italiane passavano il Piave ed avanzavano. La corsa proseguì per altri tre giorni, il 3 si arrivò a Trento, la marina sbarcò a Trieste, il 4 novembre l'Austria capitolò. Con il crollo dell'Impero Asburgico la minaccia dell'apertura di un nuovo fronte a sud divenne reale e la Germania, pur ancora sostanzialmente imbattuta e saldamente in territorio francese, sette giorni dopo l'Austria decise di abbandonare la lotta. Fine della guerra [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci armistizio di Compiègne e armistizio di Villa Giusti. La Bulgaria fu il primo tra gli Imperi Centrali a firmare l'armistizio (29 settembre 1918), seguito dalla Turchia (30 ottobre). La Germania richiese un cessate il fuoco il 3 novembre 1918, seguita dall'Austria-Ungheria. I combattimenti terminarono con l'armistizio concordato l'11 novembre a Compiègne. Austria e Ungheria firmarono due armistizi separati a seguito del rovesciamento della monarchia asburgica. La sconfitta dell'esercito austro-ungarico venne annunciata all'Italia dal famoso bollettino del generale Armando Diaz il 4 novembre 1918: La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.[...][58] Il maggiore Harry S. Truman fece sparare i cannoni al suo battaglione fino agli ultimi minuti: La mia batteria sparò, com'era ordinato, fino alle 10.45 quando esplose l'ultimo colpo[57] Circa trent'anni dopo, il maggiore divenne presidente degli Stati Uniti. Fu lui a ordinare il lancio delle bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, che pose fine alla seconda guerra mondiale. Si può in qualche modo dire che Truman fece terminare entrambe le guerre mondiali. Sotto molti punti di vista, l'ultimo giorno della prima guerra mondiale, l'11 novembre 1918, fu uno dei più tragici del conflitto. Nonostante alle 5 ora francese fosse stato firmato l'armistizio, operativo dalle 11[59], i comandanti alleati, desiderosi di ottenere premi per ulteriori avanzate, mandarono al macello migliaia di propri soldati che i tedeschi, comunque ancora ben armati, uccisero facilmente. Quando le lancette degli orologi segnarono le 11, "Ci fu un attimo di silenzio e di attesa, poi si udì uno strano mormorio, che gli osservatori in posizione molto arretrata rispetto al fronte paragonarono al soffio di una brezza leggera. Erano gli uomini che esultavano dal Vosgi fino al mare."[60] Guglielmo II ostinatamente ordinò alla Hochseeflotte tedesca una sortita contro le navi alleate il 29 ottobre 1918, ma questa si ammutinò a Wilhelmshaven: morirono 9 marinai. Il 9 novembre 1918 venne proclamata in Germania la repubblica, avvenimento che segnò la fine dell'Impero tedesco nato nel 1871. Il Kaiser fuggì il giorno seguente nei Paesi Bassi, dove gli venne garantito l'asilo politico fino alla morte avvenuta nel 1941, poco tempo dopo l'occupazione militare dei Paesi Bassi da parte delle truppe del Terzo Reich di Hitler, durante la seconda guerra mondiale). Guerra e tecnologia [modifica] I gas tossici e le nuove armi [modifica] Come in ogni conflitto il settore di ricerca maggiormente sviluppato fu quello bellico, che raggiunse livelli impensabili nel giro di pochi anni. Le nuove armi furono numerose, tutte ugualmente letali. La mitragliatrice, che consentiva di sparare centinaia di colpi al minuto agevolando molto la difesa delle trincee. L'uso della mitragliatrice, che impediva le manovre di grandi formazioni in campo aperto come era in uso fino a tutto il XIX secolo, fu anzi uno degli elementi che più di ogni altro contribuì al rapido volgersi del conflitto in una massacrante guerra di trincea. I gas tossici furono utilizzati per la prima volta dai tedeschi contro i russi, senza molto successo, nella battaglia di Bolimow del 1º gennaio 1915, ma divennero celebri a partire dal 22 aprile 1915, data in cui a Ypres per la prima volta si fece uso di gas asfissianti al cloro, che provocarono il terrore tra le truppe franco-britanniche. Il primo rudimentale rimedio agli attacchi chimici era costituito da fazzoletti bagnati con acqua e/o urina, solo in seguito sarebbero state sperimentate le prime maschere antigas. Nel corso della guerra i gas al cloro sarebbero stati poi sostituiti in seguito da cloropicrina, poi fosgene, per giungere infine al tipo di gas più evoluto, sparato da proiettili, l'iprite (dal nome della stessa città di Ypres). I lanciafiamme, introdotti dai tedeschi a Hooge il 30 luglio 1915. Come la mitragliatrice impediva lo schieramento in campo aperto, tuttavia ebbe un successo minore di quello sperato a causa della tendenza del serbatoio ad esplodere se veniva colpito o si inceppava una valvola. I carri armati (utilizzati per la prima volta dai britannici durante la Somme), che suscitarono lo stesso stupore e terrore provocato dal gas a Ypres, pur non essendo usati per lo sfondamento delle linee nemiche, ma solo per il semplice supporto alla fanteria. Aeroplani e U-Boot [modifica] Caccia Nieuport 17, Aisne, 1917 L'aviazione militare ottenne rapidi progressi, dallo sviluppo delle (inizialmente primitive) mitragliatrici sincronizzate per poter sparare in avanti, introdotte dall'aviazione tedesca nell'autunno del 1915, allo sviluppo dei bombardieri usati contro Londra (luglio 1917): ancor più drammatico, almeno per i britannici, fu l'uso de gli U-Boot, dal tedesco Unterseeboote) contro i mercantili alleati in acque internazionali dal febbraio 1915. La decisione tedesca di togliere le restrizioni all'attività sottomarina (la cosiddetta "guerra sottomarina indiscriminata", dal 1º febbraio 1917) fu strumentale all'entrata in guerra degli Stati Uniti dalla parte degli alleati. L'affondamento del transatlantico Lusitania fu un successo controverso per gli U-Boot.[senza fonte] L'industria ottica [modifica] Binocolo tedesco Zeiss mod.1908 L'industria ottica (soprattutto quella tedesca) aveva avuto uno sviluppo notevole anche prima della guerra. I sottomarini ebbero i loro risultati anche grazie a dei buoni periscopi, dalle trincee gli ufficiali tedeschi scrutavano con cannocchiali Bausch gli ufficiali inglesi che a loro volta li scrutavano con cannocchiali Bausch & Lomb di fornitura americana o con gli Zeiss comprati dai tedeschi nel 1910. Goerz, Voigtlander, M. Hensoldt & Sohne, E.Leitz (Leica), Carl Zeiss furono le industrie che più furono impegnate nello sforzo bellico dell'Impero tedesco. La percezione della guerra [modifica] Lovanio (Belgio), 1915 La percezione della guerra nel 1914 era quasi romantica, e la sua dichiarazione venne accolta con grande entusiasmo da molte persone. La visione comune era che sarebbe stata una breve guerra di manovre, con poche azioni pungenti (per «impartire una lezione al nemico») e sarebbe finita con un vittorioso ingresso nella capitale (ovviamente quella nemica), seguita da una o due parate celebrative a casa, per poter poi tornare alla vita normale. C'erano alcuni pessimisti (come Lord Kitchener) che predissero che la guerra sarebbe durata a lungo, ma Guglielmo II disse che la guerra sarebbe «finita per Natale...». Questo punto merita di essere approfondito. La convinzione della breve durata della guerra si considera spesso una tragica sottovalutazione; secondo molti, se vi fosse stata fin dall'inizio una diffusa consapevolezza che la guerra avrebbe aperto un tale abisso nella civiltà europea, nessuno l'avrebbe intrapresa o continuata. In realtà, una parte degli studiosi militari dell'epoca avevano previsto tale possibilità, come si vede in particolare dall'opera di Ivan Bloch, già candidato al Premio Nobel per la pace. Le previsioni di Bloch sulla guerra industriale che avrebbe condotto a sanguinose situazioni di stallo, logoramento e perfino di rivoluzione, erano ampiamente conosciute sia nei circoli militari che in quelli pacifisti, senza contare il fatto che già nei decenni precedenti altri conflitti, come la guerra di secessione americana e la guerra russo-giapponese, erano degenerati in una massacrante guerra di trincea. Alcuni autori come Niall Ferguson sostengono che la convinzione di una guerra veloce sia stata molto esagerata fin dai tempi del conflitto. Secondo Ferguson, i pianificatori militari, specialmente in Germania, erano consapevoli della possibilità di una guerra lunga, come risulta dalla famosa corrispondenza telegrafica Willy-Nicky tra gli imperatori di Russia e di Germania. Egli sostiene anche che i più informati consideravano improbabile una guerra veloce. Inoltre, era nell'interesse dei governi presentare ampiamente questo messaggio nella loro propaganda, dal momento che questo incoraggiava gli uomini ad arruolarsi, facendo sembrare la guerra meno grave e mantenendo alto il morale generale. Caratteristiche distintive della guerra [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Guerra di trincea. Ricovero austriaco in grotta - Fronte dolomitico Caposaldo scavato nella roccia della Linea Cadorna La prima guerra mondiale è considerata come la prima guerra moderna su larga scala. In realtà si presentava come una sorta di ibrido tra una tecnologia militare avanzata e una dottrina strategica di stampo post-napoleonico. Tra le innovazioni che avrebbero cambiato il volto della guerra ci fu l'uso estensivo della mitragliatrice a scopi prevalentemente difensivi. Un solo nido di mitragliatrice, purché ben provvista di munizioni, poteva tenere in scacco un'intera brigata, rendendo spesso vani i tentativi di attacco diretto. Conseguenza immediata di tale innovazione fu l'edificazione, in particolar modo sul fronte occidentale, di imponenti linee difensive, una catena di trincee che andavano dal Mare del Nord alla Svizzera. Le dottrine di guerra tardarono nell'adeguarsi alla nuova situazione, affidate come erano a teorici dell'arte militare formatisi alla scuola di Carl Von Clausewitz, barone prussiano di inizio ottocento. Principale fondamento di tali dottrine era la guerra d'attacco, unica espressione dell'«élan vital», lo spirito vitale che, nelle parole di Ferdinand Foch, avrebbe assicurato la vittoria finale. Milioni di uomini furono irrazionalmente spinti ad esporsi inermi al fuoco della mitragliatrice, nel vano tentativo di conquistare, con la sola forza del numero, le posizioni nemiche e di dimostrare la superiorità del proprio spirito. L'artiglieria, che aveva conosciuto uno sviluppo tecnico vertiginoso dall'inizio del secolo, fu usata in chiave prevalentemente offensiva, come metodo, spesso inefficace, di scombinare le linee nemiche prima di un attacco. L'impatto psicologico determinato dall'uso estensivo dell'artiglieria pesante sui soldati intrappolati nelle trincee fu devastante, risultando spesso in forme gravi e peculiari di nevrosi. La prima guerra mondiale vide anche l'uso delle armi chimiche e dei bombardamenti aerei, che erano stati entrambi messi fuori legge dalla Convenzione dell'Aia del 1907. Gli effetti delle armi chimiche si rivelarono duraturi, sia sui corpi delle vittime (molte delle quali, sopravvissute alla guerra, ne patirono danni per il resto della vita) che sulle menti dei comandanti della generazione successiva che, avendone visto gli effetti nella Grande Guerra, non vollero impiegarle nel secondo conflitto mondiale, temendo un'escalation di ritorsioni gravissime. L'evidente squilibrio tra una tecnologia avanzatissima e una tattica arcaica avrebbe determinato l'immane massacro della prima guerra mondiale e le sue conseguenze sulla cultura e la storia europea. Nasceva la guerra di posizione e di massa, in cui il vero obiettivo non era più la conquista del territorio nemico e dei suoi centri politici, ma l'esaurimento delle sue risorse. La trincea rimane, nella letteratura storica e non, il simbolo negativo della prima guerra mondiale. Per quattro anni milioni di uomini furono costretti a convivere sotto terra, esposti agli agenti atmosferici e ai bombardamenti, in condizioni igieniche disastrose. La guerra veniva privata di ogni forma di idealismo, per diventare un'officina, in cui l'efficienza del massacro sopravanzava ogni considerazione umanitaria. Parziale eccezione fu quella dei piloti di aereo, visti come i moderni «cavalieri», per i quali la guerra non significava abbrutimento ma quasi un duello di stampo medievale, unico caso in cui l'eroismo propagandato dalle autorità militari trovava una fittizia applicazione. Le condizioni della vita di trincea ebbero conseguenze enormi sullo sviluppo del conflitto. La diserzione e l'automutilazione erano all'ordine del giorno, tanto da richiedere l'intervento esteso e violentissimo delle autorità. Al contempo nell'inferno della trincea si sviluppavano fenomeni nuovi che avrebbero determinato la storia culturale successiva. Un intenso spirito di cameratismo tra i soldati semplici avrebbe favorito l'idealizzazione e ideologizzazione della guerra, elemento fondamentale per il successivo imporsi delle ideologie totalitarie. Al contempo la consapevolezza dei sacrifici a cui si era sottoposti alimentavano, soprattutto nelle classi popolari, la speranza di una maggiore partecipazione alla costruzione dell'Europa postbellica. La guerra tecnologica vide la mobilitazione in scala mai vista di uomini e materiali e determinò una vera rivoluzione nelle prerogative dello Stato e un notevole ampliamento dei suoi poteri in tutte le nazioni coinvolte. La guerra vide anche il nascere del cosiddetto fronte interno, quello dell'opinione pubblica da ammansire e mobilitare ideologicamente in favore della vittoria finale. In tutti gli stati partecipanti ebbe un ruolo crescente la propaganda, volta a raccogliere fondi, consensi, volontari. Tutti gli stati, consapevoli dell'immane sforzo richiesto ai cittadini e interessati principalmente alla vittoria nel conflitto, si spinsero in promesse di allargamento della democrazia a guerra finita, che non poterono essere del tutto disilluse al termine delle ostilità. Altro punto che caratterizzò questo bagno di sangue fu il gran numero di giovani che vi parteciparono, tra i quali, in Italia, i "ragazzi del '99", richiamati alle armi a soli 17 anni. L'idea positiva della Guerra che si era inizialmente diffusa tra la gente venne ben presto abbandonata. Perdite [modifica] Molte delle più grandi battaglie della storia avvennero nel corso di questa guerra. Vedi battaglia di Ypres, battaglia del crinale di Vimy, battaglia della Marna, battaglia di Cambrai, battaglia della Somme, battaglia di Verdun, battaglia di Gallipoli, le 11 battaglie dell'Isonzo, la Battaglia di Caporetto e la Battaglia del solstizio. Di seguito un elenco delle forze mobilitate, dei caduti, feriti, dispersi, prigionieri, suddivisi per nazione. Nazione Mobilitati Morti Feriti Dispersi o prigionieri Imperi Centrali Impero austro-ungarico 7.800.000 1.200.000 3.620.000 2.220.000 Impero Germanico 11.000.000 1.773.700 4.216.058 1.152.800 Impero ottomano 2.850.000 325.000 400.000 250.000 Bulgaria 1.200.000 87.500 152.390 27.029 Intesa Belgio 267.000 13.716 44.686 34.659 Impero britannico* 8.904.467 908.371 2.090.312 191.652 Francia** 8.410.000 1.357.800 4.266.000 537.000 Grecia 230.000 5.000 21.000 1.000 Regno d'Italia 5.615.000 650.000 947.000 600.000 Giappone 800.000 300 907 3 Montenegro 50.000 3.000 10.000 7.000 Portogallo 100.000 7.222 13.751 12.318 Romania 750.000 335.706 120.000 80.000 Impero russo (fino al 1917) 12.000.000 1.700.000 4.950.000 2.500.000 Serbia 707.343 45.000 133.148 152.958 Stati Uniti 4.355.000 126.000 234.300 4.500 Totale 65.018.810 8.678.013 21.187.715 7.687.798 Sacrario militare di Redipuglia. I dati dei morti comprendono i deceduti per tutte le cause, i dati dei dispersi comprendono dispersi e prigionieri di guerra * dati ufficiali; i caduti delle nazioni facenti parte dell'Impero britannico sono così suddivisi: Regno Unito: 715.000 Australia: 60.000 Canada: 55.000 India: 25.000 Nuova Zelanda: 16.000 Sudafrica: 7.000 ** dati ufficiali; le truppe coloniali francesi contarono inoltre 114.000 caduti Vittime civili [modifica] Impero austro-ungarico: 300.000 Belgio: 30.000 Regno Unito: 31.000 Bulgaria: 275.000 Francia: 40.000 Germania: 760.000 Grecia: 132.000 Romania: 275.000 Russia: 3.000.000 Serbia: 650.000 Turchia: 1.000.000 Conseguenze [modifica] A causa della lunghezza della voce si veda Conseguenze della prima guerra mondiale per gli eventi e le ripercussioni che seguirono l'armistizio: Contenuti di Conseguenze della prima guerra mondiale 1 L'embargo della Germania 2 Il Trattato di Versailles 3 L'epidemia della Spagnola 4 Conseguenze geopolitiche ed economiche 4.1 Rivoluzioni 4.2 Italia 4.3 Germania 4.4 Francia 4.5 Impero austro-ungarico 4.6 Impero britannico 4.7 Impero ottomano 4.8 Russia 4.9 Stati Uniti 4.10 Economia mondiale 5 Trauma sociale 6 Resti delle munizioni 7 Memoriali e tombe 7.1 Memoriali 7.2 Tombe del milite ignoto Note [modifica] ^ Il domenicale ^ a b c David Stevenson, La grande guerra - Una storia globale, Rizzoli, 2004, pp. 39-47. ISBN 88-1-00437-5 ^ la guerra di Crimea del 1854-56, la seconda guerra di indipendenza italiana del 1859, la guerra austro-prussiana del 1866, la guerra franco-prussiana del 1870 e la guerra russo-turca del 1877-78 ^ (EN)David A. Welch, Justice and the genesis of war, pag. 103 ^ (EN)Q. Edward Wang, Georg G. Iggers, Turning points in historiography: a cross-cultural perspective, pag. 174 ^ (EN) Hew Strachan, The Origins of the War in The First World War: To arms, pag. 8 ^ (EN) Michael Graham Fry, Erik Goldstein, Richard Langhorne, The Franco-Russian Alliance in Guide to International Relations and Diplomacy, pag. 151-152 ^ nel 1897 era stato pubblicato in tedesco il saggio The Influence of Sea Power Upon History, 1660-1783 di Alfred Thayer Mahan ^ a b Spencer Tucker, Priscilla Mary Roberts, Anglo-German Naval Arms Race in Encyclopedia of World War I, 2005, pag. 832-833 ^ (EN)Robin Prior, The First World War, London: Cassell, 1999 ^ (EN)David Fromkin, Europe's Last Summer: Who Started the Great War in 1914?, 2004 ^ (EN) Hew Strachan, The Origins of the War in The First World War: To arms, pag. 30 ^ nel 1881 Bismarck aveva affermato: non ci sarà una politica coloniale [tedesca] finché io sarò cancelliere, si veda Martin Kitchen, A history of modern Germany, 1800-2000, pag. 168 ^ La creazione del protettorato tedesco sul Camerun (1884), provocò la reazione di disappunto degli operatori commerciali britannici che avevano richiesto al loro governo un'analoga dichiarazione per quei territori, si veda Olayemi Akinwumi, German Colonialism inThe colonial contest for the Nigerian region, 1884-1900, pag. 5 ^ In un primo momento il Regno Unito non si era opposto in modo netto al disegno coloniale tedesco, data la rivalità in corso sia con la Francia per il controllo dell'Egitto, sia con la Russia nel Grande gioco, si veda la voce Bismarck in Melvin Eugene Page, Penny M. Sonnenburg, Colonialism: an international, social, cultural, and political encyclopedia, pag. 59 ^ Il Regno Unito aveva dato il via libera alle pretese della Francia sul Marocco, in cambio del riconoscimento dei propri diritti sull'Egitto, tuttavia questo accordo fra le due principali potenze coloniali violava la precedente convenzione di Madrid del 1880, firmata anche dalla Germania. Questo contesto diplomatico dava margini di manovra al kaiser per ribadire il ruolo fondamentale della Germania, si veda Richard W. Mansbach, Kirsten L. Rafferty, Introduction to global politics, pag. 109 ^ (EN)David A. Welch, The origins of the war in Justice and the genesis of war, pag. 112 ^ a b (EN)James Joll, Gordon Martel, The July Crisis, 1914 in The origins of the First World War , pag. 12-13 ^ H.P. Willmott, World War I, pag. 27, New York: Dorling Kindersley, 2003 ^ (EN) Hew Strachan, The Western Front in 1914 in The First World War: To arms, pag. 164 ^ a b c (EN) Alan John Percivale Taylor, The First World War and its aftermath, 1914-1919, pag. 80-93, London: Folio Society, 1998 ^ a b Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, 1994, pag. 90 ^ a b Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, 1994, pag. 93 ^ a b Spencer Tucker, Priscilla Mary Roberts, Western Front Overview in Encyclopedia of World War I, 2005, pag. 1242-1256 ^ anche se formalmente von Moltke rimase al suo posto fino al 3 novembre, si veda (EN) Hew Strachan, From the Aisne to the Yser in The First World War: To arms, pag. 262 ^ a b (EN) Hew Strachan, From the Aisne to the Yser in The First World War: To arms, pag. 264 ^ (EN) Donald James Goodspeed, The German Wars 1914-1945, 1985, pag. 199, Random House, Bonanza, New York ^ (EN)The Second Battle of Ypres, Apr-1915 di Dave Love ^ Spencer Tucker, Priscilla Mary Roberts, Russia - War Plan (1914) in Encyclopedia of World War I, 2005, pag. 1029 ^ Spencer Tucker, Priscilla Mary Roberts, Russia - War Plan (1914) in Encyclopedia of World War I, 2005, pag. 1030 ^ a b War and Revolution in Russia 1914 - 1921 di Jonathan Smele ^ Trentino, di Trieste con l'Istria e di Zara con la Dalmazia ^ In seguito a ciò, cogliendo l'occasione del terremoto di Messina e Reggio Calabria, il Capo di Stato Maggiore dell'Austria-Ungheria, Franz Conrad von Hötzendorf propose, appunto nel 1908, una guerra preventiva contro l'Italia. L'imperatore rifiutò. Uguale proposta di guerra preventiva contro l'Italia, von Hötzendorf avanzò durante la guerra di Libia, sempre allo scopo di cogliere il nemico in un momento difficile. Ancora una volta, l'imperatore rifiutò, ma questi episodi dimostrano l'ormai estremo logoramento a cui era giunta l'alleanza tra Vienna e Roma ^ tra cui socialisti come Ivanoe Bonomi, Leonida Bissolati e - sebbene in una seconda fase -l'allora direttore dell'Avanti! Benito Mussolini, Filippo Tommaso Marinetti e Filippo Corridoni ^ in aperta violazione dell'art. 5 dello Statuto Albertino che prevedeva che il governo per impegnarsi in conflitti che implicavano un impegno finanziario necessitasse dell'appoggio del parlamento ^ Trento e il territorio attiguo fino al Brennero, le città di Gorizia, Trieste e Gradisca d'Isonzo, l'Istria (esclusa Fiume) fino al Quarnaro e parte della Dalmazia. Inoltre vennero raggiunti accordi per la sovranità sul porto albanese di Valona, la provincia di Adalia in Turchia, e parte delle colonie tedesche in Africa ^ Gli alleati austriaci avevano invece offerto, in cambio della neutralità, parte di Trentino e Friuli, con l'esclusione di Gorizia e Trieste. Le motivazioni degli interventisti, in parte ideologiche in parte strumentali, si fondavano sul fatto che l'Austria-Ungheria era la potenza contro la quale si era combattuto durante le guerre d'indipendenza e che entrare in guerra al suo fianco o rimanere neutrali avrebbe smentito tutta la tradizione risorgimentale ^ "le radiose giornate di maggio", secondo la definizione di Gabriele D'Annunzio ^ in particolare il IV ed il XXVII Corpo d'armata, comandato dal generale Pietro Badoglio ^ in due settimane andarono perduti 350.000 soldati fra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ed altri 400.000 si sbandarono verso l'interno del paese ^ Mario Silvestri, Caporetto, una battaglia e un enigma, pag. 3 ^ visto che il paese era ormai a un passo dal baratro, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e soprattutto su quello morale, data l'incapacità della monarchia di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. ^ Quest'ultima, pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, l'unione della città all'Italia ^ le ostilità fra Russia ed Impero ottomano cominciarono il 29 ottobre senza una formale dichiarazione di guerra, si veda (EN)Turkey enters the war ^ Enver Pasha era, assieme a Mehmed Talat Pasha e Ahmed Djemal, uno dei membri del direttorio militare (i Tre Pascià) che guidava l'impero, nonché capo dell'esercito ^ Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, 1994, pag. 49 ^ la 2ª Armata fu schierata nel 1916, dopo la fine della Campagna dei Dardanelli ^ gli effettivi dell'Armata del Caucaso si ridussero a 65.000 circa dopo il ridispiegamento nell'autunno 1914 di due Corpi d'Armata russi sul fronte austro-prussiano ^ David Fromkin A peace to end all peace: the fall of the Ottoman Empire and the creation of the modern Middle East ^ anche Drastamat Kanayan era stato comandante di un reparto militare dell'Armata del Caucaso e aveva comandato un'unità di volontari armeni. ^ Minami, Hiroshi. 1987. Taishou bunka. Keisou shobou, Tokyo ^ Masao Maruyama, Le radici dell'espansionismo. Ideologie del Giappone moderno, 1990, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino ^ Negrelli , op. cit., sez.X, cap.1, par.III: guerra totale, (c) su tutti i fronti ^ Negrelli , op. cit., sez.X, cap.2, par.III: l'intervento degli Stati Uniti, (a) la rivoluzione messicana e le profferte tedesche ^ Negrelli , op. cit., sez.X, cap.2, par.III: l'intervento degli Stati Uniti, (b) tornaconto e ideali dei «grandi creditori» ^ La Grande Storia della Prima Guerra Mondiale - Martin Gilbert ^ a b Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, 1994 ^ Armando Diaz legge il Bollettino della Vittoria ^ Ferdinand Foch, Memorie, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1931. ^ The King's Grace - J.Buchan, pag. 203 Bibliografia [modifica] Arrigo Petacco, Le grandi battaglie del XX secolo, Curcio 1982. Eric J. Leed, Terra di nessuno, Bologna: Il Mulino, 1985, ISBN 88-15-06326-9. John Reed, La guerra nell'Europa orientale 1915, Pantarei, Milano 1997. Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, Milano: Mondadori, 2000, ISBN 88-04-48470-5. B. H. Liddell Hart, La prima guerra mondiale. 1914-1918, BUR Biblioteca universale Rizzoli, 2001 David Stevenson, La grande guerra - Una storia globale, Milano, Rizzoli, 2004, ISBN 88-17-00437-5 Antonio Gibelli, L'officina della guerra, Torino: Bollati Boringhieri, 2003, ISBN 88-339-1103-9. Antonio Gibelli, La grande guerra degli italiani 1915-1918, BUR Biblioteca univ. Rizzoli, 2007 Emilio Lussu, Un anno sull'Altipiano, Einaudi, 2005, ISBN 978-88-06-17314-2. Roberto Mandel, Eroi Milanesi della Grande Guerra, La Lanterna Editrice, Milano, 1932. Piero Melograni, Storia politica della grande guerra, Laterza: Bari 1969. Alistair Horne, Il prezzo della Gloria, Verdun 1916, 2003 (in italiano), Milano, BUR [1962], pp. 376. G. Lehner, Economia, Politica e Società nella prima guerra mondiale (Messina-Firenze,1973). 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Sul Carso Triestino, Goriziano e Sloveno, Trieste, Transalpina Editrice, collana: Andar de Bora (a cura di Alessandro Ambrosi), 2008, ISBN 978-88-88281-01-0 Enrico Camanni, La guerra di Joseph, CDA&Vivalda editore, collana "I Licheni", 2004, Torino, ISBN 978-88-7808-137-6 Carlo Ghisalberghi, L'Italia e la Serbia nella prima guerra mondiale, in "Il Veltro", Roma, a. LIV, n. 1-2, gennaio-aprile 2010, pp. 61-76. Achiolle Dardano e Luigi Filippo de Magistris La nostra guerra (atlante della grande guerra) Novara IGDA 1916 - varie tavole e descrizioni del Grande Atlante Geografico del '22 di Mario Baratta e Luigi Visintin - Calendario Atlante de Agostini degli anni di guerra e immediatamente successivi - Baratta, Fraccaro, Visintin Atlante storico Novara IGDA (vokl. III, Età moderna, di Luigi Visintin (es. tavole su Caporetto) Voci correlate [modifica] Cronologia della prima guerra mondiale Schieramenti e armamenti nella prima guerra mondiale Lista di personaggi associati alla prima guerra mondiale Triplice Intesa Triplice Alleanza Comunismo Rivoluzione Russa (o Rivoluzione d'Ottobre) Seconda guerra mondiale Conferenza di Cannes Giornale di trincea Riccardo di Giusto, primo morto italiano della guerra Camille Mayer, primo morto tedesco della guerra Jules-André Peugeot, primo morto francese della guerra Storia della Bulgaria nella prima guerra mondiale Campagna di Romania Altri progetti [modifica] Collabora a Wikisource Wikisource contiene testi relativi alla Prima guerra mondiale Collabora a Commons Wikimedia Commons contiene file multimediali sulla Prima guerra mondiale Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sulla Prima guerra mondiale Collegamenti esterni [modifica] La Grande Guerra 1915-1918: Foto dei campi di battaglia, ieri ed oggi. Museo della guerra Salcano 1915-1917 prima guerra mondiale: Un portale completo sulla prima guerra mondiale: antefatti, cause, dopoguerra e protagonisti della grande guerra. La Grande Guerra 1914-1918: La storia, i personaggi, la cronologia, gli armamenti, i memoriali, le pubblicazioni, gli approfondimenti, i filmati e le canzoni della prima guerra mondiale 1914-1918. Propaganda Propaganda prima, durante e dopo la prima guerra mondiale. Museo Storico di Trento, impegnato nella raccolta di documentazione popolare relativa al periodo della prima guerra mondiale Museo della guerra di Rovereto, tra i più forniti in Italia di documentazione sulla Grande Guerra. Forte Belvedere Gschwent, fortezza austro-ungarica e museo della Grande Guerra 1914-18 di Lavarone (TN). (EN)First World War.com, sito che descrive in dettaglio battaglie, protagonisti, armamenti. (EN) Arte della prima guerra mondiale raccolta curata dall'UNESCO di opere artistiche riguardanti la Grande Guerra. (FR) La stampa durante la prima guerra mondiale (EN) World War I document archive imponente raccolta di fonti primarie sulla prima guerra mondiale, in particolar modo materiale diplomatico. (EN) Trenches on the Web sito statunitense, interessante. Immagini di storia - prima guerra mondiale: Ricca raccolta di immagini sulla storia della prima guerra mondiale, in parte commentate. la festa dei ceri in guerra su Associazione Eugubini nel Mondo: La festa dei ceri di Gubbio venne fatta al fronte, nel 1917. Estratti dal libro di Lussu "Un anno sull'altipiano", sulla guerra di trincea Sulle Tracce della Grande Guerra Informazioni e documenti storici sulla Grande Guerra nell'area transfrontaliera tra la Valle del Natisone (Italia) e Kobarid (Caporetto, Slovenia) Riassunto per immagini della prima guerra mondiale Associazione culturale F. Zenobi Storia e itinerari della Grande guerra sul fronte dell'Isonzo Ampia raccolta di documenti, fotografie e testimonianze sull'esperienza di guerra di un tenente della Regia Guardia di Finanza Enciclopedia Treccani Associazione Storica Cimeetrincee | |
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| Da: La Transnistria: questa sconosciuta | 23/10/2011 15:12:57 |
| La Transnistria[2], Transdniestria o, secondo l'espressione russa, Pridnestrovie[3] è uno stato indipendente de facto non riconosciuto a livello internazionale, essendo considerato ufficialmente come parte della Repubblica di Moldavia: è governato da un'amministrazione autonoma che ha sede nella città di Tiraspol. La regione, precedentemente parte della Repubblica socialista sovietica moldava (una delle repubbliche dell'Unione Sovietica), ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza come Repubblica Moldava di Transnistria il 2 settembre 1990. Dal marzo al luglio 1992 la regione è stata interessata da una guerra che è terminata con un cessate il fuoco garantito da una commissione congiunta tripartita tra Russia, Moldavia e Transnistria, e lo stabilimento di un'area smilitarizzata tra Moldavia e Transnistria comprendente 20 località al di qua e al di là del fiume Nistro. Indice [nascondi] 1 Nome 2 Storia della Transnistria 2.1 Fino al XX secolo 2.2 La Transnistria nell'ambito dell'Unione Sovietica 2.3 L'indipendenza de facto 3 La sicurezza militare della Repubblica 4 Le relazioni internazionali della Repubblica 5 Il processo di pace con la Moldavia 5.1 La posizione della Russia nella questione della Transnistria 5.2 La crisi del 2004 5.3 La posizione dell'Ucraina nella questione della Transnistria 5.4 La ripresa dei negoziati di pace nel 2010 6 Popolazione 6.1 Censimenti 6.1.1 Censimento 1989 6.1.2 Censimento 2004 7 Economia 8 Regioni Amministrative della Transnistria 9 La bandiera 10 Stampa ed informazione 11 Riferimenti in opere di fantasia 12 Note 13 Altri progetti 14 Collegamenti esterni Nome [modifica] Il nome della regione deriva dal fiume Nistro: la Transnistria è infatti un'area posta sulla sponda orientale del fiume. In italiano la regione è chiamata Transnistria (che è anche il nome rumeno) oppure Transdniestria. Il nome formale, sancito dalla Costituzione della Repubblica indipendente è Рµ¿у±»иº° Мо»´овµнясºэ Нистрянэ (Republica Moldovenească Nistreană) in moldavo, При´нµстровсº°я Мо»´°всº°я Рµс¿у±»иº° (Pridnestrovskaja Moldavskaja Respublika) in russo, При´ністровсьº° Мо»´°всьº° Рµс¿у±»іº° (Pridnistrovs'ka Moldavs'ka Respublika) in ucraino. L'abbreviazione usata dalle autorità transnistre è PMR (ПМР). Il nome breve utilizzato localmente è Pridnestrov'e (traslitterazione del russo При´нµстровьµ). Nel 2000 un editto presidenziale ha sancito che la traslitterazione ufficiale del nome in caratteri latini sarebbe Pridnestrovie[3] (seguendo un uso parzialmente difforme rispetto alle traslitterazioni scientifiche del cirillico). Da un punto di vista etimologico i nomi derivano da varianti del termine Transnistria inteso come "oltre il fiume Nistro", Pridnestrovie, significa infatti "presso il fiume Nistro". Storia della Transnistria [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Storia della Transnistria. Fino al XX secolo [modifica] La regione era popolata nell'antichità da Geti/Daci e da popolazioni iraniche. Subentrarono i Romani e alla fine del medioevo vi si trovavano tribù slave, nomadi turchi e pastori rumeni. Fu sotto il controllo della Rus' di Kiev e del Granducato di Lituania; nel XV secolo l'area finì sotto il controllo dell'Impero Ottomano. A quel tempo, la popolazione era scarsa, di etnia mista moldavo-rumena e ucraina, con presenza di nomadi Tartari. Alla fine del XVIII secolo ci fu la colonizzazione della regione da parte dell'impero russo, con lo scopo di difendere quello che era il confine sud ovest dell'impero: conseguenza di ciò fu una consistente immigrazione di persone di nazionalità ucraina, russa e tedesca. La Transnistria nell'ambito dell'Unione Sovietica [modifica] Nel 1918 il Direttorato di Ucraina (a quel tempo indipendente) proclamò la sua sovranità sulla parte sinistra del fiume Nistro. A quel tempo, la popolazione era per il 48% moldavo-rumena, 30% ucraina e 9% russa. Un terzo di questa regione (la parte attorno alla città di Balta, oggi con maggioranza ucraina) fa parte dell'Ucraina. La regione divenne poi l'Oblast' Autonomo di Moldavia nell'ambito della RSS (Repubblica Socialista Sovietica) di Ucraina. L'entità fu trasformata in Repubblica Autonoma Moldava (RSS a sua volta), con capitale Balta, nel 1924. La maggioranza della popolazione era di madrelingua rumena e nelle scuole s'insegnava perciò la lingua rumena usando l'alfabeto cirillico. La RSS (Repubblica Socialista Sovietica) di Moldavia fu istituita da una decisione del Soviet Supremo dell'URSS il 2 agosto 1940. Era formata da due parti: una buona parte della Bessarabia, presa dalla Romania il 18 giugno, seguendo il patto Molotov-Ribbentrop, dove la maggioranza della popolazione era di lingua rumena; e la parte occidentale della preesistente Repubblica autonoma moldava, mentre la parte orientale, con la precedente capitale Balta era annessa all RSS di Ucraina. Nel 1941 le truppe romene, all'inizio dell'Operazione Barbarossa, ripresero la Bessarabia ma continuarono l'avanzata oltre il confine storico lungo corso del Nistro. La Romania annesse poi ad interim l'intera regione tra il Nistro e il fiume Bug meridionale dove era presente una consistente minoranza romena, includendo la città portuale di Odessa, che attualmente fa parte dell'Ucraina. L'Unione Sovietica riguadagnò l'area nel 1944 quando l'Armata Rossa penetrò nel territorio facendo indietreggiare le Potenze dell'Asse. La RSS Moldava fu oggetto di una politica di sistematica russificazione, ancor più dura di quella del periodo zarista. Il cirillico divenne la scrittura ufficiale della lingua moldava. Esso aveva uno status ufficiale nella repubblica, insieme al russo, che era la lingua di comunicazione interetnica. La maggior parte delle industrie che furono create nella RSS di Moldavia allo scopo di attirare immigrati dal resto dell'URSS, era concentrata nella Transnistria, mentre la parte della Moldavia ad ovest del Nistro manteneva un'economia prevalentemente agricola. Nel 1990, la Transnistria rappresentava il 40% del PIL moldavo e il 90% della produzione elettrica dell'intera repubblica moldava. La 14ª armata dell'esercito russo, che aveva sede in Moldavia, più precisamente a Tiraspol, rimase anche dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica per salvaguardare il più importante arsenale e deposito di munizioni in Europa. Il governo di Mosca avviò negoziati con le repubbliche di Moldavia, Transnistria ed Ucraina per trasferire i diritti sul materiale militare alla Russia. L'indipendenza de facto [modifica] Durante gli ultimi anni ottanta, la perestrojka di Michail Gorbač«v permise la liberalizzazione politica a livello regionale. L'incompleta democratizzazione era preliminare per il nazionalismo che diventava la principale dinamica forza politica. Qualche minoranza politica si oppose a questi cambiamenti nella classe politica della Repubblica moldava, dato che dal tempo dei Soviet i politici locali sono stati spesso dominati dai non-rumeni, particolarmente da russi. Le leggi sulla lingua introdussero l'alfabeto latino per la scrittura moldava, sebbene una significativa porzione della popolazione non-rumena della RSS di Moldavia non parlasse di norma il moldavo/rumeno. Il problema delle lingue ufficiali nella Repubblica Moldava divenne un nodo gordiano, esagerato e forse intenzionalmente politicizzato. Questo fastidio verso le nuove politiche era manifestato in maniera più visibile nella Transnistria, dove i centri urbani come Tiraspol avevano una maggioranza slava ed una significativa presenza di pieds noirs russi. Secondo il censimento nel 1989, la popolazione nella Transnistria era composta per il 39,9% da moldavo/rumeni, per il 28,3% da ucraini, per il 25,4% da russi e per il 1,9% da bulgari. Il 2 settembre 1990 fu proclamata unilateralmente la Repubblica Moldava di Transnistria (MRT). Il 25 agosto 1991 il Soviet Supremo dell MRT adottò la dichiarazione di indipendenza. Il 24 agosto 1991 il parlamento moldavo votò la dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Moldavia, il cui territorio includeva la Transnistria. Il parlamento moldavo chiese al Governo dell'URSS di "iniziare le negoziazioni con il Governo moldavo in modo da porre fine all'occupazione illegale della Repubblica della Moldavia e ritirarsi dal territorio moldavo", ovverosia di ritirare la 14ª armata da Tiraspol. Le forze della 14ª armata però rimasero e agli ordini del gen. Lebed combatterono a favore dei separatisti della Transnistria. I separatisti poterono armarsi con le dotazioni della 14ª armata russa e svolsero un ruolo minore nella guerra. l'esercito regolare moldavo,trovandosi in posizione di netta inferiorità numerica e di armamenti,fu sconfitto con rilevanti perdite. Nel giugno 1992 le forze russe attraversarono il fiume Dniestr e occuparono, dopo aspri combattimenti che costarono la vita anche a civili, la città di Tighina, situata sulla sponda occidentale del fiume (l'evento è ricordato in Moldavia come Massacro di Tighina, ma è bene chiarire che non si trattò di esecuzioni di massa ma di morti a causa del fuoco delle artiglierie russe contro gli edifici civili). Un cessate il fuoco fu accettato e siglato il 21 luglio 1992. Dopo l'accettazione del cessate il fuoco, la Russia continuò a supportare de facto il governo separatista. Comunque fu istituita una zona di sicurezza tra Moldavia e Transinistria controllata da una Forza di pace congiunta (335 militari russi, 453 militari moldavi e 490 miliziani della regione separatista), sotto la supervisione di una Commissione di controllo congiunta. Nel 1998 alla Commissione si aggiunsero 10 osservatori militari ucraini. L'OSCE, che cerca di favorire un negoziato stabile tra le parti, ha avviato una missione in Moldavia il 4 febbraio 1993 e ha aperto un ufficio a Tiraspol il 13 febbraio 1995. Nel febbraio 2003, gli Stati Uniti d'America e l'Unione Europea hanno imposto misure restrittive contro la leadership della sedicente Repubblica di Transnistria. La sicurezza militare della Repubblica [modifica] Nel territorio della Repubblica di Transnistria stanziano, in veste di peacekeepers, 1.500 militari russi, equipaggiati con armi leggere, a difesa dei consistenti depositi di munizioni lasciati in loco dalla 14ª armata dell'URSS. Nel 2009, in occasione della ipotesi di uno schieramento dello scudo antimissili americano in Romania, il Presidente della Repubblica Igor Smirnov ha dichiarato di essere pronto ad accettare lo schieramento di un sistema di difesa antimissili russo sul territorio da lui controllato.[4] Le relazioni internazionali della Repubblica [modifica] Un passaporto transnistriano Flag of South Ossetia.svg Ossezia del Sud - (17 novembre 2006) Flag of Abkhazia.svg Abcasia - (17 novembre 2006) L'Abcasia, l'Ossezia del Sud e la Transnistria dal 2006 hanno costituito la Comunità per la democrazia e i diritti dei popoli.[5] Il processo di pace con la Moldavia [modifica] La posizione della Russia nella questione della Transnistria [modifica] Nel luglio 2002, l'OSCE, la Russia e i mediatori dell'Ucraina approvarono un documento di principio per il ritorno della Moldavia ad un sistema federale. Fondamentali divisioni si sono però incontrate sulla forma dello stato ed i poteri della federazione in fieri. A metà novembre 2003, la Russia preparò un memorandum, con una dettagliata proposta per la costituzione di uno stato federale moldavo unito. Pubblicato dapprima in Russia sul sito web del sedicente ministero degli esteri della Transnistria, il testo era promosso da Dmitry Kozak, uomo di spicco dello staff del presidente Putin. Il memorandum Kozak rappresentava una rottura con la leadership della Transnistria, in quanto si prevedeva che la Transnistria avesse uno status comune al resto della Moldavia. Per la Moldavia federale era stato proposto che le competenze di governo fossero divise in tre categorie: quelle della federazione, quella degli stati federati e quelle comuni. Questo piano presentava però diverse incognite, prima fra tutte il meccanismo elettivo delle due camere del parlamento federale: si prevedeva una camera bassa eletta con criterio proporzionale ed un senato composto da 13 membri eletti dalla camera bassa federale, 9 dalla Transnistria e 4 dalla Gagauzia. Si osservi che, secondo il censimento del 1989, la Transnistria ha il 14% della popolazione totale della Moldavia e la Gagauzia il 3,5%. Grandi dimostrazioni contro il memorandum Kozak ebbero luogo a Chişinău nei giorni seguenti la pubblicazione delle proposte russe. La leadership moldava rifiutò di firmare questo memorandum senza la coordinazione delle organizzazioni europee. Una visita del presidente Putin in Moldavia fu cancellata. La Moldavia e il memorandum Kozak furono all'ordine del giorno all'incontro dei ministri dell'OSCE a Maastricht nel dicembre 2003. A causa del disaccordo tra la Russia da una parte e l'Unione Europea e gli Stati Uniti dall'altra, la questione moldava fu una delle principali ragioni per cui una dichiarazione finale non fu adottata dopo il meeting. La crisi del 2004 [modifica] Approssivativamente 11.200 bambini su 79.000 studenti della Transnistria sono educati in lingua moldava, di fatto uguale a quella rumena; nell'estate del 2004, le autorità della Transnistria chiusero con la forza 6 scuole che insegnavano il moldavo scritto in caratteri latini: circa 3.400 bambini furono colpiti da questa misura. Diversi insegnanti e genitori che si opposero alla chiusura furono arrestati e le lezioni si tennero all'aperto per diversi giorni.Le scuole chiuse furono poi riaperte, ma con lo status di "istituzioni educative non-governative". Durante la crisi, il governo moldavo decise di isolare la repubblica separatista dal resto del paese, ma il blocco era inefficiente causa la mancanza di cooperazione del governo ucraino filo-russo di Leonid Kučma. La Transnistria reagì con una serie di azioni miranti a destabilizzare la situazione economica nella Moldavia, tagliando la fornitura elettrica che, in Moldavia, è in gran parte garantita da centrali costruite in Transnistria nel periodo sovietico. La posizione dell'Ucraina nella questione della Transnistria [modifica] Nel maggio 2005, il governo ucraino filo-occidentale di Viktor Juščenko propose un piano in sette punti, secondo il quale l'eventuale separazione definitiva della Transnistria dalla Moldavia doveva arrivare attraverso un negoziato stabile e libere elezioni. Gli Stati Uniti, l'Unione Europea e l'MTR espressero accettazione per il progetto. Nel luglio 2005, l'Ucraina aprì 5 nuovi valichi di confine tra Transnistria e Ucraina, pattugliati da ufficiali moldavi ed ucraini per ridurre l'alta incidenza del contrabbando. L'Ucraina ha aperto nello stesso anno un'ambasciata a Chisinau e un consolato a Balti. Nel 2005 anche l'Unione Europea ha avviato una missione per ridurre il contrabbando tra la Transnistria da una parte e l'Ucraina dall'altra. La Russia, che sembra orientata piuttosto a mantenere lo status quo o a guidare essa stessa il processo di pace, non ha espresso aperto sostegno al progetto ucraino. Il fallimento della proposta ha spinto il governo ucraino a rinsaldare i legami con la Moldavia, finendo di fatto per schierarsi sulle posizione del Governo moldavo. Infatti, il 3 marzo 2006, l'Ucraina ha introdotto nuovi regolamenti doganali per le merci che transitano attraverso il confine della Transnistria: sono importabili in Ucraina solo i beni che hanno documenti rilasciati dalle Autorità moldave, in base all'accordo doganale ucraino-moldavio del 30 dicembre 2005. La Transnistria e la Russia hanno protestato parlando di "blocco economico" imposto alla regione separatista. Il 28 dicembre 2009 i governi ucraino e moldavo hanno lanciato anche un processo di demarcazione dei loro 985 km di confine, sempre senza coinvolgere la Transnistria. Anche in questa circostanza la Transnistria e la Russia hanno protestato per una iniziativa che non è tesa alla soluzione negoziata della crisi.