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14 dicembre 2017: Atto giudiziario PENALE
384 messaggi, letto 26837 volte

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Da: avv.7514/12/2017 13:44:49
Derubricazione a lesioni aggravate in quanto manca l'animus necandi (e per tutto quello che afferma la sent n. 35091/2017.
Vi è anche la desistenza volontaria perché pur potendolo colpire a terra, non lo fa (quindi cmq vi è derubricazione)
Applicazione delle circostanze attenuanti comuni perché ha agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui.
Vi trovate? va aggiunto altro?

attenuanti generiche e stop
Rispondi

Da: berzacla 14/12/2017 13:45:15
http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2017/12/14/ESAME-AVVOCATO-2017-Verso-i-risultati-terza-prova-l-atto-giudiziario-ultime-notizie-/797150/ anche qui al nord si imbroglia cari principi del foro dei luoghi comuni
Rispondi

Da: mariolina87 14/12/2017 14:07:44
a che ora la consegna a Napoli e Roma?
Rispondi

Da: roby-----8214/12/2017 14:15:14
la recidiva non va esclusa..va applicata ma sul reato di lesioni.
vi trovate?
Rispondi

Da: UEUEUEUUE14/12/2017 14:17:03
soluzioni ?
Rispondi

Da: In culo14/12/2017 14:23:08

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO  Silvio
Dott. DE MASI    Oronzo
Dott. MOCCI      Mauro
Dott. DI NICOLA  Vito
Dott. GAI        Emanuela -  rel. Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:
                     sentenza
sul ricorso proposto da:
-  Presidente   -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
1.
2.
3.
4.
avverso la sentenza del 03/03/2015 della Corte d'appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Emanuela Gai;
udito   il  Pubblico  Ministero,  in  persona  Sostituto  Procuratore
generale  Dr. Baldi Fulvio che ha concluso chiedendo il  rigetto  dei
ricorsi;
udito  per l'imputato     B. l'avv. Adami Giovanni che ha  concluso
chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 3 marzo 2015, la Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato la condanna inflitta a B. V., G.T., D.G.I., in relazione al reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis e comma 6, art. 80, comma 2 e D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, in relazione all'acquisito, detenzione e trasporto di un ingente quantitativo, pari a Kg 18, di hashish, trasportato da (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009.
In particolare, il giudice di secondo grado ha rilevato, dopo aver richiamato per relationem le motivazioni della sentenza del Giudice di primo grado, che il giudizio di responsabilità penale nei confronti dei ricorrenti, in relazione all'acquisito, detenzione di un ingente quantitativo pari a Kg 18 di hashish, trasportato da Milano a Torre del Greco, luogo ove era stato custodito nel garage di BI.An., tra (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009, è fondato su solidi elementi di prova, come evidenziato dal primo giudice, costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I., capo dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco, e di C.F., suo braccio destro, dichiarazioni intrinsecamente attendibili perchè precise, dettagliate etero e anche autoaccusatorie, vicendevolmente riscontrate, e dalle risultanze delle operazioni di intercettazione telefonica che consentivano di ripercorrere tutte le varie fasi della vicenda, dal viaggio a Milano all'arresto del BI.An..
   B.V., nato a (OMISSIS);
BI.An., nato a (OMISSIS);
G.T., nato a (OMISSIS);
D.G.I., nato a (OMISSIS);
Nei confronti di tutti i ricorrenti la Corte d'appello ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante

