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10 dicembre 2019 - Parere CIVILE
365 messaggi, letto 52189 volte

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Da: è lei sino ad ora solo fake10/12/2019 14:03:23
Secondo l'ordinanza n. 938 del 17.01.2018 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, l'appalto viene identificato dalla combinazione dell'indice dell'assunzione del rischio di impresa e di quello della "etero direzione", assumendo la valutazione di quest'ultimo rilievo preminente; la sussistenza di tali requisiti è necessaria per dimostrare che non si tratti di somministrazione irregolare.

Il fatto affrontato

A seguito di visita ispettiva della Guardia di Finanza - rilevata la "non genuinità" del contratto di appalto di servizi e riqualificato il relativo rapporto in somministrazione illecita di manodopera- era stato emesso un avviso di accertamento per il recupero dell'IVA illegittimamente detratta e della maggior IRAP dovuta. Avverso tale avviso di accertamento la società contribuente proponeva ricorso, accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale e confermato dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sulla base della legittimità del contratto di appalto, stante la sussistenza in capo all'appaltatore della gestione organizzativa del personale, reputato elemento qualificante di per sé l'assunzione, in capo al medesimo, del rischio d'impresa.

L'Ordinanza

La Corte di Cassazione - con motivazione semplificata ex art. 375 c.p.c. - in riforma della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, ha ritenuto fondato il ricorso dell'Agenzia dell'Entrate per difetto di motivazione integrante il vizio di falsa applicazione della legge, essendo mancata la chiara verifica della sussistenza di tutti i presupposti che potevano giustificare la qualificazione del rapporto in termini di appalto di servizi.

La Suprema Corte ha infatti ricordato come l'individuazione della fattispecie astratta derivi dalla nozione di appalto come definita dall'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 vigente all'epoca dei fatti, a norma del quale " il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa".

Dunque la Suprema Corte - nel richiamare la propria precedente decisione (Cass. n. 18808/2017) - ha confermato come la sussistenza dell'appalto sia identificata, in virtù dell'art. 29 cit., dalla combinazione dell'indice dell'assunzione del rischio d'impresa e di quello della c.d. "etero direzione", assegnando però a quest'ultimo rilievo preminente rispetto al primo, dovendosi reputare necessaria ai fini dell'appalto soltanto l'organizzazione ad impresa dell'appaltatore (senza che sia indispensabile che lo stesso sia munito dei requisiti dell'imprenditore).

Viene quindi ribadito il principio di diritto che individua la chiave di volta della disciplina dell'appalto nella c.d. "etero direzione", per cui l'appaltatore non solo organizza, ma anche dirige i dipendenti, utilizzandoli in prima persona.

In ragione di tale principio la Corte ha cassato la sentenza della C.T.R. che - nel ritenere dirimente la sola questione relativa alla sussistenza del rischio di impresa (reputato elemento derivante dalla gestione organizzativa del personale) e assorbendo gli ulteriori elementi istruttori - ha mancato di verificare se vi fosse la concreta "etero direzione" dei lavoratori da parte della società appaltatrice.
Rispondi

Da: Eccolaaaa10/12/2019 14:03:47
Il riferimento è la 17821
Rispondi

Da: Allifax10/12/2019 14:05:17
Ma sulla seconda traccia ??
Rispondi

Da: Hope 234510/12/2019 14:05:46
Ragazzi, se una sede al momento è schermata credete che non ci sia possibilità di collegarsi con chi è all'interno fino alla fine della prova?
Rispondi

Da: Araba fenice 10/12/2019 14:06:02
Quindi potrebbe essere resp precontrattuale per recesso ingiustificato dalle trattative avendo ingenerato affidamento sulla conclusione delle stesse?
Rispondi

Da: Gio10/12/2019 14:06:26
Si infatti, per questo ho dei dubbi.
Rispondi

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Da: Araba fenice 10/12/2019 14:06:28
Quindi potrebbe essere resp precontrattuale per recesso ingiustificato dalle trattative avendo ingenerato affidamento sulla conclusione delle stesse?
Rispondi