[6] La ripresa dei negoziati di pace nel 2010 [modifica] A Vienna, sotto la guida dell'Osce si sono ritrovati il 27 e 28 settembre nel formato "5+2" i negoziatori di Chişinău, Tiraspol, oltre che i diplomatici russi, ucraini, nordamericani ed europei. Senza risultati clamorosi, i colloqui si sono focalizzati su due aree: libertà di movimento e garanzie per la prosecuzione del processo di negoziato.[7] Tra i risultati tangibili si annovera la riapertura della linea ferroviaria Chişinău-Odessa (Ucraina), attraverso la Transnistria e il riallaccio delle linee di telefonia fissa delle due parti del Dnestr. Popolazione [modifica] All'ultimo censimento del 1989, la popolazione della Transnistria era di 546 400 abitanti. Recentemente, c'è stata una forte emorragia dalla regione dovuta alle difficoltà conseguenti ai fatti del 1990 ed al più completo isolamento internazionale, dato che la autoproclamata Repubblica di Transnistria non e' riconosciuta nè dalle Nazioni Unite , nè da alcuno Stato Sovrano: questo è il motivo principale per cui una gran parte della popolazione è oltre l'età della pensione. Censimenti [modifica] Censimento 1989 [modifica] Totale popolazione sulla parte sinistra del fiume Nistro (è esclusa Tighina, città situata sulla destra del fiume ma non considerata dalla Moldavia come parte della Transnistria): 546 400 Moldavi (rumeni): 40% Ucraini: 28% Russi: 24% Altri: 8% Censimento 2004 [modifica] Totale popolazione (includendo Tighina): 555 500 Moldavi: 31,9% Russi: 30,3% Ucraini: 28,8% Le notevoli variazioni rispetto al censimento precedente fanno supporre che vi siano stati scambi di popolazione con la Moldavia ad ovest del Nistro. In sostanza i moldavo/rumeni abbandonerebbero la Transnistria per trasferirsi ad abitare in territori controllati dal governo di Chisinau mentre gli slavi (ucraini e pieds noirs russi) migrerebbero verso il territorio controllato dalle autorità di Tiraspol. A lungo andare, se queste tendenze continueranno, si avrà una netta differenziazione etnica fra i territori che si affacciano sulle opposte sponde del Nistro: nella parte occidentale dominata dall'etnia moldavo/romena scomparirà l'etnia russa e si ridurrà ad una piccola percentuale quella ucraina mentre nella parte orientale i moldavo/romeni diventeranno un'esigua minoranza immersa in una larghissima maggioranza slava. Attualmente il gruppo etnico moldavo/romeno, che forse ancora rappresenta la maggioranza relativa della popolazione della Transnistria, si presenta diviso tra fautori della Moldavia, fautori della grande Romania e sostenitori del governo in carica. Il gruppo etnico russo sostiene l'indipendenza della Transnistria o, in alternativa, l'annessione alla Russia. Gli ucraini infine sono divisi tra i sostenitori della Transnistria indipendente ed i fautori dell'annessione all'Ucraina. In conclusione russi ed ucraini, che uniti rappresentano la maggioranza assoluta della popolazione della Transnistria, sono accomunati dalla richiesta di un distacco definitivo dalla Moldavia. In questa situazione si inseriscono inoltre le istanze di altre solide comunità etniche straniere, ormai stabilmente insediate sul territorio, come i caucasici, i siberiani, gli armeni e i georgiani. Economia [modifica] Il PIL (Prodotto Interno Lordo) è circa di 420 milioni di dollari americani, il che corrisponde ad un reddito procapite è di 662 dollari (lordi) all'anno: questo dato è poco preciso visti i dubbi sulla reale consistenza demografica del territorio. La regione ha un certo numero di fabbriche ereditate dal sistema industriale sovietico, peraltro contraddistinte da tecnologie superate e inquinanti. Una è una fabbrica di munizioni in Tighina (Bender) mentre altre fabbriche di acciaio esistono in Rîbniţa. La fabbrica di Rîbniţa contribuisce al 50% circa del reddito della repubblica ed è il fornitore principale dei lavori in quella città. Un'altra importante fabbrica è la distilleria Kvint di Tiraspol, famosa per il suo forte spirito, talmente radicata nel territorio (esiste dal 1897) che viene riportata anche nella banconota da 5 rubli "rublo della Transnistria" (banconota introdotta nel 1994, ma non riconosciuta dai circuiti internazionali). La più importante azienda è la Sheriff, l'unica autorizzata ad esportare all'estero il cui proprietario è il figlio maggiore Vladimir del presidente Igor' Nikolaevič Smirnov. La "Sheriff" ha il controllo virtuale dell'economia dell'intera regione, dalla squadra di calcio della capitale FC Sheriff Tiraspol e del relativo stadio recentemente costruito, ha una catena di supermercati e di distributori di carburante, una casa editrice, una distilleria, un casinò, un canale televisivo, una agenzia pubblicitaria. Osservatori della Comunità Europea, esprimendosi in merito alla preoccupante situazione dell'illegalità e del mancato controllo delle frontiere di questa regione, che è alle porte dell'Unione, sono portati a ritenere che parte non irrilevante del flusso economico nazionale sia direttamente collegato o da riferirsi ai traffici illeciti che derivano dal radicamento del crimine organizzato di mafie attive in tutta la Russia e dalla particolare posizione di passaggio di questo territorio per il flusso degli stupefacenti delle armi e del contrabbando; questa situazione ha portato la stampa a definire il paese il "buco nero d'Europa".[8] Regioni Amministrative della Transnistria [modifica] Mappa amministrativa La Transnistria è suddivisa in 5 distretti (raion) e 2 municipalità (tra parentesi il nome in russo) Distretto di Camenca (К°мµнсºий р°йон) Distretto di Dubăsari ("у±осс°рсºий р°йон) Distretto di Grigoriopol ("ригорио¿о»ьсºий р°йон) Distretto di Rîbniţa (Ры±ницºий р°йон) Distretto di Slobozia (С»о±о´·µйсºий р°йон) Tiraspol (Тир°с¿о»ь) Tighina (Бµн´éры) La bandiera [modifica] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Bandiera della Transnistria. La Bandiera dalla Repubblica Moldava di Transnistria è stata adottata ufficialmente come bandiera di stato il 3 luglio 2000. È in pratica la bandiera dell'ex repubblica socialista sovietica moldava (1952-1990). La legge prevede anche l'uso di una versione semplificata che non contiene la falce e il martello e la stella in alto a sinistra. Stampa ed informazione [modifica] Pridnestrovie in inglese TiraspolTimes in inglese Vspmr in inglese Tiras in inglese Visitpmr in inglese Azi in inglese Transnistria.md in inglese Riferimenti in opere di fantasia [modifica] Romanzo L'era del flagello (fantascienza) Romanzo (Educazione siberiana) Note [modifica] ^ (EN) Sentenza della Corte europea dei Diritti dell'uomo che condanna la presenza militare russa nella regione. URL consultato il 23-02-2008. ^ Transnistria è il nome diffuso in lingua italiana, cfr. Documento del Parlamento Europeo e Documento della Camera dei deputati ^ a b (EN) Pridnestrovie.net: Testo dell'editto ufficiale. URL consultato il 17 luglio 2007. ^ http://en.rian.ru/analysis/20100216/157904643.html ^ Офици°»ьный с°йт Соо±щµств° "З° ´µмоºр°тию и ¿р°в° н°ро´ов" ^ [1] Ukraine, Moldova starting demarcation of Dniester border ^ Transnistria-Moldavia, è football diplomacy, in Osservatorio balcani e caucaso, 22 ottobre 2010 ^ P. Sartori, TRANSNISTRIA UN CROCEVIA DI TRAFFICI ILLECITI ALLE PORTE DELL'UNIONE EUROPEA, ISIG ·Trimestrale di Sociologia Internazionale, 2002 (http://www.isig.it) Altri progetti [modifica] Consiglio Supremo della Repubblica moldava di Transnistria Portale ufficiale della Repubblica moldava di Transnistria Trans-Dnistrer Republican Bank | |
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| Da: Studiamo un pò di geografia: Le pianure alluvional | 23/10/2011 15:15:45 |
| In sedimentologia, si definisce pianura alluvionale (o piana alluvionale) un ambiente sedimentario in cui la sedimentazione è controllata dalle correnti fluviali. Le pianure alluvionali si sviluppano in valli e bacini intra-continentali, e sono costituite da sedimenti clastici[1], ai quali si dà il nome di alluvium (sedimenti alluvionali). Si tratta di aree tra le più popolate ed economicamente rilevanti della Terra, per lo sviluppo che vi assumono l'agricoltura (nelle zone favorevoli dal punto di vista climatico), e l'industria. Vi si sviluppano anche le maggiori aree a foresta tropicale del mondo (ad esempio i bacini del Rio delle Amazzoni e del Congo), e le più estese aree a prateria (come ad esempio la prateria nordamericana e le Pampas), di importanza fondamentale per l'equilibrio ecologico a scala globale, oltre che di grande interesse naturalistico. Indice [nascondi] 1 Descrizione 2 Ambiente sedimentario 2.1 Alta pianura 2.2 Bassa pianura 3 Comunità biologica 4 Storia geologica 5 Esogeologia 5.1 Marte 5.2 Titano 5.3 Venere 6 Interesse economico 6.1 Storia della presenza umana 6.2 Agricoltura e allevamento 6.3 Potenziale minerario 6.4 Potenziale di ricerca degli idrocarburi 7 Rischio idrogeologico e ambientale 8 Note 9 Bibliografia 10 Voci correlate 10.1 Processi fisici 10.2 Strutture sedimentarie 10.3 Geomorfologia 10.4 Ambiente naturale 10.5 Ambienti sedimentari relazionati 10.6 Piane alluvionali del passato 11 Altri progetti Descrizione [modifica] Schema generale di una piana alluvionale, con i principali elementi morfologici. Le principali fasce altimetriche sono sottolineate in colori diversi. Con la diminuzione della pendenza dell'alveo e l'aumentare della portata, il tracciato dei canali tende a divenire da dritto a sinuoso, fino a meandriforme. Nei canali del tipo intrecciato, le barre fluviali tendono a migrare nella direzione della corrente, che coincide con la direzione di massima pendenza regionale. Le barre di meandro si sviluppano parallelamente al tracciato del meandro stesso e migrano trasversalmente alla direzione della pendenza regionale. I canali di tipo sinuoso (intermedi tra il tipo intrecciato e il tipo meandriforme, sono caratterizzati da barre fluviali e da incipienti barre di meandro. Le pianure alluvionali sono aree più o meno estese (con ampiezze che possono andare dalle centinaia di metri alle migliaia di chilometri), pianeggianti, di solito con debole inclinazione verso la costa continentale[2] che tende progressivamente a decrescere nella stessa direzione. Si tratta di prismi sedimentari con forma grossolanamente a conca o a truogolo, in cui la granulometria dei sedimenti decresce da monte verso costa, con il diminuire del gradiente topografico e quindi della velocità delle correnti fluviali. La caratteristica più evidente delle piane alluvionali è la presenza di un reticolo idrografico, scavato nell'alluvium dalle acque superficiali in forme che dipendono principalmente da tre fattori: gradiente topografico portata dei corsi d'acqua granulometria del sedimento trasportato Ambiente sedimentario [modifica] Una pianura alluvionale è l'espressione geomorfologica di un sistema alluvionale, composto da due tipi di elementi: canali: elementi attivi[3], di origine erosiva, riempiti di sedimenti prevalentemente sabbiosi deposti da correnti fluviali; piane di inondazione (o piane inondabili): elementi passivi, formati da depositi prevalentemente fini (argilloso-siltosi) di riempimento derivati dalla tracimazione delle acque dai canali. Le maggiori irregolarità morfologiche in queste aree sono date dai canali stessi (depressioni), dai loro argini naturali e dalle barre formate dai depositi da corrente (rilievi). Gli argini naturali sono accumuli di sedimento formati dalla tracimazione delle acque in regime di piena, mentre le barre sono accumuli di sedimento determinati dall'azione delle correnti[4] Una pianura alluvionale è costituita solitamente da due zone concentriche: l'alta e la bassa pianura, disposte a forma ellittica, il cui asse maggiore è il fiume che le origina. Alta pianura [modifica] La zona più esterna è detta "alta pianura", in cui tendono a prevalere i processi erosivi e nella quale possono essere presenti affioramenti di rocce lapidee alterate e/o fessurate o terrazzi di sedimento consolidato e cementato, attraverso le quali l'acqua piovana viene filtrata, raccogliendosi in falde freatiche. Tipica laminazione incrociata (composta da serie di lamine da corrente che si tagliano lungo superfici inclinate), di barra fluviale. Triassico dei monti Carpazi. Tipico aspetto di un corso d'acqua intrecciato (braided). Waimakariri River (Nuova Zelanda). Sono ben visibili le barre, entro l'alveo, e gli argini naturali, sui lati. Nella piana d'inondazione sono visibili le tracce di paleo-alvei abbandonati (ad esempio, sulla destra dell'immagine. La superficie in questa zona è quindi prevalentemente secca, con idrografia caratterizzata da pochi corsi d'acqua ad andamento rettilineo per i gradienti topografici più elevati, con depositi prevalentemente grossolani (ghiaioso-sabbiosi). I corsi d'acqua in questo settore della pianura tendono ad assumere un tracciato diritto o debolmente ondulato, e la configurazione più tipica è quella di canale intrecciato (braided), contraddistinto dalla presenza di barre fluviali: cumuli di ghiaia o sabbia di forma grossolanamente romboidale che tendono a migrare nel verso della corrente per il progressivo trasporto del materiale clastico nelle fasi di piena. Piana alluvionale "braided" durante la fase di ritiro delle acque dopo un'alluvione, sono evidenti i nuovi depositi di sedimenti alluvionali disposti a forma di isolotti ellittici eteogeneamente amalgamati fra di loro, allungati in direzione della corrente (le barre fluviali) Queste barre sono caratterizzate internamente da laminazioni oblique incrociate, di origine trattiva, inclinate nella direzione della corrente, con tipica forma a "festoni". Le rapide variazioni nella direzione della corrente e la turbolenza locale del flusso determinano superfici erosive concave (a truogolo), rapidamente riempite di nuovo sedimento laminato, che danno il tipico aspetto incrociato di queste strutture. I corsi d'acqua intrecciati sono caratterizzati da elevata instabilità e da frequenti diversioni per rottura degli argini naturali durante le piene. Spesso questi fenomeni danno origine a depositi grossolani a forma di lingua o di ventaglio (ventagli di rotta o crevasse splays), ricchi di frammenti d'argilla (clasti pelitici di materiale più fine strappato agli argini). Se la piana alluvionale confina con una catena montuosa, la sua parte alta è caratterizzata dalla presenza di conoidi di deiezione allo sbocco delle valli, depositi di sedimenti grossolani a forma di ventaglio che si originano per il rallentamento della corrente di fiumi e torrenti montani allo sbocco delle valli, causato dalla brusca diminuzione di pendenza. Bassa pianura [modifica] Il materiale più fine, quindi più leggero, come sabbie fini e argille, viene trasportato più a lungo dal fiume, e deposto nella zona detta "pianura bassa", avente una pendenza mediamente inferiore rispetto alla pianura alta. Qui il suolo è prevalentemente argilloso-siltoso, quindi tendenzialmente impermeabile, ed è facile la formazione di marcite, paludi e acquitrini. Il terreno risulta essere più fertile e facilmente coltivabile. Quando le acque sotterranee di falda incontrano i sedimenti a bassa permeabilità della pianura bassa, sovente risalgono in superficie formando risorgive, fenomeno tipico ad esempio della pianura padano-veneta. I canali, a causa del bassissimo gradiente topografico, tendono a divagare assumendo un andamento a meandri. La formazione dei meandri avviene per deposizione di materiale sabbioso sul lato convesso della sinuosità di un corso d'acqua. In questo settore del canale, la velocità della corrente è minore a causa della forza centrifuga (che tende a spostare la massa d'acqua verso il lato concavo), favorendo così la sedimentazione. Evoluzione di un meandro fluviale: l'accentuazione progressiva della curvatura, prodotta dalla migrazione delle barre di meandro, porta al fenomeno noto come taglio del meandro e all'abbandono del vecchio alveo, che diviene una lanca La velocità dell'acqua è invece maggiore in prossimità del lato concavo del meandro, dove prevale l'erosione. Esempio reale di corso d'acqua meandriforme (Powder River, Montana, USA), in una fografia aerea. È indicato il verso di accrescimento delle point bar. In alto a destra è visibile un meandro tagliato. Sono distinguibili anche vari tracciati (semicircolari) di meandri fossili nella piana di inondazione. Quindi, mentre sul lato convesso si ha progressivo accrezionamento di materiale, sul lato opposto il canale si espande altrettanto gradualmente, accentuando sempre più la curvatura a "laccio" del meandro stesso. Questo processo prosegue fino a quando il "collo" del meandro (figura a fianco) diviene tanto sottile da cedere ad una piena, determinando il taglio del meandro stesso e la formazione di un nuovo alveo. L'alveo corrispondente al meandro abbandonato rimane come lanca stagnante e viene gradualmente colmato di sedimento fine (tappo di argilla o clay plug). Il materiale sabbioso-siltoso che si accreziona sul lato convesso costituisce un corpo di barra (barra di meandro o point bar), caratterizzato da una stratificazione inclinata nella direzione di accrescimento del meandro. Il materiale fine portato in carico dalla corrente durante le piene, quando le acque tendono a tracimare dall'alveo, tende a depositarsi ai lati dell'alveo stesso e a formare depositi a forma di cuneo, gli argini naturali (natural levees), composti da alternanze di sottili strati sabbiosi e siltoso-argillosi, che si assottigliano gradualmente verso l'esterno fino a confondersi con la piana d'inondazione. Il fenomeno, nei canali sinuosi e meandriformi, è più accentuato sul lato concavo delle sinuosità, dove la forza centrifuga tende a spostare la direttrice di maggiore velocità della corrente. La rottura di questi argini, determinata talora dalle piene, dà luogo a depositi più grossolani a forma di ventaglio o conoide (i ventagli di rotta o crevasse splays). La pianura bassa a ridosso della costa e presso le foci dei fiumi che la costruiscono, può passare gradualmente ad una piana deltizia. Sezione ideale di una barra di meandro (point bar), parallela alla direzione di migrazione della barra (che avviene verso l'asse del canale). Si nota la stratificazione inclinata (clinostratificazione) dei corpi sedimentari sabbiosi. La laminazione interna di questi corpi è del tipo cross bedding, comune nei depositi fluviali (le lamine sono perpendicolari alla sezione, come la direzione della corrente che le ha deposte, e si distinguono come superfici concave, a truogolo). La scala verticale è esagerata rispetto a quella orizzontale (circa 2:1) per mostrare i meglio i dettagli. Comunità biologica [modifica] Le pianure alluvionali possono sviluppare una grande varietà di ecosistemi, a seconda della fascia climatica e del regime delle precipitazioni. In estrema sintesi, si possono ricordare le seguenti categorie, localizzabili nelle zone morfologiche tipiche di questo ambiente: Canali fluviali e immediate adiacenze Ambiente fluviale: alghe e piante superiori continentali di ambiente umido; notevole sviluppo delle faune ittiche; faune ad anfibi, rettili e mammiferi di ambiente acquatico. Nel caso di canali intrecciati, le barre più stabili (emerse anche nei periodi di piena) possono essere in parte colonizzate dalla vegetazione continentale (prevalentemente arbustiva o erbacea), mentre entro l'alveo di piena si può sviluppare solo vegetazione palustre e algale. Nei canali di tipo meandriforme, le barre hanno spesso carattere di maggiore stabilità e possono formare vere e proprie isole fluviali, con sviluppo di vegetazione ad alto fusto. Isole possono essere formate anche dai meandri tagliati, nel breve periodo di stabilizzazione del nuovo alveo (in cui quello vecchio è ancora attivo). Ambiente palustre: rappresentato dalle lanche corrispondenti agli alvei abbandonati; questi specchi di acqua stagnante sono destinati a rapido interramento, e inoltre sono soggetti spesso a episodi di anossia: in queste condizioni l'ittiofauna può essere poco sviluppata oppure oligotipica[5]. L'avifauna può essere ben rappresentata per le condizioni protette di questi microambienti e per la folta vegetazione nei climi umidi, con sviluppo sia di alghe che di piante superiori. Spesso inoltre tra le successive barre di meandro si hanno rughe concentriche (scroll bar) intervallate da depressioni che possono essere sede di acquitrini: per la loro instabilità, dovuta alla rapida migrazione delle barre, questi microambienti sono popolati prevalentemente da anfibi e dai loro predatori, e da pesci rimasti intrappolati nei periodi di piena, oltre che da alghe e vegetazione palustre. Piane di inondazione Ambiente palustre (rappresentato da acquitrini e torbiere): sviluppo sia di alghe che di piante superiori. Ricche faune ittiche, anfibi e rettili; notevole anche lo sviluppo dell'avifauna e dei mammiferi di ambiente acquatico. Aree di intercanale Ambienti di prateria, savana, steppa, tundra: ambienti caratterizzati complessivamente da vegetazione bassa, erbacea e arbustiva, con pochi alberi d'alto fusto. Vi prosperano mammiferi erbivori, talora di grande mole, spesso gregari, e i loro predatori; le specie variano a seconda della fascia climatica (subartica, temperata, tropicale). Nei climi temperato-caldi si ha una certa abbondanza di rettili terricoli (in particolare serpenti). Ambiente di foresta temperata: foreste di latifoglie, caratterizzate da un ricco sottobosco, che si sviluppano nella fascia temperata. Mammiferi erbivori e carnivori, anfibi e rettili. Notevole ricchezza di uccelli. Ambiente di foresta alluvionale: foreste che sviluppano in piane alluvionali, stagionalmente allagate. Si trovano solitamente nella fascia tropicale, caratterizzata da stagioni di alta piovosità o monsoni. La fauna vede una notevole presenza di anfibi e un basso numero di mammiferi terrestri (solitamente in grado di nuotare, o prevalentemente arboricoli). Ambiente di foresta pluviale tropicale: tipica della fascia equatoriale, in aree con elevate precipitazioni stagionali. Si tratta delle aree con più elevata varietà e ricchezza di vita animale e vegetale del pianeta. Le foreste pluviali più estese si sviluppano in grandi bacini alluvionali, come quelli del Rio delle Amazzoni e del Congo. Storia geologica [modifica] Questo ambiente sedimentario è presente da quando sulla superficie terrestre vi è stata acqua libera allo stato liquido su aree continentali stabili. Queste condizioni sono comparse e si sono gradualmente stabilizzate nel corso dell'Archeano, da 3700 a 2700 milioni di anni fa. Rocce sedimentarie di questa età sono state studiate in America settentrionale (Canada e Stati Uniti), Africa del sud (Sud Africa e Zimbabwe, India meridionale e Australia occidentale. I primi veri depositi di piana alluvionale, caratterizzati da canali fluviali di tipo intrecciato, sono stati studiati in India[6] nella regione del Dharwar, datano a 3200-3000 milioni di anni fa, e presentano caratteri sedimentologici assimilabili a quelli attuali. Le pianure alluvionali sono state a lungo prive di forme vita documentate, almeno fino alla comparsa delle prime forme di vita vegetale in ambiente subaereo, nel Siluriano. È però con il Paleozoico Superiore che le aree continentali vengono diffusamente colonizzate dalla vegetazione e da forme di vita animali. In particolare, con il Carbonifero le pianure alluvionali costiere sono sede di foreste con clima umido e di ricche faune ad artropodi (insetti e aracnidi) e anfibi. Nel Permiano i rettili fanno la loro comparsa nelle pianure continentali, dapprima con forme primitive, poi con i Terapsidi: forme evolute ben differenziate tra erbivori e carnivori. Nel Mesozoico questo ambiente è invaso progressivamente dagli Arcosauri, i cui rappresentanti più evoluti sono noti come Dinosauri, che evolvono ecosistemi con relazioni trofiche complesse. Con l'evento di estinzione tardo-cretacico questi sono rimpiazzati dai mammiferi, con forme prevalentemente di foresta nel Paleogene, mentre dal Miocene, con l'aumento della temperatura e l'impostazione di condizioni relativamente più aride, si diffondono le praterie e si evolvono gli ungulati di tipo moderno. Esogeologia [modifica] Marte [modifica] Marte, Maja Vallis. Pattern di drenaggio di tipo intrecciato, che potrebbe essere stato originato da inondazioni catastrofiche. Area di Melas Chasma, su Marte. Fenomeni di erosione delle pareti di un canyon, da cui si origina un evidente reticolo fluviale di tipo ramificato associato a probabili sedimenti alluvionali sul fondo vallivo. Sedimenti assimilabili a depositi alluvionali sono probabilmente presenti anche sul pianeta Marte, verosimilmente sviluppatisi in condizioni simili a quelle della Terra primitiva. Sono stati rilevati per mezzo delle sonde spaziali (tramite soprattutto il telerilevamento fotografico) canali sia di tipo intrecciato che a meandri situati entro solchi vallivi (un esempio molto citato è Melas Chasma), e formazioni geologiche simili ad apparati deltizi[7]. Si ritiene che queste formazioni si siano originate nella parte finale del Noachiano, era geologica di Marte la cui datazione è stimata da 3800 a 3500 milioni di anni fa (corrispondente quindi alla parte più antica dell'Archeano terrestre). La distribuzione e la configurazione di queste strutture sono in accordo con una rete di drenaggio naturale e presentano indubbie analogie con le morfologie associate sulla Terra ad acque correnti in aree continentali. Ciò supporterebbe l'ipotesi che nel passato geologico di Marte vi fosse acqua allo stato liquido. Attualmente, le condizioni di pressione atmosferica e temperatura della superficie marziana non consentono la presenza di acqua libera se non nelle regioni più basse, che si trovano al di sopra del punto triplo dell'acqua[8]. Secondo ipotesi alternative, le formazioni geologiche indicate potrebbero essere state originate anche da anidride carbonica[9] allo stato liquido (attualmente presente in quantità considerevoli come ghiaccio nelle calotte polari di Marte) o da metano[10] liquido. Titano [modifica] Morfologia simile ad un reticolo di drenaggio di tipo fluviale sulla superficie di Titano, il satellite maggiore di Saturno. Regione polare settentrionale. Presumibilmente questi canali drenano miscele di idrocarburi allo stato liquido Idrocarburi allo stato liquido sono presenti sulla superficie di altri corpi celesti; l'esempio meglio conosciuto (grazie alla recente missione spaziale Cassini-Huygens è il satellite maggiore di Saturno, Titano, dotato di un'atmosfera molto più densa di quella di Marte e con una pressione atmosferica all'incirca doppia di quella terrestre. Il satellite è ricoperto in gran parte da mari e laghi di idrocarburi allo stato liquido (metano ed etano soprattutto); è stato anche rilevato un vero e proprio reticolo idrografico. Apparentemente, su questo corpo celeste è presente un ciclo idrologico (con precipitazioni atmosferiche, drenaggio superficiale e bacini di raccolta) fondato non sull'acqua ma sugli idrocarburi. È del tutto verosimile che depositi di tipo alluvionale si possano essere formati anche in questo contesto. Venere [modifica] Schema restitutivo di un'area canalizzata sulla superficie di Venere (lat. 33.5°S, long. 158.5°; Est a destra della mappa). Si tratta di canali meandriformi (linee spesse) con probabili barre e bypass di meandro (linee sottili). Fonte: Magellan SAR mosaic F-MIDRP. 35 S 157;l. La mappa è larga 289 km. Da Kargel (1994), modificato Anche su Venere è stata riscontrata la presenza di canali con pattern sia intrecciati che meandriformi e formazioni interpretabili come barre di meandro ed edifici deltizi, con caratteri morfologici del tutto simili agli analoghi terrestri e sviluppo talora pari a centinaia e migliaia di chilometri. Considerate le condizioni estreme di pressione e temperatura alla superficie venusiana, è generalmente accettato che né l'acqua né alcun altro dei liquidi sopra citati possano essere all'origine di queste strutture. Nemmeno l'acido solforico originato dalle nubi atmosferiche può averle determinate, poiché l'elevata temperatura negli strati bassi dell'atmosfera (437-467 °C) ne induce la vaporizzazione. È ugualmente poco probabile che si tratti di strutture createsi nel remoto passato del pianeta, in condizioni ipoteticamente meno estreme di quelle attuali, a causa dell'elevata dinamicità della crosta venusiana[11] (diversamente da quella di Marte). Particolare di una morfologia canalizzata sulla superficie venusiana, dall'area di Fortuna Tessera (Magellan F-MIDR 45N019;1,framelet 18). La larghezza del canale è circa 2 km e l'ampiezza dell'immagine circa 50 km; il nord è verso l'alto. E' visibile un ampio meandro con fenomeni di diversione dell'alveo (quasi un "taglio" del meandro stesso) e isole fluviali. Recentemente[12], è stata avanzata l'ipotesi che i canali e le strutture relazionate siano state create dallo scorrimento di lave non-silicatiche (a composizione carbonatica), la cui viscosità a temperature come quelle della superficie di Venere è compatibile con queste morfologie e con i tempi necessari allo scavo dei canali stessi (mentre lave silicatiche a composizione basaltica, le meno viscose conosciute, solidificherebbero comunque troppo in fretta e darebbero origine a strutture molto diverse). Le uniche eruzioni carbonatitiche osservate sulla terra (vulcano Ol Doinyo Lengai, Tanzania), hanno dato origine a lave a bassa temperatura (500-600 °C) e bassissima viscosità, di aspetto e consistenza simili a quelle del fango. Si tratterebbe quindi di magmi con caratteristiche reologiche abbastanza prossime a quelle dell'acqua e in grado di dare origine a strutture sedimentarie confrontabili. In questo caso, l'equivalente dei sedimenti alluvionali terrestri sarebbero frazioni cristallizzate del magma e frammenti di roccia erosi e presi in carico dallo stesso. Interesse economico [modifica] Storia della presenza umana [modifica] Queste aree sono di primaria importanza per l'economia umana, poiché contengono le maggiori concentrazioni di popolazione e le maggiori risorse agricole e industriali (per dare alcuni esempi, le valli del Fiume Giallo, del Gange, dell'Indo, del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate, del Volga, del Po). Questa preminenza ha origini storiche, dal momento che le culture urbane si sono sviluppate a partire dal Neolitico preferenzialmente in questo contesto ambientale. Per citare le più conosciute: la cultura sumera e quella egiziana, sviluppatesi nella cosiddetta mezzaluna fertile, regione definita dalle pianure alluvionali del Nilo, del Giordano e del Tigri-Eufrate, ma anche ad esempio le culture della valle dell'Indo e quelle delle pianure della Cina. L'ambiente di piana alluvionale infatti offriva da un lato un'ampia disponibilità di risorse agricole il cui surplus potesse essere investito nelle comunità urbane, dall'altro una maggiore facilità di comunicazione che favorisse il trasporto e lo scambio delle merci e quindi il sorgere di un commercio organizzato. Per queste ragioni, il controllo di queste aree è stato fondamentale per lo sviluppo delle compagini statali e ne ha spesso determinato la politica di espansione[13]. Questa situazione ha accompagnato e sicuramente condizionato tutta la storia umana, fino alla Rivoluzione industriale europea avvenuta nella seconda metà del diciottesimo secolo. Da questo evento in poi, le aree di pianura alluvionale (dapprima in Europa, poi in tutto il mondo) hanno subito spesso uno sviluppo urbano e industriale sempre maggiore, che talora, almeno nei paesi più sviluppati, ne ha messo in ombra l'originaria vocazione agricola. Parallelamente a questo tipo di sviluppo, sono anche sorti diffusi problemi di ordine ambientale, come l'inquinamento e il dissesto idrogeologico, ad opera sia delle concentrazioni urbane e industriali, sia dell'agricoltura sempre più tecnologica. Agricoltura e allevamento [modifica] Argine artificiale in una piana alluvionale intensamente coltivata (Vietnam). Come si è accennato, sono le attività economiche di origine più antica praticate in queste aree, che vi si prestano particolarmente per l'accessibilità, la presenza di vaste aree pianeggianti e di acque per l'irrigazione delle colture e per il bestiame[14]. Le caratteristiche di fertilità del suolo variano notevolmente in funzione del clima. I corpi sabbiosi alluvionali sono importanti anche come sedi di falde acquifere, soprattutto artesiane. La necessità di irrigare i campi allo scopo di garantire apporti d'acqua costanti e nei tempi opportuni per le colture ha portato allo scavo di canali d'irrigazione, con notevole impatto sull'idrografia locale, spesso modificata in maniera radicale con la deviazione di corsi d'acqua preesistenti e il collegamento di vie d'acqua prima separate. Parallelamente, la necessità di regolamentare le piene fluviali e di eliminare o limitare le inondazioni ha portato alla costruzione di argini artificiali e dighe. Potenziale minerario [modifica] i sedimenti sabbiosi e arenacei di origine alluvionale sono, a scala globale, tra i più abbondanti nelle sezioni stratigrafiche. I sedimenti argillosi sono anche molto diffusi nelle zone di piana d'inondazione. Questo ne fa delle fonti di materiali inerti per l'edilizia di primaria importanza, con sviluppo dell'industria delle cave per la fabbricazione di cemento, malta e mattoni. Nei sedimenti alluvionali possono trovarsi isolati per opera dell'erosione minerali pregiati o di uso industriale. Esempi classici sono le sabbie aurifere (presenti anche in alcuni fiumi italiani, come il Ticino), e le alluvioni diamantifere presenti nei paesi sud-africani (Sudafrica, Botswana e Namibia) e in India (ad esempio nella regione di Golconda, nell'India centro-meridionale). L'estrazione in questi giacimenti, ove la concentrazione del minerale li rende economici, è condotta sia a giorno, in miniere di superficie, sia mediante cunicoli sotterranei. Potenziale di ricerca degli idrocarburi [modifica] Il sistema alluvionale è poco favorevole alla formazione e alla conservazione degli idrocarburi. Questo perché spesso le condizioni di sedimentazione di questo ambiente sono os*******nti e quindi non favoriscono l'accumulo e la preservazione della materia organica. Inoltre la materia organica, anche quando si conserva, è di tipo continentale, più favorevole alla formazione di carbone e gas naturale che di petrolio[15]. D'altro canto, le rocce e i sedimenti alluvionali sabbiosi e arenacei sono rocce serbatoio di primaria importanza, per le loro buone caratteristiche petrofisiche (porosità e permeabilità), quando le condizioni strutturali del bacino sedimentario permettono ai livelli di origine alluvionale di venire a contatto con rocce madri di buona qualità. Rischio idrogeologico e ambientale [modifica] Anche se nell'accezione comune questo contesto ambientale è considerato tra i più stabili e privi di rischio, in realtà vi sono diversi elementi di criticità. Il rischio di dissesto idrogeologico in questo tipo di ambiente riguarda soprattutto gli eventi alluvionali, che sono normalmente stagionali (le piene del Nilo sono un esempio tipico di regime stagionale in clime semiarido). Gli eventi di piena presentano una marcata ciclicità, in relazione con i clcli climatici a breve e a lungo termine: la prevedibilità di eventi di piena eccezionali, che possono causare alluvionamenti, è definita come tempo di ritorno di un evento con data magnitudine (espressa come portata). L'intervento umano sull'idrografia (opere di canalizzazione e arginamento) ha ovviamente un impatto sul territorio, con la modificazione delle sue caratteristiche fisiografiche (in particolare la topografia e la pendenza). Il profilo degli alvei fluviali può risultarne alterato, e quindi il regime del flusso di corrente, con conseguenze sulla distribuzione delle aree sottoposte ad erosione e sedimentazione. Ugualmente, l'attività estrattiva di sedimenti (sabbie e ghiaie) può modificare il profilo degli alvei fluviali, innescando fenomeni erosivi. La sottrazione di acqua ai fiumi per scopi agricoli può portare ad una diminuzione della portata degli alvei fluviali e della velocità della corrente, con perdita della capacità di carico e deposizione dei sedimenti in aree prima sottoposte ad erosione. L'attività di emungimento delle falde acquifere e degli idrocarburi (gas naturale e petrolio), può causare un aumento locale della subsidenza, con ripercussioni dirette sulla stabilità di edifici e impianti, e facilitando il ristagno delle acque superficiali. L'attività delle cave può interferire con la falda acquifera, causando problemi di inquinamento. Come già ricordato, infine, lo sviluppo urbano, industriale e agricolo ha un impatto pesante sull'ambiente in termini di inquinamento (di tipo organico, chimico, acustico, elettromagnetico) e di degrado del territorio, soprattutto in assenza di una pianificazione territoriale accurata. Note [modifica] ^ Sedimenti composti di frammenti (clasti) di rocce preesistenti. ^ In alcuni casi, tuttavia, le pianure alluvionali possono essere adiacenti od occupare bacini endoreici, privi di sbocco al mare. ^ Attivi n quanto sono i vettori dei sedimenti, la sede dei processi fisici a più alta energia e tendono a migrare lateralmente incidendo l'alluvium più antico. ^ Tutti questi elementi sono legati geneticamente tra loro: le barre fanno parte dei canali e gli argini naturali sono costruiti dai canali stessi. . ^ Con poche specie e un gran numero di esemplari). ^ Srinivasan e Ojakangas (1986). ^ Bhattacharya (2006). ^ Punto sul diagramma di fase pressione-temperatura che rappresenta la coesistenza delle tre fasi dell'acqua: solida, liquida e gassosa. ^ Read et al. (2004) ^ Tang et al. (2006). ^ La superficie di Venere presenta pochi crateri da impatto meteoritico (similmemte alla Terra), e questa particolarità è ritenuta generalmente una prova del fatto che la superficie stessa è piuttosto giovane dal punto di vista geologico e in continua trasformazione per opera della tettonica. ^ William-Jones et al. (1998) ^ Si pensi all'enorme importanza che i rifornimenti di cereali provenienti dalla valle del Nilo ebbero per l'impero romano in età imperiale (I-V secolo). ^ Il concetto di agricoltura è qui inteso nel senso più ampio, comprendente anche l'allevamento del bestiame (che comunque impiega le risorse vegetali del territorio). ^ La materia organica di origine continentale contiene prevalentemente materiale legnoso, erbaceo e humico, povero di lipidi, che tende a dare più facilmente origine a gas naturale e carbone, mentre la materia organica di origine marina o mista (principalmente da alghe, cianobatteri, resine e cuticole di piante terrestri) origina sia petrolio che gas naturale. Gli idrocarburi e il carbone si formano dalla trasformazione post-seppellimento della materia organica (il cosiddetto kerogene). Per dettagli vedi:Kerogen - Wikipedia in lingua Inglese; il kerogene di tipo III è quello che si origina più frequentemente nell'ambiente di piana alluvionale. Bibliografia [modifica] Bhattacharya J.P., Martian Deltas and the Origin of Life in 2005-06 AAPG Distinguished Lecture, Tulsa, Oklahoma, American Association of Petroleum Geologists, 2006. Kargel J.S., An alluvial depositional analog for some volcanic plains on Venus in Abstracts of the 25th Lunar and Planetary Science Conference, held in Houston, TX, 14-18 March 1994., p.667, 1994. Lowe D.. Archean Sedimentation .. Ann Rev. Earth Planet. Sci., 1980; 8: 145-167. Read, Peter L. e S. R. Lewis. The Martian Climate Revisited: Atmosphere and Environment of a Desert Planet. Praxis, 2004. Ricci Lucchi F., Sedimentologia. Parte 3, cap. 2, pp. 45-78, Bologna, CLUEB, 1980. Srinivasan R. e Ojakangas R.W.. Sedimentology of Quartz-Pebble Conglomerates and Quartzites of the Archean Bababudan Group, Dharwar Craton, South India: Evidence for Early Crustal Stability. The Journal of Geology, 1986; 94(2): 199-214. Tang, Y., Q. Chen e Y. Huang. Early Mars may have had a methanol ocean. Icarus, 2006; 181: 88-92. Williams-Jones G., Williams-Jones A.E. e Stix J.. The nature and origin of Venusian canali. Journal of geophysical research, 1998; 103(E4): 8545-8555. Voci correlate [modifica] Processi fisici [modifica] Alluvione Strutture sedimentarie [modifica] Laminazione prodotta da correnti unidirezionali: le strutture più tipiche dell'ambiente fluviale. Laminazione prodotta da decantazione: strutture che si producono in acque stagnanti o con bassissima velocità di corrente: in questo ambiente sono tipiche delle lanche e degli acquitrini presenti nelle piane di inondazione. Geomorfologia [modifica] Fiume Torrente Ruscello Fiumara (idrografia) Bacino idrografico Ambiente naturale [modifica] Ecosistema fluviale Ambienti sedimentari relazionati [modifica] Conoide di deiezione Delta fluviale Piane alluvionali del passato [modifica] Verrucano Lombardo: formazione geologica di età permiana presente nelle Alpi meridionali lombarde, composta di sedimenti di piana alluvionale depostisi in ambiente arido. | |
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| Da: Fratelli | 23/10/2011 15:18:01 |