di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, avendo costoro agito allo scopo di agevolare il clan camorristico D.G., la circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 per aver partecipato alla commissione del reato in numero superiore a tre, ed esclusa la configurabilità dell'ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e confermata la ritenuta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, in capo al D.G., ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato le condanne inflitte a B.V., G.T., D.G. I..
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi BI.An., personalmente; l'Avv. Sergio Mazzone, difensore di fiducia di D. G.I.; l'Avv. Giovanni Adami, difensore di fiducia di B.V.; l'Avv. Antonio Gravante, difensore di fiducia di G.T. e ne hanno chiesto l'annullamento per i seguenti motivi, in parte comuni a tutti i ricorrenti, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Il ricorrente BI.An. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza a carico del medesimo della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, non ricorrendone i presupposti applicativi non essendo neppure provata l'esistenza del clan camorristico D.G., e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione, non avendo, la corte territoriale, motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'applicazione della circostanza aggravante di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 6 non essendo provata in capo al ricorrente la conoscenza che il reato era stato commesso da persone in numero superiore a tre in concorso tra loro, non essendo sufficiente il mero dato storico della presenza di almeno tre persone.
Con il terzo e quarto motivo, deduce la violazione della legge penale in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. avuto riguardo al trattamento sanzionatorio ancorato quale pena base di anni cinque e dunque quasi al massimo edittale e la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistente recidiva specifica e infraquinquennale, in realtà insussistente essendo la sentenza, a cui si riferisce la contestata recidiva, passata in giudicato nel 2011 e dunque dopo il fatto, oggi giudicato del 2009, con conseguente illegittimo aumento di pena.
Con il quinto motivo deduce la violazione della legge penale con riferimento all'art. 240 c.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexsies e vizio di motivazione avendo la corte d'appello omesso di considerare le allegazioni difensive sulle fonti lecite e proporzionate di reddito di guisa che il provvedimento ablatorio è privo di motivazione.
2.2. Il difensore di D.G.I. deduce la violazione di legge in relazione alla corretta applicazione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 e il vizio di motivazione per non aver applicato nella massima estensione l'attenuante pur avendo affermato il rilevante apporto collaborativo del ricorrente sin dall'inizio delle indagini preliminari; la violazione di legge in relazione alla applicazione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. su cui non vi è alcuna risposta da parte del giudice d'appello, e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena avendo fatto semplice richiamo all'art. 133 c.p..
2.3. Il difensore di B.V. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza, a carico del medesimo, della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione sul punto, non avendo la corte territoriale motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente che è un soggetto totalmente estraneo all'organizzazione criminale, circostanza questa che richiede un maggior rigore nella verifica della stessa aggravante e puntuale e rigorosa motivazione, non potendo questa essere soddisfatta dall'affermazione del carattere oggettivo della circostanza medesima dovendo sempre verificarsi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, in capo al soggetto agente, la

consapevolezza ovvero l'ignoranza per colpa. Deduce, poi, la motivazione carente circa la sussistenza della citata aggravante perchè ritenuta sussistente sulla base di mere congetture (devono averlo messo al corrente della caratura criminale del D.G.) o circostanze contraddittorie (l'essersi presentato il B. armato all'incontro con il D.G.).
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale fondata su dichiarazioni prive di riscontro, ex art. 192 c.p.p., trattandosi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e stante l'assenza di intercettazioni dirette nei confronti del B. e l'omessa considerazione delle circostanze documentali che dimostrerebbero l'inattendibilità dei collaboratori di giustizia. In particolare sarebbero smentite le dichiarazioni rese da G.T. sulla presenza della moglie, unitamente al B., durante la visita del secondo a (OMISSIS), parimenti sarebbe smentita la dichiarazione circa il fatto che il B. fosse titolare di discoteche nell'hinterland milanese e gestore di un rent a car, su cui la corte non ha motivato congruamente. Lamenta poi il ricorrente l'omessa motivazione da parte della Corte d'appello della circostanza, emersa da un'intercettazione ambientale (che non risulta prodotta agli atti) registrata durante la traduzione dei detenuti G. e B. all'udienza, nella quale il primo avrebbe minacciato il secondo di fare "certe dichiarazioni", circostanza questa che inficia l'attendibilità del dichiarante le cui dichiarazioni frazionate richiederebbero un più penetrante giudizio e motivazione circa la sua attendibilità.
Con il terzo e quarto motivo deduce la violazione di legge in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena assestata in cinque anni e dunque prossima al massimo edittale di pena in assenza di perizia che attesti il principio attivo della sostanza stupefacente.
2.4. Il difensore di G.T. deduce la violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione del reato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per aver la corte d'appello escluso la riqualificazione con affermazioni generiche senza richiamo al tipo di sostanza stupefacente e il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena per avere la corte d'appello richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, per relationem, senza confutare le specifiche doglianze svolte nei motivi di appello.
Infine, deduce, il vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit per non aver la corte d'appello motivato sulla sussistenza in capo al ricorrente G. della circostanza in oggetto non potendo valere la motivazione riferita alla posizione degli altri ricorrenti.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Preliminarmente il Collegio evidenzia che l'istanza di rinvio di udienza per impedimento dell'avv. Gravante deve essere respinta atteso lo stato di detenzione in carcere dei ricorrenti e l'assenza di documentazione circa l'assoluto impedimento a comparire per concomitanti impegni professionali di cui non è dimostrata la precedenza dell'impegno rispetto all'odierno processo, così come risulta sfornita di prova l'impossibilità di nominare sostituti processuali.
5. Nel merito, va premesso che, secondo l'orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, è ammessa la motivazione del provvedimento con espresso richiamo per relationem alla motivazione di altro provvedimento, ancorchè non allegato o non trascritto nel provvedimento impugnato, purchè conosciuto o agevolmente conoscibile dall'interessato. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. Sez. U del 21/06/2000, n. 17 Primavera, Rv. 216664), hanno enucleato i requisiti necessari affinchè la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale possa essere considerata legittima, evidenziando che la motivazione: 1) deve fare riferimento, recettizio