Da: Re 10/12/2019 14:06:49
Sapete a che ora consegna Napoli?
Rispondi

Da: Lieve85-Napoli 10/12/2019 14:08:45
raga orario consegna napoli???
Rispondi

Da: peppiniello10/12/2019 14:09:25
7 ore dalle 12.10
Rispondi

Da: OK10/12/2019 14:09:30
Cassazione civile sez. III, 12/07/2018, n.18326
Leasing: la clausola di recupero del bene e dell'intero importo concesso in caso di inadempimento dell'utilizzatore può risultare eccessiva
In tema di leasing, le clausole che attribuiscono alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento e in più la proprietà e il possesso del bene, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli di cui essa aveva diritto, potendo configurare un assetto convenzionale manifestamente eccessivo rispetto all'interesso del creditore di cui all'art. 1384 c.c..
___________
La Corte territoriale ha infatti ritenuto infondate le doglianze dell'appellante in ordine alla pretesa omessa pronuncia sull'eccezione di nullità di una clausola contrattuale per asserito contrasto con la norma imperativa in tema di vendita con riserva di proprietà ex art. 1525 c.c., oltre al fatto che il contratto in oggetto costituisse un c.d. leasing traslativo al quale è applicabile analogicamente l'art. 1526 c.c. in caso di risoluzione contrattuale.
Avverso tale decisione il soccombente ha adito la Corte di Cassazione adducendo la violazione dell'art. 1526 c.c. che, a suo dire, sarebbe stato considerato dai Giudici di merito come facoltativo, a fronte della sua portata asseritamente imperativa.
Il controllo del Giudice sulle penali manifestamente eccessive. Rigettando il ricorso, gli Ermellini hanno precisato che, per costante giurisprudenza di legittimità, l'applicazione in via analogica della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1526 c.c. al leasing traslativo, una volta che il rapporto contrattuale una volta che il rapporto contrattuale sia stato in tal senso qualificato, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, ma inderogabile, comportando in linea generale, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, la restituzione dei canoni corrisposti salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell'utilizzo dei beni tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi, oltre al risarcimento dei danni.
Inoltre, i Giudici hanno altresì precisato che la clausola di irripetibilità dei canoni riscossi dal concedente, la cui previsione convenzionale è contemplata dallo stesso art. 1526 c.c., comma 2, con eventuale facoltà per il giudice di ridurre l'indennità convenuta 'secondo le circostanze', è da qualificarsi come clausola penale essendo volta alla predeterminazione del danno risarcibile nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore e che l'operatività della penale medesima sia rimessa esclusivamente all'iniziativa di parte.
Ne discende che le clausole che attribuiscono alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento e in più la proprietà e il possesso del bene, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli di cui essa aveva diritto, potendo configurare un assetto convenzionale manifestamente eccessivo rispetto all'interesse del creditore di cui all'art. 1384 c.c..
In tale contesto, il controllo da parte del Giudice consiste nel comparare il vantaggio che la penale assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto; al fine di evitare che clausole penali nel contratto di leasing traslativo attribuiscano al concedente vantaggi eccessivi sono state indicate correzioni convenzionali le quali consentano all'utilizzatore inadempiente o il diritto di recuperare proprietà e disponibilità del bene oggetto di leasing in termini prestabiliti e precisi, ovvero il diritto di imputare il valore del bene alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere.

Rispondi

Da: ORARIO DI CONSEGNA A ROMA?10/12/2019 14:11:24
ORARIO DI CONSEGNA A ROMA?
Rispondi

Da: Sailor098  1  - 10/12/2019 14:11:28
Sempre i campani a fare queste cose comunque... bravi bravi che negli ultimi due anni avete raggiunto il record delle bocciature. Continuate a copiare da mininterno invece di studiare.
Rispondi

Da: paolaa8508  1  - 10/12/2019 14:12:22
in realtà non è vero: il prezzo è indicato a corpo (non pare ci sia indicazione di modalità di pagamento, nè termini entro i quali effettuare i versamenti) e relativamente alle date, vi è solo una indicazione di un periodo entro il quale svolgerli, tanto che è solo con la mail di accettazione delle modifiche che viene comunicata la data nella quale Caio si rende disponibile a cominciare i lavori
Rispondi

Da: SILENZIO6310/12/2019 14:13:49
la data in cui si rende disponibile Caio non é stata successivamente accettata da sempronio!!!
Rispondi

Da: SILENZIO6310/12/2019 14:14:56
le date del contratto del 10.10.2019 restano quelle di inizio 15.11.2019 e 31.1.2020.
Rispondi