| La mia azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo piº pauroso dell'inquisizione quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici. Oh, certo, non è cosí che Egli scenderà, secondo la Sua promessa, alla fine dei tempi, in tutta la gloria celeste, improvviso "come folgore che splende dall'Oriente all'Occidente". No, Egli volle almeno per un istante visitare i Suoi figli proprio là dove avevano cominciato a crepitar i roghi degli eretici. Nell'immensa Sua misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini in quel medesimo aspetto umano col quale era passato per tre anni in mezzo agli uomini quindici secoli addietro. Egli scende verso le "vie roventi" della città meridionale, in cui appunto la vigilia soltanto, in un "grandioso autodafé", alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle piº leggiadre dame di corte, davanti a tutto il popolo di Siviglia, il cardinale grande inquisitore aveva fatto bruciare in una volta, ad majorem Dei gloriam, quasi un centinaio di eretici. Egli è comparso in silenzio, inavvertitamente, ma ecco - cosa strana - tutti Lo riconoscono. Spiegare perché Lo riconoscano, potrebbe esser questo uno dei piº bei passi del poema. Il popolo è attratto verso di Lui da una forza irresistibile, Lo circonda, Gli cresce intorno, Lo segue. Egli passa in mezzo a loro silenzioso, con un dolce sorriso d'infinita compassione. Il sole dell'amore arde nel Suo cuore, i raggi della Luce, del Sapere e della Forza si sprigionano dai Suoi occhi e, inondando gli uomini, ne fanno tremare i cuori in una rispondenza d'amore. Egli tende loro le braccia, li benedice e dal contatto di Lui, e perfino dalle Sue vesti, emana una forza salutare. Ecco che un vecchio, cieco dall'infanzia, grida dalla folla: "Signore, risanami, e io Ti vedrò", ed ecco che cade dai suoi occhi come una scaglia, e il cieco Lo vede. Il popolo piange e bacia la terra dove Egli passa. I bambini gettano fiori dinanzi a Lui, cantano e Lo acclamano: "Osanna!". "E' Lui, è Lui", ripetono tutti, "dev'essere Lui, non può esser che Lui". Egli si ferma sul sacrato della cattedrale di Siviglia nel preciso momento in cui portano nel tempio, fra i pianti, una candida bara infantile aperta: c'è dentro una bambina di sette anni, unica figlia di un insigne cittadino. La bimba morta è tutta coperta di fiori. "Egli risusciterà la tua bambina", gridano dalla folla alla madre piangente. Il prete della cattedrale uscito incontro alla bara guarda perplesso e aggrotta le sopracciglia. Ma ecco risonare a un tratto il grido della madre della bambina morta. Essa si getta ai Suoi piedi: "Se sei Tu, risuscita la mia creatura!", esclama, tendendo le braccia verso di Lui. Il corteo si ferma, la bara è deposta sul sacrato ai Suoi piedi. Egli la guarda con pietà e le Sue labbra pronunziano piano ancora una volta: "Talitha kum", "e la fanciulla si levò". La bambina si solleva nella bara, si siede e guarda intorno sorridendo con gli occhietti sgranati, pieni di stupore. Ha nelle mani il mazzo di rose bianche col quale era distesa nella bara. Il popolo si agita, grida, singhiozza; ed ecco in questo stesso momento passare accanto alla cattedrale, sulla piazza, il cardinale grande inquisitore in persona. È un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso scarno, dagli occhi infossati, ma nei quali, come una scintilla di fuoco, splende ancora una luce. Oh, egli non ha piº la sontuosa veste cardinalizia di cui faceva pompa ieri davanti al popolo, mentre si bruciavano i nemici della fede di Roma: no, egli non indossa in questo momento che il suo vecchio e rozzo saio monastico. Lo seguono a una certa distanza i suoi tetri aiutanti, i servi e la "sacra" guardia. Si ferma dinanzi alla folla e osserva da lontano. Ha visto tutto, ha visto deporre la bara ai piedi di Lui, ha visto la bambina risuscitare, e il suo viso si è abbuiato. Aggrotta le sue folte sopracciglia bianche e il suo sguardo brilla di una luce sinistra. Egli allunga un dito e ordina alle sue guardie di afferrarlo. E tanta è la sua forza e a tal punto il popolo è docile, sottomesso e pavidamente ubbidiente, che la folla subito si apre davanti alle guardie e queste, in mezzo al silenzio di tomba che si è fatto di colpo, mettono le mani su Lui e Lo conducono via. Per un istante tutta la folla, come un solo uomo, si curva fino a terra davanti al vecchio inquisitore; questi benedice il popolo in silenzio e passa oltre. Le guardie conducono il Prigioniero sotto le volte di un angusto e cupo carcere nel vecchio edificio del Santo Uffizio e ve Lo rinchiudono. Passa il giorno, sopravviene la scura, calda, "afosa" notte di Siviglia. L'aria "odora di lauri e di limoni". In mezzo alla tenebra profonda si apre a un tratto la ferrea porta del carcere, e il grande inquisitore in persona con una fiaccola in mano lentamente si avvicina alla prigione. È solo, la porta si richiude subito alle sue spalle. Egli si ferma sulla soglia e considera a lungo, per uno o due minuti, il volto di Lui. Infine si accosta in silenzio, posa la fiaccola sulla tavola e Gli dice: - "Sei Tu, sei Tu?" - Ma, non ricevendo risposta, aggiunge rapidamente: - "Non rispondere, taci. E che potresti dire? So troppo bene quel che puoi dire. Del resto, non hai il diritto di aggiunger nulla a quello che Tu già dicesti una volta. Perché sei venuto a disturbarci? Sei infatti venuto a disturbarci, lo sai anche Tu. Ma sai che cosa succederà domani? Io non so chi Tu sia, e non voglio sapere se Tu sia Lui o soltanto una Sua apparenza, ma domani stesso io Ti condannerò e Ti farò ardere sul rogo, come il peggiore degli eretici, e quello stesso popolo che oggi baciava i Tuoi piedi si slancerà domani, a un mio cenno, ad attizzare il Tuo rogo, lo sai? Sí, forse Tu lo sai", - aggiunse, profondamente pensoso, senza staccare per un attimo lo sguardo dal suo Prigioniero. - Io non comprendo bene Ivàn, che voglia dir questo - sorrise Aljòsa, che aveva sempre ascoltato in silenzio; - è semplicemente una fantasia delirante, o un errore del vecchio, un assurdo qui pro quo? - Ammetti pure quest'ultima ipotesi, - scoppiò a ridere Ivàn, - se il realismo contemporaneo ti ha già tanto guastato che tu non possa tollerare nulla di fantastico; vuoi che sia un qui pro quo? E sia pure! È vero, - e tornò a ridere, - il vecchio ha novant'anni e da un pezzo la sua idea poteva averlo fatto impazzire. Egli poteva essere stato colpito dall'aspetto esteriore del Prigioniero. Poteva infine essere un semplice delirio, la visione di un vecchio novantenne sulla soglia della morte, sovreccitato per giunta dall'autodafé dei cento eretici bruciati la vigilia. Ma qui pro quo o fantasia troppo sfrenata, non è lo stesso per noi? L'importante qui è solo che il vecchio deve infine manifestare il proprio pensiero e lo manifesta e dice ad alta voce ciò che per novant'anni ha taciuto. - E il Prigioniero rimane zitto? Lo guarda e non dice nemmeno una parola? - Ma è cosí che deve essere, in ogni caso, - rise nuovamente Ivàn. - Il vecchio stesso Gli osserva che Egli non ha il diritto di aggiunger nulla a quanto già fu detto. C'è appunto qui, se vuoi, il tratto piº fondamentale del cattolicesimo romano, come a dire. "Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e Tu non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo". In questo senso non solo parlano, ma anche scrivono i cattolici, i gesuiti almeno. L'ho letto io stesso nelle opere dei loro teologi. "Hai Tu il diritto di rivelarci anche un solo segreto del mondo da cui sei venuto?". - Gli domanda il mio vecchio e risponde egli stesso per Lui: - "No, Tu non l'hai, se non vuoi aggiungere qualcosa a quello che già fu detto e togliere agli uomini quella libertà che tanto difendesti quando eri sulla terra. Tutto ciò che di nuovo Tu ci rivelassi attenterebbe alla libertà della fede umana, giacché apparirebbe come un miracolo, mentre la libertà della fede già allora, millecinquecent'anni or sono, Ti era piº cara di tutto. Non dicevi Tu allora spesso: "Voglio rendervi liberi?". Ebbene, adesso Tu li ha veduti, questi uomini "liberi", - aggiunge il vecchio con un pensoso sorriso. - Sí, questa faccenda ci è costata cara, - continua, guardandolo severo, - ma noi l'abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l'opera è compiuta e saldamente compiuta. Non credi che sia saldamente compiuta? Tu mi guardi con dolcezza e non mi degni neppure della Tua indignazione? Ma sappi che adesso, proprio oggi, questi uomini sono piº che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l'hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo, ma è questo che Tu desideravi, è una simile libertà?". - Io torno a non comprendere, - interruppe Aljòsa, - egli fa dell'ironia, scherza? - Niente affatto. Egli fa un merito a sé ed ai suoi precisamente di avere infine soppresso la libertà e di averlo fatto per rendere felici gli uomini. "Ora infatti per la prima volta (egli parla, naturalmente, dell'inquisizione) è diventato possibile pensare alla felicità umana. L'uomo fu creato ribelle; possono forse dei ribelli essere felici? Tu eri stato avvertito, - Gli dice, - avvertimenti e consigli non Ti erano mancati, ma Tu non ascoltasti gli avvertimenti. Tu ricusasti l'unica via per la quale si potevano render felici gli uomini, ma per fortuna, andandotene, rimettesti la cosa nelle nostre mani. Tu ci hai promesso, Tu ci hai con la Tua parola confermato, Tu ci hai dato il diritto di legare e di slegare, e certo non puoi ora nemmeno pensare a ritoglierci questo diritto. Perché dunque sei venuto a disturbarci?". - Ma che cosa significa: "Non Ti sono mancati avvertimenti e consigli?" - domandò Aljòsa. - Ma qui appunto sta l'essenza di ciò che il vecchio deve esprimere. "Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito dell'autodistruzione e del non essere, - continua il vecchio, - il grande spirito. Ti parlò nel deserto, e nei libri ci è riferito come egli Ti avesse "tentato". Non è cosí? Ma si poteva mai dire qualcosa di piº vero di quanto egli Ti rivelò nelle tre domande che Tu respingesti e che nei libri sono dette "tentazioni"? Tuttavia, se mai ci fu sulla terra un vero e clamoroso miracolo, fu in quel giorno, nel giorno di quelle tre tentazioni. Precisamente nella formulazione di quelle tre domande era racchiuso il miracolo. Se si potesse, soltanto a mo' di esempio e di ipotesi, immaginare che quelle tre domande dello spirito terribile fossero scomparse dai libri senza lasciare traccia e che occorresse ricostruirle, pensarle e formularle di nuovo, per rimetterle nei libri, e se per questo si riunissero tutti i sapienti della terra - governanti, prelati, dotti, filosofi, poeti, - e si assegnasse loro questo compito: immaginate, formulate tre domande tali da corrispondere all'importanza dell'evento non solo, ma da esprimere per giunta in tre parole, in tre proposizioni umane, tutta la futura storia del mondo e dell'umanità, - ebbene, credi Tu che tutta la sapienza della terra, insieme raccolta, potrebbe concepire qualcosa di simile per forza e profondità a quelle tre domande che Ti furono allora rivolte nel deserto dallo spirito intelligente e possente? Già solo da quelle domande e dal prodigio della loro formulazione si può capire che si ha da fare non con lo spirito umano transitorio, ma con quello eterno ed assoluto. In quelle tre domande infatti è come compendiata e predetta tutta la storia ulteriore dell'umanità, sono dati i tre archetipi in cui si concreteranno tutte le insolubili, contraddizioni storiche dell'umana natura su tutta la terra. Questo non poteva ancora, a quel tempo, essere cosí chiaro, poiché l'avvenire era ignoto, ma adesso, passati quindici secoli, noi vediamo che in quelle tre domande tutto era stato a tal segno divinato e predetto e che tutto si è a tal segno avverato, che non è piº possibile aggiungervi o toglierne alcunché. "Decidi Tu stesso chi avesse ragione, se Tu o colui che allora T'interrogava. Ricordati la prima domanda: se non la lettera il senso era questo: "Tu vuoi andare e vai al mondo con le mani vuote, con non so quale promessa di una libertà che gli uomini, nella semplicità e nella innata intemperanza loro, non possono neppur concepire, che essi temono e fuggono, giacché nulla mai è stato per l'uomo e per la società umana piº intollerabile della libertà! Vedi Tu invece queste pietre in questo nudo e infocato deserto? Mutale in pani e l'umanità sorgerà dietro a Te come un riconoscente e docile gregge, con l'eterna paura di vederti ritirare la Tua mano, e di rimanere senza i Tuoi pani". Ma Tu non volesti privar l'uomo della libertà e respingesti l'invito, perché, cosí ragionasti, che libertà può mai esserci, se la ubbidienza è comprata coi pani? Tu obiettasti che l'uomo non vive di solo pane, ma sai Tu che nel nome di questo stesso pane terreno, insorgerà contro di Te lo spirito della terra e lotterà con Te e Ti vincerà, e tutti lo seguiranno, esclamando: "Chi è comparabile, a questa bestia? Essa ci ha dato il fuoco del cielo!". Sai Tu che passeranno i secoli e l'umanità proclamerà per bocca della sua sapienza e della sua scienza che non esiste il delitto, e quindi nemmeno il peccato, ma che ci sono soltanto degli affamati? "Nutrili e poi chiedi loro la virtº!", ecco quello che scriveranno sulla bandiera che si leverà contro di Te e che abbatterà il Tuo tempio. Al posto del Tuo tempio sorgerà un nuovo edificio, sorgerà una nuova spaventosa torre di Babele, e, quand'anche essa restasse, come la prima, incompiuta, Tu avresti però potuto evitare questa nuova torre e abbreviare di mille anni le sofferenze degli uomini, giacché essi verranno a noi, dopo essersi arrovellati per mille anni intorno alla loro torre! Essi torneranno allora a cercarci sotto terra, nelle catacombe, dove ci nasconderemo (perché saremo di nuovi perseguitati e torturati), ci troveranno e ci grideranno: "Nutriteci, perché quelli che ci avevano promesso il fuoco del cielo non ce l'han dato". E allora saremo noi a ultimare la loro torre, giacché la ultimerà chi li sfamerà e noi soli li sfameremo, in nome Tuo, facendo credere di farlo in nome Tuo. Oh, mai, mai essi potrebbero sfamarsi senza di noi! Nessuna scienza darà loro il pane, finché rimarranno liberi, ma essi finiranno per deporre la loro libertà ai nostri piedi e per dirci: "Riduceteci piuttosto in schiavitº ma sfamateci!". Comprenderanno infine essi stessi che libertà e pane terreno a discrezione per tutti sono fra loro inconciliabili, giacché mai, mai essi sapranno ripartirlo fra loro! Si convinceranno pure che non potranno mai nemmeno esser liberi, perché sono deboli, viziosi, inetti e ribelli. Tu promettevi loro il pane celeste, ma, lo ripeto ancora, può esso, agli occhi della debole razza umana, eternamente viziosa ed eternamente abietta, paragonarsi a quello terreno? E se migliaia e diecine di migliaia di esseri Ti seguiranno in nome del pane celeste, che sarà dei milioni e dei miliardi di esseri che non avranno la forza di posporre il pane terreno a quello celeste? O forse Ti sono care soltanto le diecine di migliaia di uomini grandi e forti, mentre i restanti milioni, numerosi come la sabbia del mare, di esseri deboli, che però Ti amano, non devono servire che da materiale per i grandi e per i forti? No, a noi sono cari anche i deboli. Essi sono viziosi e ribelli, ma finiranno per diventar docili. Essi ci ammireranno e ci terranno in conto di dèi per avere acconsentito, mettendoci alla loro testa, ad assumerci il carico di quella libertà che li aveva sbigottiti e a dominare su loro, tanta paura avranno infine di esser liberi! Ma noi diremo che obbediamo a Te e che dominiamo in nome Tuo. Li inganneremo di nuovo, perché allora non Ti lasceremo piº avvicinare a noi. E in quest'inganno starà la nostra sofferenza, poiché saremo costretti a mentire. Ecco ciò che significa quella domanda che Ti fu fatta nel deserto, ed ecco ciò che Tu ricusasti in nome della libertà, da Te collocata piº in alto di tutto. In quella domanda tuttavia si racchiudeva un grande segreto di questo mondo. Acconsentendo al miracolo dei pani, Tu avresti dato una risposta all'universale ed eterna ansia umana, dell'uomo singolo come dell'intera umanità: "Davanti a chi inchinarsi?". Non c'è per l'uomo rimasto libero piº assidua e piº tormentosa cura di quella di cercare un essere dinanzi a cui inchinarsi. Ma l'uomo cerca di inchinarsi a ciò che già è incontestabile, tanto incontestabile, che tutti gli uomini ad un tempo siano disposti a venerarlo universalmente. Perché la preoccupazione di queste misere creature non è soltanto di trovare un essere a cui questo o quell'uomo si inchini, ma di trovarne uno tale che tutti credano in lui e lo adorino, e precisamente tutti insieme. E questo bisogno di comunione nell'adorazione è anche il piº grande tormento di ogni singolo, come dell'intera umanità, fin dal principio dei secoli. È per ottenere quest'adorazione universale che si sono con la spada sterminati a vicenda. Essi hanno creato degli dèi e si sono sfidati l'un l'altro: "Abbandonate i vostri dèi e venite ad adorare i nostri, se no guai a voi e ai vostri dèi!". E cosí sarà fino alla fine del mondo, anche quando gli dèi saranno scomparsi dalla terra: non importa, cadrànno allora in ginocchio davanti agli idoli. Tu conoscevi, Tu non potevi non conoscere questo fondamentale segreto della natura umana, ma Tu rifiutasti l'unica irrefragabile bandiera che Ti si offrisse per indurre tutti a inchinarsi senza discussione dinanzi a Te; la bandiera del pane terreno, e la rifiutasti in nome della libertà e del pane celeste. Guarda poi quel che hai fatto in seguito. E sempre in nome della libertà! Io Ti dico che non c'è per l'uomo pensiero piº angoscioso che quello di trovare al piº presto a chi rimettere il dono della libertà con cui nasce questa infelice creatura. Ma dispone della libertà degli uomini solo chi ne acqueta la coscienza. Col pane Ti si dava una bandiera indiscutibile: l'uomo si inchina a chi gli dà il pane, giacché nulla è piº indiscutibile del pane; ma, se qualcun altro accanto a Te si impadronirà nello stesso tempo della sua coscienza, oh, allora egli butterà via anche il Tuo pane e seguirà colui che avrà lusingato la sua coscienza. In questo Tu avevi ragione. Il segreto dell'esistenza umana infatti non sta soltanto nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza un concetto sicuro del fine per cui deve vivere, l'uomo non acconsentirà a vivere e si sopprimerà piuttosto che restare sulla terra, anche se intorno a lui non ci fossero che pani. Questo è giusto, ma che cosa è avvenuto? Invece di impadronirti della libertà degli uomini. Tu l'hai ancora accresciuta! Avevi forse dimenticato che la tranquillità e perfino la morte è all'uomo piº cara della libera scelta fra il bene ed il male? Nulla è per l'uomo piº seducente che la libertà della sua coscienza, ma nulla anche è piº tormentoso. Ed ecco che, in luogo di saldi principi, per acquetare la coscienza umana una volta per sempre, Tu hai scelto tutto quello che c'è di piº inconsueto, enigmatico e impreciso, hai scelto tutto quello che superava le forze degli uomini, e hai perciò agito come se Tu non li amassi per nulla, e chi mai ha fatto questo? Colui che era venuto a dare per essi la Sua vita! Invece d'impadronirti della libertà umana, Tu l'hai moltiplicata e hai per sempre gravato col peso dei suoi tormenti la vita morale dell'uomo. Tu volesti il libero amore dell'uomo, perché Ti seguisse liberamente, attratto e conquistato da Te. In luogo di seguire la salda legge antica, l'uomo doveva per l'avvenire decidere da sé liberamente, che cosa fosse bene che cosa fosse male, avendo dinanzi come guida la sola Tua immagine; ma non avevi Tu pensato che, se lo si fosse oppresso con un cosí terribile fardello come la libertà di scelta, egli avrebbe finito per respingere e contestare perfino la Tua immagine e la Tua verità? Essi esclameranno, alla fine, che la verità non è in Te, perché era impossibile abbandonarli fra ansie ed angosce maggiori di come Tu facesti, lasciando loro tante inquietudini e tanti insolubili problemi. In tal modo preparasti Tu stesso la rovina del Tuo regno, e non darne piº la colpa a nessuno. Ma è questo intanto che Ti offriva? Ci sono sulla terra tre forze, tre sole forze capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli, per la felicità loro; queste forze sono: il miracolo, il mistero e l'autorità. Tu respingesti la prima, la seconda e la terza e desti cosí l'esempio. Lo spirito sapiente e terribile. Ti aveva posto sul culmine del tempio e Ti aveva detto: "Se vuoi sapere se Tu sei Figlio di Dio, gettati in basso, poiché di Lui è detto che gli angeli Lo sosterranno e Lo porteranno, ed Egli non cadrà e non si farà alcun male, e saprai allora se Tu sei il Figlio di Dio e proverai allora quale sia la Tua fede nel Padre Tuo"; ma Tu, udito ciò, respingesti l'offerta, non Ti lasciasti convincere e non Ti gettasti giº. Oh, certo, Tu agisti allora con una magnifica fierezza, come Iddio, ma gli uomini, questa debole razza di ribelli, sono essi forse dèi? Oh, Tu comprendesti allora che, facendo un solo passo, un solo movimento per gettarti giº, avresti senz'altro tentato il Signore e perduto ogni fede in Lui, e Ti saresti sfracellato sulla terra che eri venuto a salvare, e si sarebbe rallegrato lo spirito sagace che Ti aveva tentato. Ma, ripeto, ce ne sono forse molti come Te? E in verità potevi Tu ammettere, non fosse che per un momento, che anche gli uomini avessero la forza di resistere a una simile tentazione? È forse fatta la natura umana per respingere il miracolo e, in cosí terribili momenti della vita, di fronte ai piº terribili, fondamentali e angosciosi problemi dell'anima, rimettersi unicamente alla libera decisione del cuore? Oh, Tu sapevi che la Tua azione si sarebbe tramandata nei libri, avrebbe raggiunto la profondità dei tempi e gli ultimi confini della terra, e sperasti che, seguendo Te, anche l'uomo si sarebbe accontentato di Dio, senza bisogno di miracoli. Ma Tu non sapevi che, non appena l'uomo avesse ripudiato il miracolo, avrebbe subito ripudiato anche Dio, perché l'uomo cerca non tanto Dio quanto i miracoli. E siccome l'uomo non ha la forza di rinunziare al miracolo, cosí si creerà dei nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà al prodigio di un mago, ai sortilegi di una fattucchiera, foss'egli anche cento volte ribelle, eretico ed ateo. Tu non scendesti dalla croce quando Ti si gridava, deridendoti e schernendoti: "Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu". Tu non scendesti, perché una volta di piº non volesti asservire l'uomo col miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l'ha per sempre riempito di terrore. Ma anche qui Tu giudicavi troppo altamente degli uomini, giacché, per quanto creati ribelli, essi sono certo degli schiavi. Vedi e giudica, son passati quindici secoli, guardali: chi hai Tu innalzato fino a Te? Ti giuro, l'uomo è stato creato piº debole e piº vile che Tu non credessi! Può egli forse compiere quel che puoi compiere Tu? Stimandolo tanto, Tu agisti come se avessi cessato di averne pietà, perché troppo pretendesti da lui, e chi ha fatto questo? Colui che lo amava piº di se stesso! Stimandolo meno, avresti anche meno preteso da lui, e questo sarebbe stato piº vicino all'amore, perché piº leggera sarebbe stata la sua soma. Egli è debole e vile. Che importa che egli adesso si sollevi dappertutto contro la nostra autorità e si inorgoglisca della sua rivolta? È l'orgoglio del bambino e dello scolaretto. Sono i piccoli bimbi che si sono ribellati in classe e hanno cacciato il maestro. Ma anche l'esaltazione dei ragazzetti avrà fine e costerà loro cara. Essi abbatteranno i templi e inonderanno di sangue la terra. Ma si avvedranno infine, gli sciocchi fanciulli, di essere bensí dei ribelli, ma dei ribelli deboli e incapaci di sopportare la propria rivolta. Versando le loro stupide lacrime, riconosceranno infine che chi li creò ribelli se ne voleva senza dubbio burlare. Essi lo diranno nella disperazione, e le loro parole saranno una bestemmia che li renderà anche piº infelici, perché la natura umana non sopporta la bestemmia e alla fin fine se ne vendica sempre da sé. Inquietudine dunque, tumulto e infelicità: ecco l'odierna sorte degli uomini, dopo che Tu tanto patisti per la loro libertà! Il Tuo grande profeta dice nella sua visione e nella sua parabola di aver visto tutti i partecipi della prima resurrezione e che ce n'erano dodicimila per ciascuna tribº. Ma se erano tanti, vuol dire che quelli erano piº dèi che uomini. Essi sopportarono la Tua croce, essi sopportarono diecine d'anni di vita famelica nel nudo deserto, cibandosi di cavallette e di radici; e certo Tu puoi appellarti con orgoglio a questi eroi della libertà, dell'amore libero, del libero e magnifico sacrificio da essi compiuto in nome Tuo. Ma ricordati che erano in tutto appena alcune migliaia, ed erano per giunta degli dèi, ma i rimanenti? E che colpa hanno gli altri, gli uomini deboli, di non aver potuto sopportare ciò che i forti poterono? Che colpa ha l'anima debole, se non ha la forza di accogliere cosí terribili doni? Possibile che Tu sia venuto davvero solo agli eletti e per gli eletti? Ma se è cosí, c'è qui un mistero e noi non possiamo comprenderlo. E se c'è un mistero, anche noi avevamo il diritto di predicarlo e di insegnare agli uomini che non è la libera decisione dei loro cuori quello che importa, né l'amore, ma un mistero, a cui essi debbono ciecamente inchinarsi, anche contro la loro coscienza. E cosí abbiamo fatto. Abbiamo corretto l'opera Tua e l'abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull'autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono cosí terribile, che aveva loro procurato tanti tormenti. Avevamo noi ragione d'insegnare e di agire cosí? Parla! Forse che non amavamo l'umanità, riconoscendone cosí umilmente l'impotenza, alleggerendo con amore il suo fardello e concedendo alla sua debole natura magari anche di peccare, ma però col nostro consenso? Perché mi guardi in silenzio coi tuoi miti occhi penetranti? Va' in collera, io non voglio il Tuo amore, perché io stesso non Ti amo. E che cosa dovrei nasconderti? Non so forse con chi parlo? Tutto ciò che ho da dirti, già Ti è noto, lo leggo nei Tuoi occhi. E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui, ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo piº con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell'ultimo dono ch'egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l'opera nostra. Ma di chi la colpa? Oh, quest'opera è finora soltanto agli inizi, ma è cominciata! Ancora a lungo si dovrà attenderne il compimento e molto ancora soffrirà la terra, ma noi raggiungeremo la mèta, saremo Cesari, e allora penseremo all'universale felicità degli uomini. Tu però già allora avresti potuto accettare la spada di Cesare. Perché ricusasti quest'ultimo dono? Accogliendo questo terzo consiglio dello spirito possente, Tu avresti compiuto tutto ciò che l'uomo cerca sulla terra, e cioè: a chi inchinarsi, a chi affidare la propria coscienza e in qual modo, infine, unirsi tutti in un formicaio indiscutibilmente comune e concorde, giacché il bisogno di unione universale è il terzo e l'ultimo tormento degli uomini. Sempre l'umanità mirò nel suo insieme ad organizzarsi universalmente. Molti furono i grandi popoli con una grande storia, ma quanto piº elevati erano quei popoli, tanto piº erano infelici, perché piº fortemente degli altri sentivano il bisogno dell'unione universale degli uomini. I grandi conquistatori, i Timùr e i Gengis-Chan, passarono come un turbine sulla terra, cercando di conquistare l'universo, ma anche essi, per quanto inconsapevolmente, espressero quello stesso potente bisogno umano di unione mondiale ed universale. Accettando il mondo e la porpora di Cesare, Tu avresti fondato il regno universale e dato la pace universale. Chi mai infatti deve dominare gli uomini, se non quelli che dominano la loro coscienza e nelle cui mani è il loro pane? E noi abbiamo preso la spada di Cesare, ma naturalmente, prendendola, ripudiammo Te e andammo dietro a lui. Oh, passeranno ancora secoli di orgia del libero pensiero, di umana scienza e di antropofagia, perché, avendo cominciato a costruire la loro torre di Babele senza di noi, è con l'antropofagia che termineranno. Ma proprio allora la bestia striscerà verso di noi e leccherà i nostri piedi e li spruzzerà con le lacrime di sangue dei suoi occhi. E noi ci assideremo sulla bestia e leveremo in alto una coppa su cui sarà scritto "Mistero!". Ma allora soltanto, e allora spunterà per gli uomini il regno della pace e della felicità. Tu sei fiero dei Tuoi eletti, ma Tu non hai che eletti, mentre noi daremo la pace a tutti. D'altra parte, c'è anche questo: quanti di quegli eletti, e di quei forti che avrebbero potuto diventarlo, si sono infine stancati di attenderli, e hanno portato e ancora porteranno su altri campi le forze del loro spirito e la fiamma del loro cuore, e finiranno anche per sollevare contro di te la loro libera bandiera! Ma questa bandiera l'innalzasti Tu stesso. Con noi invece tutti saranno felici e piº non si rivolteranno, né si stermineranno fra loro, come facevano dappertutto nella Tua libertà. Oh, noi li persuaderemo che allora soltanto essi saranno liberi, quando rinunzieranno alla libertà loro in favore nostro e si sottometteranno a noi. Ebbene, avremo ragione, perché ricorderanno a quali orrori di servitº e di turbolenza li conducesse la Tua libertà. La libertà, il libero pensiero e la scienza li condurranno in tali labirinti e li porranno davanti a tali portenti e misteri insolubili, che di essi gli uni, ribelli e furiosi, si distruggeranno da sé, gli altri, ribelli ma deboli si distruggeranno fra loro, mentre i rimanenti, imbelli e infelici, si trascineranno ai nostri piedi e ci grideranno: "Sí, voi avevate ragione, voi soli possedevate il Suo segreto e noi torniamo a voi, salvateci da noi medesimi". Ricevendo i pani da noi, certo vedranno chiaramente che prendiamo i loro stessi pani, guadagnati dalle loro stesse braccia, per distribuirli fra essi, senza miracolo alcuno, vedranno che noi non abbiamo mutato in pani le pietre, ma in verità, piº che del pane stesso, saranno lieti di riceverlo dalle nostre mani! Giacché troppo bene ricorderanno che prima, senza di noi, gli stessi pani da essi guadagnati si mutavano nelle loro mani in pietre, mentre, dopo il ritorno a noi, le pietre medesime si sono mutate nelle mani loro in pani. Troppo, troppo apprezzeranno quel che significa sottomettersi una volta per sempre! E finché gli uomini non capiranno questo, saranno infelici. Ma chi piº di tutti, dimmi, ha favorito questa incomprensione? Chi ha diviso il gregge e l'ha disperso per vie sconosciute? Ma il gregge tornerà a raccogliersi, tornerà a sottomettersi, e questa volta per sempre. Allora noi daremo loro la tranquilla, umile felicità degli esseri deboli, quali essi furono creati. Oh, noi li persuaderemo infine a non inorgoglirsi, ché Tu li innalzasti e in tal modo insegnasti loro a inorgoglirsi: proveremo loro che sono deboli, che sono soltanto dei poveri bimbi, ma che la felicità infantile è la piº dolce di tutte. Essi diverranno mansueti, guarderanno a noi e a noi si stringeranno, nella paura, come i pulcini alla chioccia. Ci ammireranno e avranno paura di noi, e saranno fieri che noi siamo cosí potenti e cosí intelligenti da aver potuto pacificare un cosí tumultuoso e innumere gregge. Temeranno la nostra collera, i loro spiriti si faranno timidi, i loro occhi lacrimosi, come quelli dei bambini e delle donne, ma altrettanto facilmente passeranno, a un nostro cenno, all'allegrezza, ed al riso, alla gioia luminosa ed alle felici canzoni infantili. Certo li obbligheremo a lavorare, ma nelle ore libere dal lavoro organizzeremo la loro vita come un giuoco infantile con canti e cori e danze innocenti. Oh, noi consentiremo loro anche il peccato, perché sono deboli e inetti, ed essi ci ameranno come bambini, perché permetteremo loro di peccare. Diremo che ogni peccato, se commesso col nostro consenso, sarà riscattato, che permettiamo loro di peccare perché li amiamo e che, in quanto al castigo per tali peccati, lo prenderemo su di noi. Cosí faremo, ed essi ci adoreranno come benefattori che si saranno gravati coi loro peccati dinanzi a Dio. E per noi non avranno segreti. Permetteremo o vieteremo loro di vivere con le proprie mogli ed amanti, di avere o di non avere figli, - sempre giudicando in base alla loro ubbidienza, - ed essi s'inchineranno con allegrezza e con gioia. Tutti, tutti i piº tormentosi segreti della loro coscienza, li porteranno a noi, e noi risolveremo ogni caso, ed essi avranno nella nostra decisione una fede gioiosa, perché li libererà dal grave fastidio e dal terribile tormento odierno di dovere personalmente e liberamente decidere. E tutti saranno felici, milioni di esseri, salvo un centinaio di migliaia di condottieri. Giacché noi soli, noi che custodiremo il segreto, noi soli saremo infelici. Ci saranno miliardi di pargoli felici e centomila martiri che avranno preso su di sé la maledizione di discernere il bene dal male. Essi morranno in pace, in pace si spegneranno nel nome Tuo e oltre la tomba non troveranno che la morte. Ma noi conserveremo il segreto e li lusingheremo, per la loro felicità, con una ricompensa celeste ed eterna. Infatti, quand'anche in quell'altro mondo ci fosse qualcosa, non sarebbe certo per esseri simili. Si dice e si profetizza che Tu verrai e vincerai di nuovo, che verrai coi Tuoi eletti, superbi e possenti, ma noi diremo che essi hanno salvato solamente se stessi, mentre noi abbiamo salvato tutti. Si dice che la meretrice seduta sulla bestia, con la coppa del mistero nelle mani, sarà svergognata, che i deboli torneranno a rivoltarsi, strapperanno la sua porpora e denuderanno il suo corpo "impuro". Ma io allora mi alzerò e Ti additerò i mille milioni di bimbi felici, che non conobbero il peccato. E noi, che ci siamo caricati dei loro peccati, per la felicità loro, noi sorgeremo dinanzi a Te e diremo: "Giudicaci, se puoi e se osi". Sappi che io non Ti temo. Sappi che anch'io fui nel deserto, che anch'io mi nutrivo di cavallette e di radici, che anch'io benedicevo la libertà di cui Tu letificasti gli uomini, che anch'io mi ero preparato ad entrare nel numero dei Tuoi eletti, nel numero dei potenti e dei forti, con la brama di "completare il numero". Ma mi ricredetti e non volli servire la causa della follia. Tornai indietro e mi unii alla schiera di quelli che hanno corretto l'opera Tua. Lasciai gli orgogliosi e tornai agli umili per la felicità di questi umili. Ciò che Ti dico si compirà e sorgerà il regno nostro. Ti ripeto che domani stesso Tu vedrai questo docile gregge gettarsi al primo mio cenno ad attizzare i carboni ardenti del rogo sul quale Ti brucerò per essere venuto a disturbarci. Perché se qualcuno piº di tutti ha meritato il nostro rogo, sei Tu. Domani Ti arderò. Dixi". Ivàn, si fermò. Egli si era accalorato e aveva parlato con fervore; quando poi ebbe finito, fece improvvisamente un sorriso. Aljòsa, che l'aveva sempre ascoltato in silenzio e verso la fine, in preda a straordinaria agitazione, molte volte aveva voluto interrompere il discorso del fratello, ma si era visibilmente trattenuto, si mise d'un tratto a parlare, come scattando: - Ma... è un assurdo! - esclamò, arrossendo. - Il tuo poema è l'elogio di Gesº e non la condanna... come tu volevi. E chi ti crederà là dove parli della libertà? È cosí, è forse cosí che va intesa? È quello il concetto che ne ha l'ortodossia?... Quella è Roma, e neppure tutta Roma, sbaglio, sono i peggiori fra i cattolici, sono gli inquisitori, i gesuiti!... E un personaggio fantastico come il tuo inquisitore non può esistere affatto. Che cosa sono quei peccati degli uomini che egli ha presi su di sé? Chi sono quei detentori del mistero, che si sono addossata non so quale maledizione per la felicità degli uomini? Quando mai si son visti? Noi conosciamo i gesuiti, se ne parla male, ma sono forse come i tuoi? Non sono affatto cosí, sono tutt'altra cosa... Sono semplicemente l'armata romana per il futuro regno universale terreno, con l'imperatore, il pontefice romano, alla testa... ecco il loro ideale, ma senza nessun mistero e nessuna sublime tristezza... La piº semplice brama di potere, di sordidi beni terreni, di asservimento... una specie di futura servitº della gleba, nella quale essi sarebbero i proprietari fondiari... ecco tutto quello che essi vogliono. Forse non credono nemmeno in Dio. Il tuo inquisitore con le sue sofferenze non è che una fantasia... - Fermati, fermati! - rise Ivàn, - come ti sei scaldato! Fantasia, tu dici, sia pure! Fantasia, certo. Permetti però: credi tu davvero che tutto questo movimento cattolico degli ultimi secoli non sia in realtà che una brama di potere in vista soltanto di beni volgari? È forse padre Paisio che t'insegna cosí? - No, no, al contrario, padre Paisio diceva una volta perfino qualcosa del tuo genere... ma era una cosa diversa, certo, tutta diversa, - si riprese Aljòsa. - Informazione preziosa, però, nonostante il tuo "tutta diversa". Io ti domando: perché i tuoi gesuiti e inquisitori si sarebbero collegati solo in vista di beni materiali e volgari? Perché non può incontrarsi fra di loro neanche un solo martire, tormentato da una nobile sofferenza e amante dell'umanità? Vedi: supponi che fra tutti questi uomini non desiderosi che di sordidi beni materiali se ne sia trovato anche uno solo come il mio vecchio inquisitore, che abbia mangiato anche lui radici nel deserto e si sia accanito a domare la propria carne per rendersi libero e perfetto, ma che però abbia in tutta la sua vita amato l'umanità: a un tratto ha aperto gli occhi e ha veduto che non è una gran felicità morale raggiungere la perfezione del volere, per doversi in pari tempo convincere che milioni di altre creature di Dio sono rimaste imperfette, che esse non saranno mai in grado di servirsi della loro libertà, che dai miseri ribelli non usciranno mai dei giganti per condurre a compimento la torre, che non per simili paperotti il grande idealista ha sognato la sua armonia... Dopo aver compreso tutto ciò, egli è tornato indietro e si è unito... alle persone intelligenti. Non poteva questo accadere? - A chi si è unito, a quali persone intelligenti? - esclamò Aljòsa quasi adirato. - Essi non hanno né tanta intelligenza, né misteri o segreti di sorta... Forse soltanto l'ateismo, ecco tutto il loro segreto. Il tuo inquisitore non crede in Dio, ecco tutto il suo segreto! - E anche se fosse cosí? Infine tu hai indovinato. È proprio cosí, è ben qui soltanto che sta tutto il segreto, ma non è forse una sofferenza, almeno per un uomo come lui, che ha sacrificato tutta la sua vita nel deserto per una grande impresa e non ha perduto l'amore per l'umanità? Al tramonto dei suoi giorni egli acquista la chiara convinzione che unicamente i consigli del grande e terribile spirito potrebbero instaurare un qualche ordine fra i deboli ribelli, "esseri imperfetti e incompiuti, creati per derisione". Ed ecco che, di ciò convinto, vede come occorra seguire le indicazioni dello spirito intelligente, del terribile spirito della morte e della distruzione, e, all'uopo, accettare la menzogna e l'inganno, guidare ormai consapevolmente gli uomini alla morte e alla distruzione, e intanto ingannarli per tutto il cammino, affinché non possano vedere dove sono condotti affinché questi miseri ciechi almeno lungo il cammino si stimino felici. E nota: l'inganno è compiuto in nome di Quello nel cui ideale il vecchio ha per tutta la sua vita cosí appassionatamente creduto! Non è questa un'infelicità? E anche se un solo uomo simile si fosse trovato alla testa di tutta quell'armata "avida di potere in vista di soli beni volgari", non sarebbe sufficiente quest'unico perché si avesse la tragedia? Piº ancora: basterebbe che ci fosse alla testa un solo uomo cosí perché si scoprisse, finalmente, la vera idea direttiva di tutta l'opera di Roma, con tutte le sue armate e i suoi gesuiti, l'idea suprema dell'opera stessa. Te lo dico schietto, io credo fermamente che quest'unico non sia mai mancato fra quelli che erano alla testa del movimento. Chissà, ce ne sono stati anche fra i pontefici romani! Chissà, questo vecchio maledetto, che cosí ostinatamente e cosí a modo suo ama l'umanità, esiste forse anche oggidí sotto l'aspetto di tutta una schiera di vecchi consimili, e non già casualmente, ma perché esiste come un accordo, come una segreta alleanza, già da gran tempo stabilita per custodire il mistero, per salvaguardarlo dagli uomini sventurati ed imbelli, allo scopo di rendere costoro felici. Cosí è senza dubbio, e cosí dev'essere. Io immagino che perfino i massoni abbiano, fra i loro principi, qualcosa di analogo a questo mistero e che i cattolici odino tanto i massoni perché vedono in essi dei concorrenti, che spezzano l'unità dell'idea, mentre unico deve essere il gregge e unico il pastore... Del resto, difendendo il mio pensiero, io ho l'aria di un autore che non sopporta la tua critica. Ma basta di ciò! - Sei forse massone anche tu! - sfuggí ad Aljòsa. - Tu non credi in Dio, - soggiunse, ma ormai con profonda amarezza. Gli parve inoltre che il fratello lo guardasse con fare canzonatorio. - E come termina il tuo poema? - domandò a un tratto, con lo sguardo a terra, - o è già terminato? - Io volevo finirlo cosí: l'inquisitore, dopo aver taciuto, aspetta per qualche tempo che il suo Prigioniero gli risponda. Il Suo silenzio gli pesa. Ha visto che il Prigioniero l'ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Ma Egli tutt'a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: "Vattene e non venir piº... non venire mai piº... mai piº!". E Lo lascia andare per "le vie oscure della città". Il Prigioniero si allontana. - E il vecchio? - Il bacio gli arde nel cuore, ma il vecchio persiste nella sua idea. | |
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| Da: Familiare Corsista | 23/10/2011 15:19:47 |
| Caro mio, ne riparleremo quando sarai dentro e dovrai pensare se e quando andare in pensione, augurare queste cose non è da persone intelligenti, senza offesa. Anche io come te stò aspettando la famosa lettera/telefonata, ed oltretutto stò già a spasso da 4 mesi, ma un domani che sarò all'interno di un'istituzione come la Banca d'Italia, non credo che penserò di andare in pensione per lasciare spazio ai "giovani", andrò in pensione solo e quando io lo riterrò opportuno, a meno che non mi caccino, e credimi, la pensione te la sarai goduta ancor prima di esserci andato. E poi, anche chi è in procinto di andare in pensione, a suo tempo si è meritato di entrare in BI, proprio come noi oggi, o sbaglio. Non ti incazzare, e non pensare cose brutte, pensa solo al futuro che potrà essere più roseo di quello che è oggi. In bocca al lupo amico mio, e ovviamente a tutti. | |
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| Da: corsista familiare | 23/10/2011 15:21:08 |
| Io non difendo nessuno, dico solo che bisogna sempre trovarsi nelle situazioni. A te non sembra giusto, ma visto che per prendere una pensione decente si deve alzare la media degli ultimi anni di lavoro, più sto dentro.......Comunque lasciamo le polemiche ai politici, avremo modo di riparlarne, magari quando brinderemo all'assunzione. | |
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| Da: conferenza interessante | 23/10/2011 15:22:01 |