o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua, adeguata rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) deve fornire la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve essere conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quantomeno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione, requisiti che sono stati ribaditi in pronunce più recenti sicchè deve ritenersi ormai principio consolidato quello della legittimità della motivazione per relationem in presenza dei requisiti sopra evidenziati.
Dunque, non è sufficiente il mero richiamo tout court all'altro provvedimento, ma è necessario che il giudice dia conto di aver preso in considerazione le censure mosse al provvedimento impugnato ed abbia dato congrua motivazione sul richiamo alla motivazione per relationem; dunque, dimostri una non supina ed immotivata adesione al precedente provvedimento. Del resto l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non può ritenersi soddisfatto dal mero richiamo posto che il giudice dell'impugnazione è tenuto ad esaminare le singole censure mosse da colui che impugna il provvedimento e a dare conto delle ragione per cui le stesse vengono disattese. Con la precisazione che qualora le censure sollevate siano mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni genetiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013 Autieri, Rv. 257056; sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008 Baretti, Rv. 239735).
Siffatto principio va riaffermato e condiviso, e va ribadito il principio secondo cui l'integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado è legittima e non comporta il vizio di motivazione, soltanto se nella sentenza d'appello sia riscontrabile un nucleo di argomentazione da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all'esame delle censure dell'appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice dovendo l'ambito dell'autonoma valutazione del giudice d'appello essere correlato alla consistenza e qualità delle censure mosse dall'appellante.
6. Ciò posto, deve preliminarmente esaminarsi, per ragioni logiche, il secondo motivo dedotto dalla difesa di B.V. di violazione di legge penale, processuale e vizio di motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente contestata in ragione della ritenuta inattendibilità dei dichiaranti.
La vicenda, come ricostruita dal giudice di primo grado e confermata dalla Corte d'appello, trae origine dal sequestro, avvenuto in data (OMISSIS), di Kg 18 di hashish nel garage nella disponibilità di BI.An. in (OMISSIS). Le successive indagini svolte e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I. e C.F. avevano, poi, delineato compiutamente l'episodio contestato consistito nell'acquisito della sostanza stupefacente in Milano da B.V. e G.T., stupefacente che poi era stato trasportato a Torre del Greco, ove, nel garage di BI. A., era stato ritenuto il 18 luglio del 2009. La corte territoriale riporta puntualmente il racconto dei collaboratori D. G.I. e C.F. (coimputato non ricorrente), protagonisti della vicenda in prima persona e dunque a conoscenza diretta dei fatti. Costoro si erano recati in Milano, in quanto il D.G. era alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, qui aveva trattato l'acquisito di droga (dapprima l'acquisito era di cocaina, mentre poi avevano concluso l'acquisto dell'hashish) dal fornitore milanese B.V., indicato da Z.G., originario di Torre del Greco ma trasferitosi nel milanese (coimputato non ricorrente); l'acquisto non venne immediatamente concluso in quell'occasione, tant'è che venne lasciata a Milano l'autovettura opportunamente modificata per consentire l'occultamento della droga. Successivamente il B. e il G. si erano recati in Torre del Greco ove il primo si erà fatto consegnare un orologio marca Rolex che il D.G. indossava, a titolo di acconto; era poi seguita la consegna dei