Da: OK10/12/2019 14:16:42
Cassazione civile sez. II, 06/06/2017, n.14006
Individuazione dei criteri per distinguere tra documento preparatorio e preliminare di un contratto
Per valutare se l'intesa raggiunta tra le parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto oppure un documento con funzione meramente preparatoria di un negozio futuro, il giudice può far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli art. 1362 e ss. c.c.. L'accertamento dovrà interessare non solo il "nomen iuris" e la lettera dell'atto ma anche la volontà negoziale delle parti in relazione sia al comportamento tenuto, sia alla disciplina che dettata.
__________________
In applicazione dei criteri ermeneutici di cui all'art. 1362 c.c., il documento per cui è causa deve essere qualificato quale semplice preventivo dei lavori e non anche come atto avente contenuto negoziale.
Si osserva al riguardo che, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima - consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti - è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all'art. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda - concernente l'inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente - risolvendosi nell'applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità (Cass. 420/2006).
Del pari costituisce accertamento riservato all'apprezzamento del giudice di merito, che non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione, valutare se l'intesa raggiunta abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto ovvero un documento con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio. Per tale valutazione, ben può il giudice far ricorso ai criteri interpretativi dettati dall'art. 1362 c.c. e segg., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d'interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del "nomen iuris" e della lettera dell'atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre (Cass. 2720/2009).
Orbene, nel caso di specie il Tribunale non si è limitato a dare rilievo al nomen iuris di "preventivo" attribuito dalle parti alla scrittura, ma ha evidenziato la mancanza di una descrizione analitica di tempi e modalità dell'esecuzione dell'opera e di pagamento del corrispettivo, nonché di espressioni idonee ad evidenziare, in modo univoco, il sorgere del reciproco sinallagma contrattuale, ritenendo al riguardo irrilevante la mera sottoscrizione del preventivo da parte del committente, non accompagnata da alcuna espressione da cui potesse desumersi l'assunzione di una vera e propria obbligazione.
Rispondi

Da: uff10/12/2019 14:24:10
Sapete a che ora hanno dettato a roma?
Rispondi

Da: pepy85 10/12/2019 14:24:42
L'art.1526 sulla vendita con riserva di proprietà si applica solo alla risoluzione per inadempimento, non a quella consensuale (Cassazione, sentenza n. 27999/2019)
Rispondi

Da: Tenax8810/12/2019 14:25:08
Orario consegna Roma?
Rispondi

Da: Re 10/12/2019 14:26:08
In risposta a Sailor098 che insulta i campani.. Io sono la sorella di un candidato e volevo semplicemente notizie sull'orario di consegna dei ragazzi
Rispondi

Da: ORARIO DI CONSEGNA A ROMA?10/12/2019 14:27:09
ORARIO DI CONSEGNA A ROMA? E' IMPORTANTE DARE QUESTA INFO, GRAZIE A TUTTI
Rispondi

Da: Ecco le sentenze10/12/2019 14:27:40
Parere 1 = Cass. 18326/2018
Parere 2 = Cass. 14006/2017
Questioni e sentenze su G i u r i c i vi l e
Rispondi

Da: Stella neroazzurra10/12/2019 14:30:22
Non sono solo i campani. Se non vuoi aiutare, trovati un lavoro e non rompere gli zebedei.
Rispondi

Da: Luisa 9310/12/2019 14:31:50
Parere 2: Cass.16404/17 auguri a tutti
Rispondi

Da: Luisa 9310/12/2019 14:37:21
La sentenza Cass. 14006/2017 non è pertinente perchè il preventivo è stato modificato da Sempronio ed accettato da Caio nel nuovo prezzo
Rispondi

Da: OK10/12/2019 14:49:51
L'applicazione in via analogica della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1526 c.c. al leasing traslativo, una volta che il rapporto contrattuale sia stato in tal senso qualificato, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, ma inderogabile, comportando in linea generale, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, la restituzione dei canoni corrisposti salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell'utilizzo dei beni tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi, oltre al risarcimento dei danni.