| Di cosa parla Guerra e pace? La risposta che possiamo dare a questa questione è la stessa che vale per altre opere di Tolstoj come Resurrezione o La morte di Ivan Ilic: ci parla del senso del vivere. E' per questo che per amare veramente Guerra e pace bisogna forse arrivare all'età in cui il problema del senso della vita diventa un problema vero: non un turbamento adolescenziale o una percezione epifanica di ciò che ancora non si arriva a formulare in maniera coerente, ma una questione reale. Forse quel momento è giunto per me intorno ai ventisei anni quando ho riletto Guerra e pace e ho capito che si trattava di un capolavoro, di un libro che mi avrebbe accompagnato per sempre. Per metterla più sul comico e sempre per rifarmi a quello che aveva detto Guido qua, durante la conferenza su Anna Karenina: perché Guerra e Pace è così trascinante? Vi cito quello che lui diceva: Vi dico una impressione di lettura molto banale su cosa è stato "Guerra e pace" per me: leggere "Guerra e pace" ci vuole il suo tempo naturalmente, ma è come stare al cinema ininterrottamente per due mesi. Cioè è un piacere che non dà nessuna altra cosa al mondo!" Io sottoscrivo: Guerra e pace ha una portata, una vastità così ampia che immediatamente il lettore si sente trasportato in un mondo che ha una sua compiutezza, una sua logica e una sua coerenza. Un critico letterario dei nostri tempi, Franco Moretti, ha battezzato "opere-mondo" quelle opere che danno l'impressione di raffigurare la totalità della vita. L'Iliade, l'Odissea, la Divina Commedia, la Recherche sono opere-mondo, così come Guerra e Pace e Anna Karenina. Vediamo adesso quando fu scritto Guerra e pace, da chi fu scritto e di cosa parla. Fu scritto da Lev Nikolajevic Tolstoj che era figlio di un'importante famiglia aristocratica russa. Nato nel 1828, morirà nel 1910 dopo una vita lunga, intensa e piena di gloria letteraria. Come tutti i membri della classe dirigente russa dell'epoca, Tolstoj godeva di straordinari privilegi e di una posizione sociale particolare. Nella Russia dell'Ottocento la società era rigidamente gerarchica e divisa in classi: a un'élite ristrettissima di aristocratici corrispondeva una moltitudine sterminata di servi della gleba. Dico "servi della gleba" perché la servitù della gleba in Russia fu abolita solo nel 1861. Un aristocratico russo, per indicare quanto fosse grande il suo patrimonio, non diceva "posseggo la tenuta di x, y o z", ma diceva "posseggo 10.000 anime". Le anime erano quelle dei suoi servi della gleba che il proprietario terriero aristocratico russo considerava come proprietà personale, cioè come cose. Questa era la Russia in cui Tolstoj si trova a vivere. Come molti figli dell'aristocrazia russa di quell'epoca, anche il giovane Lev si dedica alla carriera militare. Attraversa una fase in cui pensa di poter diventare un grande soldato o un grande eroe. A metà degli anni Cinquanta si ritrova in guerra, prima in Caucaso e poi in Crimea. Compie delle esperienze di esaltazione bellica, e allo stesso tempo di orrore, che gli saranno fondamentali per scrivere Guerra e pace. Contemporaneamente a questa passione per la guerra e per i doveri bellici, Tolstoj sviluppa molto presto una passione per la letteratura. Quando comincia a scrivere Guerra e pace nel 1863 è già uno scrittore con una discreta reputazione. Guerra e pace viene scritto in sette anni, tra il 1863 e il 1869, e pubblicato in puntate prima in rivista e poi in volume. Appena esce, è subito chiaro che si tratta di un capolavoro. Tolstoj diventa immediatamente celebre. La sua fama letteraria cresce parallelamente alla fama di un altro suo quasi coetaneo - cioè di Dostoevskj, che ha soltanto sette anni più di Tolstoj, essendo nato nel 1821. Dopo Guerra e pace Tolstoj attraversa un periodo di crisi ideologico-religiosa, che si concluderà nel 1879 con una formale conversione ad una forma pauperistica di cristianesimo - un cristianesimo di base fuori da ogni istituzione. E fuori da ogni istituzione che Tolstoj diventerà un maestro spirituale e ben presto entrerà in collisione con chiesa ortodossa. La crescita del "tolstoismo" (così si chiama la dottrina che Tolstoj inventa ricavandola direttamente dai Vangeli) è parallela alla crescita dell'ostilità delle autorità nei suoi confronti. Allo sviluppo inarrestabile di posizioni filosofiche e morali, che fanno di Tolstoj una figura pubblica e lo pongono in conflitto con le autorità, si accompagna a una carriera letteraria sempre più articolata. Negli anni settanta Tolstoj scrive Anna Karenina, il suo secondo grande romanzo, negli anni ottanta scriverà il racconto La morte di Ivan Ilic e poi una serie di opere didattiche, destinate al popolo, di intento morale e pedagogico. Se la prima parte della carriera di Tolstoj era divisa fra letteratura e vita militare, la seconda sarà divisa fra predicazione morale e letteratura. Tolstoj, fra le altre cose, è l'inventore del pacifismo moderno. Arriverà a teorizzare la non-violenza come strumento di intervento politico. Gandhi si richiamerà direttamente a Tolstoj. Abbiamo dunque a che fare con uno scrittore che attraversa vari stadi di vita, fa molte esperienze, conosce tanti ambienti. Conosce l'ambiente della vita mondana aristocratica russa, conosce l'ambiente militare, conosce l'ambiente letterario, si interessa direttamente di problemi morali e religiosi, diventa una figura pubblica, una sorta di guru, di ideologo, di capopopolo, di maestro morale per generazioni e generazioni di intellettuali, ma anche di contadini russi, ai quali dedica molte delle sue opere pedagogiche di istruzione. Di cosa parla Guerra e pace? Il romanzo, vi dicevo, fu scritto fra il 1863 e il 1869. E' una di quelle opere di cui non è possibile raccontare la trama. Racconta eventi collocati in gran parte tra il 1805 e il 1812, cioè durante l'epoca delle guerre napoleoniche. Comincia nell'anno 1805 e si conclude con la battaglia di Austerliz, cui partecipa l'esercito russo, intervenuto in soccorso dell'esercito austriaco per fermare l'avanzata di Napoleone. Gli eventi principali terminano nell'anno della rovinosa disfatta di Russia, quando Napoleone prova ad invadere il territorio nemico, sconfigge di fatto l'esercito ma viene sconfitto dall'inverno e ripiega rovinosamente perdendo tutto il suo esercito, e in questo modo perdendo tutta la forza che gli aveva consentito di governare l'Europa fino a quel momento. Con la campagna di Russia comincia la sconfitta di Napoleone. I personaggi del romanzo sono moltissimi ma gli eroi principali sono tre: Andrej Bolkonskj, Natasha Rostova e Pierre Bezuchov. Andrej Bolkonskj e Pierre Bezuchov, i due personaggi maschili, sono le due metà dello stesso Tolstoj. Invece di imitare i cattivi romanzieri, cioè di creare un unico personaggio autobiografico infallibile e sostanzialmente antipatico, Tolstoj scinde se stesso. Andrej Bolkonskj è il figlio di una potente famiglia aristocratica russa. Arrivato a trent'anni, Andrej si pone il problema del senso della vita. E' stanco dell'esistenza che sta conducendo, è sposato con una donna che rispetta ma che non ama, si trova a fare vita mondana nei salotti russi, conducendo un'esistenza che gli sembra del tutto insensata, incontra persone che sembrano prigionieri di parti recitate e inautentiche. Personaggio perpetuamente scontento, viene presentato come spigoloso e antipatico all'inizio del romanzo. L'altro personaggio maschile, Pierre Bezuchov, è presentato come un imbranato. Un imbranato fortunato perché è il figlio illegittimo di uno degli aristocratici russi più ricchi. In punto di morte, il padre di Pierre decide di riconoscere il suo figlio illegittimo e di donargli tutta la sua eredità, tutto il suo immenso patrimonio. Da figura marginale un po' ridicola, Pierre si ritrova ad essere improvvisamente l'uomo o uno degli uomini più ricchi di Russia. Mentre il principe Andrej è duro, freddo, determinato, secco nei giudizi, inquieto, perpetuamente alla ricerca del senso della vita, Pierre è un personaggio più accomodante. Anche nel fisico sono diversi: Andrej è presentato come basso, secco, nervoso, Pierre invece è pingue, molle, tende a lasciarsi andare, gli piace mangiare, gli piace bere, si propone sempre di cambiare vita poi non la cambia mai. I due sono molto amici e però sono complementari. Quando si trovano, discutono della loro vita privata e immediatamente arrivano alle grandi questioni, che affrontano in modo astratto, in maniera tipicamente maschile. L'altro grande personaggio è Natasha. Quando comincia la storia Natasha è adolescente, è una ragazzina, ha meno di sedici anni. Come tutte le adolescenti nobili dell'epoca, viene catapultata subito nel momento decisivo della sua vita, perché le ragazze della nobiltà russa dovevano trovare marito molto presto. Trovare marito non era uno scherzo: non solo non esisteva il divorzio, ma il periodo buono era anche molto limitato. Inoltre l'ingerenza della famiglia era poteva essere pesante: spesso erano i genitori a combinare i matrimoni. In questo brevissimo arco di tempo la povera Natasha si trova a dover scegliere la traiettoria della sua vita futura: con quale uomo si ritroverà, quale sarà il suo destino. Intorno a questi tre personaggi principali ruota poi una costellazione sterminata di altri personaggi: in primo luogo tutti i membri della famiglia Bolkonskj, la famiglia di Andrej, la moglie di Andrej, il padre di Andrej, la sorella di Andrej, ecc.; dall'altra tutti i membri della famiglia Rostov, cioè la famiglia di Natasha: il padre di Natasha, la madre di Natasha, i due fratelli di Natasha. Dalla parte di Pierre troviamo tutta un'altra serie di personaggi: la donna che riesce ad accalappiarlo come marito senza che Pierre veramente lo voglia; il padre di lei che - accortosi di quanto sia straordinario aver trovato questo partito ricchissimo e imbranato - riesce poi a combinare il matrimonio in maniera un po' truffaldina; l'ambiente che gira intorno ai Bezuchov e, in generale, tutto l'ambiente dell'aristocrazia moscovita e pietroburghese. Ma non è finita. A questo impianto di romanzo sociale della vita aristocratica russa Tolstoj affianca un'altra trama. Perché? Perché tutti questi personaggi si trovano a vivere la loro vita, a decidere il loro destino, a incrociare le loro trame in un periodo nel quale queste attività, che sono attività di pace, vengono sconvolte dall'arrivo di una catastrofe storica senza precedenti, cioè dall'arrivo della guerra. Il conflitto cambia ovviamente i destini dei protagonisti. Attraverso una storia che non vi racconto, perché sarebbe lunghissima da spiegare, Andrej si trova coinvolto due volte in due guerra. Andrej partecipa alla battaglia di Austerliz e alla battaglia di Borodino; nella battaglia di Austerliz verrà ferito a morte ma non morirà, nella battaglia di Borodino, sette anni dopo di Austerliz, verrà di nuovo ferito e morirà. Nel frattempo fra i due eventi Andrej ha perduto la moglie, morta di parto, e iniziato una storia d'amore con la giovane Natasha. I due sembravano sul punto di sposarsi e di trovare una reciproca felicità, quando interviene un incidente. Andrej aveva promesso al padre che sarebbe rimasto sei mesi lontano da Natasha per vedere se la ragazza era la donna giusta della sua vita: se era costante, se non era fatua, se non era solo una bambina. Natasha non regge a questa separazione e si fa sedurre da un playboy dell'aristocrazia russa, Anatolj Kuraghin. Una bella storia che sembra avviata verso "e vissero felici e contenti" viene spezzata dall'intervento di questo giovane senza scrupoli. Ebbene, Andrej ritroverà Anatolj Kuraghin sul tavolo operatorio dell'ospedale da campo della battaglia di Borodino e lì capirà che in realtà ha perdonato: lui ferito ha perdonato all'altro uomo ferito quello che sta accadendo. Subito dopo, per vie un po' romanzesche, Andrej ritroverà Natasha in fuga da Mosca e tra i due ritornerà l'amore - ma sarà troppo tardi perché Andrej sta morendo. Dopo il lutto, dopo la difficile elaborazione di un trauma enorme, Natasha ritroverà l'amore una seconda volta, con Pierre. Mentre nasceva la storia fra Natasha e Andrej, Pierre si era fatto accalappiare da Hélène, la nobile senza scrupoli di cui vi parlavo in precedenza, una donna che non lo ama, che lo sfrutta soltanto, che lo tradisce ripetutamente, che vuole da lui soltanto il patrimonio. Anche Hélène morirà: morirà di malattia in seguito agli sconvolgimenti della guerra introdotti in Russia. Pierre, vedovo, ritroverà l'amore lentamente con una ragazza che già stima e che già segretamente ama, e che però è promessa al suo migliore amico. Ovviamente l'amore sarà possibile solo dopo la morte di Andrej. E allora Pierre e Natasha si sposeranno e troveranno una moderata felicità. Questa è, diciamo, la tessitura molto vaga di questo romanzo che non è riassumibile, perché i fili narrativi sono così tanti che la struttura si disperde quando viene esposta sommariamente. Da quanto abbiamo detto appaiono chiare due cose: 1. che il tema di Guerra e pace è il confronto tra la piccola storia privata, la storia di individui che cercano la felicità terrena (la persona giusta da sposare, un'esistenza che dia soddisfazione, ecc.) e la Storia con la S maiuscola, nella sua forma più sconvolgente: la guerra, la più grande guerra che mai la Russia avesse conosciuto sul suo territorio. Ha scritto un filosofo del Novecento, di orientamento marxista ed hegeliano, György Lukács, che le guerre napoleoniche furono un momento epocale nella storia europea perché per la prima volta la storia divenne un'esperienza vissuta dalle masse. Lukács non vuol dire che in precedenza non ci fossero delle guerre; vuol dire però che la portata delle guerre era limitata. La coscrizione obbligatoria è un risultato della nuova amministrazione napoleonica: il fatto che i maschi debbano andare a fare la guerra tutti è un evento nuovo che risale a questa epoca nella storia europea. Inoltre le guerre napoleoniche furono sommovimenti di portata eccezionale: tutta l'Europa ne fu coinvolta. Furono delle vere guerre totali. Masse intere di persone si trovarono coinvolte in un evento senza precedenti e capirono che la sorte degli individui dipende da movimenti storici che gli individui non controllano. A quanto ho appena detto si potrebbe obiettare che Guerra e pace parla in gran parte di aristocratici, e il fatto che ci parli di aristocratici è un limite. In realtà il romanzo parla anche dei contadini, dei soldati anonimi, dei soldati russi che si mettono a chiacchierare con i soldati francesi dall'altra parte della trincea prima della battaglia, scambiandosi insulti e saluti; ma indubbiamente il centro della vicenda è occupato dal racconto delle vite di alcuni aristocratici. Questo per una ragione molto precisa: l'aristocratico, in quelle condizioni, storiche era l'unico individuo che avesse un vero margine di libertà, e quindi un vero margine di libera determinazione del proprio destino. E l'argomento di Guerra e pace è appunto il destino umano e il senso della vita: la capacità di costruire il proprio destino o di dargli senso una volta che questo destino si è costruito, si è fatto da solo o è stato fatto dagli eventi. Tolstoj sceglie gli aristocratici anche perché gli aristocratici sono gli unici che possono veramente scegliere in quell'epoca. Non lo fa per classismo: lo fa perché i poveri contadini, come lui stesso ci mostra, venivano presi in meccanismi terribili di dominazione totale. Erano "anime" di proprietà un aristocratico; erano considerati oggetti. Per scrivere un romanzo che ha come scopo la riflessione sul senso dei destini individuali, Tolstoj ha bisogno di personaggi che abbiano la possibilità di determinare un destino. Questi personaggi possono essere solo degli aristocratici. Le piccole vite, le piccole storie private intrecciate al percorso violento della grande storia: questo il primo tema di Guerra e pace. 2. Il secondo qual è? In parte ne abbiamo già parlato. Guerra e pace è un romanzo, come si dice, nel linguaggio della critica letteraria, "polistorico", cioè un romanzo fatto di tante storie - tanto è vero che è impossibile raccontare la trama, perché dovremmo raccontare tutti i fili che compongono questa enorme tela. Scrivere un romanzo polistorico significa compiere una scelta formale, ma anche una scelta di contenuto. Non tutti i romanzi sono romanzi polistorici; anzi, se si va a vedere statisticamente i libri che si pubblicano, ci si accorge che il 95% dei romanzi parla di uno, due, tre, quattro personaggi, non di centinaia di personaggi come in Guerra e pace. Allora perché Tolstoj ci parla di centinaia di personaggi? Perché Tolstoj ci vuole dire che la realtà è fatta di destini che si intrecciano: i destini sono presi all'interno di forme di vita e di rapporti di forza; la struttura che li include tutti è la grande storia, determinante per le sorti individuali, ma incontrollabile da parte dei singoli individui. Ma anche se la Storia sovrasta le singole vite, ciò che conta davvero sono le singole vite. Tolstoj scrive un romanzo che è anche un'opera di storia, però lo scrive dal punto di vista degli individui: come dire che ciò che conta in questo enorme marasma che si crea tra il 1805 e il 1812 è seguire il filo dei singoli destini, e non solo seguire, in astratto, il flusso della grande storia. Molto significativa è poi l'operazione che Tolstoj compie sui grandi personaggi reali. In Guerra e pace, oltre a Pierre, Andrej o Natasha, troviamo anche, per esempio, Napoleone - Napoleone trattato come un essere umano, non come una figura storica ma come un personaggio. Ci viene detto cosa pensava Napoleone; in certo momento ci viene detto quanto il suo mal di stomaco influenzasse le sue decisioni sul campo di battaglia; ci viene descritto in tutta la sua grandezza e la sua meschinità, come un uomo che, davanti ad un campo di battaglia ricoperto di migliaia di cadaveri, pensa alla sua gloria, e basta. Questo personaggio che esiste per la storia con la S maiuscola viene ridescritto a misura umana. Quindi un romanzo sui destini individuali nel flusso della storia e un romanzo sul senso di questi destini. Alcuni dei personaggi di Guerra e pace, i più profondi, si pongono direttamente il problema del senso della vita. Il principe Andrej si pone il problema del senso della vita tante volte. E' un eroe intellettuale, un eroe che riflette. Poi tanti altri personaggi, simpatici, forse più simpatici del principe Andrej, non si pongono direttamente il problema del senso della vita. Chi se lo pone è invece il narratore che guarda queste vite dall'esterno e riflette sul loro significato. E' stato detto che le azioni di Guerra e pace si svolgono quasi sempre come prima della battaglia, anche quando la battaglia non c'è. I personaggi vivono come se in ogni momento della loro vita dovesse irrompere un evento eccezionale, oppure come se dovessero prendere una decisione morale. Questo avviene ovviamente prima della battaglia vera e propria (fra poco lo vedremo), ma anche in altri momenti - per esempio, cade quando le donne debbono accettare, rifiutare balli, corteggiamenti, pretendenti. Ci viene mostrata la battaglia per la determinazione del destino femminile. Le donne avevano pochi anni per decidere la propria vita, cioè per scegliere la persona da sposare. Poi si legavano a questa persona per sempre. Straordinaria poi anche la tecnica di rappresentazione della vita interiore in Tolstoj. In un cattivo romanzo psicologico, di solito, la rappresentazione della vita interiore è monolitica: i personaggi sono sempre buoni o sempre cattivi, sempre astuti o sempre stupidi, ecc. Invece Tolstoj rappresenta gli esseri umani come fasci di tendenze, pulsioni, desideri spesso contrapposti. Di un personaggio sostanzialmente buono ci può anche venir mostrato anche un lato meschino. Tante volte del principe Andrej ci viene mostrata l'attrazione per la gloria: dentro il principe Andrej vive un piccolo Napoleone che non ha pietà della moglie e che vuole andare in guerra per diventare famoso. Ma se è vero che i personaggi ci vengono mostrati come fasci di possibilità, di pulsioni, di desideri, è altrettanto vero che non sono fasci caotici. Il romanzo del Novecento ci abituerà alla rappresentazione dell'uomo come un io diviso. Questa tendenza già comincia con Dostoevskij. Nei romanzi di Dostoevskij i personaggi compiono dei delitti inspiegabili, sono contraddittori, non conoscono se stessi, sono attraversati da pulsioni sulle quali non hanno signoria. Invece Tolstoj ci vuole dire che l'uomo è complesso, che in ogni carattere esiste una dominante, che noi siamo campi di forze diverse, ma che alla fine questo sistema non è confuso. I personaggi di Tolstoj sono sì sfaccettati ma non sono schizofrenici; il principe Andrej ha i suoi momenti di meschinità, però alla fine la sua vita e il suo carattere vanno in una direzione, risultano organizzati. Solo che la direzione in cui vanno non è monolitica ma serpentinata, e questo lo rende straordinariamente umano. I personaggi di Tolstoj sono come noi: hanno i momenti di debolezza degli esseri umani, fanno delle cose incomprensibili, ma alla fine la sequenza delle loro azioni, vista da una certa distanza, compone un filo più o meno coerente. Un'altra caratteristica di questo romanzo è l'enorme serietà con cui viene trattata la vita umana in generale, e la vita quotidiana in particolare. Un grande critico letterario del Novecento, che si chiama Erich Auerbach, ha sostenuto che la grande differenza fra la letteratura classicistica e le letteratura moderna (cioè, semplificando per sommi capi, tra la letteratura classicistica anteriore all'inizio dell'Ottocento e la letteratura posteriore) è il fatto che la letteratura premoderna non conosceva la serietà della vita quotidiana, mentre invece nella letteratura successiva la vita di ogni giorno, la vita che si svolge in famiglia, la vita che si svolge sul lavoro, la vita di relazione avrebbe assunto un'importanza alta e tragica. E' così in Guerra e pace. Nei momenti di pace tutta la vita quotidiana dei personaggi viene caricata di senso, perché in ogni momento si decide un destino, e ogni destino individuale è agli occhi di Tolstoj sommamente importante. Questo aspetto si lega poi a un altro aspetto, anch'esso decisivo. Abbiamo detto che Guerra e pace è un romanzo polistorico, fatto di tante storie intrecciate. Ora: è come se queste storie nel romanzo stessero sullo stesso piano. La cosa bellissima di Guerra e pace (e lo sottolineava Guido parlando di Anna Karenina, dove succede la stessa cosa) è che il narratore ha verso ciascuno dei suoi personaggi - siano essi la ragazzina che va al suo primo ballo a sedici anni o il principe Andrej che medita sui destini del mondo la sera prima della battaglia in cui verrà ferito a morte - un'attenzione assoluta e un assoluto rispetto. E' come se le forme di vita e i destini meritassero il massimo rispetto, sempre, qualunque sia il loro contenuto. Non esiste per Tolstoj una scala oggettiva dei valori, dei desideri, degli ambienti sociali o culturali: Natasha Rostova il giorno del suo primo ballo merita la stessa importanza di Napoleone il giorno della battaglia di Austerlitz. Ogni individuo è sacro, ogni individuo è un epicentro di senso. Qualunque cosa questo singolo desideri, il suo desiderio merita attenzione. Alcune delle scene più belle di Guerra e pace ruotano intorno a motivi sostanzialmente futili agli occhi di un osservatore esterno. Per esempio una delle parti più belle del romanzo è l'episodio di Natasha il giorno del suo primo ballo, Natasha ha sedici anni. Poco prima Tolstoj ci ha descritto la battaglia di Austerlitz: centinaia di migliaia di morti, esseri umani che vedono la propria vita troncata, distruzione, morte, desolazione ovunque. Poco dopo si passa a quest'altro episodio. Natasha ha sedici anni, viene invitata al suo primo ballo importante: non un ballo qualsiasi, ma un ballo al cospetto dell'imperatore. Questo evento è per lei eccezionale. Cosa desidera Natasha il giorno del suo primo ballo? Desidera essere ammirata, desidera poter ballare con qualcuno, desidera che qualcuno la veda, desidera un po' di ammirazione. Arriva a questo ballo, ci viene descritto l'ingresso di Natasha con grande emozione: cosa fa, cosa pensa, cosa medita. Lo stupore di trovarsi in questa sala immensa, lo stupore di vedere lo zar, per esempio. Comincia il ballo, le coppie si formano e nessuno invita Natasha, che cade nella disperazione. La ragazzina si trova a fare tappezzeria, il ballo va avanti, Natasha è sul punto di piangere. A un certo punto Pierre la vede. Si conoscono già. Sono amici: Pierre è già sposato e non possono essere più che amici. Pierre vede che Natasha è disperata, si accorge di quello che le passa in testa. Allora va da Andrej e gli dice: "Tu che sei un gran ballerino, fammi un favore: la vedi quella ragazzina lì, è una mia amica, cioè una mia protetta: potresti farla ballare?" Andrej si rivolge a Natasha, la sceglie fra le altre ballerine presenti - e lei si ente invadere da una felicità assoluta. Ecco, questa scena della ragazzina che realizza il suo desiderio del primo ballo equivale, dal punto di vista del valore, ai pensieri di Napoleone prima della battaglia in cui si decidono i destini dell'Europa. Tutte le vite hanno diritto ad un punto di vista assoluto; tutte le vite sono importanti. E adesso volevo farvi vedere la scena di Natasha al ballo così come è realizzata nel film di Serghej Bondarchuk, tratta da Guerra e pace - un film fatto molto bene, che cerca, in questo caso, di rendere gli stati d'animo del personaggio attraverso i movimenti della camera. Proiezione della scena del ballo, dal film Guerra e pace di Serghej Bondarchuk Dicevamo appunto che Guerra e pace è fatto di queste piccole storie, di queste sfere di senso autonome poste su uno stesso livello. Tolstoj non giudica il senso intrinseco dei microcosmi, ma ognuno, ai suoi occhi, è degno di attenzione. In una delle pagine finali del romanzo questa idea della vita trova una rappresentazione icastica in un sogno di Pierre - anzi una visione, tra il sogno e il dormiveglia. Durante l'invasione francese in Russia, Pierre viene fatto prigioniero. Viene trattato come un animale e condivide questo destino con altri russi, per lo più soldati, trascinati via dai francesi nella loro rotta attraverso la sterminata pianura in inverno. Ovviamente soffre privazioni terribili, vede morire accanto a sé i suoi compagni di prigionia, viene minacciato dai francesi di fucilazione immediata al primo segno di cedimento. Vive un'esperienza terribile da cui uscirà vivo ma mutato. Ha appena visto morire uno dei suoi compagni più cari, un uomo fucilato perché non ce la faceva più a seguire l'esercito francese in fuga, e ha questa specie di sogno: «... in Svizzera gli insegnava la geografia. Aspetta, diceva il vecchio, e indicava a Pierre un mappamondo. Questo mappamondo era un globo vivo, oscillante, senza dimensioni precise, tutta la superficie del globo era fatta di gocce strettamente coese fra di loro e tutte queste gocce si muovevano, si spostavano, e ora da molte divenivano una sola e ora da una si suddividevano in molte, e ogni goccia tendeva ad espandersi, ad occupare più spazio possibile, ma le altre che tendevano alla stessa cosa la premevano e a volte l'annientavano e a volte si fondevano con essa. Ecco la vita, disse il vecchio insegnante. Come è semplice e chiaro, pensò Pierre, come facevo a non saperlo prima. Nel centro è Dio e ogni goccia tende a dilatarsi per rifletterlo il più possibile e cresce e si fonde con le altre, si contrae, si distrugge la superficie, si ritira in profondità e torna di nuovo a galla. Lui, Karataev, cioè il compagno appena fucilato dai francesi, si è diffuso ed è scomparso. Vous avez compris, mon enfant ? disse l'insegnante». Questa appunto è l'immagine finale cui arriva Pierre nella sua riflessione sul senso della vita. La vita è come un immenso mare di particelle, cioè di singole vite individuali che cercano di annientarsi a vicenda, oppure di fondersi. Sono in lotta o in simbiosi fra di loro, sono in uno stato di conflitto o di fusione, e cercano di convivere in questo enorme mare che trascina via tutto, ma che non è, agli occhi di Tolstoj (o agli occhi di Pierre, per lo meno) puro nulla. E' un valore. Pierre arriva a chiamarlo Dio. Avrebbe potuto chiamarlo in qualunque altro modo: pur non identificandosi con un Dio preciso, è comunque qualcosa che ha un senso, è attraversato da un senso. Un'altra conclusione molto importante cui Pierre arriva è questa: «In prigionia, dentro la baracca, Pierre aveva imparato, non con l'intelligenza ma con tutto il suo essere, che l'uomo è creato per la felicità, che la felicità è il soddisfacimento dei naturali bisogni umani e che tutta l'infelicità non deriva dalla mancanza, ma dalla troppa abbondanza. Ma ora in quelle ultime tre settimane di marcia aveva appreso una nuova confortante verità: aveva scoperto che nella vita non c'è nulla di terribile, aveva scoperto che non esiste nel mondo una situazione in cui l'uomo sia felice e completamente libero così come non esiste una situazione nella quale sia infelice e del tutto privo della libertà. Aveva scoperto che l'uomo nel suo letto di rose soffriva perché un petalo si era gualcito, soffriva esattamente come soffriva lui ora, addormentandosi sulla terra nuda ed umida, gelando un lato del corpo e scaldando l'altro». Pierre ha capito che in ognuna delle sfere di vita si combatte una lotta che merita rispetto assoluto e assoluta attenzione. La struttura di Guerra e pace riflette una simile idea. Il romanzo di Tolstoj, per come è costruito, parte dal presupposto che non esistano più valori assoluti evidenti a tutti. Il mondo, il mondo sociale, la vita sono fatti di piccoli universi di valori che si trovano a vivere insieme e che sono sorretti, e nello stesso tempo portati via, dalle grandi strutture collettive che danno forma al nostro esistere. La nostra forma di vita è frammentata in tanti piccoli microcosmi: se cerchiamo un valore, dobbiamo cercarlo a partire dalla consapevolezza di questa frammentazione. Dobbiamo cercare di ricostruirlo, non possiamo più presupporlo. Volevo anche riflettere sul legame tra piccole vite e grandi storie. Non è una vera corrispondenza reciproca, perché alle piccole vite interessa in primo luogo la propria felicità più che le grandi sorti collettive. Le grandi sorti collettive interessano a pochi individui dipinti come ambiziosi, come Napoleone o il principe Andrej nei momenti della sua esaltazione napoleonica. Alle piccole vite interessa in primo luogo essere felici. Essere felici il giorno del primo ballo, essere felice in una cosa concreta, essere felici in un momento determinato. Le vite, i destini incrociati fino a formare l'enorme mappamondo di gocce tenute insieme, sono perpetuamente sconvolte da grandi ondate di correnti collettive. La più grande ondata di correnti è ovviamente la guerra, che tutto distrugge. Una delle più belle meditazioni sulla guerra che troviamo nel romanzo è quella di Andrej Bolkonskij poco prima della battaglia di Borodino. Tra poco vedremo la scena del film che si riferisce a questo episodio. Pierre è andato a vedere, quasi da turista, come si presenta il campo prima dello scontro tra russi e francesi, mentre Andrej è impegnato in questo scontro come soldato. Purtroppo il DVD riporta una traduzione italiana solo parziale. Nella versione del film che fu mostrata alla televisione italiana alcune scene furono tagliate perché giudicate troppo noiose. Ovviamente tutte le meditazioni furono cassate. Qui vedrete una parte del ragionamento in italiano e una parte in russo con sottotitoli. Proiezione della scena prima della battaglia, dal film Guerra e pace di Serghej Bondarchuk Guerra e pace è un classico imperituro per la profondità e la serietà con cui guarda alle vite individuali, per il modo in cui prende atto della nostra condizione storica, cioè della condizione storica moderna, in cui gli individui sono diventati dei punti di partenza, degli epicentri di senso ai quali vengono riconosciuti diritti, sfere di autonomia. Ma il mondo moderno è anche quello che ci ha mostrato, come mai era accaduto prima, quanto sia potente lo scatenamento dei grandi meccanismi collettivi, a cominciare dal più violento, la guerra. E' in questa capacità di cogliere il doppio aspetto della condizione moderna (e della condizione umana in generale) che, secondo me, sta la grandezza di Guerra e pace: la dimensione individuale e la dimensione collettiva, la dimensione del privato e la dimensione del pubblico, la dimensione delle microstorie e la dimensione della macrostoria. A questo punto volevo sapere se da parte vostra ci sono delle domande, di qualsiasi tipo. DOMANDA: Io una domanda vorrei farla. Mi è sembrato di cogliere qualcosa della libertà dell'aristocrazia, dove erano liberi di scegliere, mentre i servitori della gleba non lo erano, nel momento in cui lei va al ballo e passa da una situazione di disperazione alla felicità totale. Vorrei domandare qualcosa sulla libertà della donna, delle aristocratiche e di quelle appartenenti alla servitù della gleba. DOMANDA: Volevo chiedere se nella descrizione del mondo contadino russo da parte di Tolstoj influisce quello che sarà poi il cambiamento grosso della società russa, cioè si comincia a capire attraverso la storia di Tolstoj che ci sarà una rivoluzione? DOMANDA: Stiamo per chiudere ma vorrei sottolineare una cosa che è sicuramente nota al professore: Lei ha detto, così di sfuggita, che Tolstoj non era classista, come se essere classista fosse un dato negativo. Che probabilmente lo fosse, ma che noi non lo dobbiamo pensare! Vorrei dire che, così come qualsiasi suo personaggio non è solo positivo, ma ha anche qualche cosa di negativo, così come siamo tutti noi, così probabilmente Tolstoj era in certi momenti il più scatenato classista di tutti gli scrittori russi, proprio perché le sue opere erano del tutto le opere che parlavano della classe nobile che lui conosceva e, d'altra parte, tutto ciò che ha scritto della parte opposta manifestava, almeno a mio avviso, la sua non conoscenza di questa classe. Quindi probabilmente questa attenzione all'individualità era dovuta proprio alla conoscenza della classe nobile, come un insieme di individui in questa collettività sconosciuta, terribile, orrenda, che stravolgeva la vita normale. Quindi probabilmente questo è da sottolineare. Poi un'altra cosa: lei ha parlato di tre personaggi. Io ne aggiungerei un altro, per chi vorrà leggere questo romanzo: Kartaev. PROF.MAZZONI Comincio a rispondere a queste domande. Quando dicevo che Tolstoj non è classista volevo dire che non è soggettivamente classista. Date le condizioni storiche in cui Tolstoj si trova a vivere, Tolstoj non può non sembrare classista ai nostri occhi, perché comunque tutto il mondo culturale in cui lui viveva era classista per forza di cose. DOMANDA: Dostoevskij è classista al contrario. PROF.MAZZONI: Sì, il problema è che Dostoevskij ha un'origine sociale diversa rispetto a Tolstoj. Il conte Lev Nikolajevich Tolstoj non poteva non comportarsi in quel modo. Così come non poteva non essere maschilista. Gran parte dei grandi scrittori dell'Ottocento possono sembrare, se guardati con occhi contemporanei, dei maschilisti. Perché? Perché nell'etere culturale in cui si muovevano, i rapporti fra uomo e donna erano rapporti di forza. C'era una parte dominante e una parte dominata, un genere che poteva e un genere che non poteva fare certe cose. Si spiegano così i grandi romanzi ottocenteschi d'adulterio. Questi romanzi hanno come protagoniste delle donne; e questo perché l'uomo poteva commettere adulterio liberamente. Non gli sarebbe mai successo ciò che capita a Emma Bovary, Anna Karenina ed Effi Briest, per nominare tre dei più grandi romanzi dell'Ottocento. Da questo punto di vista, è vero che Tolstoj, guardato con occhi contemporanei e antistorici, può sembrare classista e sessista. Solo che è oggettivamente classista e sessista. Lo è all'interno di un contesto culturale che non gli permette di essere altrimenti. Per quanto riguarda poi il discorso della libertà e della necessità, io lo metterei su questo piano: le donne dell'aristocrazia - per dirla con le parole di un sociologo contemporaneo che si chiama Pierre Bourdieu - erano la «frazione dominata della classe dominante». Godendo di una situazione di privilegio sociale, occupavano un posizione dominante; ma all'interno della loro classe di appartenenza erano la frazione dominata e dovevano sottostare al dominio maschile, per forza di cose. I contadini. Qualcuno ha visto nei contadini di Tolstoj un'anticipazione della rivoluzione proletaria. Il contadino tolstojano conterrebbe già in sé la prefigurazione del futuro proletariato che avrebbe sovvertito gli ordini della società russa - sia perché Tolstoj proietta nel contadino russo, un po' populisticamente, le speranze di una vita eticamente migliore, sia per il modo a volte minaccioso in cui i contadini sono rappresentati. Io credo che questa interpretazione non stia in piedi e che i passaggi storici siano molto più sfilacciati. Secondo me, il contadino di Tolstoj è molto simile alle masse indiane su cui Gandhi ha costruito la sua fortuna politica. | |
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| Da: ode | 23/10/2011 15:26:46 |
| IL CINQUE MAGGIO ode. Opere varie Manzoni 1881-695.2.png Ei fu. Siccome immobile, Dato il mortal sospiro, Stette la spoglia immemore Orba di tanto spiro, Così percossa, attonita5 La terra al nunzio sta, Muta pensando all'ultima Ora dell'uom fatale; Nè sa quando una simile Orma di piè mortale10 La sua cruenta polvere A calpestar verrà. [p. 690â100%.svg] Lui folgorante in solio Vide il mio genio e tacque; Quando, con vece assidua,15 Cadde, risorse e giacque, Di mille voci al sonito Mista la sua non ha: Vergin di servo encomio E di codardo oltraggio,20 Sorge or commosso al subito Sparir di tanto raggio: E scioglie all'urna un cantico Che forse non morrà. Dall'Alpi alle Piramidi,25 Dal Manzanarre al Reno, Di quel securo il fulmine Tenea dietro al baleno; Scoppiò da Scilla al Tanai, Dall'uno all'altro mar.30 Fu vera gloria? Ai posteri L'ardua sentenza: nui Chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui Del creator suo spirito35 Più vasta orma stampar. La procellosa e trepida Gioia d'un gran disegno, L'ansia d'un cor che indocile Serve, pensando al regno;40 E il giunge, e tiene un premio Ch'era follia sperar; tutto ei provò: la gloria Maggior dopo il periglio, La fuga e la vittoria,45 [p. 691â100%.svg] La reggia e il tristo esiglio: Due volte nella polvere, Due volte sull'altar. Ei si nomò: due secoli, L'un contro l'altro armato,50 Sommessi a lui si volsero, Come aspettando il fato; Ei fe' silenzio, ed arbitro S'assise in mezzo a lor. E sparve, e i dì nell'ozio55 Chiuse in sì breve sponda, Segno d'immensa invidia E di pietà profonda, D'inestinguibil odio E d'indomato amor.60 Come sul capo al naufrago L'onda s'avvolve e pesa, L'onda su cui del misero, Alta pur dianzi e tesa, Scorrea la vista a scernere65 Prode remote invan; Tal su quell'alma il cumulo Delle memorie scese! Oh quante volte ai posteri Narrar se stesso imprese,70 E sull'eterne pagine Cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito Morir d'un giorno inerte, Chinati i rai fulminei,75 Le braccia al sen conserte, Stette, e dei dì che furono L'assalse il sovvenir! [p. 692â100%.svg] E ripensò le mobili Tende, e i percossi valli,80 E il lampo de' manipoli, E l'onda dei cavalli, E il concitato imperio, E il celere ubbidir. Ahi! forse a tanto strazio85 Cadde lo spirto anelo, E disperò: ma valida Venne una man dal cielo, E in più spirabil aere Pietosa il trasportò;90 E l'avviò, pei floridi Sentier della speranza, Ai campi eterni, al premio Che i desidéri avanza, Dov'è silenzio e tenebre95 La gloria che passò. Bella Immortal! benefica Fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; Chè più superba altezza100 Al disonor del Golgota Giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri Sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita,105 Che affanna e che consola, Sulla deserta coltrice Accanto a lui posò.108 | |
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| Da: A.M. | 23/10/2011 16:06:27 |