Kg 18 di hashish che il G. aveva consegnato al D.G. che, a sua volta, aveva consegnato al BI., uomo di fiducia del D.G., per l'occultamento. La corte territoriale ha argomentato l'attendibilità intrinseca dei dichiaranti che, in quanto partecipi in prima persona, erano a conoscenza diretta dei fatti, ed ha fondato il positivo giudizio di attendibilità sulla concordanza assoluta della narrazione delle circostanze fondamentali del viaggio e della trattativa che ha portato all'acquisito della sostanza stupefacente.
Ha messo in evidenza, la corte, che essendo il D.G. esponente di spicco dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco e il C. persona a lui vicina, erano una fonte particolarmente affidabile per la conoscenza diretta dei fatti. Ha ritenuto significativa la circostanza che i predetti non avevano avuto alcuna remora ad ammettere le proprie responsabilità nella vicenda, e dunque le dichiarazioni non erano solamente eteroaccusatorie. Infine ha individuato i riscontri esterni nelle risultanze delle operazioni di intercettazione che hanno fotografato la vicenda e nell'ammissione di alcuni imputati ( BI.An. e G.T.). Ha spiegato come le minime divergenze, quale il nome di battesimo errato del G. poi riconosciuto, non minassero l'attendibilità complessiva del racconto, ha argomentato con logicità sui rilievi mossi dalla difesa del B. circa l'assenza di accertamenti sulle discoteche del milanese, ritenuti non pertinenti e sulla presenza/assenza della di lui moglie anch'essa priva di rilievo decisivo. In conclusione, il percorso logico attraverso il quale i giudici del merito sono pervenuti all'affermazione della responsabilità dei ricorrenti per l'acquisito e trasporto dello stupefacente come contestato è congruo e logicamente motivato ed è conforme a diritto. Non sussiste, pertanto, il vizio di motivazione e la violazione di legge penale dedotto, quale secondo motivo, dalla difesa di B.V..
7. Le difese di BI.An., B.V., G. T. hanno dedotto, quale motivo comune, la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla ricorrenza dell'aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1, convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203. La difesa del BI. deduce, in particolare, l'omessa motivazione da parte della corte territoriale non essendo rinvenibile, in tutta la sentenza, alcun riferimento alle ragioni per le quali il BI. avrebbe agevolato l'associazione mafiosa. L'omessa motivazione è altresì dedotta dalla difesa del G.. La difesa del B. pone l'accento sulla circostanza che, essendo il ricorrente estraneo al clan D.G., la corte avrebbe dovuto argomentare con maggior rigore la sussistenza dell'aggravante nei suoi confronti, soprattutto con riguardo al profilo soggettivo dovendosi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, accertare se il B. fosse a conoscenza ovvero la ignorasse per colpa o la ritenesse per errore determinato da colpa.
8. Deve premettersi che ai ricorrenti è contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit. sotto il profilo della c.d.
agevolazione mafiosa. Non v'è dubbio che, a differenza dell'aggravante dell'uso del metodo mafioso, anch'essa contemplata nel citato art. 7, la prima debba essere qualificata quale circostanza soggettiva perchè incentrata su una particolare motivazione a delinquere desumibile dalla direzione finalistica della condotta, ossia dell'agevolare l'associazione mafiosa. Peraltro, in entrambe le ipotesi contemplate, la detta circostanza aggravante è applicabile in quanto conosciuta o ignorata per colpa o ritenuta insussistente per errore determinato da colpa (art. 59 c.p.), e, mentre la sola circostanza dell'uso del metodo mafioso, di natura oggettiva, si comunica ai concorrenti nel delitto anche quando questi ultimi non siano consapevoli della finalizzazione dell'azione delittuosa a vantaggio di un'associazione di stampo mafioso, quella dell'agevolazione mafiosa non si estende agli eventuali concorrenti nel reato ai sensi dell'art. 118 c.p..
Va, al proposito, evidenziato che la corte territoriale afferma la natura oggettiva della circostanza, in premessa, con richiamo di un arresto risalente al 2012; affermazione che non può essere condivisa alla luce della più recente e maggioritaria giurisprudenza della Corte di legittimità (Sez. 3, n. 36364 del 20 maggio 2015, Mancuso non massimata). In adesione al risalente orientamento argomenta la sussistenza dell'aggravante in capo a tutti gli imputati perchè, come riferito dai collaboratori di giustizia, l'acquisto di droga rientrava nella programmazione dell'attività del clan