La clausola di irripetibilità dei canoni riscossi dal concedente, la cui previsione convenzionale è contemplata dallo stesso art. 1526 c.c., comma 2, con eventuale facoltà per il giudice di ridurre l'indennità convenuta "secondo le circostanze", è da qualificarsi come clausola penale in quanto volta alla predeterminazione del danno risarcibile nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore e che l'operatività della penale medesima è rimessa esclusivamente all'iniziativa di parte.

l'art. 1526 c.c., in materia di vendita con riserva di proprietà, costituisce norma inderogabile e applicabile in via analogica al leasing traslativo (cfr. Cass., n. 2909/1996; Cass., n. 19732/2011; Cass., n. 192272/2014). Con la conseguenza che, in caso di inadempimento dell'utilizzatore, il concedente è tenuto alla restituzione dei canoni percepiti, salvo il riconoscimento di un equo compenso, in ragione dell'utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento, senza ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi, oltre al risarcimento dei danni.
La Corte enuncia poi un importante chiarimento in ordine ai presupposti per l'applicazione della clausola di irripetibilità dei canoni riscossi dal concedente di cui al comma 2 del medesimo art. 1526 c.c.. In presenza di tale previsione convenzionale, al giudice è attribuita, per legge, la facoltà di ridurre l'indennità convenuta della parti "secondo le circostanze". A riguardo, la Corte ritiene di essere alla presenza di una vera e propria clausola penale «in quanto volta alla predeterminazione del danno risarcibile nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore», la cui operatività è rimessa esclusivamente all'iniziativa di parte (cfr. Cass., n. 19272/2014).
Da ciò deriva - secondo la Cassazione - che tale previsione deve essere valutata dal giudice alla stregua dei criteri di cui all'art. 1384 c.c.. E quindi «le clausole che attribuiscono alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento e in più la proprietà e il possesso del bene, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli di cui essa aveva diritto»; con la conseguenza che esse finiscono per «configurare un assetto convenzionale manifestamente eccessivo rispetto all'interesse del creditore di cui all'art. 1384 c.c.». Se ne conclude, allora, che al giudice sia dato il potere di ridurre l'indennità pattuita dalle parti.
Ciò premesso, la Corte precisa, infine, quali siano i criteri di valutazione del carattere manifestamente eccessivo della penale: il giudice è tenuto a comparare il vantaggio che il contraente adempiente effettivamente realizza con il margine di gaudagno che mirava legittimamente a conseguire dalla regolare esecuzione del contratto.
Al fine di evitare che il giudice possa ridurre l'indennità convenuta, le parti hanno, però, la possibilità di temperare la penale con delle correzioni convenzionali, prevedendo, a favore dell'utilizzatore inadempiente, o il diritto di recuperare la proprietà e il possesso del bene in termini prestabiliti o il diritto di imputare il valore del bene alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Cassazione conferma la corretta applicazione, da parte dei giudici di appello, dell'art. 1526 c.c. rispetto alla fattispecie in esame, chiarendo che l'operatività non "automatica" di quella disposizione sottenda non il carattere facoltativo della stessa, stante la sua inderogabilità, quanto, piuttosto, la necessità di valutare in concreto la clausola penale concordata tra le parti. Circostanza, ques'ultima, che nel caso di specie risulta comprovata sia dalla sottoscrizione da parte dell'utilizzatore, sia dal fatto che questi non era uno "sprovveduto", trattandosi di un legale libero professionista.
Rispondi