| Alessandro Manzoni, nome completo Alessandro Francesco Tommaso Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 - Milano, 22 maggio 1873), fu uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano. È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo celebre romanzo I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana. Fu senatore a vita del Regno d'Italia. Indice 1 Famiglia 2 Biografia 3 La morte 4 Opere 5 Onorificenze 6 Note 7 Bibliografia 8 Voci correlate 9 Altri progetti 10 Collegamenti esterni Famiglia [modifica]Il nonno materno del Manzoni era Cesare Beccaria, noto illuminista, autore del trattato Dei delitti e delle pene posto nell'Indice dei libri proibiti; la madre, Giulia Beccaria (1762-1841), era una donna di grande cultura e sensibilità letteraria. Ufficialmente il padre dello scrittore è il conte Pietro Manzoni, membro di un'antica famiglia stabilitasi a Lecco nel 1612. Poiché questi era ormai sulla cinquantina quando nacque Alessandro, il suo padre naturale potrebbe essere stato un altro, Giovanni Verri (fratello minore di Alessandro e Pietro Verri)[senza fonte]. Biografia [modifica]Nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da don Pietro Manzoni, figlio di Alessandro Valeriano, pronipote di un ricchissimo mercante - imprenditore lecchese, Giacomo Maria Manzoni, e di Margherita di Fermo Porro. I suoi primi due anni di vita li trascorre nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina Panzeri. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. In seguito alla separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni viene educato in collegi religiosi; dal 1796 al 1798 presso il collegio Sant'Antonio dei padri Somaschi a Merate e Lugano (ebbe come insegnante Francesco Soave), poi presso i Barnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, da tali studi gli deriva una buona formazione classica e il gusto per la letteratura. Nel 1799 sviluppa una sincera passione per la poesia e scrive due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a trarre dall'osservazione del reale conclusioni rigorose e universali. Il giovane Manzoni dal 1801 al 1805 vive con l'anziano don Pietro, dedica buona parte del suo tempo alle ragazze e al gioco d'azzardo e ha modo anche di frequentare l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le prime esperienze poetiche, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici nonché dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule napoletano. A questo periodo si devono Il trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco di Virgilio e di Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzoniano di questo periodo è molto legato alla tradizione classica. Nel 1805 raggiunge la madre nel quartiere di Auteuil a Parigi, dove passa due anni, partecipando al circolo letterario dei cosiddetti ideologi, filosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fa molti amici, in particolare Claude Fauriel (il quale avrà una forte influenza sulla formazione del Manzoni; infatti Fauriel inculca ad Alessandro un grande interesse per la storia e gli fa capire che non deve scrivere seguendo modelli rigidi e fissi nel tempo, ma deve riuscire a esprimere sentimenti che gli permettano di scrivere in modo più "vero", in maniera da "colpire" il cuore del lettore) e ha modo di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura francese classicheggiante in arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della conoscenza; l'illuminismo è la critica razionale della realtà; lotta al pregiudizio e alla tradizione derivata dall'autorità; i problemi religiosi non si basano sull'esperienza, ma sulla superstizione) e assiste all'evoluzione del razionalismo verso posizioni romantiche. Nel 1806-1807, mentre si trova ad Auteuil, appare per la prima volta in pubblico come poeta, con due pezzi, uno intitolato Urania, in quello stile neoclassico del quale poi lui stesso diventerà il più strenuo avversario; l'altro, invece, un carme commemorativo in endecasillabi sciolti, sulla morte del conte Carlo Imbonati, dal quale, attraverso la madre, erediterà un patrimonio considerevole, tra cui la villa di Brusuglio, diventata da allora sua principale residenza. Per mezzo del Fauriel, Manzoni entra in contatto con l'estetica romantica tedesca prima ancora che Madame de Sta«l la diffonda in Italia. Nel 1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania, Manzoni dichiara che non scriverà più versi simili, aderendo alla poetica romantica, secondo la quale la poesia non deve essere destinata a una élite colta e raffinata, bensì deve essere di interesse generale e interpretare le aspirazioni e le idee dei lettori. Manzoni è ormai sulla via del realismo romantico; tuttavia non accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia dell'amico Fauriel, che la poesia debba essere espressione ingenua dell'anima e quindi non rinuncerà mai al dominio intellettuale del sentimento e a una controllata espressione formale, caratteristica del romanticismo italiano. Monumento ad Alessandro Manzoni a Lecco. Sullo sfondo il monte Resegone.Nel 1811, già anticlericale per reazione all'educazione ricevuta e indifferente, più che agnostico o ateo, riguardo al problema religioso, Manzoni si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo scrittore aveva sposato la calvinista Enrichetta Blondel (1791-1833), figlia di un banchiere ginevrino; il matrimonio si rivelò felice, coronato dalla nascita di 10 figli. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote Eustachio Degola, genovese, giansenista (che da Sant'Agostino deriva l'interpretazione assolutistica del problema della predestinazione, della grazia e del libero arbitrio), porta i due coniugi l'una all'abiura del calvinismo e l'altro a un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica (1810)[1]. Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di lunghe meditazioni; il suo atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè nell'esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami della Chiesa), ha coloriture gianseniste che lo portano alla severa interpretazione della religione e della morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica e diretta del dissolversi, nei primi anni dell'800, del mito della ragione, concepita come perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità di individuare un nuovo sicuro fondamento della moralità. Persa, quindi, la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine: per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno. Nel Manzoni, quindi, l'irrequietezza esistenziale si compone nella fede fervente conciliandola con la fermezza intellettuale. La sua energia intellettuale nel tempo immediatamente successivo alla conversione fu impegnata nella composizione di cinque Inni Sacri: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste, ovvero una serie di liriche sulle principali festività liturgiche. Si dedicò inoltre a un trattato, Osservazioni sulla morale cattolica, intrapreso sotto la guida religiosa di monsignor Luigi Tosi (cui il Degola aveva affidato la guida spirituale della famiglia Manzoni al loro ritorno in Italia) in riparazione alla sua iniziale lontananza dalla fede. Importante nella evoluzione spirituale di Manzoni fu anche Antonio Rosmini, con cui strinse una profonda amicizia. Rosmini, sul letto di morte, avrà proprio il conforto di Manzoni, a cui lascerà questo testamento spirituale: Adorare, Tacere e Godere. Nel 1818 mise in vendita tutti i suoi possedimenti lecchesi, tra cui la villa di famiglia del Caleotto dove aveva trascorso tutta l'infanzia e l'adolescenza. Intendeva trasferirsi definitivamente in Francia e aveva messo in vendita anche la casa di via Morone a Milano, ma dovette aspettare un anno poiché le autorità austriache gli negarono il passaporto. Nel settembre del 1819 Manzoni partì per Parigi, dove fu ospite per più d'un mese di Sophie de Condorcet. Insieme a lui undici persone: i genitori, cinque figli, nonna Giulia e tre domestici. Nella capitale francese il Manzoni frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor Cousin (1792-1867), che tornerà con lui in Italia e sarà ospite a Brusuglio e a Milano. Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che generò una viva controversia perché violava coraggiosamente tutte le convenzioni classiche. Un articolo pubblicato su una importante rivista letteraria lo criticò severamente; dall'altro lato fu addirittura Goethe a replicare in sua difesa, insieme al meno famoso critico ligure Trincheri da Pieve. La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio. Gli eventi politici di quell'anno, uniti alla carcerazione di molti suoi amici, pesarono molto sulla mente di Manzoni e il suo lavoro di quel periodo fu ispirato soprattutto dagli studi storici, nei quali cercò distrazione dopo essersi ritirato a Brusuglio. Intanto, con l'episodio dell'Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino Visconti (ma di recente critici come Enzo Raimondi[2] vedono nel Manzoni stesso la fonte letteraria del personaggio), iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originale de I promessi sposi,ambientato nei luoghi lecchesi della sua infanzia, che fu completato nel settembre 1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1823 e il 1827, esso fu pubblicato, un volume per anno, portando a un tratto grande fama letteraria all'autore. Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua seconda tragedia, Adelchi, che tratta del rovesciamento da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia e che contiene molte velate allusioni all'occupazione austriaca; in particolare la figura di Ermengarda ricorda quella dell'amica d'infanzia Teresa Casati in Confalonieri, per la quale nel 1830 comporrà l'epitaffio tombale presso lo storico Mausoleo Casati Stampa di Soncino in Muggiò (Milano). In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si trasferì a Firenze nel 1827, in modo da entrare in contatto e "vivere" la lingua fiorentina delle persone colte, che rappresentava per l'autore l'unica lingua dell'Italia unita. L'11 dicembre 1827 fu eletto socio dell'Accademia della Crusca[3]. Rielaborò I promessi sposi dopo la "risciacquatura in Arno"[4] facendo uso dell'italiano nella forma fiorentina colta e nel 1840 pubblicò questa riscrittura. Con ciò assumeva che quella era la prima vera opera frutto totale della lingua italiana. Dette alle stampe anche la Storia della colonna infame, un saggio che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente costituiva un excursus storico. Tomba di Alessandro Manzoni nel Cimitero Monumentale di Milano.Sul piano privato, la perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei figli, tra cui la primogenita Giulia, già moglie di Massimo D'Azeglio, della madre e dell'amico Fauriel. Il 2 gennaio 1837 sposò Teresa Borri (11 novembre 1799 - 23 agosto 1861), vedova del conte Decio Stampa. Egli sopravvisse anche a quest'ultima. Dei nove figli nati dal primo matrimonio solo due morirono successivamente al padre. Nel 1860 fu nominato senatore del Regno: con questo incarico votò nel 1864 a favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Come presidente della commissione parlamentare sulla lingua scrisse, nel 1868, una breve relazione sulla lingua italiana: Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla. La morte [modifica]Alessandro Manzoni morì di meningite il 22 maggio 1873. La malattia fu la conseguenza di un trauma cranico che si procurò il 6 gennaio quando cadde sbattendo la testa su di uno scalino all'uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano. Le sofferenze furono acuite dalla morte del figlio maggiore Pier Luigi, avvenuta il 27 aprile. Nel Cimitero Monumentale della città ambrosiana si tenne il solenne funerale, che vide una grandissima partecipazione e la presenza dei principi e di tutte le più alte autorità dello stato. Nel 1874, nell'anniversario della morte, Giuseppe Verdi diresse personalmente nella chiesa di San Marco di Milano la Messa di requiem, composta per onorarne la memoria. Nel 1883, a dieci anni dalla morte, la sua tomba venne spostata nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano. Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879), Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza nel 1882. L'ultimo ramo rimasto della famiglia di Alessandro è quello dei conti Manzoni di Lugo di Romagna che ha dato personaggi come l'artista Piero Manzoni e il poeta e pittore Gian Ruggero Manzoni. Il 28 giugno 1872 Manzoni fu nominato cittadino onorario di Roma[5]. Opere [modifica]Alessandro Manzoni iniziò negli anni giovanili con composizioni di ispirazione neoclassica. La conversione religiosa determinò una grande svolta nella sua attività letteraria. Tra il 1812 e il 1822 compose gli Inni sacri, cinque composizioni poetiche dedicate alle maggiori festività della Chiesa cattolica: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste. Nel 1821 scrisse le cosiddette "odi civili": Marzo 1821, dedicata alle insurrezioni anti-austriache di quell'anno, e Il Cinque Maggio, composta di getto all'annuncio della morte di Napoleone Bonaparte. Due tentativi di lirica religiosa, gli inni Ognissanti e Natale 1833 (che prende spunto dalla morte della moglie Enrichetta Blondel) restano incompiuti. Tra il 1816 e il 1822 scrisse inoltre due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1816) e Adelchi (1822), frutto di un'attenta riflessione teorica sul teatro e sul genere tragico in particolare. L'opera più completa e matura di Manzoni è però il romanzo I Promessi Sposi, scritto in una prima versione (con il titolo Fermo e Lucia) tra il 1821 e il 1823; poi profondamente modificato dal punto di vista della narrazione,il romanzo viene "alleggerito" togliendo molti tratti storici e pubblicato poi nel 1827; infine ancora rivisto, questa volta solo nella forma linguistica: nella ricerca di una lingua accessibile agli italiani di varia origine e cultura Manzoni scelse come modello il fiorentino parlato dai contemporanei. Onorificenze [modifica] Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia â" 22 aprile 1868 Commendatore dell'Ordine di San Giuseppe (Granducato di Toscana) Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Cavaliere dell'Ordine Pour le Mérite (classe di pace) â" 1844 | |
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| Da: RAI | 23/10/2011 16:10:53 |
| Tutto il calcio minuto per minuto è la più popolare trasmissione radiofonica dedicata al campionato italiano di calcio, ideata nel 1959 da Guglielmo Moretti, all'epoca capo della Redazione sportiva, Roberto Bortoluzzi, che ne divenne il conduttore, e Sergio Zavoli, all'epoca capo della Redazione radiocronache. Negli anni d'oro della trasmissione (non essendoci ancora la concorrenza della televisione), cioè negli anni '70 e '80 ha toccato punte di 25 milioni di ascoltatori. Indice 1 Storia 2 Conduttori 3 Radiocronisti 3.1 Storici 3.2 Attuali 3.2.1 Calcio 3.2.2 Formula 1 3.2.3 Ciclismo 3.2.4 Pallavolo 3.2.5 Rugby 3.2.6 Tennis 3.2.7 Motociclismo 3.2.8 Atletica Sci e Basket 3.3 Ex radiocronisti 3.4 Radiocroniste donne 4 Note 5 Bibliografia 6 Collegamenti esterni 7 Altri progetti Storia [modifica]Nacque nella stagione 1959-1960 da un'idea di Guglielmo Moretti e con le radiocronache dei soli secondi tempi. Il debutto ufficiale risale al 10 gennaio 1960, ma già nel 1959 furono messe in onda trasmissioni sperimentali. Moretti prese spunto da una trasmissione radiofonica francese (Sport et Musique)[1] con cronisti-inviati che fornivano informazioni in diretta dai campi di gioco del campionato di rugby transalpino. La struttura del programma è rimasta quasi invariata (salvo la copertura della totalità delle partite dal primo minuto a partire dal 1987) e prevede interventi e cronache in diretta dai principali campi di gioco, con segnalazioni immediate di gol o eventi di particolare rilievo da ogni campo. La prima puntata ufficiale vide collegati da Milano Nicolò Carosio per Milan-Juventus, da Bologna Enrico Ameri per Bologna-Napoli e da Alessandria Andrea Boscione per Alessandria-Padova. La conduzione del programma fu affidata subito a Roberto Bortoluzzi, che ne rimase presentatore negli studi di corso Sempione, 27 a Milano per ben ventotto anni consecutivi (forse un record per una trasmissione radiofonica italiana) fino al suo pensionamento. Dopo il suo abbandono avvenuto nel 1987, il programma fu condotto dapprima da Massimo De Luca (dalla stagione 1987-88 fino al suo passaggio a Mediaset), quindi da Alfredo Provenzali e, ultimamente, da Filippo Corsini, con lo sdoppiamento dovuto alle gare della Serie B giocate al sabato dalla stagione 2005-06. Dal campionato 2000-01 la trasmissione va in onda dagli studi di Saxa Rubra, a Roma. Prima radiocronista donna fu Nicoletta Grifoni nel maggio del 1988. Alla trasmissione, che ancora oggi accompagna i pomeriggi domenicali di molti sportivi italiani, sono legati nomi storici della radiocronaca. Fino alla riforma il programma non aveva una sigla iniziale e finale: nel 1976 fino all'inizio degli anni '80 si utilizzò un frammento di "Caravan" nella versione di Eumir Deodato, poi si passò al vecchio standard "A Taste of Honey" nella versione strumentale del 1965 suonata da Herb Alpert, usata in precedenza per altri programmi sportivi ed attualmente ancora sigla della trasmissione. Dal 1988 e per qualche anno fu sostituita con un motivo composto appositamente da Mauro Lusini. Nove le voci della trasmissione che, nel corso degli anni, hanno avuto la possibilità di annunciare in diretta uno scudetto: sono quelle di Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Beppe Viola, Everardo Dalla Noce, Carlo Nesti, Riccardo Cucchi, Bruno Gentili, Livio Forma e Francesco Repice. Il programma andava in onda in passato anche su RaiStereoDue sulla modulazione di frequenza e su Radio2 sulle onde medie (in realtà si chiamava Domenica Sport e seguiva i primi tempi e le interviste nel dopo gara) condotto da Mario Giobbe. Nel 1987 su proposta dello stesso Mario Giobbe la radiocronaca dei primi tempi fu unificata con quella dei secondi tempi in un'unica trasmissione che andò in onda per due anni a reti unificate su Radiouno, Radiodue e Isoradio. Dopo tale esperienza fu mandata in onda solo su Radio1, da dove è sempre andata in onda. Il 15 settembre 2007 la trasmissione è trasmessa da Saint Vincent per ricevere in serata la "Grolla d'Oro", come migliore trasmissione sportiva radiofonica dell'anno. Il premio è stato ritirato dai due attuali conduttori, Alfredo Provenzali e Filippo Corsini che ha condotto anche l'edizione di quel giorno, dedicata al campionato di Serie B (seguita in caso di riposo della Serie A). Anche senza A e B, il programma è sempre in onda durante la stagione calcistica, se si escludono i periodi di riposo estivo e invernale e per lo sciopero dei giornalisti: addirittura, il 18 novembre 2007 (a causa dello stop di B e C deciso dalla Lega Calcio dopo la tragica morte di Gabriele Sandri e del riposo della Serie A per il doppio impegno della nazionale) vennero proposte nove partite (una per girone) di Serie D. La stessa cosa avvenne il 6 gennaio 2008 (non giocando i professionisti di A, B e C per la lunga pausa di Natale: 2 domeniche di stop): collegati i campi di Cecina, Como, Barletta, Vasto e Isola del Liri. La trasmissione andò in onda anche domenica 4 febbraio 2007, a campionato sospeso a causa degli incidenti che, dopo la partita Catania-Palermo, portarono il 2 febbraio alla morte dell'ispettore capo di polizia Filippo Raciti. Durante la trasmissione personaggi illustri dello sport furono intervistati per sensibilizzare i tifosi ad un comportamento più sportivo negli stadi. Sabato 10 ottobre 2009, complice la sosta della A per le Nazionali e lo spostamento della B alla domenica, per la prima volta la redazione radiocronache della Rai si occupò del racconto in diretta di una gara del Campionato di calcio femminile, Lazio - Chiasiellis; il radiocronista fu Antonio Monaco. Anche nel biennio 2010- 2012 la trasmissione sarà in onda dal momento che la Rai ha conservato i diritti audiovisivi della Serie A e B. Il 10 gennaio 2010 la trasmissione festeggia il suo mezzo secolo di calcio alla radio. Nella puntata speciale di quel giorno, dopo le rievocazioni e le emozioni andate in onda nei giorni precedenti, il cinquantesimo compleanno è festeggiato con una scaletta d'eccezione: quattro voci storiche, quali Claudio Ferretti, Enzo Foglianese, Ezio Luzzi e Nicoletta Grifoni, tornano al microfono. Ecco la serie degli interventi della storica puntata del 10 gennaio: In conduzione da Saxa Rubra Alfredo Provenzali con Filippo Corsini; ai microfoni, da Firenze per Fiorentina-Bari Riccardo Cucchi e Claudio Ferretti, da Napoli per Napoli-Sampdoria Carlo Verna e Enzo Foglianese, da Genova per Genoa-Catania Emanuele Dotto e Ezio Luzzi, da Livorno per Livorno-Parma Giuseppe Bisantis e Nicoletta Grifoni, da Bologna per Bologna-Cagliari Tonino Raffa, da Udine per Udinese-Lazio Livio Forma e da Palermo per Palermo-Atalanta Roberto Gueli. La puntata è andata in onda eccezionalmente in contemporanea sul canale tv RaiNews24. In questa occasione i colleghi Roberto Gueli e Tonino Raffa, hanno omaggiato due scomparsi inviati: Nicolò Carosio e Piero Pasini. Prima della puntata numerosi gli interventi di personaggi del mondo del calcio e dello sport, nonché degli stessi ascoltatori, per celebrare l'anniversario e fare gli auguri a Tutto il calcio minuto per minuto. Domenica 18 aprile 2010, la trasmissione è andata eccezionalmente in onda dagli studi RAI di Genova a causa del caos dei voli che ha impedito al conduttore di raggiungere SaxaRubra e a numerosi inviati i campi. Domenica 15 maggio 2011 la trasmissione è andata in onda eccezionalmente dagli studi Rai di via Verdi a Torino per permettere al conduttore Alfredo Provenzali di essere presente alla Fiera del Libro di Torino in occasione della giornata dedicata da questa manifestazione alla letteratura sportiva, con un occhio di riguardo al libro celebrativo dei 50 anni di Tutto il calcio minuto per minuto, "Clamoroso al Cibali". Domenica Sport ha effettuato in quello stesso pomeriggio collegamenti con la Fiera del Libro, con lo stesso Provenzali assieme al collega Carlo Albertazzi. Conduttori [modifica]1959-1987 Roberto Bortoluzzi, lo sostituivano durante i periodi di ferie o di malattia prima Adone Carapezzi poi Massimo Valentini e Claudio Ferretti 1987-1992 Massimo De Luca, si alternavano al suo fianco Paolo Carbone, Rino Icardi e Luigi Coppola 1992 in poi Alfredo Provenzali, affiancato da Filippo Corsini, per brevi periodi in studio anche Giulio Delfino, Ezio Luzzi e Maurizio Isita. Dal 1990 al 1993 si aggiunse anche Enzo Creti. attuale conduttore Alfredo Provenzali (riconfermato anche per l'edizione 2010 - 2011) con Filippo Corsini (che è anche il conduttore titolare delle edizioni non domenicali dedicate alla serie B). Dalla stagione 2010 - 2011, si aggiunge agli attuali conduttori, anche Paolo Zauli, ma solo se è conduttore di Domenica Sport nella prima fascia della trasmissione, e comunque unicamente come "spalla" di Provenzali. Radiocronisti [modifica] Storici [modifica]Enrico Ameri (prima voce fino al 1991) Sandro Ciotti (seguiva principalmente Roma e Lazio negli anni sessanta, poi divenne seconda voce, infine prima voce dopo il ritiro di Ameri) Claudio Ferretti (dal 1968 terza voce in scaletta, fino al suo passaggio in tv nel 1988) Adone Carapezzi (solo negli anni sessanta, trasmetteva da Milano seguendo sia il Milan che l'Inter --- radiocronista anche di ciclismo) Ezio Luzzi (storica voce della serie B fino al 2000) Piero Pasini (seguiva principalmente il Bologna e le altre squadre emiliano-romagnole; deceduto nel 1981 dopo il gol di Eraldo Pecci in Bologna-Fiorentina) Enzo Foglianese (voce storica fino al 23 dicembre 1995) Massimo Valentini (anche storico volto televisivo del Tg1) Beppe Viola (anche scrittore e storico inviato della Domenica Sportiva) Andrea Boscione (trasmetteva principalmente da Torino sia la Juventus che il Torinoâ"aveva una voce grave e seria) Nico Sapio (trasmetteva da Genova; morì il 28 gennaio 1966 in un incidente aereo -la sciagura di Brema- con sette membri, tre donne e quattro uomini e un allenatore accompagnatore della nazionale di nuoto) Italo Moretti (trasmetteva da Roma, poi divenne direttore del Tg3) Luca Liguori (trasmetteva saltuariamente da Roma) Italo Gagliano (trasmetteva da Roma, poi passò al Tg2) Mario Gismondi (trasmetteva da Bari e da Foggia) Marcello Giannini (trasmetteva da Firenze) Everardo Dalla Noce (trasmetteva da Ferrara e da Milano, seguì la Borsa per il Tg2 e lavorò con Fabio Fazio) Nino Vascon (trasmetteva da Venezia) Arnaldo Verri (trasmetteva da Milano) Nuccio Puleo (trasmetteva da Catania, poi passò al Tg2) Cesare Viazzi (trasmetteva da Genova e ne divenne direttore della sede regionale Rai) Mario Guerrini (trasmetteva da Cagliari e poi da Milano) Cesare Castellotti Amerigo Gomez Nicola Giordano Sandro Baldoni Attuali [modifica] Calcio [modifica]Alfredo Provenzali (oltre a essere il conduttore attuale e a tenere i collegamenti, segue anche le partite di pallanuoto) Riccardo Cucchi (dopo aver seguito negli anni '80 il Campobasso, è la prima voce attuale e caporedattore dello sport al Giornale Radio Rai). Filippo Corsini (attuale conduttore di Domenica Sport e vicecaporedattore dello sport al Giornale Radio Rai). Francesco Repice (affianca Riccardo Cucchi nelle partite della Nazionale, radiocronista dei più importanti anticipi e posticipi di A) Emanuele Dotto (la voce di Genova, conduttore di Sabato sport, segue anche il ciclismo) Tonino Raffa (voce storica dal 1988 in poi, soprattutto dei campi di Reggio Calabria e Messina, in pensione dal 17 maggio 2011, prosegue come collaboratore) Livio Forma (voce storica ora in pensione, segue le partite non di cartello della serie A ed è prima voce per la B) Giuseppe Bisantis (inizia come redattore della sede Rai di Venezia, al microfono per anticipi e posticipi, è la voce dell'Under 21) Massimo Barchiesi (ex conduttore di Zona Cesarini passato poi a Luigi Coppola, seconda voce per anticipi e posticipi, segue anche il Basket, divenendone prima voce dopo il pensionamento di De Cleva) Ugo Russo (spesso seconda voce di anticipi e posticipi, segue anche il Basket) Tarcisio Mazzeo (la seconda voce di Genova, spesso inviato anche sui campi della Lombardia, dell'Emilia-Romagna e della Toscana e seconda voce dei più importanti anticipi e posticipi) Carlo Verna (segretario dell'Usigrai, segue principalmente le partite del Napoli) Enzo Del Vecchio (la voce storica della Puglia) Andrea Coco (la voce del Cagliari) Antonio Monaco (la voce del Pescara, ora segue le partite della serie B. Si ritira dalle radiocronache dall'11 aprile 2009, per collaborare come vice-direttore della sede Rai Abruzzo, sui tragici fatti del terremoto; rientra in pianta stabile nella stagione 2009 - 2010. Terzo inviato per la Nazionale italiana) Massimo Zennaro (attuale voce dal Veneto) Roberto Gueli (la voce del Palermo) Niky Pandolfini (la voce del Catania) Enzo Baldini (voce dalla Toscana come secondo in anticipi di A) Gianfranco Coppola (la voce della Salernitana e seconda voce di Napoli) Antonello Brughini (inviato sui campi del centro Italia per la B, segue anche la pallavolo) Mauro Carafa (saltuariamente bordocampista per anticipi e posticipi) Fabrizio Cappella (segue principalmente le squadre campane in Serie B) Barnaba Ungaro (ex conduttore della trasmissione Zona Cesarini. Ora è redattore della sede Rai del Veneto. Fa la sua prima comparsa a "Tutto il calcio minuto per minuto", il 23 maggio 2010, commentando la partita Cittadella - Crotone, terminata 4 a 0) Ettore De Lorenzo (saltuariamente bordocampista di anticipi e posticipi da Napoli, segue anche il Basket) Umberto Avallone (esordisce il 14 maggio 2011 in Sassuolo - Padova, terminata 0 a 1. Poi in Frosinone - Sassuolo, terminata 1 a 2). | |
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| Da: RAI...2 | 23/10/2011 16:25:55 |
| Quelli che il calcio (fino al 2006 Quelli che... il calcio, dal 2007 al 2010 Quelli che il calcio e... e poi dal 2011 nuovamente Quelli che il calcio) è il titolo di un programma televisivo di intrattenimento a tema sportivo, trasmesso da Rai 2 la domenica pomeriggio durante il periodo di attività del campionato italiano di calcio, che segue e commenta in diretta le partite della serie A. Il programma è stato condotto dal 1993 al 2001 da Fabio Fazio, dal 2001 al 2011 dalla conduttrice Simona Ventura e dal 2011 dalla conduttrice Victoria Cabello. La trasmissione si rifà sotto molti aspetti a una precedente trasmissione di Rai 3, intitolata Va' pensiero, programma ideato da Aldo Zappalà e condotto da Andrea Barbato, Galeazzo Benti e Oliviero Beha nella seconda metà degli anni ottanta. Indice 1 La storia: il contenitore come "specchio" dei conduttori 1.1 1993-2001: l'era di Fabio Fazio 1.1.1 Pronostici in diretta durante la trasmissione 1.2 2001-2011: L'era di Simona Ventura 1.3 2011 - in corso: L'era di Victoria Cabello 1.4 Elementi di continuità 1.5 1993-1998: Quelli che...il calcio 1.6 1998-1999: Quelli che... il calcio 1.7 1999-2001: Quelli che... il calcio 1.8 2001-2002: Quelli che... il calcio 1.9 2003-2004: Quelli che... il calcio 1.10 2004-2005: Quelli che... il calcio 1.11 2005-2006: Quelli che... il calcio 1.12 2006-2007: Quelli che il calcio e... 1.13 2007-2008: Quelli che il calcio e... 1.14 2008-2009: Quelli che il calcio e... 1.15 2009-2010: Quelli che il calcio e... 1.16 2010-2011: Quelli che il calcio e... 1.17 2011-2012: Quelli che il calcio 2 Note 3 Altri progetti 4 Collegamenti esterni La storia: il contenitore come "specchio" dei conduttori [modifica] 1993-2001: l'era di Fabio Fazio [modifica]La trasmissione esordì su Rai 3 nel 1993 con la conduzione di Fabio Fazio e la partecipazione del giornalista sportivo Marino Bartoletti. Il suo nome deriva dal titolo della canzone (che inizialmente era anche la sigla del programma) Quelli che..., composta e cantata da Enzo Jannacci, con l'aggiunta del calcio, sport di cui si discuteva in studio. La canzone di Jannacci per la trasmissione aveva però un testo completamente diverso (parlava infatti di calcio) rispetto alla prima versione originale. Le prime edizioni del programma sono state girate con telecamere a tubi. Al fianco del conduttore ligure si avvicendarono, durante i primi 8 anni del programma, comici del calibro di Teo Teocoli, Anna Marchesini e personaggi esotici e simpatici, tra cui spiccavano l'astrologo olandese Peter Van Wood, il tifoso juventino venuto dall'Africa Edrissa Sanneh (meglio noto come Idris), il giapponese Takahide Sano, sovente il giornalista e conduttore tv Luciano Rispoli, il primario di pediatria nonché scalmanato tifoso della Sampdoria, Renato Panconi, la "suora laziale" Suor Paola tifosa della Lazio, Carlo Sassi giornalista-tifoso della Cremonese, il giornalista Paolo Brosio, l'esperto di statistiche dall'espressione impassibile Massimo Alfredo Giuseppe Maria Buscemi. Durante i primi 4 anni di trasmissione ci furono anche dei collegamenti fissi dagli stadi, e in particolare di Everardo Dalla Noce - un ex volto del Tg2 che per molti anni seguiva la pagina economica - che ha commentato dai vari stadi d'Italia tutte le partite insieme con il suo aiutante, nonché il regista Giacomo Forte, inoltre per alcune puntate dei primi 3 anni faceva numerose ospitate fisse un altro ex volto del Tg2, Onofrio Pirrotta, rinchiuso in un chiosco di giornali, in un'edicola italiana. Sempre in quel periodo la trasmissione creò e sostenne una vera squadra di calcio, cui fu dato il nome di Atletico Van Goof e come mascotte il gufo, simbolo del programma; l'inno della squadra fu composto da Claudio Baglioni. Dal 1996 al 1999 entrò a far parte degli ospiti di Quelli che il calcio l'ingegnere professor Roberto Vacca. Nel 1998 Quelli che... il calcio si trasferì e traslocò su Rai 2. Pronostici in diretta durante la trasmissione [modifica]Dal 1996 al 2001 è stato ospite fisso Peter Van Wood, al quale venivano richiesti pronostici sui risultati di partite di serie A. Nell'edizione 1996 - 1997, visto il successo particolarmente scarso dei pronostici, venne introdotta l'ironica sfida tra Van Wood e Van Goof, una sagoma di un gufo rappresentante la sfortuna, dove a seconda del verificarsi o meno del pronostico veniva assegnato un punto alla prima o alla seconda. Nel 1997 fu creata una vera squadra di calcio, chiamata Atletico Van Goof, che partì dalla Terza Categoria. Con il cambio di conduzione e il conseguente addio di Fazio nel 2001, la squadra (nel frattempo salita in Prima Categoria) non è stata più seguita televisivamente all'interno del programma. 2001-2011: L'era di Simona Ventura [modifica]Nel 2001 si è avuto un cambio di conduzione e da allora fino alla stagione televisiva 2010-2011 il programma è stato condotto da Simona Ventura (subentrata a Fazio). Nonostante il completo rinnovamento, il programma continua ad avere un grande seguito, grazie alle sue varie componenti, oltre alla conduzione della Ventura: la presenza di giornalisti sportivi e/o ex calciatori che segnalavano i momenti cruciali delle partite (tra gli altri susseguitisi nelle varie edizioni Massimo Caputi, Bruno Pizzul, Ivan Zazzaroni, Marco Fiocchetti, Enrico Varriale, Luigi Maifredi, Giampiero Galeazzi e l'ex marito della conduttrice Stefano Bettarini); le imitazioni di Maurizio Crozza prima e di Max Giusti e Lucia Ocone poi, oltre alla presenza fissa degli sketch di Gene Gnocchi (presente fino al 2007); gli ospiti vip in studio; le "schedine", ossia le vallette del programma; gli inviati per le partite in diretta dagli stadi, principalmente tifosi del mondo dello spettacolo; gli inviati speciali, in primis Dj Angelo e Nicola Savino di Radio Deejay, che partecipano a manifestazioni di particolare interesse, sulla scia del loro predecessore nell'era Fazio, Paolo Brosio. La Ventura, in un certo senso, "sfruttava" il contenitore domenicale per dar spazio e luce agli altri suoi programmi di successo e di spicco, "L'isola dei famosi" (dal 2003 al 2011), "Music Farm" (nel 2005 e nel 2006) ed X Factor (nel 2008 e nel 2009), collegandosi con i "naufraghi" (nel primo caso) e con le "Ugole d'Oro" (nel secondo) e con i cantanti in gara (nel terzo), e tastando gli umori del momento. Dalla stagione calcistica 2005/2006, in seguito al passaggio dei diritti televisivi della serie A da Rai a Mediaset, per "aggirare" il divieto, le azioni dei gol venivano ricreate dal "Maifredi Team" diretto da Gigi Maifredi. Di conseguenza, anche gli inviati per le partite non parlavano più all'interno degli stadi, ma commentavano i match in altri luoghi, simulando in alcuni casi l'ambiente degli spalti. Dalla stagione 2008-2009 gli inviati poterono tornare negli stadi visto che la RAI aveva acquisito nuovamente i diritti televisivi del campionato italiano di Serie A di calcio. La Ventura era stata riconfermata dalla RAI alla conduzione della trasmissione anche per la stagione 2011/2012, ma nell'estate 2011, a sorpresa, Simona Ventura ha firmato un contratto in esclusiva di due anni con la piattaforma satellitare Sky Italia, abbandonando così il programma dopo dieci anni di onorata carriera televisiva. 2011 - in corso: L'era di Victoria Cabello [modifica]Dalla stagione 2011/2012 la trasmissione è affidata dunque a Victoria Cabello, ex conduttrice sui canali Telecom Italia Media, La7 ed Mtv, di vari programmi (tra cui Very Victoria e Victor Victoria). La conduttrice aveva aveva già condotto un programma della RAI: il Festival di Sanremo 2006. Elementi di continuità [modifica]Dall'esordio e per tutta la conduzione di Fazio, Quelli che... il calcio collabora con la trasmissione radiofonica Tutto il calcio minuto per minuto su Rai Radio 1, con i volti dei radiocronisti che apparivano su un grande video wall alle spalle del conduttore. Nel 1996 il video wall con i radiocronisti viene spostato e collocato dietro alla platea del pubblico. Durante la trasmissione, come succede in molte trasmissioni calcistiche, i risultati delle partite compaiono in successione sulla parte bassa dello schermo. Quando una squadra di serie A segna un goal esso viene comunicato in diretta; il nuovo risultato della partita compare nella parte alta dello schermo e su entrambi i margini dello schermo sventola una bandiera con i colori sociali della squadra che ha segnato. 1993-1998: Quelli che...il calcio [modifica]La trasmissione partì il 26 settembre 1993 su Rai 3, e il conduttore Fabio Fazio aveva degli ospiti fissi o anche di puntata. Conduce: Fabio Fazio Dal 26 settembre 1993, la prima stagione; dal 4 settembre 1994, la seconda stagione; dal 27 agosto 1995, la terza stagione; dall' 8 settembre 1996, la quarta stagione, dal 31 agosto 1997, la quinta stagione. Dalle 14:30. Rete: Rai 3. Regia Paolo Beldì. Cast fisso: Marino Bartoletti, Idris Sanneh, Carlo Sassi, Piero Barucci. Ospiti di studio: Suor Paola, Massimo Buscemi, Padre Alvaro, Gioele Dix, Alessia Merz, Natalia Estrada, Viviana Greco, Peter Van Wood, Takahide Sano. Comici: Teo Teocoli, Malandrino & Veronica, Francesco Paolantoni, Enzo Iacchetti. Inviati: Paolo Brosio, Everardo Dalla Noce, Pietro Galeotti, Nando Martellini, Luca Caioli, Anna Brosio. 1998-1999: Quelli che... il calcio [modifica]Dato il successo la trasmissione si trasferì su Rai 2 (idea dello stesso Fazio e di tutta la troupe della trasmissione). Conduce: Fabio Fazio Dal 13 settembre. Dalle 16. Rete: Rai 2. Regia: Paolo Beldì. Commento tecnico: Marino Bartoletti. Comici: Teo Teocoli. Inviati: Tonino Carino, Anna Marchesini. 1999-2001: Quelli che... il calcio [modifica]Conduce: Fabio Fazio Dalle 13:55 e dalle 15. Rete: Rai 2. Regia: Paolo Beldì. Commento tecnico: Marino Bartoletti. Comici: Teo Teocoli, Enzo Iacchetti, Francesco Paolantoni. Inviati: Tonino Carino, Paolo Brosio. 2001-2002: Quelli che... il calcio [modifica]La nona edizione è nel segno del cambiamento: Fazio e Bartoletti vengono sostituiti e soppiantati da Simona Ventura. Il programma è più incentrato sul varietà e meno sul calcio. In questa edizione è da ricordare lo scontro in diretta tra la Ventura e l'allora ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri che era intervenuto telefonicamente per criticare alcune battute di Gene Gnocchi. Il programma chiude il 5 maggio 2002 con il 43% di share e 7 milioni e 300 mila spettatori, record assoluto per il programma ottenuto grazie allo scudetto assegnato all'ultima giornata alla Juventus con l'Inter a sorpresa perdente contro la Lazio. L'obiettivo era del 22%, la media raggiunta del 27%.[senza fonte] Grande novità è anche la versione serale: Quelli che... aspettano lo smoking e Quelli che... lo smoking è di rigore con la partecipazione di Maurizio Mosca. Non otterrà il successo sperato e sarà chiuso in gennaio. Conduce: Simona Ventura Dal 12 settembre. Dalle 13:50 alle 17:00. Rete: Rai 2. Regia: Paolo Beldì. Commento tecnico: Massimo Caputi e Bruno Pizzul Comici: Gene Gnocchi, Tullio Solenghi, Maurizio Crozza, Dario Vergassola. 2003-2004: Quelli che... il calcio [modifica]Terza edizione con la Ventura, trasmissione sarà un rotocalco sportivo con tanta satira e ironia calcistica. Conduce: Simona Ventura Dalle 13:50 alle 17:00. Rete: Rai 2. Regia: Paolo Beldì. Commento tecnico: Massimo Caputi Comici: Gene Gnocchi, Maurizio Crozza, Max Giusti. 2004-2005: Quelli che... il calcio [modifica]Quarta edizione targata Ventura, che però ammette di aver avuto qualche perplessità nell'accettare ancora la conduzione, dopo il coinvolgimento nello scandalo del calcio-scommesse del marito Stefano Bettarini. Lascia per sua scelta Maurizio Crozza e la sigla è L'allenatore, cantata da Gianni Morandi. Conduce: Simona Ventura Dal 12 settembre. Dalle 13:45 alle 17:00. 13:45-15:00 Quelli che... aspettano. 15:00-17:00 Quelli che... il calcio. Rete: Rai 2. Regia: Paolo Beldì. Studio: Fiera 1 di Milano. Scenografia di Cappellini-Licheri. Commento tecnico: Massimo Caputi, Roberto Di Matteo, Gigi Maifredi. Comici: Gene Gnocchi, Max Giusti, Digei Angelo, Nicola Savino. Autori: Fabio Di Iorio, Francesco Freyrie, Max Novaresi, Andrea Pistacchi, Dario Tajetta, Simona Ventura e Cesare Vodani. 2005-2006: Quelli che... il calcio [modifica]Edizione difficilissima per Ventura e soci: non sono più effettuabili i collegamenti coi campi, dal momento che i diritti sono stati acquistati e passati a Mediaset. Dopo che la trasmissione sarà messa fuori palinsesto, data la perdita dei diritti, il programma va in onda, simulando collegamenti con gli stadi e dando i risultati in diretta, cosa che farà irritare Mediaset, ma che è garantita dalla trasmissione radiofonica Tutto il calcio minuto per minuto. Conduce: Simona Ventura Dalle 13:45 alle 17:00. 13:45-15:00 Quelli che... aspettano. 15:00-17:00 Quelli che... il calcio. Rete: Rai 2. Regia: Paolo Beldì. Commento tecnico: Massimo Caputi e Enrico Varriale. Comici: Gene Gnocchi, Max Giusti, Digei Angelo, Nicola Savino, Lucia Ocone. 2006-2007: Quelli che il calcio e... [modifica]Da questa edizione il varietà prende il sopravvento sul calcio in modo più netto. All'inizio doveva far parte della trasmissione Lamberto Sposini in qualità di giudice, ma sarà bloccato a causa dei suoi rapporti con Luciano Moggi scoperti durante Calciopoli. Persi i diritti l'anno prima, la trasmissione si incentra più sulle interviste degli ospiti con la partecipazione in ogni puntata di giornalisti stranieri. Ospite della prima puntata è proprio Luciano Moggi, il principale indagato di Calciopoli, scoppiata tre mesi prima. L'intervista sarà molto criticata e la trasmissione sarà punita perdendo per alcune puntate l'ultimo segmento Ultimo minuto, essendo assente il contraddittorio; l'unico che proverà a contraddire l'ex dg della Juventus sarà Andrea Vianello, ospite della puntata, ma zittito subito. Conduce: Simona Ventura Dalle 13:45 alle 17:30. 13:45-15:00 Quelli che... aspettano. 15:00-17:00 Quelli che... il calcio e.... 17:00-17:30 Quelli che... Ultimo Minuto. Rete: Rai 2 Regia: Paolo Beldì Commento tecnico: Giampiero Galeazzi Corpo di ballo: le Schedine con Antonella Mosetti e i Mufloni Comici: Gene Gnocchi, Max Giusti, Lucia Ocone Ospiti fissi: giornalisti della stampa estera. Quelli che... Il Parlamento. 2007-2008: Quelli che il calcio e... [modifica]Quindicesima edizione ricca di novità: lascia Gene Gnocchi, ma arriva Riccardo Rossi e come voce fuori campo Albertino che imita Lucignolo (il dj di Italia 1). Una folta schiera di autori per una trasmissione che comprende molte rubriche, come Vieni avanti... Pechino! con Marco Mazzocchi, in cui sono presentati gli atleti italiani partecipanti alle Olimpiadi del 2008, e Quelli che X Factor con Francesco Facchinetti e Simona, Morgan, Mara Maionchi giurati. Conduce: Simona Ventura con la collaborazione di Rai Sport Dalle 13:45 alle 17:00. 13:45-15:00 Quelli che... aspettano. 15:00-17:00 Quelli che... il calcio e.... 17:00-17:30 Quelli che... Terzo Tempo. Rete: Rai 2. Regia: Paolo Beldì. Commento tecnico: Giampiero Galeazzi e Bruno Gentili. Comici: Riccardo Rossi, Albertino, Lucia Ocone e Max Giusti. Impianto scenico: Alida Cappellini e Giovanni Licheri. Costumi: Lorenzo Roberti. Coreografie: Michela Levi. Direttore della fotografia: Ferdinando Cermenati. Direttore di produzione: Augusto Lazzari. Produttore esecutivo Alberto Manca. Autori: Furio Andreotti, Paolo Beldì, Riccardo Cassini, Michele De Pirro, Fabio Di Iorio, Ennio Meloni, Max Novaresi, Alessio Tagliento, Simona Ventura e Cesare Vodani. 2008-2009: Quelli che il calcio e... [modifica]La sedicesima edizione vede il ritorno del collegamento dagli stadi con la riacquisizione dei diritti in chiaro della Serie A da parte della Rai. Molto spazio è dato all'Isola e a X factor. La trasmissione perde il suo terzo spezzone dalle 17 col ritorno di Stadio Sprint. Quest'anno la voce fuori campo è quella di Nicola Savino che imita Il comitato (cioè Michele Guardì). Conduce: Simona Ventura Dalle 13:45 alle 17:00. 13:45-15:00 Quelli che... aspettano. 15:00-17:00 Quelli che il calcio e.... Rete: Rai 2 Regia: Paolo Beldì Commento tecnico: Massimo Caputi e Marco Mazzocchi Comici: Max Giusti, Lucia Ocone, Nicola Savino e Digei Angelo. Ospiti fissi: Luca Giurato e Cristiano Malgioglio, e Aldo Biscardi come inviato speciale. 2009-2010: Quelli che il calcio e... [modifica]Nuova edizione e tantissime novità: lasciano Max Giusti (impegnato con Affari tuoi e Affari tuoi Speciale per 2), Nicola Savino e la sua squadra (che è approdata su Italia 1 a Colorado) e pure il regista Paolo Beldì (alla regia del nuovo varietà di Gianni Morandi). Il 20 settembre 2009 furono invitati come ospiti il gruppo rock musicale Muse; costretti per l'occasione a suonare in playback, per protesta il gruppo si scambiò gli strumenti: Matthew Bellamy dalla voce passò a suonare la batteria, Dominic James Howard dalla batteria passò alla voce e al basso invece Christopher Anthony Wolstenholme dal basso passò alla chitarra e alla tastiera. Lo scherzo non venne notato da nessuno, e continuò anche al termine della performance durante l'intervista della conduttrice Simona Ventura, ignara dello scambio di persona, al gruppo, che pose una serie di domande al batterista Dominic credendo che in realtà si trattasse del cantante[1]. Conduce: Simona Ventura Rete: Rai 2 Regia: Celeste Laudisio Scenografa: Susanna Aldinio Commento tecnico: Stefano Bettarini e Massimo Caputi Comici: Lucia Ocone (2009); David Pratelli (2009-2010); Brenda Lodigiani (2010); Ubaldo Pantani (2010). Postazione web: Alessandro Cattelan e Francesca Macrì Redazione (Titoli completamente inventati in tempo reale) Andrea Marchesi e Michele Mainardi Inviati fissi: Aldo Biscardi Ospiti fissi: Flaminio Maphia Bar Sport: Matteo Materazzi, Sasà Salvaggio, Fabrizio Fontana, Andrea Pucci, Massimo Bagnato. Autori: Furio Andreotti, Francesco D'Argenzio, Fabio Di Iorio, Celeste Laudisio, Ennio Meloni, Massimo Piesco, Dario Tajetta, Simona Ventura, Giorgio Vignali. 2010-2011: Quelli che il calcio e... [modifica]Prima edizione del programma ad andare in onda nel nuovo formato panoramico 16:9 (visto il passaggio di alcune regioni al digitale terrestre) e non saranno più presenti gli SMS, dopo che si è scoperto che i boss della mafia si mandavano messaggi attraverso gli SMS in onda durante la trasmissione. Conduce: Simona Ventura Rete: Rai 2 Regia: Celeste Laudisio Commento tecnico: Stefano Bettarini e Massimo Caputi Comici: David Pratelli, Ubaldo Pantani e Virginia Raffaele. Postazione web: Alessandro Cattelan e Francesca Macrì. Capo tifoseria: Daniele Battaglia. Corpo di ballo. Aura Rolenzetti con le schedine e i mufloni. Inviati fissi: Aldo Biscardi e Amedeo Goria. Bar Sport: Matteo Materazzi, Sasà Salvaggio, Fabrizio Fontana, Andrea Pucci, Bruce Ketta, Gabri Gabra, Gigi Rock, Massimo Bagnato e Angelo Pintus. 2011-2012: Quelli che il calcio [modifica]Conduce: Victoria Cabello Rete: Rai 2 Data di inizio: 18 settembre 2011 Autori: Matteo B. Bianchi, Victoria Cabello, Lorenzo Campagnari, Oscar Colombo, Fabio Di Iorio, Elisabetta Elia, Piero Guerrera, Ennio Meloni, Dario Tajetta e Fabrizio Testini. Regia: Paolo Beldì Commento tecnico: Massimo Caputi e Suri Chung Comici: Ubaldo Pantani, Virginia Raffaele e Trio Medusa Inviati fissi: Marisa Passera | |
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| Da: X..... | 23/10/2011 23:04:47 |
| Certo a noi sapere di quelli del calcio e di tante cavolate che hai copiato non ci importa proprio.....eppure te continui, basta sei pesante!??!! | |
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| Da: che uomo triste | 24/10/2011 10:56:27 |
| ....quello che copiaeincolla!! Mercoledì pomeriggio libero!!!!Che palle!!! | |
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| Da: | 24/10/2011 12:09:58 |
| il collega del copia e incolla facendo questi giochi da bambino (... giochi deficienti per bambini deficienti) crede forse di sabotare il forum per non fare uscire la verità non sapendo che la VERITA' prima o poi esce sempre e la GIUSTIZIA prima o poi verrà fatta (anche se sei un raccomandato di merda e sai che all'ispettorato generale nessuno ti potrà toccare) perchè prima o poi nessuno ti potrà difendere dinanzi a delle prove schiaccianti!!!!! | |
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| Da: ....................... | 24/10/2011 12:17:54 |
| per chi è esterno a questo concorso non si capisce nulla di questa vostra discussione.. che vuol dire impugnare un bando del 2008? | |
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| Da: studiamo un pò di medicina | 24/10/2011 20:43:04 |