camorristico D.G., e il G., originario di Torre del Greco, era perfettamente a conoscenza della caratura criminale del D.G. I. come riferito nel corso del suo interrogatorio. Quanto al B., argomenta la corte, che durante la permanenza in Milano del D.G. e dello Z., in occasione delle trattative volte all'acquisto di stupefacente, "costoro dovevano avere messo al corrente il primo della qualità di capo dell'omonimo clan del D. G.". Prova ne è che il B. si era recato all'appuntamento con il D.G. armato di pistola e quindi poteva rendersi conto della caratura criminale del D.G..
Tale motivazione è da censurare perchè in larga misura carente e assertiva, e comunque fondata su presupposti giuridici errati. Ciò che appare certo è che la finalità agevolatrice, perseguita dall'autore del delitto, deve essere oggetto di rigorosa verifica in sede di formazione della prova sotto il duplice profilo della prova della condotta agevolatrice ossia la prova che il reato sia stato commesso al fine specifico di favorire l'attività dell'associazione mafiosa (Sez. 2, n. 24753 del 09/03/2015, Rv. 264218; Sez. 1, n. 2667 del 30/01/1997 Rv. 207178) e la consapevolezza dell'ausilio all'associazione mafiosa o camorristica, sussistente anche qualora l'autore del reato persegua un ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso (Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262713), onde evitare il rischio della diluizione nella semplice contestualità ambientale. Come già affermato dalla Corte di legittimità, l'aggravante di cui al citato art. 7, postula che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, ed implica necessariamente l'esistenza reale e non più semplicemente supposta di questa, essendo impensabile un aggravamento di pena per l'agevolazione dell'attività di un'entità solo immaginaria. Ne consegue che l'aggravante in esame postula l'esistenza effettiva di una associazione avente i caratteri di cui all'art. 416 bis c.p. di cui deve essere data dimostrazione (Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013 BI., Rv 257240; Sez. 1, n. 1327 del 18/03/1994, Torcasio, Rv.
197430);a ciò non opponendosi la diversa pronuncia (Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Pagano Rv 260007) secondo cui l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, per la sua stessa natura giuridica, prescinde dalla effettiva sussistenza di una specifica associazione criminosa. Tale contrasto è, in realtà, solo apparente, posto che l'affermazione, riportata anche nella massima reperibile sul CED, è stata resa in un contesto nel quale la Corte di legittimità aveva affermato il principio secondo il quale l'aggravante può sussistere anche per l'estraneo al contesto mafioso che pone in essere un reato per agevolarne l'associazione che era nata da una scissione di un noto clan camorristico, anche se non ancora perfettamente autonoma da questo. La giurisprudenza di legittimità, infatti, dopo aver affermato il principio secondo cui un delitto aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7 può anche essere commesso da un soggetto non inserito in nessuna compagine associativa (Sez. 5, n. 45711 del 02/10/2003), ha sottolineato come la ratio dell'aggravante non è solo quella di aggravare la pena per l'affiliato che utilizzi metodi mafiosi ovvero agisca al fine di agevolare associazioni mafiose, ma anche di reprimere il comportamento di chi agisca con quello specifico metodo, ovvero dia un contributo al raggiungimento dei fini di un'associazione mafiosa pur non essendovi organicamente inserito.
Ciò che conta è la specifica finalità con cui si agisce da cui la configurabilità dell'aggravante anche nei confronti del reato commesso dall'estraneo al sodalizio criminoso.
Ciò posto, la corte territoriale, nell'affermare la natura oggettiva dell'aggravante in questione, ha disatteso i principi ermeneutici che il Collegio intende confermare e ribadire. Ha, poi, argomentato in maniera insufficiente la configurabilità dell'aggravante nei confronti dei ricorrenti fondata su affermazioni assertive - "devono averlo messo al corrente della qualità di capo dell'omonimo clan" - quanto alla posizione di B.V., soggetto estraneo all'associazione camorristica del D.G., e " G.T. e Z.G., originari di Torre del Greco, erano perfettamente al corrente della caratura delinquenziale del D.G.". Anche la circostanza che il B. andò all'incontro, con il D.G. armato non è, di pe sè, dimostrativa della conoscenza dell'appartenenza del D.G. ad un'associazione mafiosa, atteso che nell'incontro le parti trattavano l'acquisito di una partita di droga, reato non necessariamente costituente programma criminoso di un'associazione mafiosa. La sentenza impugnata va annullata sul punto nei confronti di G.T. e B.V.. Con riferimento alla posizione del B. la corte territoriale