Da: thullio10/12/2019 14:52:31
Traccia n. 2
Al fine di delineare la linea difensiva più utile a tutelare la posizione di Sempronio giova brevemente richiamare i principi di diritto applicabili alla fattispecie in esame, e per quel che qui interessa, gli articoli 1326 cc, che disciplina l'ipotesi della conclusione del contratto, e l'art. 1671 cc che disciplina il cosiddetto "Diritto di recesso".
La norma di cui all'art 1326 cc espressamente prevede che il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione della controparte.
La proposta è l'atto di iniziativa per la conclusione del contratto; l'accettazione, invece, è l'atto di adesione al contenuto della proposta. Prima della conclusione del contratto, la proposta e l'accettazione possono produrre soltanto effetti espressamente previsti dalla legge.
La proposta e l'accettazione sono delle dichiarazioni di volontà unilaterali recettizie che portano alla formazione del contratto, contribuendo alla realizzazione dell'accordo con il quale le parti costituiscono, modificano o estinguono dei rapporti giuridici patrimoniali.
Secondo alcuni interpreti si tratta di atti negoziali, secondo altri di atti prenegoziali.
Ai sensi di quanto disposto dal primo comma dell'articolo 1326 del codice civile, il contratto deve ritenersi concluso quando la parte che ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra.
Va tuttavia precisato che la proposta e l'accettazione sono sufficienti alla conclusione del contratto solo in caso di contratto consensuale. Per il contratto reale, invece, è necessaria anche la dazione del bene.
In ogni caso la proposta e l'accettazione si intendono conosciute quando giungono all'indirizzo del destinatario, a meno che questi non provi di essere stato nell'impossibilità di averne notizia senza sua colpa.
Il destinatario della proposta non ha un tempo illimitato per l'accettazione ma deve provvedervi in maniera tale che il suo atto giunga al proponente nel termine che questi ha stabilito o nel termine ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi.
Il proponente può comunque ritenere efficace l'accettazione tardiva, ma, se lo fa, ne deve dare immediato avviso all'altra parte. Sulle conseguenze del mancato avviso la dottrina è tuttavia divisa: secondo alcuni si tratterebbe di mancato rispetto di un onere, che impedisce, quindi, la formazione del contratto; secondo altri si tratterebbe di mancato rispetto di un obbligo, che, invece, lascia salvi gli effetti del contratto e dà solo titolo al risarcimento del danno.
L'accettazione deve essere conforme alla proposta, se differisce equivale ad una nuova proposta.
Nel caso in esame Caio si dichiarava disponibile ad eseguire i lavori all'uopo necessari per un importo complessivo di euro  45.000,00.
Sempronio ricevuta la proposta da Caio appone a penne alcune modifiche indicando il corrispettivo dovuto di euro  35.000,00 precisando che i lavori avrebbero dovuto iniziare entro il 18 novembre 2019 ed avrebbero dovuto concludersi entro il 30 gennaio 2020.
Caio ricevuta la controproposta dichiara di accettare le nuove condizioni e si rende disponibile ad iniziare i lavori già dal 18 ottobre.
Così precisati i termini della questione non può sorgere dubbio alcuno che in data 10/10/19 tra le parti si è perfezionato un contratto di appalto relativo alla esecuzione dei lavori necessari per la ristrutturazione dell'appartamento per il corrispettivo di euro  35.000,00.
L'appalto è il contratto con il quale la parte assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
Interpretando l'articolo in esame si evince che l'appalto è un contratto bilaterale consensuale e a titolo oneroso con il quale una parte chiamata "appaltatore" si impegna nei confronti di un'altra parte nominata "appaltante" o "committente".
Oggetto dell'appalto stante al tenore dell'art. 1655 cc può essere sia il compimento di un'opera sia il compimento di un servizio.
Nel caso in esame, l'oggetto del contratto deve ritenersi il compimento dei lavori di ristrutturazione da parte di Caio dell'immobile dell'appartamento di Sempronio.
Acclarata quindi la conclusione del contratto di appalto in data 10/10/19 Sempronio comunica di voler annullare la propria commissione ed invita Caio a non dare via alle opere.
La comunicazione effettuata da Sempronio a Caio va qualificata come recesso dal contratto ai sensi dell'art. 1671 cc.
La norma prevede che il committente può recedere dal contratto anche se è stata iniziata dell'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio purché tenga indenne l'appaltatore dalle spese sostenute dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno.
Il recesso di cui alla norma in commento è ad nutum e non necessita di giustificazione.
Ne consegue che la stessa ha ad oggetto un diritto potestativo il cui esercizio è riservato alla libera determinazione del recedente e sottratto al controllo di terzi e dell'appaltatore senza che assumano rilievi i motivi che lo hanno determinato.
L'appaltatore non può opporsi al diritto di recesso del committente in quanto si tratta di un diritto potestativo.
Il diritto al recesso non viene meno se il committente è inadempiente.
Il recesso preclude al recedente la possibilità di domandare la risoluzione ed è esercitabile a prescindere da quali siano l'importanza e la gravità dell'inadempimento.
Nel caso in esame Sempronio ha inteso esercitare, legittimamente, il diritto previsto e disciplinato dall'art 1671cc.
La richiesta di Caio con la quale imputa a Sempronio un presunto inadempimento degli obblighi contrattuali con la richiesta di pagamento del corrispettivo pattuito a titolo di ristoro del danno per la mancata esecuzione del contratto deve ritenersi priva di giuridico fondamento.
Stante la legittimità del recesso, contrariamente all'assunto di Caio, lo stesso non può pretendere da Sempronio il corrispettivo del contratto ma solo l'indennizzo delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.
Essendo stato il recesso comunicato a distanza di solo 5 giorni dalla conclusione del contratto, Sempronio non ha diritto all'indennità relativa alle spese sostenute ed ai lavori eseguiti, ma solo quelle relative al mancato guadagno che non è automatico.
Per giurisprudenza pacifica della Suprema Corte  in ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto di appalto ai sensi dell'articolo 1671 c.c. grava sull'appaltatore che chiede di essere indennizzato dal mancato guadagno l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguito con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva comunque per il committente la facoltà di provare che l'interruzione dell'appalto non ha impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato guadagni diversi.
Alla stregua dei principi di diritti sopra evidenziati può senz'altro affermarsi, che nel caso di un'azione giudiziaria da parte di Caio nei confronti di Sempronio per ottenere il pagamento dell'intero corrispettivo del contratto di appalto, quest'ultimo possa legittimamente resistere alla relativa domanda eccependo tra l'altro il difetto di prova del mancato guadagno.
Rispondi