| L'APPARATO LOCOMOTORE E' l'apparato che ci permette il movimento. E' composto di una parte attiva (sistema muscolare) e di una passiva (sistema scheletrico) che studieremo separatamente. 1.â Sistema scheletrico Forma l'impalcatura di sostegno e la parte passiva del sistema locomotore, senza di esso il corpo si affloscerebbe su se stesso e ci muoveremmo come dei molluschi. E' formato da ossa, articolazioni e ligamenti. 1.1â Le ossa Ossa Sono formate da: una matrice di sostanza proteica, che dà la forma e la elasticità all'osso sali minerali (calcio e fosforo principalmente) che danno rigidità e durezza e che si depositano nella matrice proteica. Per quanto riguarda la loro forma le ossa vengono divise in diversi tipi (lunghe, corte, piatte e irregolari). Classificazione Ossa lunghe: in esse una dimensione (la lunghezza) prevale nettamente sulle altre. Femore, tibia, fibula, omero, radio, ulna, metacarpo, coste... Femore Ossa corte: qui le tre dimensioni si equivalgono più o meno. Forma quindi più o meno cubica. Corpo delle vertebre, ossa del carpo o del tarso, rotula... Ossa piatte: sono ossa a due dimensioni (lunghezza e larghezza). Scapole, ossa craniche... Irregolari: sono invece quelle ossa di forma indefinibile, Sfenoide (nel cranio), parte posteriore delle vertebre, ossicini nell'orecchio medio... Costruzione dell'osso In un osso lungo si distinguono le seguenti parti: Epifisi: alle estremità Diafisi: la parte in mezzo; lunga e più sottile Metafisi: la zona dove l'osso si assottiglia. E' anche la zona di crescita in lunghezza. Spongiosa: parte interna dell'osso a costruzione spugnosa, fatta a rete. Contiene il midollo osseo, dove si formano le cellule sanguigne. Compatta: parte esterna dura e compatta. Più consistenze nella diafisi. Osteociti Cellule ossee Osteone Osteociti Osteoblasti Osteoclasti 1.2â Nomenclatura delle varie ossa Testa Cranio calotta cranica: 1 frontale, 2 parietali, 2 temporali, 1 occipitale, parte dello sfenoide Base cranica: in buona parte formata dallo sfenoidale, parte dell'occipitale e dei temporali Faccia: 2 zigomatici, mascellare superiore, 2 nasali, 1 mandibola (o mascellare inferiore) ed altre piccole ossa. Arti superiore (braccia) Braccia Da prossimale a distale ci sono: omero, radio (verso il pollice) e ulna (verso il mignolo), carpo (8 ossicini), metacarpo (5 ossa), falangi (5), falangine (5) e falangette (4). Arti inferiori (gambe) Gambe Da prossimale a distale: femore, tibia (davanti) e perone o fibula (dietro e laterale), rotula o patella fra femore e tibia), tarso (7 ossa), metatarso (5 ossa), falangi, falangine e falangette. Colonna vertebrale spina dorsale Spina dorsale E' la struttura portante su cui si inseriscono le coste, che formano il torace, e la testa. E' composta da 32-33 vertebre intercalate dai dischi intervertebrali fatti di cartilagine e materiale fibroso, che conferiscono alla colonna una certa elasticità e consentono piccoli movimenti tra le vertebre stesse. Le vertebre si suddividono in 5 tipi: 7 cervicali (collo) 12 toracali o dorsali (ognuna porta un paio di coste) 5 lombari 5 sacrali (che saldate assieme formano l'osso sacro) 3-4 coccigee (residuo di coda). La colonna vertebrale ha delle curvature che secondo il piano su cui si trovano hanno un diverso nome. Sul piano sagittale si hanno una lordosi (convessità in avanti), che è normale nella parte cervicale e in quella lombare, e una cifosi (convessità indietro) che è normale nella parte toracale. In misura troppo accentuata anche queste curvature sono naturalmente non normali. Sul piano frontale non vi deve essere nessuna curvatura, la colonna deve apparire diritta. Se vi sono curvature (sempre patologiche) si parla di scoliosi (sinistro o destroconvessa). Torace Torace, Bacino Il torace è deliminitato davanti dallo sterno, osso piatto, sui lati dalle coste che sono 12 paia e dietro dalla colonna toracale. Delle coste 10 paia sono attaccate direttamente o indirettamente allo sterno mentre 2 paia sono dette fluttuanti. Sul torace sono pure inserite le clavicole (davanti, collegate allo sterno) e le scapole (dietro) che formano le spalle e partecipano ai movimenti delle braccia. Le scapole son o collegate a loro volta con gli omeri. Cingolo scapolare (toracico) clavicole, scapole Bacino E' formato da tre coppie di ossa collegate in modo fisso a formare un anello rigido. 2 ossa iliache (che formano la parte laterale), 2 ossa ischiadiche (in basso dietro) sulle quali in pratica ci sediamo. Dietro l'anello è chiuso dall'asso sacro che collega le due ossa iliache attraverso l'articolazione sacro-iliaca. 1.3â Le articolazioni (sinoviali) Articolazioni sinoviali Esse rappresentano il collegamento tra due ossa. Possono essere di vario tipo e forma. Ve ne sono di fisse o di mobili. Quelle fisse sono per es. quelle che collegano l'osso sacro e le ossa iliache, o lo sterno con le clavicole. Le articolazioni tipiche sono quelle mobili. Esse composte da: la parte terminale delle ossa (epifisi) la cartilagine, attaccata sulle due estremità delle epifisi, molto liscia e con pochissimi attrito, provvista di una certa elasticità. la capsula articolare, che chiede tutta l'articolazione e la sinovia al suo interno che produce... il liquido sinoviale, molto viscoso, che serve da lubrificante e anche per nutrire la cartilagine. 1.4â I ligamenti Ligamenti Rendono stabile le articolazioni, fissandole in determinate posizioni e rendendo possibili i movimenti solo in certe direzioni ed entro certi limiti. Sono molto resistenti e solidi. 2.â Sistema muscolare Muscolatura striata (scheletrica) E' la parte attiva dell'apparato locomotore, che fa muovere l'impalcatura formata dallo scheletro. E' formata da muscoli, a loro volta formati dalle fibre muscolari raggruppate in fasci. Componente chimico principale sono delle particolari proteine che hanno la capacità di accorciarsi dietro uno stimolo elettrico. Le fibre muscolari sono di tre tipi: lisce: involontarie, contrazioni lente e lunghe, consumano poca energia (apparato digerente, bronchi, utero, app. urogenitale, vasi sanguigni...) Muscolatura cardiaca striate: volontarie, contrazioni veloci ma brevi, con consumo elevato di energia (tutto il sistema muscolare scheletrico) cardiaco: sono fibre striate, ma intrecciate tra di loro in modo particolare e involontarie. Contrazioni veloci e alto consumo di energia (cuore). La costruzione muscolare è mandata da impulsi elettrici trasmessi tramite i nervi, e il livello di sali minerali nel sangue gioca un ruolo (in particolare CA, Mg e K). Muscolatura liscia Nomenclatura vi sono più di 200 muscoli nel nostro corpo. I più conosciuti sono il bicipite e il tricipite (nel braccio), il deltoide (spalla), il quadricipite (coscia) e i glutei. Gli ultimi tre sono utilizzati in medicina anche per le iniezioni intramuscolari. 2.1â I tendini Tendine Collegano i muscoli alle ossa. Sono molto resistenti ma poco riforniti di sangue, per cui se si rompono impiegano molto tempo a guarire. Borse tendinee Le borse tendinee e articolari sono delle sacche contenenti del liquido come quello sinoviale, poste tra osso e tendine o sopra le articolazioni in luoghi dove ci può essere uno sfregamento notevole con il movimento e servono a diminuirlo il più possibile (p.es. borse prepatellari, o del gomito). 3.â Fisiologia 3.1â Ossa Crescita: l'osso cresce nella zona detta metafisi per quanto riguarda la lunghezza. Tra metafisi ed epitifisi vi è una zona cartilaginea nella quale avviene la formazione di nuovo osso . In larghezza e spessore l'osso cresce più lentamente per la formazione di nuovo tessuto da parte del periostio ("pelle" dell'osso) che trasporta i vasi sanguigni che nutrono l'osso. Nutrizione: l'osso è un organo vivo e viene nutrito quindi dal sangue che gli arriva sia dal periostio che dai vasi che entrano al suo interno a livello delle metafisi e lo riforniscono dal di dentro. La circolazione sanguigna è intensa e se un osso si frattura si forma un ematoma a volte molto grande. Funzioni Lo scheletro ha la funzione di: Sostegno, per la locomozione Protezione per organi interni (scatola cranica, gabbia toracica) Produzione di cellule sanguigne (=ematopoiesi) nel midollo rosso (Ec, Lc, Trombociti). 3.2â Muscolatura Le fibre muscolari sono capaci di contrarsi se stimolate elettricamente, il rilassamento invece è passivo. I muscoli sono solitamente disposti a gruppi nei quali gli uni provocano un movimento e gli altri provocano il movimento opposto: si parla di agonisti e antagonisti. Per quanto riguarda la funzione in genere si distinguono i muscoli delle estremità in: flessori (che piegano un'articolazione) ed estensori (che la distendono) abduttori (allontanano un arto dal piano sagittale) e adduttori (lo avvicinano) pronatori (rivolgono il palmo all'ingiù) e supinatori (lo rivolgono all'insù) rotatori interni oppure esterni. Gli uni sono antagonisti degli altri. Ogni muscolo passa sopra almeno ad un'articolazione, salvo i muscoli mimici della faccia. Per unità locomotoria s intende in anatomia la più piccola parte di apparato locomotore in grado di fornire un movimento: é formata quindi da un'articolazione, le due ossa che la formano ed un muscolo con i relativi tendini e ligamenti. | |
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| Da: la favola della buonanotte | 24/10/2011 20:47:37 |
| La pulce e il professore Fiaba di Hans Christian Andersen C'era un aeronauta a cui andò male: il pallone si ruppe, e l'uomo saltò giù ma finì a pezzi. Il suo figliolo era riuscito a gettarsi giù due minuti prima con il paracadute, e questa era stata la sua fortuna. Non subì danni e se ne andò in giro; sarebbe stato un esperto aeronauta, ma non aveva pallone e neppure i mezzi per procurarsene uno. Doveva comunque vivere, così imparò l'arte dei giochi di prestigio, e a parlare con lo stomaco, vale a dire a essere ventriloquo. Era giovane e era bello, e quando gli crebbe la barba e ebbe bei vestiti, venne scambiato per un giovane conte. Le signore lo trovavano gradevole, e una signorina rimase così affascinata dalla sua bellezza e dalla sua abilità di prestigiatore che lo seguì per città e paesi stranieri; lui si faceva chiamare professore, non poteva certo essere nulla di meno. 11 suo pensiero fìsso era di ottenere una mongolfiera e alzarsi nell'aria con la sua mogliettina, ma ancora non ne avevano i mezzi. «Verranno!» diceva lui. «Speriamo!» rispondeva la moglie. «Siamo giovani, io ora sono professore. Anche le briciole sono pane.» La moglie lo aiutava fedelmente, si metteva alla porta e vendeva i biglietti per la rappresentazione, e questo d'inverno era un divertimento un po' freddo! Lo aiutava anche in un numero. Lui la metteva in un cassetto del tavolo, un grande cassetto; lei si infilava proprio sul fondo così da non essere più visibile. Ma una sera, quando lui aprì il cassetto, lei se n'era andata veramente, non era né nella parte davanti né in quella dietro, non c'era in tutta la casa, non la si vedeva né la si sentiva. Questo fu il suo gioco di prestigio. Non ritornò mai più, si era stancata; poi anche lui si stancò, perse il buonumore, non potè più far ridere né fare i giochi, così la gente non andò più a vederlo; il guadagno diminuì e i vestiti si rovinarono, alla fine possedeva soltanto una grande pulce, che aveva ereditato dalla moglie, e per questo le voleva molto bene. Allora l'ammaestrò le insegnò i giochi di prestigio, le insegnò a presentare le armi e a sparare con un cannone, naturalmente piccolissimo. Era molto orgoglioso della pulce, e lo era anche di se stesso; la pulce aveva imparato qualcosa e aveva sangue umano e era stata nelle città più grandi; era stata vista da principi e principesse e aveva ottenuto la loro più alta considerazione. Venne scritto anche nei giornali e sui manifesti. La pulce sapeva di essere una celebrità, e di poter mantenere il professore, anzi un'intera famiglia. Era orgogliosa e molto famosa, eppure lei e il professore viaggiavano in quarta classe; tanto arrivavano con la stessa velocità della prima. C'era tra loro una tacita promessa di non dividersi mai, di non sposarsi mai. La pulce rimase nubile e il professore rimase solo. Così erano pari. «Dove si ha maggior successo» diceva il professore «non bisogna tornare una seconda volta!» Lui era un conoscitore di uomini, e anche questa è un'arte. Alla fine avevano viaggiato in tutti i paesi, fuorché in quello dei selvaggi; così vollero andare anche lì. È vero che là divoravano i cristiani, e il professore lo sapeva; ma lui non era un vero cristiano e la pulce non era un vero uomo; così pensarono che potevano provare a viaggiare fin là e guadagnare parecchio. Viaggiarono con una nave a vapore e una nave a vela; la pulce fece i suoi giochi di prestigio così non dovettero pagare il viaggio, poi giunsero nel paese dei selvaggi. Lì governava una piccola principessa; aveva solo otto anni ma governava lei; aveva preso il potere al padre e alla madre perché aveva una volontà molto forte e era anche estremamente graziosa e maleducata. Subito, quando la pulce presentò le armi e sparò col cannone, lei ne fu così attratta che disse: «O quella o nessuno!». Provò un amore selvaggio, anche se selvaggia lo era già da prima. «Cara figliola» le disse suo padre «dovremmo prima farla diventare uomo!» «Lasciami fare, vecchio!» disse lei, e non era certo educato da parte della principessa parlare così a suo padre, ma lei era selvaggia. Si mise la pulce sulla mano. «Ora tu sei un uomo e governerai insieme a me; ma devi fare quello che voglio io, altrimenti ucciderò te e mangerò il professore.» Il professore ricevette una grande sala in cui abitare. Le pareti erano fatte di canne da zucchero, che lui poteva leccare; ma non era molto goloso. Gli diedero un'amaca in cui dormire e gli sembrava di essere in una mongolfiera, come aveva sempre desiderato: era il suo pensiero fìsso. La pulce rimase presso la principessa, appoggiata alla sua manina o sul suo collo delicato. Poi la principessa si strappò un capello, con cui il professore dovette legare la pulce a una gamba, e lei se l'appese al grande orecchino di corallo che portava. Fu proprio un periodo bellissimo per la principessa, e anche per la pulce. Ma il professore non era molto soddisfatto, era un viaggiatore, gli piaceva girare da una città all'altra, leggere nei giornali della sua pazienza e intelligenza nell'insegnare a una pulce tutti i movimenti umani. Per tutto il giorno se ne stava nell'amaca, oziava e mangiava: fresche uova di uccello, occhi di elefante e cosce di giraffa arrosto; i cannibali infatti non vivono solo di carne umana, questa è un piatto speciale. «Spalle di bambino in salsa piccante» diceva la madre della principessa «è il piatto più delicato!» Il professore si annoiava e voleva andarsene dal paese dei selvaggi, ma voleva avere con sé la pulce, che era la sua meraviglia e la sua fonte di guadagno. Come poteva fare per prenderla e portarla con sé? Non era semplice. Si sforzò a lungo di pensare e alla fine disse: «Ho trovato!». «Padre della principessa, concedimi di fare qualcosa! Vorrei insegnare agli abitanti di questo paese a sapersi presentare bene: quello che nei più grandi paesi del mondo si chiama educazione.» «E che cosa insegnerai a me?» chiese il padre della principessa. «La mia grande arte» disse il professore. «Sparare con un cannone che fa tremare tutta la terra e fa cadere tutti gli uccelli dal cielo già arrostiti! È straordinario!» «Porta il cannone!» disse il padre della principessa. Ma in tutto il paese non c'era nessun cannone, eccetto quello della pulce, che però era troppo piccolo. «Ne costruirò uno più grande!» lo rassicurò il professore. «Portami soltanto l'occorrente. Devo avere seta molto sottile, ago e filo, corde e funi e gocce per lo stomaco per gli aerostati: quelli si gonfiano, diventano leggeri e si sollevano e mettono il fuoco nella pancia del cannone.» Tutto quello che aveva richiesto gli fu dato. L'intero paese si radunò per vedere quel grande pallone. Il professore non li aveva chiamati finché il pallone non era stato pronto per essere gonfiato e per alzarsi. La pulce stava nella mano della principessa e osservava. Il pallone venne gonfiato tanto che stava per scoppiare, e venne trattenuto a mala pena, tanto era selvaggio. «Bisogna sollevarlo affinché si raffreddi» disse il professore entrando nel cesto appeso sotto il pallone. «Da solo non riesco a governarlo, ho bisogno di un compagno esperto, che mi aiuti. Qui non c'è nessun altro che la pulce.» «Gliela concedo a malincuore!» disse la principessa, ma porse la pulce al professore che se la mise sulla mano. «Sciogliete le corde e le funi!» gridò lui. «Ora il pallone parte!» Loro credettero che lui avesse detto: "Il cannone"! Così il pallone andò sempre più in alto, verso le nuvole, lontano dal paese dei selvaggi. La principessina, suo padre, sua madre, tutta la popolazione rimasero a aspettare, e aspettano ancora. Se non lo credi, prova a andare nel paese dei selvaggi: ogni bambino parlerà della pulce e del professore; credono che torneranno di nuovo una volta che il cannone sarà raffreddato. Ma quelli non torneranno più, sono tornati da noi, qui nella loro patria, viaggiano in ferrovia, questa volta in prima classe, non in quarta, e guadagnano bene con quel grande pallone; nessuno chiede loro come si sono procurati il pallone o da dove lo hanno avuto, e sono persone molto stimate e onorate, la pulce e il professore. FINE | |
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| Da: ......x..... | 24/10/2011 22:55:48 |
| Basta con questi pomeriggio liberi, andiamoci a parlare che vogliamo il lunedì mattina. Che ci fa la maggior parte di noi con un mercoledì libero?.... Io un bel niente, vorrei stare più tempo in casa che ho anche diversi problemi... Notte | |
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| Da: corsista | 25/10/2011 07:55:19 |
| concordo! almeno un paio di lunedì mattina al mese.... | |
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| Da: 1° guerra d''indipendenza | 25/10/2011 14:33:50 |
| La prima guerra di indipendenza italiana è un episodio del Risorgimento, l'unico caratterizzato da spontanea partecipazione popolare, in cui varie città (come Milano, Venezia, Genova) e regioni (come la Sicilia e la Toscana) si ribellarono e si dettero governi propri e una guerra fu condotta dagli stati italiani (ma soprattutto dal Piemonte, interessato a espandersi in Lombardia e Veneto) contro l'Austria. Viene detta 'prima' perché nella storiografia ufficiale e scolastica viene inserita in una serie di conflitti che videro come comun denominatore la partecipazione del Regno di Sardegna (che in seguito diventerà il Regno d'Italia) sempre opposto all'Impero austriaco e che si sarebbe risolta con la Prima guerra mondiale e la fine dell'Austria-Ungheria. Dal punto di vista strettamente militare viene divisa in tre fasi: due campagne militari (una prima da 23 marzo al 9 agosto 1848 e una seconda dal 20 al 24 marzo 1849), separate da un periodo di tregua durato alcuni mesi. Volendo la guerra può esser divisa anche in due parti: una prima fase in cui la guerra è condotta da Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno delle Due Sicilie e Stato della Chiesa, seguida da una seconda fase (iniziata nell'Aprile del 1848) in cui ufficialmente gli alleati del Regno di Sardegna (pur mantenendo le loro truppe) lasciano la coalizione. Indice 1 Prima campagna militare 1.1 Le vittorie degli italiani 1.2 Uscita dal conflitto dell'esercito pontificio e dell'esercito borbonico 1.3 La guerra dei volontari 1.4 La controffensiva dell'Austria 1.5 La ritirata da Verona a Milano 1.6 L'armistizio 1.7 Provvisorietà della tregua 2 Seconda campagna militare 2.1 Le rivoluzioni democratiche a Roma e Firenze 2.2 La ripresa della guerra regia 2.3 La nuove invasioni straniere 2.4 L'assedio e la resa di Ancona 2.5 L'assedio e la resa di Roma 2.6 L'assedio e la resa di Venezia 3 Note 4 Voci correlate 5 Altri progetti Prima campagna militare [modifica]Il 1848 registrò una serie di moti di insurrezione che ebbero luogo prima a Palermo, Messina e Catania, contro il potere borbonico, poi a Parigi, Vienna, Budapest, ed infine Venezia e Milano. La popolazione veneziana risultava sempre più insofferente nei confronti del dominio austriaco, così che insorse e liberò due noti patrioti, cioè Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, che si posero a capo dell'insurrezione popolare e proclamarono la repubblica dopo aver costretto gli austriaci ad abbandonare la città. I combattimenti furono particolarmente aspri a Milano, dove il comandante dell'esercito del Lombardo-Veneto, feldmaresciallo Radetzky, si vide costretto ad abbandonare la città dopo cinque giorni di furiosi scontri (Cinque giornate di Milano). Contemporaneamente si ebbero diverse manifestazioni in molte città del Regno e a Como l'intera guarnigione si consegnò agli insorti. Appunto il giorno dopo la conclusione delle cinque giornate di Milano, del 18-22 marzo 1848, il re di Sardegna Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria ed ebbe inizio la prima guerra di indipendenza. Le vittorie degli italiani [modifica] La battaglia di Pastrengo, di Vincenzo GiacomelliIl 23 marzo 1848 i primi contingenti dell'esercito sardo-piemontese varcarono il Ticino, seguiti dal grosso dell'esercito il 26. Si trattava di cinque divisioni che, al passaggio del Ticino, ricevettero una nuova bandiera: il tricolore. Con lentezza, Carlo Alberto mosse all'inseguimento del feldmaresciallo Radetzky e, avanzando lungo la direttrice Pavia-Lodi-Crema-Brescia, lo raggiunse al di là del fiume Mincio, sotto le fortezze del quadrilatero. In questa fase del conflitto parteciparono al conflitto, inviando delle truppe, il papa Pio IX, il granduca Leopoldo II di Toscana e il re di Napoli: ai circa 30.000 soldati piemontesi se ne aggiunsero altri 30.000 dal resto del paese: 7.000 pontifici, 7.000 toscani e 16.000 napoletani. Il 30 aprile avvenne la carica dello Squadrone dei Reali Carabinieri di scorta al re Carlo Alberto che aprì la strada alla battaglia di Pastrengo, l'episodio non fu decisivo ai fini bellici ma diede morale ai Piemontesi e ai patrioti di tutta Italia. Questa storica carica dei Carabinieri a cavallo, e poi la battaglia di Santa Lucia, sotto le mura di Verona, il 6 maggio, ispirarono un eccessivo ottimismo alle forze anti-austriache. Carlo Alberto in osservazione. Litografia di Stanislao Grimaldi del PoggettoL'esercito sabaudo, infatti, non seppe sfruttare il successo ottenuto dando agio agli Austriaci di riorganizzarsi e passare all'offensiva attaccando da Mantova nel punto momentaneamente più debole dello schieramento italiano, quello in mano alle truppe toscano-napoletane, costituite in gran parte da volontari universitari posizionati su un terreno difficile da difendere. Investiti in pieno dall'attacco di un esercito di militari di professione, il 28 i toscano-napoletani resistettero nella Battaglia di Curtatone e Montanara per diverse ore, permettendo ai piemontesi di riorganizzarsi su posizioni più sicure. Il 30 maggio l'esercito sabaudo infine respinse la controffensiva austriaca nella battaglia di Goito e lo stesso giorno si arrese la fortezza austriaca di Peschiera. Quel giorno Carlo Alberto venne acclamato dalle sue truppe "Re d'Italia". Uscita dal conflitto dell'esercito pontificio e dell'esercito borbonico [modifica]Nel frattempo, Pio IX aveva pronunciato la famosa allocuzione Non semel al concistoro del 29 aprile, in cui si sconfessava l'azione del suo esercito, inizialmente penetrato in Veneto, su Padova e Vicenza, a copertura della città-fortezza di Venezia in rivolta. Il cambio di posizione fu causato dall'impossibilita' politica di combattere una grande potenza cattolica quale era l'Austria col rischio di un possibile scisma dei cattolici austriaci.[1] Il discorso papale del 29 aprile 1848 mise in risalto le contraddizioni del pensiero neoguelfo causa l'evidente incompatibilità della posizione del Papa come capo della Chiesa Universale ed allo stesso tempo Capo di uno Stato italiano, cioè tra il potere spirituale e quello temporale. Il ritiro dell'appoggio alla guerra contro l'Austria innescherà una crisi politica romana che porterà' il 24 novembre alla fuga del Papa a Gaeta e conseguentemente alla proclamazione della Repubblica Romana. Le truppe pontificie ed il loro comandante Giovanni Durando non gli ubbidirono, ma l'allocuzione diede l'occasione a Ferdinando II di Borbone per predisporre la sua ritirata dal conflitto, proprio quando le sue truppe avevano ormai raggiunto il Po ed erano in procinto di entrare in Veneto, a sostegno dell'esercito romano inviato da Pio IX. Tuttavia numerosi appartenenti all'artiglieria e al genio dell'esercito Borbonico, fra cui lo stesso comandante Guglielmo Pepe, proseguirono la guerra come volontari. Certamente, l'azione di Ferdinando II fu determinata dalle ambiguità di Carlo Alberto riguardo al Ducato di Parma (retto da una dinastia borbonica ma che la popolazione voleva annettere al Regno di Sardegna) e dalla situazione in Sicilia (sconvolta, sin da gennaio, da una rivoluzione che aveva relegato il "Real Esercito" nella sola piazzaforte di Messina, aveva resuscitato l'antico Regno di Sicilia ed inviato una delegazione a Torino per offrire la Corona a un Principe sabaudo, pur senza incontrare alcun incoraggiamento da parte di Carlo Alberto). Tuttavia, è certo che egli non avrebbe potuto permettersi tanto, in assenza del cambio di campo papale. La guerra dei volontari [modifica]Del corpo di spedizione napoletano rifiutarono l'ordine l'artiglieria e il genio (le «armi dotte»); pertanto sotto la guida del generale Guglielmo Pepe, un vecchio patriota, e la partecipazione di giovani quali i fratelli Luigi e Carlo Mezzacapo, Enrico Cosenz, Cesare Rosaroll, Alessandro Poerio, Girolamo Calà Ulloa e numerosi altri, parte del corpo di spedizione napoletano raggiunse Venezia dove diede un meraviglioso contributo lungo l'intero corso dell'assedio. Simbolo (federalista) usato dai volontari italiani intervenuti nella prima guerra d'indipendenza e presenti alla Battaglia di Curtatone e MontanaraMolti altri volontari parteciparono al conflitto. Si possono ricordare gli studenti delle Università di Pisa e Siena ed i moltissimi volontari inquadrati dal governo provvisorio della Lombardia nei Corpi Volontari Lombardi, i volontari romani comandati dal generale Andrea Ferrari, ma anche moltissimi cittadini, più o meno noti, come i pittori Silvestro Lega e Pompeo Randi. Garibaldi e Mazzini rientrarono in Italia per partecipare alla guerra, ma la loro accoglienza da parte dei Savoia fu tiepida. Tanto che Garibaldi poté partecipare solo alle ultime fasi, conducendo una piccola guerriglia in provincia di Como, al confine con il Canton Ticino, cui prese parte anche il volontario Natale Agostino Giuseppe Imperatori di Lugano. La controffensiva dell'Austria [modifica]Nel frattempo la linea del fronte restava fra il Mincio e Verona. Nessuno dei successi ottenuti da Carlo Alberto era stato decisivo e, sfruttando i timori del Re e del generale Eusebio Bava (e non assecondando l'opinione del gen. Ettore De Sonnaz, la cui condotta successiva durante la guerra fu comunque molto controversa), l'esercito piemontese si limitò a tallonare da presso quello austriaco in piena ritirata dopo le Cinque giornate di Milano, con Radetzky che non faceva mistero di considerare perso il Lombardo-Veneto. L'incapacità di assumere l'iniziativa da parte piemontese dette invece modo agli austro-ungarici di ritirarsi senza perdite nel Quadrilatero, potentemente difeso. La posizione strategica di Radetzky a questo punto si era notevolmente rinforzata, anche grazie all'arrivo di un corpo d'armata formato dal conte Nugent sull'Isonzo e di altri rinforzi dal Tirolo. Riconquistata Vicenza, il 10 giugno, gli imperiali ripresero l'offensiva contro l'esercito sardo-piemontese, battuto tra il 23 e il 25 luglio in una serie di scontri passati alla storia come prima battaglia di Custoza, dove proprio il De Sonnaz diede prova di inazione. Lo stesso giorno Carlo Alberto ricevette una delegazione guidata dal podestà di Milano Casati, che recava l'esito trionfale del Plebiscito che sanciva l'unione della Lombardia al Regno di Sardegna. La ritirata da Verona a Milano [modifica]Di lì cominciò una veloce, ma ordinata, ritirata verso l'Adda e Milano, dove si svolse, il 4 agosto la battaglia di Milano, al termine della quale Carlo Alberto si risolse a chiedere un armistizio. L'armistizio [modifica]Il 5 agosto venne firmata la capitolazione. Il 6 agosto gli Austriaci rientrarono a Milano da Porta Romana. Il 9 agosto la tregua venne ratificata con la firma, a Vigevano, dell'armistizio di Salasco (dal nome del generale Carlo Canera di Salasco). L'Impero Austriaco rientrava nei suoi antichi confini, stabiliti nel 1815 dal congresso di Vienna. Tutte le città liberate tornavano nelle mani degli austriaci, con l'eccezione di Venezia, che si preparava a subire un lungo assedio. Provvisorietà della tregua [modifica]Aveva così fine la prima fase moderata del '48 italiano. L'articolo 6 dell'armistizio prevedeva una durata minima di sei settimane: entrambi i contendenti principali (Carlo Alberto e Radetzky) sapevano che la tregua era temporanea, in quanto, essendo mancata una decisiva sconfitta sarda si sarebbe giunti, presto o tardi, alla ripresa delle ostilità. Il prestigio militare di Carlo Alberto era tuttavia fortemente indebolito. Al Parlamento Subalpino avevano ripreso vigore le tendenze radicali e, l'anno successivo, si sarebbe assistito alla iniziativa «democratica». Seconda campagna militare [modifica] Le rivoluzioni democratiche a Roma e Firenze [modifica] Per approfondire, vedi la voce Storia della Repubblica Romana. Si aprì, quindi, un complesso periodo in cui l'intera politica italiana venne dominata alla prossima ripresa delle ostilità con l'Impero Austriaco: il governo sardo e i patrioti democratici cercavano di profittare della tregua per allineare quante più forze possibili. Persa ogni illusione rispetto a Ferdinando II delle Due Sicilie, la questione fondamentale riguardava l'atteggiamento di Firenze e Roma. Si aprì, quindi, un complesso periodo in cui l'intera politica italiana venne dominata dalla potenze straniere.[senza fonte] Nel Granducato le cose si erano chiarite a favore della causa nazionale quando Leopoldo II aveva, il 27 ottobre, conferito l'incarico al democratico Montanelli, che inaugurò una politica ultrademocratica, ovvero, nella terminologia politica dell'epoca, volta alla unione con gli altri stati italiani ed alla ripresa congiunta della guerra all'Austria. Nello Stato della Chiesa, il partito democratico trionfò solo con l'assassinio di Pellegrino Rossi, il 15 novembre e la successiva fuga di Pio IX nella fortezza napoletana di Gaeta, il 24 novembre. Di lì a poco lo raggiunse Leopoldo II di Toscana, fuggito da Firenze il 30 gennaio per Gaeta, verso cui salpò anch'egli il 21 febbraio. A Roma venne costituito un governo provvisorio, che convocò nuove elezioni per il 21-22 gennaio 1849: la nuova assemblea venne inaugurata il 5 febbraio e, il 9 febbraio votò il decreto fondamentale di proclamazione della Repubblica Romana. In questo clima, il 12 dicembre entrava in Roma Garibaldi, con una legione di volontari. Giunti a Gaeta, Pio IX e Leopoldo II accettarono le offerte di protezione di Ferdinando II e della Francia. La ripresa della guerra regia [modifica] Per approfondire, vedi la voce Armistizio di Vignale. Carlo Alberto ruppe la tregua con l'Austria il 20 marzo, solo per venire pesantemente sconfitto a Novara, il 22-23 marzo, ed abdicò in favore di Vittorio Emanuele II. La fine della guerra fu segnata dall'armistizio di Vignale, concordato il 24 marzo, firmato il 26 e seguito dalla pace di Milano del 6 agosto 1849. Nelle giornate successive Radetzky chiuse anche la partita con i patrioti lombardi, soffocando sul nascere alcuni tentativi di ribellione (Como) e soffocandone nel sangue altri (Brescia). Mentre continuava unicamente l'assedio di Venezia. La nuove invasioni straniere [modifica] Per approfondire, vedi la voce Invasione austriaca della Toscana (1849). La strada era, quindi, libera per le nuove invasioni straniere. Il primo a muovere fu Luigi Napoleone, che il 24 aprile fece sbarcare a Civitavecchia un corpo di spedizione francese, guidato dal generale Oudinot. Questi tentò l'assalto a Roma il 30 aprile, ma venne malamente sconfitto. Ripiegò a Civitavecchia e chiese rinforzi. La strada era, quindi, libera per le nuove invasioni di Radetzky in Toscana, Emilia, Marche. Tutto ciò indusse Luigi Buonaparte, non ancora Imperatore, ad inviare contro Roma complessivamente oltre 30.000 soldati ed un possente parco d'assedio. Il 1º giugno il generale francese Oudinot, piegò dopo una lunghissima resistenza la Repubblica Romana. Stremata dall'assedio austriaco, dalla fame e da un'epidemia di colera, anche Venezia dovette alla fine arrendersi, sottoscrivendo la resa il 23 agosto 1849. Seguì un corpo di spedizione napoletano, fermato da Garibaldi a Palestrina, il 9 maggio. Poi una prima armata austriaca, guidata dal d'Aspre, che assalì e saccheggiò Livorno l'11 maggio ed occupò Firenze il 25 maggio, seguita da una seconda, che assediò e prese Bologna il 15 maggio. Verso la fine di maggio arrivò a Gaeta un corpo di spedizione spagnolo, che giunse solo, e era stato inviato ad occupare l'Umbria, cosa che avvenne senza scontri memorabili. L'assedio e la resa di Ancona [modifica]Gli Austriaci si diressero allora verso Ancona per occupare anche questa città che aveva aderito alla Repubblica Romana ed aveva promesso a Garibaldi concreto aiuto nel difenderla. Gli Austriaci incontrarono però un'eroica ed imprevista resistenza (premiata nel 1899 con medaglia d'oro al valor militare). L'assedio vide impegnati nella difesa di Ancona italiani provenienti da tutte le Marche e dalla Lombardia, in totale circa cinquemila uomini contro più di cinquantamila austriaci. Era chiaro che in gioco non era né la sorte di una città, ormai quasi segnata a causa della sproporzione di forze, né solo quella della Repubblica Romana; fu invece una prova di forza che gli Italiani affrontarono senza reali speranze di ottenere la vittoria, allo scopo di impedire agli Austriaci di recarsi a Roma e di dimostrare l'attaccamento ai propri ideali di libertà ed indipendenza. L'assedio fu navale e terrestre contemporaneamente, e si segnalarono Antonio ed Augusto Elia, padre e figlio, molto legati a Garibaldi. Ora, a resistere agli Austriaci, in Italia erano rimaste solo Roma, Venezia ed Ancona. Dopo 26 giorni di aspri combattimenti (cadde il capitano cremasco Giovanni Gervasoni) il 21 giugno il capoluogo marchigiano deve cedere, e gli Austriaci concessero l'onore delle armi ai difensori. La brutale fucilazione di Antonio Elia mostrò che oramai Ancona aveva fatto il possibile; ora il vessillo della libertà doveva essere difeso a Roma e a Venezia L'assedio e la resa di Roma [modifica] Per approfondire, vedi la voce Assedio di Roma (1849). Garibaldi, Aguyar (a cavallo) e Nino Bixio durante l'assedio di Roma. Disegno del 1854 di William Luson Thomas basato sullo schizzo di George Housman Thomas realizzato nel 1849La necessità di riscattare la sconfitta del 30 aprile, e il desiderio di compensare i successi del Radetzky in Toscana, Emilia, Marche, indussero Luigi Buonaparte, non ancora Imperatore, ad inviare contro Roma complessivamente oltre 30.000 soldati ed un possente parco d'assedio. Il 1º giugno il generale francese Oudinot rinnegò un trattato di alleanza negoziato dal Lesseps ed annunciò la ripresa delle ostilità: Roma venne assaltata all'alba del 3 giugno. La resistenza fu assai più ostica del previsto e la città fu oggetto di pesanti bombardamenti. L'ultima battaglia la si combatté il 30 giugno con enormi perdite da entrambe le parti, dopo un giorno di tregua per raccogliere morti e feriti fu stipulata, il 2 luglio 1849 la resa della Repubblica Romana. Lo stesso giorno Garibaldi radunò in piazza San Pietro 4.700 volontari ed uscì verso est con il vago intento di sollevare le province per poi raggiungere Venezia assediata; venne inseguito dal d'Aspre sino a Comacchio, perse la moglie, fuggì miracolosamente sino in Liguria e, di lì, nel 1850 passò a New York presso Antonio Meucci. Il 12 aprile Pio IX fece ritorno a Roma ed abrogò la Costituzione concessa nel marzo di due anni prima. L'assedio e la resa di Venezia [modifica] Per approfondire, vedi la voce Assedio di Venezia (1849). Dopo la resa di Ancona e di Roma, la città di Venezia rimase l'ultima a non aver ancora ceduto ai nemici dell'indipendenza italiana. Gli Austriaci avevano tentato di avvicinarsi alla città lagunare lungo il ponte della ferrovia, ma, a causa della forte resistenza, furono costretti a retrocedere. Iniziarono allora un pesante bombardamento contro la città stessa. Una prima richiesta di resa da parte del comandante in capo delle forze austriache, feldmaresciallo Radetzky, fu sdegnosamente respinta. Dopo lunghissima resistenza, ultima tra tutte le città italiane, stremata anche dalla fame e da un'epidemia di colera, dovette infine arrendersi, sottoscrivendo la resa il 23 agosto 1849. Note [modifica]^ Come scrive lo stesso Pontefice nella allocuzione: Sapemmo altresì che alcuni nemici della religione cattolica ne presero occasione ad infiammare gli animi dei Germani nel fervore della vendetta dall'unità di questa Santa Sede, cit. in Lucio Villari, Il Risorgimento, vol. 4, Bari, 2007. | |
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| Da: 2° guerra dindipendenza | 25/10/2011 14:34:42 |