dovrà compiere un novo esame attenendosi al principio secondo cui in tema di reati di criminalità organizzata, la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991, può qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un'associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale (Sez. 6, n. 2696 del 13/11/2008 P.M. in proc. D'Andrea, Rv. 242686).
Infine, nella sentenza impugnata non si rinviene un nucleo motivazionale con riguardo alla posizione di BI.An., custode della droga ricevuta dal D.G.. La motivazione in punto configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 7 cit. nei confronti del ricorrente è del tutto omessa. Anche per il BI. la Corte d'appello dovrà uniformarsi ai principi sopra evidenziati.
9. Con riferimento aì restanti motivi, osserva il Collegio che manifestamente infondata è la censura, mossa dal ricorrente BI. A., di inosservanza della legge penale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 avendo la corte territoriale fatto corretta applicazione del principio secondo cui in tema di sostanze stupefacenti, perchè possa sussistere l'aggravante del concorso di tre o più persone, occorre che ciascuno dei soggetti coinvolti agisca nell'ambito di una delle condotte previste per l'integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione, o altre), essendo, nel caso in esame, a ciascuno dei partecipi riconosciuto uno specifico ruolo ( B. offre in vendita, Z. intermedia, D.G. acquista e BI. detiene) (Sez. 6, n. 10269 del 21/11/2013 Metani Rv. 261719).
10. Manifestamente infondata è la doglianza proposta da G. T. sul mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, già prospettata nel giudizio di appello e ampiamente vagliata e disattesa dalla corte che ha fatto buon governo dei principii, più volte stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, anche all'esito della formulazione normativa introdotta dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2 (conv. nella L. n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (da ultimo, v. Sez. 3, n. 27064 del 19/03/2014, dep. 23/06/2014, Rv.
259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, dep. 26/09/2013, Rv.
256610). In applicazione di tale regula iuris, la corte d'appello ha correttamente ritenuto, confermando la decisione del giudice di primo grado, di escludere che la lesione del bene giuridico protetto fosse di lieve entità, facendo riferimento, con motivazione immune da vizi logico-giuridici in questa sede rilevabili, ai dati inerenti al dato ponderale significativo pari a Kg 18 di hashish, significativo di collegamenti con i fornitori ad un livello elevato, alla circostanza, inerente alle modalità dell'azione per cui il fatto complessivamente considerato desta elevato allarme sociale. In definitiva la sentenza impugnata ha, con motivazione adeguata, coerente e immune da vizio logico, escluso la ricorrenza di un fatto di lieve entità, e dimostra di aver autonomamente esposto le ragione del diniego, del che è da escludersi l'ulteriore censura dell'omessa motivazione.
11. Parimenti, manifestamente infondati sono i motivi in punto trattamento sanzionatorio, diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche svolti dal BI., G. e D.G..
Nei confronti del primo la corte d'appello ha rideterminato la pena riducendola, pur confermando il diniego di concessione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. con richiamo alla gravità del fatto e alla pericolosità desunti dai precedenti penali e dunque con motivazione immune da vizio logico; il G. si limita ad invocare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed il contenimento della pena inflitta sulla scorta di considerazioni del tutto generiche. Quanto al B. la