Da: OK10/12/2019 14:56:05
Per la Cassazione dire "Ok il preventivo mi va bene e lo accetto sottoscrivendolo" e' cosa diversa dal dire "Ok il preventivo mi va bene e sottoscrivendolo concludo un contratto". Questa differenza va valutata caso per caso in ragione di quanto scritto in quel documento.
Rispondi

Da: spolaus 10/12/2019 14:57:01
Soluzione proposta - Parere Civile Nr. 2
L'imprenditore edile Caio, venuto a conoscenza che l'amico sempronio ha intenzione di ristrutturare l'appartamento in cui abita, si dichiara disponibile a eseguire personalmente i lavori all'uopo necessari e predispone un preventivo per il complessivo importo di 45000 euro.

Sempronio, ricevuto brevi manu il preventivo, vi appone a penna alcune modifiche, indicando il corrispettivo di 35000 euro e precisando che i lavori avrebbero dovuto iniziare entro il 15 novembre 2019 e avrebbero dovuto concludersi entro il 31 gennaio 2020. Lo stesso Sempronio riconsegna poi a Caio il documento così modificato.

Dopo alcuni giorni, in data 10 ottobre 2019, Caio invia a Sempronio una email regolarmente ricevuta dal destinatario con la quale dichiara di accettare le nuove condizioni e si rende disponibile a iniziare i lavori già dal 18 ottobre.

Con successiva email del 15 ottobre 2019, Sempronio comunica però di voler annullare la propria commissione e invita Caio a non dare avvio alle opere.

Qualche tempo dopo, però, Sempronio riceve una lettera da parte di Caio nella quale questi, lamentando l'inadempimento agli obblighi contrattuali, chiede la corresponsione della somma di euro 35.000 a titolo di ristoro del danno conseguente alla mancata esecuzione del contratto.

Sempronio si rivolge dunque a un legale per conoscere quale posizione assumere nei confronti dell'altrui pretesa creditoria.

Il candidato, assunte le vesti del legale di sempronio, rediga un parere motivato, illustrando le questioni sottese al caso in esame e indicando la linea difensiva più utile a tutelare la posizione del proprio assistito.

La traccia in questione impone l'analisi di tre distinte questioni: 1) stabilire il momento di conclusione del contratto tra Caio e Sempronio; 2) definire la legittimità o meno del recesso esercitato da Sempronio; 3) quantificare l'eventuale somma dovuta da Sempronio a Caio e definire il riparto dell'onere probatorio.

Procedendo nell'ordine logico individuato, con riferimento alla questione sub 1) si evidenzia anzitutto che, ai sensi dell'art. 1326 c.c., il contratto si intende concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione della controparte.

Tuttavia, l'art. 1335 c.c. stabilisce che proposta, accettazione e revoca delle stesse si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, salvo che quest'ultimo non provi di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne conoscenza.

Tale articolo introduce, pertanto, al fine di mitigare l'eccessiva rigidità del 1326 c.c., una vera e propria "presunzione di conoscenza", valida per qualsiasi dichiarazione recettizia, ed opta dunque per il principio della c.d. "conoscibilità" della dichiarazione in luogo dell'effettiva conoscenza.

L'art. 1326, ult. co. c.c. stabilisce, poi, che "un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta", ponendo in luce la necessità che le due manifestazioni di volontà (quella del proponente e quella dell'oblato) coincidano.