| Seconda guerra di indipendenza italianaDa Wikipedia, l'enciclopedia libera. Vai a: navigazione, cerca La guerra franco-piemontese contro l'impero austriaco del 1859 Parte Risorgimento Battaglia di Varese -------------------------------------------------------------------------------- Data 26 aprile 1859 - 12 luglio 1859 Luogo Lombardo-Veneto Esito Vittoria franco-piemontese. Casus belli Accordi di Plombières. Invasione austriaca del Piemonte. Modifiche territoriali armistizio di Villafranca. Annessione della Lombardia al Regno di Sardegna. Annessione di Savoia e Nizza alla Francia. Schieramenti Regno di Sardegna Francia Austria Comandanti Napoleone III Vittorio Emanuele II Francesco Giuseppe I Ferencz Gyulai La guerra franco-piemontese contro l'impero austriaco del 1859 (26 aprile 1859 - 12 luglio 1859) vide confrontarsi l'esercito franco-piemontese e quello dell'Impero austriaco. La sua conclusione permise il ricongiungimento della Lombardia al Regno di Sardegna e pose le basi per la costituzione del Regno d'Italia. Indice 1 Antefatti 2 L'invasione austriaca del Piemonte 3 La liberazione della Lombardia 4 Garibaldi ed i cacciatori delle Alpi 5 Occupazione delle isole di Lussino e di Cherso 6 L'avanzata verso le fortezze del Quadrilatero 7 Solferino e San Martino 8 La pace di Zurigo 9 Conseguenze: l'annessione dei ducati 10 Il seguito: la spedizione dei Mille 11 Conseguenze: la proclamazione del regno d'Italia 12 Note 13 Voci correlate 14 Altri progetti Antefatti [modifica]Camillo Benso conte di Cavour, presidente del Consiglio del Regno di Sardegna dal 1852 avviò una serie di riforme e assecondò la politica estera della Francia e dell'Inghilterra, al fine di guadagnarsi l'appoggio delle potenze d'Europa più progressiste. In questa prospettiva nel 1855 inviò un corpo di Bersaglieri e Carabinieri nella Guerra di Crimea al fianco di Francia, Gran Bretagna e Turchia. Ciò gli consentì di sedersi al tavolo delle trattative del Congresso di Parigi nel 1856 e di allacciare i primi contatti con Napoleone III. Le successive azioni diplomatiche di Cavour portarono, nel luglio del 1858, agli Accordi di Plombières, un'intesa segreta (ratificata dall'alleanza sardo-francese del gennaio 1859) con la quale l'Impero di Francia si impegnava ad intervenire a fianco del Regno di Sardegna nell'eventualità di attacco austriaco. Contropartita per questo aiuto, in caso di annessione al Piemonte di Milano, Venezia e Bologna, sarebbe stata la cessione della Savoia e di Nizza alla Francia. Dall'inizio del 1859 il governo piemontese adottò un comportamento smaccatamente provocatorio nei confronti dell'Impero Austriaco, operando una politica di forte riarmo e, quindi, contravvenendo agli impegni assunti con il trattato di pace del 6 agosto 1849. Condizione necessaria dell'accordo franco-sardo, infatti, era che fosse l'Austria a dichiarare guerra. In previsione degli eventi, erano tornati in Italia Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi: a quest'ultimo fu affidato il compito di organizzare un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, consentendo l'arruolamento di fuoriusciti dal Lombardo-Veneto, posto sotto il dominio dell'Impero Austriaco. Quest'ultimo, non informato degli accordi di Plombières[senza fonte], decise di fare la prima mossa, con l'intento di replicare l'operazione così ben riuscita al maresciallo Josef Radetzky contro Carlo Alberto, a Novara nel 1849. Il 30 aprile l'Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna: la Francia era impegnata in un'alleanza difensiva che Napoleone III, non senza resistenze interne, decise di onorare. Gli Stati italiani alla vigilia del Risorgimento L'invasione austriaca del Piemonte [modifica]Già il 29 aprile l'esercito austriaco di Gyulai attraversò il Ticino nei pressi di Pavia ed invase il territorio piemontese, il 30 occupò Novara, Mortara e, più a nord, Gozzano, il 2 maggio Vercelli, il 7 Biella. L'azione non veniva ostacolata dall'esercito piemontese, accampato a sud fra Alessandria, Valenza e Casale. Gli austriaci arrivarono sino a 50 km da Torino. A questo punto, tuttavia, Gyulai invertì ordine di marcia e si ritirò oltre il Sesia e poi verso la Lombardia: un ordine espresso da Vienna, infatti, gli aveva suggerito che "il miglior teatro di operazioni è il Mincio", lì dove gli Austriaci avevano, appena 11 anni prima, domato l'avanzata piemontese e salvato i propri domini in Italia. Così facendo, tuttavia, gli austriaci rinunciavano a battere separatamente piemontesi e francesi, e consentivano il ricongiungimento dei due eserciti. Il comando austriaco, inoltre, operava una totale inversione strategica, che difficilmente può essere spiegata senza ipotizzare una certa confusione. Certamente non ne fu responsabile Gyulai, al quale, semmai, può essere rimproverata una certa debolezza nell'azione. La liberazione della Lombardia [modifica] La 2ª divisione del generale Joseph Vinoy, appartenente al IV Corpo dell'armata francese, raggiunge il Piemonte attraverso il valico del Moncenisio, il 5 maggio 1859Il 14 maggio 1859 Napoleone III, partito il 10 maggio da Parigi e sbarcato il 12 a Genova, raggiunse il campo di Alessandria per assumere il comando dell'esercito franco-piemontese. Con il grosso dell'esercito rientrato al di qua del Ticino e del Po, il 20 maggio 1859 Gyulai comandò una grande ricognizione a sud di Pavia. Essa venne fermata a Montebello (20-21 maggio) dai francesi del generale Forey, futuro maresciallo di Francia, con l'intervento determinante della cavalleria sarda del colonnello Morelli di Popolo. Il 30 ed il 31 maggio i piemontesi di Enrico Cialdini e di Giacomo Durando riportarono una brillante vittoria alla Battaglia di Palestro. Un contrattacco fu affidato al terzo reggimento degli zuavi del colonnello de Chabron, al quale prese parte lo stesso re Vittorio Emanuele II di Savoia, che fu gratificato del titolo di caporale degli zuavi. Parallelamente avanzavano anche i francesi, che il 2 giugno varcarono il Ticino: essi assicurarono il passaggio battendo gli Austriaci alla battaglia di Turbigo. Gyulai aveva concentrato le proprie forze nei pressi della cittadina di Magenta dove venne assalito il 4 giugno dai francesi i quali riportarono una brillante vittoria. La vittoria è principalmente da attribuire a Patrice de Mac-Mahon e al d'Angely, che in tal modo si guadagnarono sul campo la promozione a maresciallo di Francia, ma vi ebbero un ruolo primario anche il de Wimpffen e il generale Fanti, a capo dell'unico reparto sardo impegnato. Il 5 giugno l'esercito sconfitto sgombrava Milano, dove entrava il 7 giugno Mac-Mahon (preceduto dalle truppe algerine dei Turcos), per preparare l'8 giugno l'ingresso trionfale di Napoleone III e di Vittorio Emanuele attraverso l'arco della Pace e la piazza d'armi (oggi Parco Sempione), dove era schierata la Guardia imperiale, fra le acclamazioni della popolazione. Il 9 giugno il consiglio comunale di Milano votò per acclamazione un indirizzo che, ribadendo la validità del plebiscito del 1848, sanciva l'annessione della Lombardia al Regno di Vittorio Emanuele II. Garibaldi ed i cacciatori delle Alpi [modifica] Per approfondire, vedi la voce Cacciatori delle Alpi. Il 22 maggio i Cacciatori delle Alpi, passarono in Lombardia dal Lago Maggiore a Sesto Calende, con l'obiettivo di operare nella fascia prealpina in appoggio alla offensiva principale. Il 26 difesero Varese da un attacco di superiori forze austriache guidate dal generale Urban. Il 27 maggio batterono il nemico alla battaglia di San Fermo ed occuparono Como, la città maggiore dell'area. Dopo Magenta da lì seguì la ritirata austriaca: l'8 giugno Garibaldi era a Bergamo, il 13 a Brescia, entrambe già evacuate dagli Austriaci. Occupazione delle isole di Lussino e di Cherso [modifica]La flotta franco-sarda prese possesso dell'Isola di Lussino nel golfo del Quarnaro e scesero a terra 3.000 uomini accolti festosamente dalla popolazione che sventolava il tricolore. A loro volta le autorità locali, convinte che ormai il passaggio di sovranità fosse imminente, ricevettero con tutti gli onori i comandanti della flotta. Successivamente i franco-sardi si insediarono anche nell'isola di Cherso [1] L'avanzata verso le fortezze del Quadrilatero [modifica]Nel frattempo gli Austriaci si raccolsero oltre l'Adda, tappa per le fortezze del Quadrilatero. Gyulai, infatti, aveva intenzione di portare le due armate austriache entro i confini del "quadrilatero", ricalcando la vittoriosa strategia di Radetzky durante la prima guerra di indipendenza. La sera del 6 giugno, una brigata di retroguardia forte di circa 8.000 uomini, oltre a due squadroni di dragoni ed ussari si insediò nella cittadella fortificata di Melegnano che ospitava un ponte in pietra ad arcata unica sul fiume Lambro, adatto al passaggio di carriaggi e truppe, allo scopo di rallentare l'avanzata dell'esercito franco-sardo. La sera dell'8 giugno la città venne presa dai francesi dopo sanguinosissimi combattimenti che causarono 1.000 caduti fra gli attaccanti e 1.200 tra i difensori. Il grosso dell'esercito austriaco aveva proseguito, indisturbato, la sua marcia ed era stato raggiunto a Verona dall'imperatore Francesco Giuseppe che, indispettito dall'apparente arrendevolezza del Gyulai, aveva deciso di assumere il comando delle operazioni in prima persona. I franco-piemontesi ripresero la marcia il 12 giugno: il 13 passarono l'Adda, il 14 raggiunsero Bergamo e Brescia, il 16 passarono l'Oglio, il 21 erano oltre il Chiese. Essi erano giunti, rapidamente, dove Gyulai li aveva attirati, in quella striscia di Lombardia delimitata ad ovest dal Chiese, ad est dal Mincio e a nord dal lago di Garda. Incalzato dal malcontento della pubblica opinione viennese, derivante dalla lunga serie di sconfitte subite dall'esercito austriaco, l'imperatore decise improvvisamente di mutare la strategia difensiva di Gyulai e di prendere l'iniziativa. Confortato dal parere di uno stato maggiore più portato all'adulazione che all'analisi, Francesco Giuseppe diede ordine alle truppe di ripassare il Mincio, tornando ad occupare le posizioni evacuate pochi giorni prima. Gli austriaci non immaginavano che l'esercito franco-sardo avesse già passato il Chiese ed i francesi non credevano di trovarsi di fronte entrambe le armate austriache, convinti che la battaglia decisiva si sarebbe svolta oltre il Mincio, come appariva logico e tatticamente favorevole agli austriaci. I reciproci avvistamenti avvenuti alle ultime luci del 23 giugno, convinsero i francesi di aver preso contatto con l'attardata retroguardia austriaca e gli austriaci di aver preso contatto con le prime avanguardie francesi in ricognizione. Così non era: i due eserciti si trovavano frontalmente schierati, divisi da pochissimi chilometri ed accomunati dall'essere l'uno dell'altro ignari. Solferino e San Martino [modifica] La sala a Villafranca in cui si incontrarono Napoleone III e Francesco Giuseppe Per approfondire, vedi la voce Battaglia del 24 giugno 1859. Il 24 giugno i franco-piemontesi vinsero una grande battaglia (normalmente divisa in battaglia di Solferino e battaglia di San Martino), iniziata con un massiccio attacco francese (battaglia di Medole). Al termine dello scontro gli Austriaci furono rigettati oltre il Mincio, ma lì ebbero la possibilità di appoggiarsi alle loro grandi fortezze e ricevere rinforzi dalle varie parti del loro vasto impero. Napoleone III decise, quindi, di avviare colloqui di pace e prese contatto con Francesco Giuseppe. Le operazioni militari non vennero sostanzialmente più riprese. L'8 luglio fu sottoscritto un accordo di sospensione delle ostilità. L'11 luglio i due imperatori si incontrarono in località Villafranca di Verona. Lo stesso giorno e il 12 luglio (quando firmò anche Vittorio Emanuele II) fu sottoscritto l'armistizio di Villafranca. La pace di Zurigo [modifica] Per approfondire, vedi la voce Pace di Zurigo. La pace di Zurigo fu negoziata e siglata fra il 10 e l'11 novembre 1859: gli Asburgo cedevano la Lombardia alla Francia, che l'avrebbe assegnata ai Savoia, mentre l'Austria conservava il Veneto, le fortezze di Mantova e Peschiera. I sovrani di Modena, Parma e Toscana (Asburgo-Lorena di Toscana), che nel frattempo erano stati costretti alla fuga da rivolte popolari, rese possibili dalla presenza dell'esercito francese, avrebbero dovuto essere reintegrati nei loro Stati, così come i governanti papalini a Bologna. Tutti gli stati italiani, incluso il Veneto ancora austriaco, avrebbero dovuto unirsi in una confederazione italiana, presieduta dal papa Pio IX. Questo accordo però spaventò molti liberali federalisti come il toscano Bettino Ricasoli, che - seppur riluttante - si decise a porre sempre di più le sorti del suo antico stato nelle mani dei Savoia[2]. Conseguenze: l'annessione dei ducati [modifica] Per approfondire, vedi la voce Esodo nizzardo. Il trattato era tanto lontano dalla realtà politica, da presentare almeno tre vantaggi per il regno sabaudo la confederazione italiana garantiva, di fatto, la continuazione di un ruolo austriaco nella penisola, risultando sgradita anche ai francesi; le popolazioni dell'Emilia e dell'Italia centrale mostrarono insofferenza all'ipotesi di ritorno dei loro governanti e Cavour seppe convincere le cancellerie europee dei rischi di derive repubblicane, dovuti alla cospirazione mazziniana; il vantaggio territoriale era decisamente inferiore a quanto pattuito a Plombières e quindi, il Piemonte non era più tenuto a cedere Nizza e la Savoia. Per contro, Napoleone III necessitava di tali compensazioni territoriali, per giustificare alla propria opinione pubblica l'enorme prezzo in vite umane sostenute dalla Francia. Non mancavano, quindi, i margini di manovra e Cavour seppe metterli a frutto, compiendo quello che è il suo vero capolavoro da ex-primo ministro, fra l'11 luglio 1859 ed il 19 gennaio 1860, e poi ancora al governo dal 20 gennaio. Nei mesi successivi, infatti, il Piemonte annesse, oltre alla Lombardia, anche Parma, Modena, l'Emilia, la Romagna e la Toscana. Mancavano le Marche e l'Umbria, che venivano nel frattempo riprese dai papalini (uno dei più sanguinosi episodi della "riconquista" papale fu il massacro di Perugia del 20 giugno 1859). Solo a seguito di detti avvenimenti il 24 marzo 1860 il Piemonte accettò di firmare il Trattato di Torino, in base al quale venivano cedute la Savoia e Nizza (tranne Tenda, che la Francia poté pretendere solo nel 1947, a seguito del Trattato di Pace che chiuse la seconda guerra mondiale). Il seguito: la spedizione dei Mille [modifica] Per approfondire, vedi la voce Spedizione dei mille. Conseguenze: la proclamazione del regno d'Italia [modifica]Con tali operazioni si compì di fatto la prima fase dell'unità d'Italia; rimanevano ancora separati dal Regno d'Italia Roma e gran parte del Lazio, possesso del Papa, ed il Veneto, in mano agli Austriaci. È interessante notare come Cavour fosse consapevole dei problemi di tipo amministrativo che sarebbero sorti dall'annessione delle nuove province, tanto da far istituire tra il 10 e il 26 maggio 1859 la Commissione Giulini con il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Cavour voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle due regioni, lasciando che in Lombardia continuasse a sussistere una parte delle istituzioni austriache esistenti. Il 18 febbraio 1861, Vittorio Emanuele II riunì a Torino i deputati di tutti gli Stati che riconoscevano la sua autorità, assumendo il 17 marzo il titolo di Re d'Italia per grazia di Dio e volontà della nazione, mantenendo però il numero che gli spettava come re del Regno di Sardegna. L'Italia fu governata sulla base della costituzione liberale adottata nel Regno di Sardegna nel 1848 (Statuto albertino). | |
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| Da: 2° guerra dindipendenza | 25/10/2011 14:35:17 |
| Seconda guerra di indipendenza italianaDa Wikipedia, l'enciclopedia libera. Vai a: navigazione, cerca La guerra franco-piemontese contro l'impero austriaco del 1859 Parte Risorgimento Battaglia di Varese -------------------------------------------------------------------------------- Data 26 aprile 1859 - 12 luglio 1859 Luogo Lombardo-Veneto Esito Vittoria franco-piemontese. Casus belli Accordi di Plombières. Invasione austriaca del Piemonte. Modifiche territoriali armistizio di Villafranca. Annessione della Lombardia al Regno di Sardegna. Annessione di Savoia e Nizza alla Francia. Schieramenti Regno di Sardegna Francia Austria Comandanti Napoleone III Vittorio Emanuele II Francesco Giuseppe I Ferencz Gyulai La guerra franco-piemontese contro l'impero austriaco del 1859 (26 aprile 1859 - 12 luglio 1859) vide confrontarsi l'esercito franco-piemontese e quello dell'Impero austriaco. La sua conclusione permise il ricongiungimento della Lombardia al Regno di Sardegna e pose le basi per la costituzione del Regno d'Italia. Indice 1 Antefatti 2 L'invasione austriaca del Piemonte 3 La liberazione della Lombardia 4 Garibaldi ed i cacciatori delle Alpi 5 Occupazione delle isole di Lussino e di Cherso 6 L'avanzata verso le fortezze del Quadrilatero 7 Solferino e San Martino 8 La pace di Zurigo 9 Conseguenze: l'annessione dei ducati 10 Il seguito: la spedizione dei Mille 11 Conseguenze: la proclamazione del regno d'Italia 12 Note 13 Voci correlate 14 Altri progetti Antefatti [modifica]Camillo Benso conte di Cavour, presidente del Consiglio del Regno di Sardegna dal 1852 avviò una serie di riforme e assecondò la politica estera della Francia e dell'Inghilterra, al fine di guadagnarsi l'appoggio delle potenze d'Europa più progressiste. In questa prospettiva nel 1855 inviò un corpo di Bersaglieri e Carabinieri nella Guerra di Crimea al fianco di Francia, Gran Bretagna e Turchia. Ciò gli consentì di sedersi al tavolo delle trattative del Congresso di Parigi nel 1856 e di allacciare i primi contatti con Napoleone III. Le successive azioni diplomatiche di Cavour portarono, nel luglio del 1858, agli Accordi di Plombières, un'intesa segreta (ratificata dall'alleanza sardo-francese del gennaio 1859) con la quale l'Impero di Francia si impegnava ad intervenire a fianco del Regno di Sardegna nell'eventualità di attacco austriaco. Contropartita per questo aiuto, in caso di annessione al Piemonte di Milano, Venezia e Bologna, sarebbe stata la cessione della Savoia e di Nizza alla Francia. Dall'inizio del 1859 il governo piemontese adottò un comportamento smaccatamente provocatorio nei confronti dell'Impero Austriaco, operando una politica di forte riarmo e, quindi, contravvenendo agli impegni assunti con il trattato di pace del 6 agosto 1849. Condizione necessaria dell'accordo franco-sardo, infatti, era che fosse l'Austria a dichiarare guerra. In previsione degli eventi, erano tornati in Italia Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi: a quest'ultimo fu affidato il compito di organizzare un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, consentendo l'arruolamento di fuoriusciti dal Lombardo-Veneto, posto sotto il dominio dell'Impero Austriaco. Quest'ultimo, non informato degli accordi di Plombières[senza fonte], decise di fare la prima mossa, con l'intento di replicare l'operazione così ben riuscita al maresciallo Josef Radetzky contro Carlo Alberto, a Novara nel 1849. Il 30 aprile l'Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna: la Francia era impegnata in un'alleanza difensiva che Napoleone III, non senza resistenze interne, decise di onorare. Gli Stati italiani alla vigilia del Risorgimento L'invasione austriaca del Piemonte [modifica]Già il 29 aprile l'esercito austriaco di Gyulai attraversò il Ticino nei pressi di Pavia ed invase il territorio piemontese, il 30 occupò Novara, Mortara e, più a nord, Gozzano, il 2 maggio Vercelli, il 7 Biella. L'azione non veniva ostacolata dall'esercito piemontese, accampato a sud fra Alessandria, Valenza e Casale. Gli austriaci arrivarono sino a 50 km da Torino. A questo punto, tuttavia, Gyulai invertì ordine di marcia e si ritirò oltre il Sesia e poi verso la Lombardia: un ordine espresso da Vienna, infatti, gli aveva suggerito che "il miglior teatro di operazioni è il Mincio", lì dove gli Austriaci avevano, appena 11 anni prima, domato l'avanzata piemontese e salvato i propri domini in Italia. Così facendo, tuttavia, gli austriaci rinunciavano a battere separatamente piemontesi e francesi, e consentivano il ricongiungimento dei due eserciti. Il comando austriaco, inoltre, operava una totale inversione strategica, che difficilmente può essere spiegata senza ipotizzare una certa confusione. Certamente non ne fu responsabile Gyulai, al quale, semmai, può essere rimproverata una certa debolezza nell'azione. La liberazione della Lombardia [modifica] La 2ª divisione del generale Joseph Vinoy, appartenente al IV Corpo dell'armata francese, raggiunge il Piemonte attraverso il valico del Moncenisio, il 5 maggio 1859Il 14 maggio 1859 Napoleone III, partito il 10 maggio da Parigi e sbarcato il 12 a Genova, raggiunse il campo di Alessandria per assumere il comando dell'esercito franco-piemontese. Con il grosso dell'esercito rientrato al di qua del Ticino e del Po, il 20 maggio 1859 Gyulai comandò una grande ricognizione a sud di Pavia. Essa venne fermata a Montebello (20-21 maggio) dai francesi del generale Forey, futuro maresciallo di Francia, con l'intervento determinante della cavalleria sarda del colonnello Morelli di Popolo. Il 30 ed il 31 maggio i piemontesi di Enrico Cialdini e di Giacomo Durando riportarono una brillante vittoria alla Battaglia di Palestro. Un contrattacco fu affidato al terzo reggimento degli zuavi del colonnello de Chabron, al quale prese parte lo stesso re Vittorio Emanuele II di Savoia, che fu gratificato del titolo di caporale degli zuavi. Parallelamente avanzavano anche i francesi, che il 2 giugno varcarono il Ticino: essi assicurarono il passaggio battendo gli Austriaci alla battaglia di Turbigo. Gyulai aveva concentrato le proprie forze nei pressi della cittadina di Magenta dove venne assalito il 4 giugno dai francesi i quali riportarono una brillante vittoria. La vittoria è principalmente da attribuire a Patrice de Mac-Mahon e al d'Angely, che in tal modo si guadagnarono sul campo la promozione a maresciallo di Francia, ma vi ebbero un ruolo primario anche il de Wimpffen e il generale Fanti, a capo dell'unico reparto sardo impegnato. Il 5 giugno l'esercito sconfitto sgombrava Milano, dove entrava il 7 giugno Mac-Mahon (preceduto dalle truppe algerine dei Turcos), per preparare l'8 giugno l'ingresso trionfale di Napoleone III e di Vittorio Emanuele attraverso l'arco della Pace e la piazza d'armi (oggi Parco Sempione), dove era schierata la Guardia imperiale, fra le acclamazioni della popolazione. Il 9 giugno il consiglio comunale di Milano votò per acclamazione un indirizzo che, ribadendo la validità del plebiscito del 1848, sanciva l'annessione della Lombardia al Regno di Vittorio Emanuele II. Garibaldi ed i cacciatori delle Alpi [modifica] Per approfondire, vedi la voce Cacciatori delle Alpi. Il 22 maggio i Cacciatori delle Alpi, passarono in Lombardia dal Lago Maggiore a Sesto Calende, con l'obiettivo di operare nella fascia prealpina in appoggio alla offensiva principale. Il 26 difesero Varese da un attacco di superiori forze austriache guidate dal generale Urban. Il 27 maggio batterono il nemico alla battaglia di San Fermo ed occuparono Como, la città maggiore dell'area. Dopo Magenta da lì seguì la ritirata austriaca: l'8 giugno Garibaldi era a Bergamo, il 13 a Brescia, entrambe già evacuate dagli Austriaci. Occupazione delle isole di Lussino e di Cherso [modifica]La flotta franco-sarda prese possesso dell'Isola di Lussino nel golfo del Quarnaro e scesero a terra 3.000 uomini accolti festosamente dalla popolazione che sventolava il tricolore. A loro volta le autorità locali, convinte che ormai il passaggio di sovranità fosse imminente, ricevettero con tutti gli onori i comandanti della flotta. Successivamente i franco-sardi si insediarono anche nell'isola di Cherso [1] L'avanzata verso le fortezze del Quadrilatero [modifica]Nel frattempo gli Austriaci si raccolsero oltre l'Adda, tappa per le fortezze del Quadrilatero. Gyulai, infatti, aveva intenzione di portare le due armate austriache entro i confini del "quadrilatero", ricalcando la vittoriosa strategia di Radetzky durante la prima guerra di indipendenza. La sera del 6 giugno, una brigata di retroguardia forte di circa 8.000 uomini, oltre a due squadroni di dragoni ed ussari si insediò nella cittadella fortificata di Melegnano che ospitava un ponte in pietra ad arcata unica sul fiume Lambro, adatto al passaggio di carriaggi e truppe, allo scopo di rallentare l'avanzata dell'esercito franco-sardo. La sera dell'8 giugno la città venne presa dai francesi dopo sanguinosissimi combattimenti che causarono 1.000 caduti fra gli attaccanti e 1.200 tra i difensori. Il grosso dell'esercito austriaco aveva proseguito, indisturbato, la sua marcia ed era stato raggiunto a Verona dall'imperatore Francesco Giuseppe che, indispettito dall'apparente arrendevolezza del Gyulai, aveva deciso di assumere il comando delle operazioni in prima persona. I franco-piemontesi ripresero la marcia il 12 giugno: il 13 passarono l'Adda, il 14 raggiunsero Bergamo e Brescia, il 16 passarono l'Oglio, il 21 erano oltre il Chiese. Essi erano giunti, rapidamente, dove Gyulai li aveva attirati, in quella striscia di Lombardia delimitata ad ovest dal Chiese, ad est dal Mincio e a nord dal lago di Garda. Incalzato dal malcontento della pubblica opinione viennese, derivante dalla lunga serie di sconfitte subite dall'esercito austriaco, l'imperatore decise improvvisamente di mutare la strategia difensiva di Gyulai e di prendere l'iniziativa. Confortato dal parere di uno stato maggiore più portato all'adulazione che all'analisi, Francesco Giuseppe diede ordine alle truppe di ripassare il Mincio, tornando ad occupare le posizioni evacuate pochi giorni prima. Gli austriaci non immaginavano che l'esercito franco-sardo avesse già passato il Chiese ed i francesi non credevano di trovarsi di fronte entrambe le armate austriache, convinti che la battaglia decisiva si sarebbe svolta oltre il Mincio, come appariva logico e tatticamente favorevole agli austriaci. I reciproci avvistamenti avvenuti alle ultime luci del 23 giugno, convinsero i francesi di aver preso contatto con l'attardata retroguardia austriaca e gli austriaci di aver preso contatto con le prime avanguardie francesi in ricognizione. Così non era: i due eserciti si trovavano frontalmente schierati, divisi da pochissimi chilometri ed accomunati dall'essere l'uno dell'altro ignari. Solferino e San Martino [modifica] La sala a Villafranca in cui si incontrarono Napoleone III e Francesco Giuseppe Per approfondire, vedi la voce Battaglia del 24 giugno 1859. Il 24 giugno i franco-piemontesi vinsero una grande battaglia (normalmente divisa in battaglia di Solferino e battaglia di San Martino), iniziata con un massiccio attacco francese (battaglia di Medole). Al termine dello scontro gli Austriaci furono rigettati oltre il Mincio, ma lì ebbero la possibilità di appoggiarsi alle loro grandi fortezze e ricevere rinforzi dalle varie parti del loro vasto impero. Napoleone III decise, quindi, di avviare colloqui di pace e prese contatto con Francesco Giuseppe. Le operazioni militari non vennero sostanzialmente più riprese. L'8 luglio fu sottoscritto un accordo di sospensione delle ostilità. L'11 luglio i due imperatori si incontrarono in località Villafranca di Verona. Lo stesso giorno e il 12 luglio (quando firmò anche Vittorio Emanuele II) fu sottoscritto l'armistizio di Villafranca. La pace di Zurigo [modifica] Per approfondire, vedi la voce Pace di Zurigo. La pace di Zurigo fu negoziata e siglata fra il 10 e l'11 novembre 1859: gli Asburgo cedevano la Lombardia alla Francia, che l'avrebbe assegnata ai Savoia, mentre l'Austria conservava il Veneto, le fortezze di Mantova e Peschiera. I sovrani di Modena, Parma e Toscana (Asburgo-Lorena di Toscana), che nel frattempo erano stati costretti alla fuga da rivolte popolari, rese possibili dalla presenza dell'esercito francese, avrebbero dovuto essere reintegrati nei loro Stati, così come i governanti papalini a Bologna. Tutti gli stati italiani, incluso il Veneto ancora austriaco, avrebbero dovuto unirsi in una confederazione italiana, presieduta dal papa Pio IX. Questo accordo però spaventò molti liberali federalisti come il toscano Bettino Ricasoli, che - seppur riluttante - si decise a porre sempre di più le sorti del suo antico stato nelle mani dei Savoia[2]. Conseguenze: l'annessione dei ducati [modifica] Per approfondire, vedi la voce Esodo nizzardo. Il trattato era tanto lontano dalla realtà politica, da presentare almeno tre vantaggi per il regno sabaudo la confederazione italiana garantiva, di fatto, la continuazione di un ruolo austriaco nella penisola, risultando sgradita anche ai francesi; le popolazioni dell'Emilia e dell'Italia centrale mostrarono insofferenza all'ipotesi di ritorno dei loro governanti e Cavour seppe convincere le cancellerie europee dei rischi di derive repubblicane, dovuti alla cospirazione mazziniana; il vantaggio territoriale era decisamente inferiore a quanto pattuito a Plombières e quindi, il Piemonte non era più tenuto a cedere Nizza e la Savoia. Per contro, Napoleone III necessitava di tali compensazioni territoriali, per giustificare alla propria opinione pubblica l'enorme prezzo in vite umane sostenute dalla Francia. Non mancavano, quindi, i margini di manovra e Cavour seppe metterli a frutto, compiendo quello che è il suo vero capolavoro da ex-primo ministro, fra l'11 luglio 1859 ed il 19 gennaio 1860, e poi ancora al governo dal 20 gennaio. Nei mesi successivi, infatti, il Piemonte annesse, oltre alla Lombardia, anche Parma, Modena, l'Emilia, la Romagna e la Toscana. Mancavano le Marche e l'Umbria, che venivano nel frattempo riprese dai papalini (uno dei più sanguinosi episodi della "riconquista" papale fu il massacro di Perugia del 20 giugno 1859). Solo a seguito di detti avvenimenti il 24 marzo 1860 il Piemonte accettò di firmare il Trattato di Torino, in base al quale venivano cedute la Savoia e Nizza (tranne Tenda, che la Francia poté pretendere solo nel 1947, a seguito del Trattato di Pace che chiuse la seconda guerra mondiale). Il seguito: la spedizione dei Mille [modifica] Per approfondire, vedi la voce Spedizione dei mille. Conseguenze: la proclamazione del regno d'Italia [modifica]Con tali operazioni si compì di fatto la prima fase dell'unità d'Italia; rimanevano ancora separati dal Regno d'Italia Roma e gran parte del Lazio, possesso del Papa, ed il Veneto, in mano agli Austriaci. È interessante notare come Cavour fosse consapevole dei problemi di tipo amministrativo che sarebbero sorti dall'annessione delle nuove province, tanto da far istituire tra il 10 e il 26 maggio 1859 la Commissione Giulini con il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Cavour voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle due regioni, lasciando che in Lombardia continuasse a sussistere una parte delle istituzioni austriache esistenti. Il 18 febbraio 1861, Vittorio Emanuele II riunì a Torino i deputati di tutti gli Stati che riconoscevano la sua autorità, assumendo il 17 marzo il titolo di Re d'Italia per grazia di Dio e volontà della nazione, mantenendo però il numero che gli spettava come re del Regno di Sardegna. L'Italia fu governata sulla base della costituzione liberale adottata nel Regno di Sardegna nel 1848 (Statuto albertino). | |
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Terza guerra di indipendenza italianaDa Wikipedia, l'enciclopedia libera. Vai a: navigazione, cerca Questa voce o sezione sull'argomento storia non cita alcuna fonte o le fonti presenti sono insufficienti. -------------------------------------------------------------------------------- Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Terza guerra di indipendenza Guerra austro-prussiana Parte delle guerre di indipendenza italiane La battaglia navale di Lissa -------------------------------------------------------------------------------- Data 1866 Luogo Impero d'Austria, Lombardo Veneto, Trentino, Italia e mare Adriatico Esito Vittoria italiana e prussiana. Modifiche territoriali La Prussia annette Hannover, Schleswig-Holstein, i due ducati dell'Assia, Nassau e Francoforte. Il Regno di Italia annette il Veneto, il Friuli e la provincia di Mantova. La Prussia forma la Confederazione Tedesca del Nord. L'Impero austriaco diviene l'Impero Austro-Ungarico Schieramenti Impero austriaco Sassonia Regno di Baviera Baden Regno del Württemburg Hannover e alcuni stati minori tedeschi Regno di Prussia Regno d'Italia e alcuni stati tedeschi minori Effettivi 600.000 austriaci e alleati tedeschi 500.000 prussiani e alleati tedeschi 300.000 italiani Perdite 20.000 morti o feriti 37.000 morti o feriti (tedeschi e italiani) [mostra]v · d · mTerza guerra d'indipendenza Guerra austro-prussiana Custoza - Hühnerwasser - Podol - Trautenau - Nachod - Langensalza - Skalitz - Münchengrätz - Gitschin - Königshof - Schweinschädel - Vezza d'Oglio - Valtellina - Sadowa - Dermbach - Bad Kissingen - Mainfeldzug - Frohnhofen - Aschaffenburg - Lissa - Condino - Forte d'Ampola - Blumenau - Hundheim - Tauberbischofsheim - Werbach - Helmstadt - Uettingen - Bezzecca - Invasione del Trentino La terza guerra di indipendenza italiana appartiene alla più ampia guerra austro-prussiana, della quale rappresentò il fronte meridionale. Indice 1 Premesse 2 L'interesse convergente di Prussia ed Italia 3 La preparazione bellica italiana 4 Svolgimento del conflitto 4.1 La determinazione del rinnovato sforzo offensivo 4.2 La ripresa delle operazioni italiane 5 Conseguenze 6 Note 7 Voci correlate 8 Altri progetti Premesse [modifica]Quando Vittorio Emanuele II di Savoia divenne re d'Italia, il 17 marzo 1861, il processo di unificazione nazionale non poteva considerarsi definitivo poiché, da un lato, il Veneto, il Trentino e Trieste appartenevano ancora all'Austria e dall'altro Roma era saldamente nelle mani del Papa. La situazione delle terre irredente (come si sarebbe detto alcuni decenni più tardi) costituiva una fonte di tensione costante per la politica interna italiana e chiave di volta della sua politica estera. Significativo l'episodio dell'Aspromonte, avvenuto nel 1862, nel tentativo di annettere Roma allo stato italiano, confidando sulla neutralità del re. Seguito da 2000 volontari, Giuseppe Garibaldi s'imbarcò a Catania per sbarcare a Melito il 24 agosto e raggiungere l'Aspromonte. Il generale Enrico Cialdini, però, inviò una divisione comandata dal colonnello Luigi Pallavicini per fermare l'esercito di volontari. Nello scontro Garibaldi fu ferito, per poi essere dichiarato prigioniero insieme ai suoi seguaci. Dopo la guarigione, gli venne concesso di tornare alla sua residenza di Caprera, grazie ad un'amnistia. L'interesse convergente di Prussia ed Italia [modifica] Per approfondire, vedi la voce Alleanza italo-prussiana. Le crescenti tensioni fra Austria e Prussia per la supremazia in Germania (sfociate infine nel 1866 nella guerra austro-prussiana) offrirono al neonato Regno d'Italia l'opportunità di effettuare un consistente guadagno territoriale a spese degli Asburgo. L'8 aprile 1866 il Governo Italiano (guidato dal generale Alfonso La Marmora) concluse una alleanza militare con la Prussia di Otto von Bismarck, grazie anche alla mediazione della Francia di Napoleone III. Si era creata, infatti, un'oggettiva convergenza fra i due Stati che vedevano nell'Impero Austriaco l'ostacolo ai disegni di unificazione nazionale. Secondo i piani prussiani, l'Italia avrebbe dovuto impegnare l'Austria sul fronte meridionale. Nel contempo, forte della superiorità navale, avrebbe portato una minaccia alle coste dalmate, distogliendo ulteriori forze dal teatro di guerra nell'Europa centrale. La preparazione bellica italiana [modifica] Piano della terza guerra di indipendenzaUna volta firmato il trattato con la Prussia, l'allora presidente del Consiglio, Alfonso La Marmora chiese di tornare al comando dell'esercito (assumendo la carica di Capo dello Stato Maggiore dell'Esercito), ciò che avvenne il 20 giugno, cioè appena tre giorni prima dell'entrata in guerra. Tale ritardo non era frutto del caso, bensì di una diatriba sorta circa l'attribuzione del comando delle forze armate: rivendicato al contempo dal sovrano, da Enrico Cialdini e da La Marmora stesso. Alla fine si decise di attribuire la direzione delle operazioni al re, mentre La Marmora fu nominato capo di stato maggiore. Tra quest'ultimo e Cialdini erano continui i contrasti sulla conduzione della campagna, poiché Cialdini, non sentendosi affatto inferiore, reclamava piena libertà d'azione. Vittorio Emanuele II, in pratica, si era riservato il diritto di emanare ordini finendo così per scavalcare il capo di stato maggiore. In realtà questo compromesso non risolse alcunché e anzi, fu probabilmente decisivo per le sconfitte subite in questa guerra. Alla fine Cialdini e La Marmora si accordarono ed elaborarono un piano basato sull'ipotesi di un duplice attacco, rispettivamente da sud attraverso il Po e da ovest attraverso il Mincio. Secondo questo piano: le truppe agli ordini di La Marmora e del re, numericamente più forti, avrebbero dovuto attraversare il Mincio ed attaccare le fortezze austriache del Quadrilatero; Cialdini invece, una volta superato il Po, avrebbe dovuto aggirare le fortificazioni austriache e puntare verso Venezia e Padova. Il piano era figlio di due concezioni diverse della guerra. Più prudente e statica quella di La Marmora, che mirava essenzialmente ad assediare il Quadrilatero, costituendo contemporaneamente una salda linea difensiva. Più dinamica la strategia di Cialdini, che, invadendo il Veneto da sud, immaginava di puntare innanzitutto ad un obiettivo importante come Venezia e da lì con il concorso della Marina puntare al cuore stesso dell'Impero Asburgico. Tale disposizione, tuttavia, poneva troppo distanti fra loro i due eserciti con evidenti rischi di coordinamento, confermati dagli eventi successivi. Inoltre, non era stato fissato un obiettivo strategico comune, cosicché la libertà d'azione pretesa dal Cialdini produsse, in pratica, due eserciti indipendenti tra loro. La situazione non venne risolta neppure il 17 giugno, in occasione di un incontro dei due generali a Bologna, ove non venne stabilito a quale delle due azioni dovesse essere attribuita la priorità. Accadde così che mentre La Marmora credeva che Cialdini avrebbe solo fatto una diversione per costringere il nemico a dividere le proprie forze, Cialdini credeva lo stesso ma a parti invertite. Dal canto suo il sovrano, il cui coraggio non è in discussione, non era all'altezza del compito di comandante supremo di cui, per contro, intendeva effettivamente esercitarne i poteri. Infine, allo scoppio delle ostilità la situazione militare italiana era fortemente condizionata da alcuni fattori negativi: da un lato, infatti, stava la non perfetta fusione fra gli eserciti del Regno Sardo e del Regno delle Due Sicilie, frutto della forte resistenza che si sviluppò dopo la resa di Gaeta, innescata anche dall'eccessiva asprezza della lotta nella sue fasi finali (si veda in proposito Messina e Civitella del Tronto). dall'altro, vi era una fortissima rivalità fra le principali marinerie confluite nella Regia Marina: la marina piemontese e la marina napoletana. Date le premesse, gli insuccessi terrestri ottenuti nella prima fase del conflitto furono quasi inevitabili. Svolgimento del conflitto [modifica] L'ossario di CustozaIl 16 giugno 1866 la Prussia iniziò l'ostilità contro alcuni principati tedeschi alleati dell'Austria. All'inizio del conflitto, l'esercito italiano era diviso in due armate: la prima, al comando di Alfonso La Marmora, stanziata in Lombardia ad ovest del Mincio verso le fortezze del Quadrilatero; la seconda, al comando del generale Enrico Cialdini, in Romagna, a sud del Po, verso Mantova e Rovigo. Al comando della flotta fu designato il vecchio ammiraglio Carlo Pellion di Persano. Il capo di Stato Maggiore generale La Marmora mosse per primo, incuneandosi fra Mantova e Peschiera, ove subì una sconfitta a Custoza il 24 giugno. Cialdini, al contrario, per tutta la prima parte della guerra non assunse alcuna posizione offensiva e non assediò neppure la fortezza austriaca di Borgoforte, a nord del Po. Custoza segnò un generale arresto delle operazioni, con gli Italiani che si riorganizzavano nel timore di un contrattacco austriaco. Gli Austriaci ne approfittarono per compiere due piccole offensive in Valtellina (operazioni in Valtellina) e in Val Camonica (battaglia di Vezza d'Oglio). Tuttavia, a seguito di alcune importanti vittorie prussiane sul fronte tedesco, in particolare quella di Sadowa del 3 luglio 1866, gli Austriaci decisero di far rientrare a Vienna uno dei tre corpi d'armata schierati in Italia e diedero priorità alla difesa del Trentino e dell'Isonzo. La determinazione del rinnovato sforzo offensivo [modifica]Il 5 luglio giunse notizia di un telegramma dell'imperatore di Francia Napoleone III, il quale prometteva di avviare una mediazione generale, che avrebbe permesso all'Austria di ottenere condizioni onorevoli di fronte alla Prussia e all'Italia di annettere Venezia. La situazione appariva particolarmente imbarazzante, in quanto le forze armate italiane non avevano guadagnato alcun successo sul campo. Le forze disponibili, d'altra parte, apparivano consistenti, mentre gli austriaci andavano ritirando truppe verso la difesa di Vienna. Il governo italiano cercò quindi di guadagnare tempo, ordinando intanto, al generale La Marmora, di ottenere «... una buona battaglia, per essere in condizioni ancora più favorevoli per la pace». Il 14 luglio, nel corso di un consiglio di guerra tenuto a Ferrara, si stabilì, finalmente un nuovo atteggiamento al proseguimento della guerra: Cialdini avrebbe guidato un esercito principale di 150.000 uomini, che sarebbe avanzato attraverso il Veneto, mentre La Marmora, con circa 70.000 uomini, avrebbe mantenuto il blocco sulle fortezze del Quadrilatero; al fine di rimediare all'insuccesso di terra, con un'eventuale vittoria navale, il Governo ordinò all'ammiraglio Carlo Persano di salpare, con la flotta, dal porto di Ancona, di attaccare ed occupare l'isola di Lissa al largo delle coste della Dalmazia. L'affondamento delle navi Palestro e Re d'Italia, durante la battaglia di Lissa (20 luglio 1866), da parte della flotta austriaca comandata dall'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, segnarono la sconfitta di Persano, che fu quindi degradato dal Senato riunito in alta Corte di Giustizia. il corpo dei volontari di Garibaldi, rinforzato da una divisione, avrebbe dovuto penetrare a fondo nel Trentino, avvicinandosi il più possibile al capoluogo. Infatti, ora che l'acquisizione del Veneto era certa, appariva soprattutto urgente procedere all'occupazione del Trentino, per non vederselo sfuggire durante le trattative di pace. La ripresa delle operazioni italiane [modifica] Per approfondire, vedi le voci Invasione del Trentino (Garibaldi - 1866) e Invasione del Trentino (Medici - 1866). Il telegramma Obbedisco di GaribaldiNelle settimane che seguirono, a Enrico Cialdini fu quindi affidato il grosso dell'esercito. Egli seppe guidare l'avanzata italiana da Ferrara a Udine: passò il Po e occupò Rovigo l'11 luglio, Padova il 12 luglio, Treviso il 14 luglio, San Donà di Piave il 18 luglio, Valdobbiadene e Oderzo il 20 luglio, Vicenza il 21 luglio, Udine il 26 luglio.[1] Nel frattempo il Corpo Volontari Italiani di Giuseppe Garibaldi si era spinto dal Bresciano in direzione della città di Trento aprendosi la strada il 21 luglio durante la battaglia di Bezzecca, mentre una seconda colonna italiana guidata da Giacomo Medici arrivava, il 25 luglio, in vista delle mura di Trento. Queste ultime vittorie italiane vennero tuttavia oscurate, nella coscienza collettiva, dalla sconfitta della Marina a Lissa il 20 luglio. Il 9 agosto Garibaldi rispose all'ordine di ritirarsi dal Trentino, con il celebre e celebrato «obbedisco». L'esito generale della guerra fu determinato dalle importanti vittorie prussiane sul fronte tedesco, in particolare quella di Sadowa del 3 luglio 1866, ad opera del generale von Moltke. La cessazione delle ostilità venne sancita con l'Armistizio di Cormons, il 12 agosto 1866, seguito il 3 ottobre 1866 dal trattato di Vienna. Conseguenze [modifica]Secondo i termini del trattato di pace, l'Italia guadagnò Mantova e l'intera antica terraferma veneta (che comprendeva l'attuale Veneto e il Friuli occidentale). Rimanevano in mano austriaca il Trentino, il Friuli orientale, la Venezia Giulia e la Dalmazia. In considerazione della pessima condotta italiana in guerra, gli austriaci ottennero di consegnare le province perdute alla Francia, che ne avrebbe fatto dono al Regno d'Italia. Il 4 novembre 1866 i Savoia ebbero consegnata dagli Asburgo la Corona Ferrea (simbolo della sovranità sull'Italia), già usata dai re longobardi, dagli imperatori del Sacro Romano Impero Germanico e dallo stesso Napoleone Bonaparte. La corona tornò così alla sua sede storica nel Duomo di Monza. L'annessione al Regno d'Italia venne sancita da un plebiscito (a suffragio universale maschile) svoltosi il 21 e 22 ottobre, anche se già il 19 ottobre in una stanza dell'hotel Europa sul Canal Grande il generale Leboeuf (plenipotenziario francese e "garante" dello svolgimento della consultazione) firmò la cessione del Veneto all'Italia. Prima ancora del plebiscito le terre venete erano già state cedute ufficialmente al Regno d'Italia; "la Gazzetta di Venezia" il giorno successivo ne aveva dato notizia, in pochissime righe: "Questa mattina in una camera dell'albergo Europa si è fatta la cessione del Veneto".[2] Il 7 novembre 1866, pochi giorni dopo la proclamazione ufficiale dell'esito del plebiscito, Vittorio Emanuele II compì una visita solenne a Venezia. Le salme dei fratelli Bandiera e di Domenico Moro rientrarono il 18 giugno 1867, quella di Daniele Manin il 22 marzo 1868. | |