Applicando i principi in esame alla traccia emerge come Sempronio, dopo aver ricevuto il preventivo pari ad euro  45.000 dall'amico Caio, provvedeva ad appore delle modifiche allo stesso, che interessavano, tra le altre cose, il prezzo finale dell'opera.

Tale circostanza si sostanziava, in effetti, in una vera e propria "nuova proposta" ai sensi dell'art. 1326, ult. co, che Sempronio indirizzava all'amico Caio.

In data 10.10.2019, quest'ultimo inviava una mail al primo con la quale affermava espressamente di accettare le modifiche apportate dall'amico e, in questa sede, si concludeva quindi il contratto tra i due soggetti.

Quanto alle modalità con la quale l'accettazione veniva inviata - "tramite email" - si sottolinea come la giurisprudenza sia concorde nel ritenere che sia sufficiente che il recapito in questione rientri nel dominio del destinatario (Cass. civile n. 2600/1982), non richiedendo alcun requisito ulteriore. Non vi sono dubbi che l'indirizzo elettronico in questione integri tutti i requisiti normalmente considerati idonei dagli interpreti al fine di far scattare la predetta presunzione relativa.

Invece, la generica affermazione di Caio per la quale questo "si rende disponibile a iniziare i lavori già dal 18 ottobre" non può ritenersi una nuova proposta. Tuttavia, qualora si ritenesse tale, dovrebbe concludersi che il contratto non si sarebbe mai perfezionato.

Quanto alla questione sub 2), è necessario fare riferimento all'art. 1671 c.c., il quale - in tema di appalto - prevede una facoltà di recesso ad nutum in capo al committente, anche nel caso l'opera si già stata iniziata.

Tale norma, come correttamente osservato dalla giurisprudenza, data l'ampiezza della sua formulazione, conferisce al committente il diritto di porre fine al rapporto "per qualsiasi ragione"; non è infatti configurabile un diritto dell'appaltatore a proseguire nell'esecuzione dell'opera, avendo egli diritto solo all'indennizzo previsto dalla detta norma e comunque rispondendo il compimento dell'opera esclusivamente all'interesse del committente (così Cass. civ. 11642/2003).

Resta, dunque da risolvere la questione sub 3) e quantificare per l'effetto la somma eventualmente dovuta da Sempronio a Caio.

In questo senso, si osserva come il menzionato articolo 1671 c.c. preveda espressamente che - a fronte dell'esercizio del legittimo diritto di recesso ivi prescritto - l'appaltatore avrà diritto alle spese sostenute, ai lavori eseguiti e al mancato guadagno.

Pertanto, appare evidente come la richiesta di Caio, pari all'intero prezzo pattuito, non possa considerarsi legittima.

Al contrario, la giurisprudenza sostiene che il giudice debba determinare a tal fine "l'utile netto conseguibile fino al giorno in cui il rapporto avrebbe dovuto avere normale svolgimento, con la esecuzione delle opere appaltate". Tale utile deve calcolarsi attraverso la definizione della "differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere stesse, previa determinazione della quota di spese generali, dei costi di ammortamento etc…" (Così Cass. civ., n. 16404/2017).

Infine, quanto al riparto dell'onere, si osserva come la prova dell'ammontare dell'utile netto gravi sull'appaltatore (Caio), che richiede di essere indennizzato del mancato guadagno (Così Cass. civ. n. 8853/2017).

In conclusione, dunque, nonostante si ritenga concluso il contratto al momento della ricezione della mail di Caio da parte di Sempronio (in applicazione del principio di "conoscibilità" sopra menzionato), il recesso di quest'ultimo deve ritenersi legittimo, in quanto tale facoltà è espressamente prevista ai sensi dell'art. 1671 c.c..

Per l'effetto, la richiesta di Caio deve ritenersi eccessiva nel suo ammontare in quanto, come stabilito dalla stessa norma egli non avrebbe diritto all'intero interesse positivo (ai sensi degli artt. 1218 c.c. e seguenti) ma di un mero indennizzo, da quantificarsi nei termini di cui sopra.

Qualora, al contrario, si ritenesse il predetto contratto non concluso - ritenendo che quella di Caio un'ulteriore "nuova proposta" - potrebbe configurarsi una responsabilità di natura precontrattuale, ai sensi dell'art. 1337 c.c.. In tal caso dovrebbe ritenersi risarcibile, quindi, il solo interesse negativo.
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