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Terza guerra di indipendenza italianaDa Wikipedia, l'enciclopedia libera. Vai a: navigazione, cerca Questa voce o sezione sull'argomento storia non cita alcuna fonte o le fonti presenti sono insufficienti. -------------------------------------------------------------------------------- Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Terza guerra di indipendenza Guerra austro-prussiana Parte delle guerre di indipendenza italiane La battaglia navale di Lissa -------------------------------------------------------------------------------- Data 1866 Luogo Impero d'Austria, Lombardo Veneto, Trentino, Italia e mare Adriatico Esito Vittoria italiana e prussiana. Modifiche territoriali La Prussia annette Hannover, Schleswig-Holstein, i due ducati dell'Assia, Nassau e Francoforte. Il Regno di Italia annette il Veneto, il Friuli e la provincia di Mantova. La Prussia forma la Confederazione Tedesca del Nord. L'Impero austriaco diviene l'Impero Austro-Ungarico Schieramenti Impero austriaco Sassonia Regno di Baviera Baden Regno del Württemburg Hannover e alcuni stati minori tedeschi Regno di Prussia Regno d'Italia e alcuni stati tedeschi minori Effettivi 600.000 austriaci e alleati tedeschi 500.000 prussiani e alleati tedeschi 300.000 italiani Perdite 20.000 morti o feriti 37.000 morti o feriti (tedeschi e italiani) [mostra]v · d · mTerza guerra d'indipendenza Guerra austro-prussiana Custoza - Hühnerwasser - Podol - Trautenau - Nachod - Langensalza - Skalitz - Münchengrätz - Gitschin - Königshof - Schweinschädel - Vezza d'Oglio - Valtellina - Sadowa - Dermbach - Bad Kissingen - Mainfeldzug - Frohnhofen - Aschaffenburg - Lissa - Condino - Forte d'Ampola - Blumenau - Hundheim - Tauberbischofsheim - Werbach - Helmstadt - Uettingen - Bezzecca - Invasione del Trentino La terza guerra di indipendenza italiana appartiene alla più ampia guerra austro-prussiana, della quale rappresentò il fronte meridionale. Indice 1 Premesse 2 L'interesse convergente di Prussia ed Italia 3 La preparazione bellica italiana 4 Svolgimento del conflitto 4.1 La determinazione del rinnovato sforzo offensivo 4.2 La ripresa delle operazioni italiane 5 Conseguenze 6 Note 7 Voci correlate 8 Altri progetti Premesse [modifica]Quando Vittorio Emanuele II di Savoia divenne re d'Italia, il 17 marzo 1861, il processo di unificazione nazionale non poteva considerarsi definitivo poiché, da un lato, il Veneto, il Trentino e Trieste appartenevano ancora all'Austria e dall'altro Roma era saldamente nelle mani del Papa. La situazione delle terre irredente (come si sarebbe detto alcuni decenni più tardi) costituiva una fonte di tensione costante per la politica interna italiana e chiave di volta della sua politica estera. Significativo l'episodio dell'Aspromonte, avvenuto nel 1862, nel tentativo di annettere Roma allo stato italiano, confidando sulla neutralità del re. Seguito da 2000 volontari, Giuseppe Garibaldi s'imbarcò a Catania per sbarcare a Melito il 24 agosto e raggiungere l'Aspromonte. Il generale Enrico Cialdini, però, inviò una divisione comandata dal colonnello Luigi Pallavicini per fermare l'esercito di volontari. Nello scontro Garibaldi fu ferito, per poi essere dichiarato prigioniero insieme ai suoi seguaci. Dopo la guarigione, gli venne concesso di tornare alla sua residenza di Caprera, grazie ad un'amnistia. L'interesse convergente di Prussia ed Italia [modifica] Per approfondire, vedi la voce Alleanza italo-prussiana. Le crescenti tensioni fra Austria e Prussia per la supremazia in Germania (sfociate infine nel 1866 nella guerra austro-prussiana) offrirono al neonato Regno d'Italia l'opportunità di effettuare un consistente guadagno territoriale a spese degli Asburgo. L'8 aprile 1866 il Governo Italiano (guidato dal generale Alfonso La Marmora) concluse una alleanza militare con la Prussia di Otto von Bismarck, grazie anche alla mediazione della Francia di Napoleone III. Si era creata, infatti, un'oggettiva convergenza fra i due Stati che vedevano nell'Impero Austriaco l'ostacolo ai disegni di unificazione nazionale. Secondo i piani prussiani, l'Italia avrebbe dovuto impegnare l'Austria sul fronte meridionale. Nel contempo, forte della superiorità navale, avrebbe portato una minaccia alle coste dalmate, distogliendo ulteriori forze dal teatro di guerra nell'Europa centrale. La preparazione bellica italiana [modifica] Piano della terza guerra di indipendenzaUna volta firmato il trattato con la Prussia, l'allora presidente del Consiglio, Alfonso La Marmora chiese di tornare al comando dell'esercito (assumendo la carica di Capo dello Stato Maggiore dell'Esercito), ciò che avvenne il 20 giugno, cioè appena tre giorni prima dell'entrata in guerra. Tale ritardo non era frutto del caso, bensì di una diatriba sorta circa l'attribuzione del comando delle forze armate: rivendicato al contempo dal sovrano, da Enrico Cialdini e da La Marmora stesso. Alla fine si decise di attribuire la direzione delle operazioni al re, mentre La Marmora fu nominato capo di stato maggiore. Tra quest'ultimo e Cialdini erano continui i contrasti sulla conduzione della campagna, poiché Cialdini, non sentendosi affatto inferiore, reclamava piena libertà d'azione. Vittorio Emanuele II, in pratica, si era riservato il diritto di emanare ordini finendo così per scavalcare il capo di stato maggiore. In realtà questo compromesso non risolse alcunché e anzi, fu probabilmente decisivo per le sconfitte subite in questa guerra. Alla fine Cialdini e La Marmora si accordarono ed elaborarono un piano basato sull'ipotesi di un duplice attacco, rispettivamente da sud attraverso il Po e da ovest attraverso il Mincio. Secondo questo piano: le truppe agli ordini di La Marmora e del re, numericamente più forti, avrebbero dovuto attraversare il Mincio ed attaccare le fortezze austriache del Quadrilatero; Cialdini invece, una volta superato il Po, avrebbe dovuto aggirare le fortificazioni austriache e puntare verso Venezia e Padova. Il piano era figlio di due concezioni diverse della guerra. Più prudente e statica quella di La Marmora, che mirava essenzialmente ad assediare il Quadrilatero, costituendo contemporaneamente una salda linea difensiva. Più dinamica la strategia di Cialdini, che, invadendo il Veneto da sud, immaginava di puntare innanzitutto ad un obiettivo importante come Venezia e da lì con il concorso della Marina puntare al cuore stesso dell'Impero Asburgico. Tale disposizione, tuttavia, poneva troppo distanti fra loro i due eserciti con evidenti rischi di coordinamento, confermati dagli eventi successivi. Inoltre, non era stato fissato un obiettivo strategico comune, cosicché la libertà d'azione pretesa dal Cialdini produsse, in pratica, due eserciti indipendenti tra loro. La situazione non venne risolta neppure il 17 giugno, in occasione di un incontro dei due generali a Bologna, ove non venne stabilito a quale delle due azioni dovesse essere attribuita la priorità. Accadde così che mentre La Marmora credeva che Cialdini avrebbe solo fatto una diversione per costringere il nemico a dividere le proprie forze, Cialdini credeva lo stesso ma a parti invertite. Dal canto suo il sovrano, il cui coraggio non è in discussione, non era all'altezza del compito di comandante supremo di cui, per contro, intendeva effettivamente esercitarne i poteri. Infine, allo scoppio delle ostilità la situazione militare italiana era fortemente condizionata da alcuni fattori negativi: da un lato, infatti, stava la non perfetta fusione fra gli eserciti del Regno Sardo e del Regno delle Due Sicilie, frutto della forte resistenza che si sviluppò dopo la resa di Gaeta, innescata anche dall'eccessiva asprezza della lotta nella sue fasi finali (si veda in proposito Messina e Civitella del Tronto). dall'altro, vi era una fortissima rivalità fra le principali marinerie confluite nella Regia Marina: la marina piemontese e la marina napoletana. Date le premesse, gli insuccessi terrestri ottenuti nella prima fase del conflitto furono quasi inevitabili. Svolgimento del conflitto [modifica] L'ossario di CustozaIl 16 giugno 1866 la Prussia iniziò l'ostilità contro alcuni principati tedeschi alleati dell'Austria. All'inizio del conflitto, l'esercito italiano era diviso in due armate: la prima, al comando di Alfonso La Marmora, stanziata in Lombardia ad ovest del Mincio verso le fortezze del Quadrilatero; la seconda, al comando del generale Enrico Cialdini, in Romagna, a sud del Po, verso Mantova e Rovigo. Al comando della flotta fu designato il vecchio ammiraglio Carlo Pellion di Persano. Il capo di Stato Maggiore generale La Marmora mosse per primo, incuneandosi fra Mantova e Peschiera, ove subì una sconfitta a Custoza il 24 giugno. Cialdini, al contrario, per tutta la prima parte della guerra non assunse alcuna posizione offensiva e non assediò neppure la fortezza austriaca di Borgoforte, a nord del Po. Custoza segnò un generale arresto delle operazioni, con gli Italiani che si riorganizzavano nel timore di un contrattacco austriaco. Gli Austriaci ne approfittarono per compiere due piccole offensive in Valtellina (operazioni in Valtellina) e in Val Camonica (battaglia di Vezza d'Oglio). Tuttavia, a seguito di alcune importanti vittorie prussiane sul fronte tedesco, in particolare quella di Sadowa del 3 luglio 1866, gli Austriaci decisero di far rientrare a Vienna uno dei tre corpi d'armata schierati in Italia e diedero priorità alla difesa del Trentino e dell'Isonzo. La determinazione del rinnovato sforzo offensivo [modifica]Il 5 luglio giunse notizia di un telegramma dell'imperatore di Francia Napoleone III, il quale prometteva di avviare una mediazione generale, che avrebbe permesso all'Austria di ottenere condizioni onorevoli di fronte alla Prussia e all'Italia di annettere Venezia. La situazione appariva particolarmente imbarazzante, in quanto le forze armate italiane non avevano guadagnato alcun successo sul campo. Le forze disponibili, d'altra parte, apparivano consistenti, mentre gli austriaci andavano ritirando truppe verso la difesa di Vienna. Il governo italiano cercò quindi di guadagnare tempo, ordinando intanto, al generale La Marmora, di ottenere «... una buona battaglia, per essere in condizioni ancora più favorevoli per la pace». Il 14 luglio, nel corso di un consiglio di guerra tenuto a Ferrara, si stabilì, finalmente un nuovo atteggiamento al proseguimento della guerra: Cialdini avrebbe guidato un esercito principale di 150.000 uomini, che sarebbe avanzato attraverso il Veneto, mentre La Marmora, con circa 70.000 uomini, avrebbe mantenuto il blocco sulle fortezze del Quadrilatero; al fine di rimediare all'insuccesso di terra, con un'eventuale vittoria navale, il Governo ordinò all'ammiraglio Carlo Persano di salpare, con la flotta, dal porto di Ancona, di attaccare ed occupare l'isola di Lissa al largo delle coste della Dalmazia. L'affondamento delle navi Palestro e Re d'Italia, durante la battaglia di Lissa (20 luglio 1866), da parte della flotta austriaca comandata dall'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, segnarono la sconfitta di Persano, che fu quindi degradato dal Senato riunito in alta Corte di Giustizia. il corpo dei volontari di Garibaldi, rinforzato da una divisione, avrebbe dovuto penetrare a fondo nel Trentino, avvicinandosi il più possibile al capoluogo. Infatti, ora che l'acquisizione del Veneto era certa, appariva soprattutto urgente procedere all'occupazione del Trentino, per non vederselo sfuggire durante le trattative di pace. La ripresa delle operazioni italiane [modifica] Per approfondire, vedi le voci Invasione del Trentino (Garibaldi - 1866) e Invasione del Trentino (Medici - 1866). Il telegramma Obbedisco di GaribaldiNelle settimane che seguirono, a Enrico Cialdini fu quindi affidato il grosso dell'esercito. Egli seppe guidare l'avanzata italiana da Ferrara a Udine: passò il Po e occupò Rovigo l'11 luglio, Padova il 12 luglio, Treviso il 14 luglio, San Donà di Piave il 18 luglio, Valdobbiadene e Oderzo il 20 luglio, Vicenza il 21 luglio, Udine il 26 luglio.[1] Nel frattempo il Corpo Volontari Italiani di Giuseppe Garibaldi si era spinto dal Bresciano in direzione della città di Trento aprendosi la strada il 21 luglio durante la battaglia di Bezzecca, mentre una seconda colonna italiana guidata da Giacomo Medici arrivava, il 25 luglio, in vista delle mura di Trento. Queste ultime vittorie italiane vennero tuttavia oscurate, nella coscienza collettiva, dalla sconfitta della Marina a Lissa il 20 luglio. Il 9 agosto Garibaldi rispose all'ordine di ritirarsi dal Trentino, con il celebre e celebrato «obbedisco». L'esito generale della guerra fu determinato dalle importanti vittorie prussiane sul fronte tedesco, in particolare quella di Sadowa del 3 luglio 1866, ad opera del generale von Moltke. La cessazione delle ostilità venne sancita con l'Armistizio di Cormons, il 12 agosto 1866, seguito il 3 ottobre 1866 dal trattato di Vienna. Conseguenze [modifica]Secondo i termini del trattato di pace, l'Italia guadagnò Mantova e l'intera antica terraferma veneta (che comprendeva l'attuale Veneto e il Friuli occidentale). Rimanevano in mano austriaca il Trentino, il Friuli orientale, la Venezia Giulia e la Dalmazia. In considerazione della pessima condotta italiana in guerra, gli austriaci ottennero di consegnare le province perdute alla Francia, che ne avrebbe fatto dono al Regno d'Italia. Il 4 novembre 1866 i Savoia ebbero consegnata dagli Asburgo la Corona Ferrea (simbolo della sovranità sull'Italia), già usata dai re longobardi, dagli imperatori del Sacro Romano Impero Germanico e dallo stesso Napoleone Bonaparte. La corona tornò così alla sua sede storica nel Duomo di Monza. L'annessione al Regno d'Italia venne sancita da un plebiscito (a suffragio universale maschile) svoltosi il 21 e 22 ottobre, anche se già il 19 ottobre in una stanza dell'hotel Europa sul Canal Grande il generale Leboeuf (plenipotenziario francese e "garante" dello svolgimento della consultazione) firmò la cessione del Veneto all'Italia. Prima ancora del plebiscito le terre venete erano già state cedute ufficialmente al Regno d'Italia; "la Gazzetta di Venezia" il giorno successivo ne aveva dato notizia, in pochissime righe: "Questa mattina in una camera dell'albergo Europa si è fatta la cessione del Veneto".[2] Il 7 novembre 1866, pochi giorni dopo la proclamazione ufficiale dell'esito del plebiscito, Vittorio Emanuele II compì una visita solenne a Venezia. Le salme dei fratelli Bandiera e di Domenico Moro rientrarono il 18 giugno 1867, quella di Daniele Manin il 22 marzo 1868. | |
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| Da: Guerre puniche | 25/10/2011 14:37:23 |
| Le Guerre puniche furono una serie di tre guerre combattute fra Roma e Cartagine tra il III e II secolo a.C., che si risolsero con la totale supremazia di Roma sul Mar Mediterraneo; supremazia diretta nella parte occidentale e controllo per mezzo di regni a sovranità limitata nell'Egeo e nel Mar Nero. Sono conosciute come puniche in quanto i romani chiamavano punici i Cartaginesi. A sua volta il termine punico è una corruzione di fenicio, come Cartagine è una corruzione del fenicio Karth Hadash (città nuova). Indice 1 Contatti 2 Prima guerra punica 3 Dal 241 al 218 a.C. 4 Seconda guerra punica 5 Dal 202 al 149 a.C. 6 Terza guerra punica (149 a.C. - 146 a.C.) 7 Note 8 Voci correlate 9 Collegamenti esterni 10 Altri progetti Contatti [modifica] Per approfondire, vedi la voce Trattati Roma - Cartagine. Le due città, quasi "coetanee" (814 a.C. Cartagine), (753 a.C. Roma), per lunghi secoli tennero un atteggiamento di reciproco rispetto anche se dai trattati stipulati nel corso del tempo, traspare una certa tendenza - probabilmente motivata - di Cartagine a sentirsi "superiore". Polibio ci informa di quattro trattati fra Roma e Cartagine: 509 a.C., 348 a.C., 306 a.C., 279 a.C. L'ultimo è addirittura un'alleanza (anche se non stretta) in funzione anti Pirro, re dell'Epiro, che imperversava prima nel sud Italia chiamato da Taranto contro i romani e poi in Sicilia chiamato da Siracusa contro i cartaginesi. La sconfitta di Pirro a Maleventum sancì il definitivo ingresso di Roma - che arrivò così a controllare saldamente tutta l'Italia peninsulare - nel novero delle grandi potenze del Mediterraneo. Proprio la precedente sconfitta di Pirro in Sicilia per opera dei romani segnò la divisione dell'isola in due settori: a ovest i punici, a est Siracusa. Quest'ultima città, per poter estendere il suo potere dovette rivolgersi contro i Mamertini di Messina che inviarono ambasciatori per chiedere aiuto a entrambe le città. Un'antica comunità di intenti, basata sulla simmetria degli interessi (terrestri per Roma, navali per Cartagine) cessò all'improvviso. Per 118 anni la guerra imperversò, gradualmente estendendosi a tutto il Mediterraneo. Fino alla totale distruzione di uno dei contendenti: Cartagine. Prima guerra punica [modifica] Per approfondire, vedi la voce Prima guerra punica. La Prima guerra punica (264 a.C. - 241 a.C.) fu principalmente una guerra navale. Le richieste di soccorso dei Mamertini contro Siracusa raggiunsero Roma e Cartagine. Roma, impegnata nella pacificazione del territorio sannita e nell'inizio di espansione nella Pianura Padana era riluttante a impegnarsi in Sicilia. Cartagine inviò subito una squadra navale. La conquista di Messina gettava segnali favorevoli nella secolare lotta con Siracusa; Cartagine poneva finalmente piede anche nel settore orientale dell'isola. Probabilmente vedere Cartagine a poche miglia dalle coste del Bruttium appena conquistato dovette creare qualche apprensione nel Senato romano che acconsentì a inviare soccorsi a Messina. Questo andava contro il trattato del 200 a.C. che vietava gli interventi di Roma in Sicilia. Cartagine dichiarò guerra. Visto il pericolo, si alleò con la sua nemica storica, Siracusa, contro Roma ed i Mamertini. La maggior parte della Prima guerra punica, comprese le battaglie più decisive, fu combattuta in mare, uno spazio ben noto alle flotte cartaginesi. Però entrambi i contendenti dovettero investire pesantemente nell'allestimento delle flotte e questo diede fondo alle finanze pubbliche sia di Roma che di Cartagine. All'inizio della guerra Roma non aveva nessuna esperienza di guerra navale. Le sue legioni erano vittoriose da secoli nelle terre italiche ma non esisteva una Marina. La prima grande flotta fu costruita dopo la battaglia di Agrigentum del 261 a.C. Ma Roma mancava della tecnologia navale e quindi dovette costruire una flotta basandosi sulle triremi e quinqueremi (navi che avevano ordini di due o tre remi e ciascun remo era manovrato da più rematori) cartaginesi catturate. Per compensare la mancanza di esperienza in battaglie con le navi, Roma equipaggiò le sue con uno speciale congegno d'abbordaggio: il corvo che agganciava la nave nemica e permetteva alla fanteria, trasportata, di combattere come sapeva fare. In almeno tre occasioni 255 a.C., 253 a.C. e 249 a.C. intere flotte furono distrutte dal maltempo. Non è certo che il peso dei corvi sulle prore delle navi sian stato il maggior responsabile dei disastri. Per approfondire, vedi la voce Naufragi della flotta romana nella prima guerra punica. Tre battaglie terrestri di larga scala furono combattute durante questa guerra. Nel 262 a.C. Roma assediò Agrigento in un'operazione che coinvolse entrambi gli eserciti consolari (quattro legioni). Giunsero rinforzi cartaginesi guidati da Annone. Dopo alcune schermaglie si venne a una vera battaglia che fu vinta dai romani. Agrigento cadde. La seconda operazione terrestre fu quella di Marco Attilio Regolo, quando, fra il 256 a.C. e il 255 a.C. Roma portò la guerra in Africa. Cartagine venne sconfitta nella Battaglia di Capo Ecnomo da una grande flotta romana appositamente approntata e le legioni di Attilio Regolo sbarcarono in Africa. All'inizio Regolo vinse la battaglia di Adys. Cartagine chiese la pace. I negoziati fallirono e Cartagine, assunto il mercenario spartano Santippo, riuscì a fermare l'avanzate romana nella battaglia di Tunisi. La guerra fu decisa nella battaglia navale delle Egadi (10 marzo 241 a.C.) vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo. Parte del relitto di una nave affondata in questa guerra è conservata nel Museo Archeologico "Baglio Anselmi" di Marsala. Dal 241 al 218 a.C. [modifica] Per approfondire, vedi la voce Rivolta dei mercenari (Cartagine). Nell'intervallo di tempo fra la prima e la seconda guerra punica, Cartagine dovette subire e reprimere una rivolta delle truppe mercenarie che aveva impiegato. La rivolta era dovuta all'impossibilità dei punici di pagare le truppe stesse alla fine del conflitto. Dopo tre anni di battaglie i mercenari furono sgominati e Cartagine poté riprendere il suo percorso per riconquistare il vigore economico precedente. Dopo acerrime lotte politiche fra le due principali fazioni cittadine, Amilcare Barca, padre di Annibale e capostipite dei cosiddetti Barcidi partì per la Spagna con un piccolo esercito di mercenari e cittadini punici. I Fenici infatti, dopo aver perso le isole, cercavano una riscossa nel Mediterraneo, ed una fonte di ricchezza per pagare le forti indennità di guerra dovute a Roma. Non essendo aiutato dalla città, Amilcare dovette marciare per tutta la costa del Nordafrica e buona parte della costa spagnola. Sottomise molte popolazioni iberiche e alla sua morte fu sostituito dal genero Asdrubale che consolidò le conquiste fatte, fondò la città di Chartago Nova (oggi Cartagena) e stipulò un trattato con Roma. Il trattato poneva i limiti di espansione punica in Iberia a sud del fiume Ebro. Quando anche Asdrubale fu ucciso l'esercito scelse come capo Annibale, ancora ventisettenne. Cartagine accettò la designazione. Dopo due anni Annibale decise di portare la guerra in Italia, scatenando la seconda guerra punica. Seconda guerra punica [modifica] Per approfondire, vedi la voce Seconda guerra punica. La Seconda guerra punica (218 a.C. - 202 a.C.) consistette essenzialmente in una serie di battaglie terrestri. Spiccano le figure di Annibale e Publio Cornelio Scipione detto successivamente per le vittorie avute in Africa "l'Africano". Il casus belli scelto da Annibale fu la sfortunata Sagunto. Alleata di Roma ma posta a sud dell'Ebro, cioè entro i "confini" punici, la città fu assalita, assediata e distrutta (La città di Sagunto aveva chiesto l'intervento di Roma ma il Senato era diviso sull'intervento tanto che è rimasta celebre la frase "Mentre a Roma discutono Sagunto cade"). Roma chiese a Cartagine di sconfessare Annibale. Cartagine rifiutò e accettò la dichiarazione di guerra. Annibale partì dalla Spagna con un esercito di circa 50.000 uomini, 6.000 cavalieri e 37 elefanti. Attraversate le Alpi, presumibilmente al passo del Moncenisio o del Monginevro, Annibale giunse nella Pianura padana con più o meno metà delle forze. Nell'ottica di portare dalla sua parte le tribù galliche in lotta con Roma, combatté e sconfisse i Taurini, avversari degli Insubri che gli si allearono assieme ai Boi. Con magistrale uso della cavalleria sconfisse le forze romane in due importanti battaglie sul Ticino e sul Trebbia. L'anno successivo attraversò l'Appennino e batté seccamente le legioni di Roma nella battaglia del Lago Trasimeno. Sapendo di non poter assediare Roma prima di aver raccolto attorno a sé le popolazioni dell'Italia centrale e meridionale si diresse verso la Puglia dove, a Canne, inferse una tremenda sconfitta all'esercito romano. Ancora una volta non osò attaccare Roma che già si aspettava l'assedio e si limitò a operare nelle regioni del sud Italia. Roma, lentamente si riprese e adottando nuovamente la tattica del dittatore Quinto Fabio Massimo, che poi prenderà il soprannome di "cunctator" (temporeggiatore) per anni e con alterne fortune, combatté il generale cartaginese restringendo sempre di più il territorio della sua azione riconquistando man mano le città che Annibale conquistava, non appena le condizioni militari o sociali lo consentivano. Così Capua, Taranto, per citare le più importanti, passarono di mano da Roma ad Annibale e di nuovo a Roma. Nel frattempo Roma portava la guerra in Spagna, prima con i fratelli Publio (padre dell'Africano) e Gneo Cornelio Scipione, e poi dopo la loro morte con Publio Scipione (futuro Africano) che attaccarono Asdrubale e Magone (fratelli di Annibale). La Spagna fu conquistata e Asdrubale venne in Italia cercando di portare rinforzi al fratello. Al fiume Metauro fu sconfitto e ucciso. Magone provò a muovere le tribù galliche della Pianura Padana ma fu sconfitto e ferito. Richiamato in patria, morì per le ferite durante la traversata. In maniera non determinante fu coinvolto anche il re Filippo V di Macedonia che si alleò con Annibale e provò a combattere i romani i quali si stavano espandendo nell'Illiria e quindi si avvicinavano ai suoi territori. Roma mosse la sua diplomazia e le sue legioni riuscendo a fermare i Macedoni senza grandi sforzi e aiutata dal re di Pergamo. Altre figure importanti della seconda guerra punica sono i re numidi Massinissa e Siface. Massinissa entrò in guerra come alleato di Annibale e la terminò come alleato di Scipione. Specularmente, Siface era alleato di Roma e finì la guerra come alleato di Cartagine. Senza rifornimenti e rinforzi da Cartagine e senza riuscire a far sollevare le popolazioni del centro Italia contro Roma, Annibale si ritrovò praticamente assediato sui monti della Calabria dove, in seguito, gli giunse l'ordine di Cartagine di tornare in Africa per portare aiuto contro Publio Cornelio Scipione (Africano). Contrastando il volere del Senato, guidato da Quinto Fabio Massimo che riteneva prioritario estromettere Annibale dalla Penisola, Scipione, in qualità di proconsole della Sicilia e aiutato dalle città italiche, partì per l'Africa attaccando direttamente Cartagine. La città punica si vide costretta a richiamare Annibale che rientrò in patria dopo 34 anni di assenza. Nel 202 a.C. a Zama, Scipione volse contro Annibale la sua stessa strategia e lo sconfisse, determinando la fine della Seconda guerra punica. Dal 202 al 149 a.C. [modifica]Dopo l'avventura di Annibale, Cartagine aveva dovuto cedere anche le redditizie conquiste in Spagna, stava inoltre pagando puntualmente le nuove indennità per la seconda sconfitta (200 talenti d'argento annui per 50 anni). Addirittura prestò aiuto militare alle forze di Roma nelle guerre contro Antioco III, Filippo V e Perseo. La relativa decadenza dello stato era mitigata da un riprendersi del commercio e un nuovo impulso dato all'agricoltura e in particolare alle coltivazioni di ulivo e vite. Roma, però, non poteva dimenticare il pesante carico di costi economici, umani e psicologici causati dalla precedente guerra. Lo sforzo bellico fu grandioso in termini di risorse umane. Si può calcolare che con le forze degli alleati, Roma dovesse mantenere oltre 200.000 uomini a combattere cui bisogna aggiungere le forze navali. Ogni combattente era sottratto alle campagne e all'agricoltura. Si può quindi comprendere perché Roma fosse ben attenta a far sì che Cartagine non rialzasse la testa. E a far ricordare i romani pensava Catone il Censore. Nondimeno, la situazione poteva mantenersi in uno stato di precario equilibrio se non fosse intervenuto Massinissa. Questi approfittò degli accordi di pace del 201 a.C. che vietavano a Cartagine persino l'autodifesa senza il consenso di Roma, per sottrarre territori di confine anche con la forza. Nel 193 a.C. Massinissa occupò Emporia e il Senato romano inviò a Cartagine una delegazione; nel 174 a.C. occupò Tisca e Roma inviò Catone alla guida di un'altra commissione; ancora, il re numida occupò Oroscopa. Nel 150 a.C. l'esasperata Cartagine, rompendo i patti, apprestò un esercito di 50.000 uomini cercando di riconquistare Oroscopa ma fu sconfitta. Il rischio per Roma era che Cartagine, troppo indebolita, cadesse preda della Numidia. Si sarebbe formato uno stato ricco, esteso dall'Atlantico all'Egitto e militarmente forte. La rottura dei patti fornì Roma di un pretesto perfetto per poter intervenire e dichiarò guerra all'eterna rivale. Era il 149 a.C. e iniziava la Terza guerra punica. Terza guerra punica (149 a.C. - 146 a.C.) [modifica] Per approfondire, vedi la voce Terza guerra punica. Non appena si seppe che i romani erano partiti con un esercito di 80.000 uomini e 4.000 cavalieri Cartagine capitolò, inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica. L'esercito romano sbarcò vicino a Utica, che si arrese. I consoli ricevettero gli ambasciatori di Cartagine che dovettero accettare le condizioni poste: Cartagine consegnò armature, catapulte e altro materiale bellico. Resi inermi i cartaginesi, Censorino disse che la città doveva essere distrutta e ricostruita 15 km all'interno. Il popolo cartaginese si ribellò; furono uccisi tutti gli italici presenti in città, furono liberati gli schiavi per avere aiuto nella difesa, furono richiamati Asdrubale e altri esuli, fu chiesta una moratoria di 30 giorni per inviare una delegazione a Roma. In questi 30 giorni, si ebbe una frenetica corsa al riarmo. I cartaginesi riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Quando i romani arrivarono alle mura di Cartagine trovarono un intero popolo stretto a difesa della sua città. Fu posto l'assedio. Cartagine era estremamente ben difesa. La sosta aveva dato ad Asdrubale, posto a capo dell'esercito, la possibilità di raccogliere circa 50.000 uomini ben armati e l'assedio si protrasse. Nel 148 a.C. i nuovi consoli furono inviati in Africa ma si rivelarono ancora più incapaci dei predecessori. Gli insuccessi romani resero audaci i cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di stato e ordinò di esporre sulle mura i prigionieri orrendamente mutilati. I romani, inaspriti, non avrebbero concesso mercé. Nel 147 a.C. Publio Cornelio Scipione Emiliano venne nominato console, avendo come collega Caio Livio Druso. Asdrubale che difendeva il porto con 7.000 uomini, fu attaccato di notte e costretto a riparare a Birsa. Scipione bloccò il porto da cui arrivavano i rifornimenti per gli assediati. Questi scavarono un tunnel-canale e riuscirono a costruire cinquanta navi ma Scipione distrusse la flotta e il tunnel-canale fu chiuso. Nel frattempo Nefari fu attaccata da truppe romane e cadde; questo portò la resa delle altre città. I romani si poterono concentrare su Cartagine. L'agonia della città si protrasse per tutto l'inverno senza viveri e attaccata da una pestilenza. Scipione non forzò l'attacco che venne lanciato solo nel 146 a.C. I sopravvissuti per quindici giorni impegnarono i romani in una disperata battaglia per le strade della città. Ma l'esito era scontato. Gli ultimi soldati si rinchiusero nel tempio di Eshmun altri otto giorni. Scipione abbandonò la città al saccheggio dei suoi soldati. Cartagine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto. Venne sparso del sale[1] onde rendere quel luogo inabitabile ed incoltivabile. La terza guerra punica era terminata. | |
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| Da: Diritti | 25/10/2011 14:39:12 |
| Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 Preambolo Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità, e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godono della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo; Considerato che è indispensabile che i diritti dell'uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione; Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo dei rapporti amichevoli tra le Nazioni; Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'eguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un migliore tenore di vita in una maggiore libertà; Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l'osservanza universale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; Considerato che una concezione comune di questi diritti e di queste libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni; L'Assemblea Generale proclama la presente Dichiarazione Universale dei Diritti Dell'Uomo come ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione. Articolo 1 Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Articolo 2 1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. 2. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità. Articolo 3 Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. Articolo 4 Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma. Articolo 5 Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti. Articolo 6 Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica. Articolo 7 Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un'eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad un'eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione. Articolo 8 Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibiltà di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge. Articolo 9 Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato. Articolo 10 Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonchè della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. Articolo 11 1. Ogni individuo accusato di reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie per la sua difesa. 2. Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso. Articolo 12 Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, nè a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni. Articolo 13 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese. Articolo 14 1. Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. 2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite. Articolo 15 1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. 2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, nè del diritto di mutare cittadinanza. Articolo 16 1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento. 2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato. Articolo 17 1. Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà privata sua personale o in comune con gli altri. 2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà. Articolo 18 Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti. Articolo 19 Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere. Articolo 20 1. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica. 2. Nessuno può essere costretto a far parte di un'associazione. Articolo 21 1. Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti. 2. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio Paese. 3. La volontà popolare è il fondamento dell'autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione. Articolo 22 Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonchè alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità. Articolo 23 1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. 2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro. 3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale. 4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. Articolo 24 Ogni individuo ha il diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite. Articolo 25 1. Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. 2. La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale. Articolo 26 1. Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito. 2. L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. 3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli. Articolo 27 1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici. 2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore. Articolo 28 Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e la libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati. Articolo 29 1. Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità. 2. Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e della libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica. 3. Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite. Articolo 30 Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati. | |
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| Da: Diritti | 25/10/2011 14:40:08 |
| PREAMBOLO I popoli europei nel creare tra loro un'unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L'Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa cerca di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento. A tal fine è necessario, rendendoli più visibili in una Carta, rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici. La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull'Unione europea e dai trattati comunitari, dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d'Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future. Pertanto, l'Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi enunciati qui di seguito. C 364/8 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 18.12.2000 CAPO I DIGNITÀ Articolo 1 Dignità umana La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata. Articolo 2 Diritto alla vita 1. Ogni individuo ha diritto alla vita. 2. Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato. Articolo 3 Diritto all'integrità della persona 1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. 2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone, il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani. Articolo 4 Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti. Articolo 5 Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato 1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù. 2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio. 3. È proibita la tratta degli esseri umani. 18.12.2000 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/9 CAPO II LIBERTÀ Articolo 6 Diritto alla libertà e alla sicurezza Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Articolo 7 Rispetto della vita privata e della vita familiare Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni. Articolo 8 Protezione dei dati di carattere personale 1. Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. 2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica. 3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente. Articolo 9 Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. Articolo 10 Libertà di pensiero, di coscienza e di religione 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. 2. Il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. C 364/10 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 18.12.2000 Articolo 11 Libertà di espressione e d'informazione 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati. Articolo 12 Libertà di riunione e di associazione 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. 2. I partiti politici a livello dell'Unione contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione. Articolo 13 Libertà delle arti e delle scienze Le arti e la ricerca scientifica sono libere. La libertà accademica è rispettata. Articolo 14 Diritto all'istruzione 1. Ogni individuo ha diritto all'istruzione e all'accesso alla formazione professionale e continua. 2. Questo diritto comporta la facoltà di accedere gratuitamente all'istruzione obbligatoria. 3. La libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all'educazione e all'istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. Articolo 15 Libertà professionale e diritto di lavorare 1. Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata. 2. Ogni cittadino dell'Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro. 18.12.2000 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/11 3. I cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell'Unione. Articolo 16 Libertà d'impresa È riconosciuta la libertà d'impresa, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. Articolo 17 Diritto di proprietà 1. Ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale. 2. La proprietà intellettuale è protetta. Articolo 18 Diritto di asilo Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità europea. Articolo 19 Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione 1. Le espulsioni collettive sono vietate. 2. Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti. C 364/12 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 18.12.2000 CAPO III UGUAGLIANZA Articolo 20 Uguaglianza davanti alla legge Tutte le persone sono uguali davanti alla legge. Articolo 21 Non discriminazione 1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. 2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi. Articolo 22 Diversità culturale, religiosa e linguistica L'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica. Articolo 23 Parità tra uomini e donne La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato. Articolo 24 Diritti del bambino 1. I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 18.12.2000 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/13 3. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse. Articolo 25 Diritti degli anziani L'Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale. Articolo 26 Inserimento dei disabili L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità. C 364/14 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 18.12.2000 CAPO IV SOLIDARIETÀ Articolo 27 Diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa Ai lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l'informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto comunitario e dalle legislazioni e prassi nazionali. Articolo 28 Diritto di negoziazione e di azioni collettive I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero. Articolo 29 Diritto di accesso ai servizi di collocamento Ogni individuo ha il diritto di accedere a un servizio di collocamento gratuito. Articolo 30 Tutela in caso di licenziamento ingiustificato Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. Articolo 31 Condizioni di lavoro giuste ed eque 1. Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. 2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite. 18.12.2000 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/15 Articolo 32 Divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro Il lavoro minorile è vietato. L'età minima per l'ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui termina la scuola dell'obbligo, fatte salve le norme più favorevoli ai giovani ed eccettuate deroghe limitate. I giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di condizioni di lavoro appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, mentale, morale o sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione. Articolo 33 Vita familiare e vita professionale 1. È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale. 2. Al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni individuo ha il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l'adozione di un figlio. Articolo 34 Sicurezza sociale e assistenza sociale 1. L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali. 2. Ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. 3. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali. Articolo 35 Protezione della salute Ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. C 364/16 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 18.12.2000 Articolo 36 Accesso ai servizi d'interesse economico generale Al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell'Unione, questa riconosce e rispetta l'accesso ai servizi d'interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali, conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea. Articolo 37 Tutela dell'ambiente Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile. Articolo 38 Protezione dei consumatori Nelle politiche dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori. 18.12.2000 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/17 CAPO V CITTADINANZA Articolo 39 Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo 1. Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. 2. I membri del Parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto. Articolo 40 Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Articolo 41 Diritto ad una buona amministrazione 1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione. 2. Tale diritto comprende in particolare: il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio, il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni. 3. Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. 4. Ogni individuo può rivolgersi alle istituzioni dell'Unione in una delle lingue del trattato e deve ricevere una risposta nella stessa lingua. C 364/18 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 18.12.2000 Articolo 42 Diritto d'accesso ai documenti Qualsiasi cittadino dell'Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Articolo 43 Mediatore Qualsiasi cittadino dell'Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di sottoporre al mediatore dell'Unione casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni o degli organi comunitari, salvo la Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali. Articolo 44 Diritto di petizione Qualsiasi cittadino dell'Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo. Articolo 45 Libertà di circolazione e di soggiorno 1. Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. 2. La libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata, conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro. Articolo 46 Tutela diplomatica e consolare Ogni cittadino dell'Unione gode, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. 18.12.2000 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/19 CAPO VI GIUSTIZIA Articolo 47 Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia. Articolo 48 Presunzione di innocenza e diritti della difesa 1. Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. 2. Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato. Articolo 49 Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene 1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima. 2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni. 3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. Articolo 50 Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge. C 364/20 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 18.12.2000 CAPO VII DISPOSIZIONI GENERALI Articolo 51 Ambito di applicazione 1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l'applicazione secondo le rispettive competenze. 2. La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati. Articolo 52 Portata dei diritti garantiti 1. Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. 2. I diritti riconosciuti dalla presente Carta che trovano fondamento nei trattati comunitari o nel trattato sull'Unione europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati stessi. 3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa. Articolo 53 Livello di protezione Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri. 18.12.2000 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/21 Articolo 54 Divieto dell'abuso di diritto Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un'attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta. | |
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| Da: orari | 25/10/2011 19:41:12 |
| Perchè un inventario Gli Inventari Forestali Nazionali sono tra i più importanti strumenti conoscitivi per le decisioni di politica forestale e ambientale sia a livello nazionale che internazionale. Essi registrano lo stato delle risorse forestali di un paese e le sue variazioni nel tempo. A questo scopo gli inventari debbono essere periodicamente aggiornati e vanno a costituire una importante rete di monitoraggio permanente in grado di fornire risultati con validità statistica. La superficie territoriale italiana ammonta a circa 300.000 Km² di cui un terzo circa è occupato da aree boscate. Gli ecosistemi forestali sono importanti per la conservazione della flora e della fauna, forniscono materia prima rinnovabile, offrono protezione dai pericoli naturali agli insediamenti e alle infrastrutture e servono da spazio per il tempo libero. I boschi, come tutte le altre formazioni vegetali, fissano l'anidride carbonica contribuendo al riequilibrio del ciclo del carbonio, fortemente alterato dalle attività umane, e la trasformano in una risorsa straordinaria: il legno. | |
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