conferma del trattamento sanzionatorio è ancorata alla gravità del fatto e al ruolo del medesimo nella vicenda, elementi su cui fonda il diniego delle circostanze attenuanti generiche, dunque la motivazione è adeguata ed è incensurabile in sede di legittimità. Quanto al D.G. osserva la corte che non è possibile addivenire ad un trattamento sanzionatorio più mite giacchè il giudice di primo grado, nella determinazione della pena, aveva omesso l'aumento di pena per l'aggravante di cui alla L. n. 231 del 1991, art. 7, avendola elisa con l'attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 la cui misura, non nel massimo come vorrebbe il ricorrente, è legale e non presenta profilo di illogicità nella sua determinazione nel range previsto. Infine le circostanze attenuanti generiche al D. G. sono state concesse già dal giudice di primo grado.
Infine è inammissibile ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, perchè non devoluta nei motivi di appello, la dedotta violazione di legge con riferimento all'aumento di pena per la ritenuta recidiva in capo a BI.An..
12. Infine le doglianze contenute nel ricorso del BI. relative all'insussistenza dei presupposti dell'operata confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies sono in parte del tutto generiche ed in parte infondate. Va premesso che all'imputato, sono stati confiscati, ai sensi della L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, beni immobili e autovetture dei quali non ha giustificato la provenienza e di cui risulta avere la disponibilità, aventi un valore sproporzionato rispetto alle capacità reddituali sue e del suo nucleo familiare. La vicinanza del BI. al capo clan D.G., con cui era in affari di droga, e la circostanza che i redditi famigliari non avrebbero consentito gli acquisiti effettuati, sono elementi che la corte ha valutato per confermare il provvedimento di sequestro a fronte del quale il ricorrente oppone generiche affermazioni comprovanti le fonti di reddito lecite non supportate da documenti e/o altri elementi. La genericità del motivo rende lo stesso inammissibile.
13. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 nei confronti di BI. A., B.V. e G.T. con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
14. Il ricorso di D.G.I. deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di D.G.I. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di BI.An., B.V. e G.T. limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. 203 del 1991, art. 7 e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2016
Rispondi

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Da: Pena14/12/2017 14:53:53
Che pena per quelli che vengono qui a fare i moralisti e condannare chi copia dai forum. La pagliacciata è l'organizzazione dell'esame. Trovatevi un lavoro invece di venire qui a insultare e giudicare dall'altro delle vostre frustrate vite. Saluti
Rispondi

Da: Sezioni allineate14/12/2017 14:55:55
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione penale Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 13/01/2016
n. 9142
Classificazioni: CIRCOSTANZE DEL REATO - Circostanze speciali o a effetto speciale: delitti commessi al fine di agevolare un'associazione mafiosa o avvalendosene (art. 7 d.l. [152/91] con - v. in l. [203/91])
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO  Silvio
Dott. DE MASI    Oronzo
Dott. MOCCI      Mauro
Dott. DI NICOLA  Vito
Dott. GAI        Emanuela -  rel. Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:
                     sentenza
sul ricorso proposto da:
-  Presidente   -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
1.
2.
3.
4.
avverso la sentenza del 03/03/2015 della Corte d'appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Emanuela Gai;
udito   il  Pubblico  Ministero,  in  persona  Sostituto  Procuratore
generale  Dr. Baldi Fulvio che ha concluso chiedendo il  rigetto  dei
ricorsi;
udito  per l'imputato     B. l'avv. Adami Giovanni che ha  concluso
chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 3 marzo 2015, la Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato la condanna inflitta a B. V., G.T., D.G.I., in relazione al reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis e comma 6, art. 80, comma 2 e D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, in relazione all'acquisito, detenzione e trasporto di un ingente quantitativo, pari a Kg 18, di hashish, trasportato da (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009.
In particolare, il giudice di secondo grado ha rilevato, dopo aver richiamato per relationem le motivazioni della sentenza del Giudice di primo grado, che il giudizio di responsabilità penale nei confronti dei ricorrenti, in relazione all'acquisito, detenzione di un ingente quantitativo pari a Kg 18 di hashish, trasportato da Milano a Torre del Greco, luogo ove era stato custodito nel garage di BI.An., tra (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009, è fondato su solidi elementi di prova, come evidenziato dal primo giudice, costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I., capo dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco, e di C.F., suo braccio destro, dichiarazioni intrinsecamente attendibili perchè precise, dettagliate etero e anche autoaccusatorie, vicendevolmente riscontrate, e dalle risultanze delle operazioni di intercettazione telefonica che consentivano di ripercorrere tutte le varie fasi della vicenda, dal viaggio a Milano all'arresto del BI.An..
   B.V., nato a (OMISSIS);
BI.An., nato a (OMISSIS);
G.T., nato a (OMISSIS);
D.G.I., nato a (OMISSIS);
Nei confronti di tutti i ricorrenti la Corte d'appello ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante

di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, avendo costoro agito allo scopo di agevolare il clan camorristico D.G., la circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 per aver partecipato alla commissione del reato in numero superiore a tre, ed esclusa la configurabilità dell'ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e confermata la ritenuta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, in capo al D.G., ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato le condanne inflitte a B.V., G.T., D.G. I..
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi BI.An., personalmente; l'Avv. Sergio Mazzone, difensore di fiducia di D. G.I.; l'Avv. Giovanni Adami, difensore di fiducia di B.V.; l'Avv. Antonio Gravante, difensore di fiducia di G.T. e ne hanno chiesto l'annullamento per i seguenti motivi, in parte comuni a tutti i ricorrenti, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Il ricorrente BI.An. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza a carico del medesimo della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, non ricorrendone i presupposti applicativi non essendo neppure provata l'esistenza del clan camorristico D.G., e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione, non avendo, la corte territoriale, motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'applicazione della circostanza aggravante di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 6 non essendo provata in capo al ricorrente la conoscenza che il reato era stato commesso da persone in numero superiore a tre in concorso tra loro, non essendo sufficiente il mero dato storico della presenza di almeno tre persone.
Con il terzo e quarto motivo, deduce la violazione della legge penale in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. avuto riguardo al trattamento sanzionatorio ancorato quale pena base di anni cinque e dunque quasi al massimo edittale e la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistente recidiva specifica e infraquinquennale, in realtà insussistente essendo la sentenza, a cui si riferisce la contestata recidiva, passata in giudicato nel 2011 e dunque dopo il fatto, oggi giudicato del 2009, con conseguente illegittimo aumento di pena.
Con il quinto motivo deduce la violazione della legge penale con riferimento all'art. 240 c.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexsies e vizio di motivazione avendo la corte d'appello omesso di considerare le allegazioni difensive sulle fonti lecite e proporzionate di reddito di guisa che il provvedimento ablatorio è privo di motivazione.
2.2. Il difensore di D.G.I. deduce la violazione di legge in relazione alla corretta applicazione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 e il vizio di motivazione per non aver applicato nella massima estensione l'attenuante pur avendo affermato il rilevante apporto collaborativo del ricorrente sin dall'inizio delle indagini preliminari; la violazione di legge in relazione alla applicazione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. su cui non vi è alcuna risposta da parte del giudice d'appello, e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena avendo fatto semplice richiamo all'art. 133 c.p..
2.3. Il difensore di B.V. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza, a carico del medesimo, della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione sul punto, non avendo la corte territoriale motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente che è un soggetto totalmente estraneo all'organizzazione criminale, circostanza questa che richiede un maggior rigore nella verifica della stessa aggravante e puntuale e rigorosa motivazione, non potendo questa essere soddisfatta dall'affermazione del carattere oggettivo della circostanza medesima dovendo sempre verificarsi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, in capo al soggetto agente, la

consapevolezza ovvero l'ignoranza per colpa. Deduce, poi, la motivazione carente circa la sussistenza della citata aggravante perchè ritenuta sussistente sulla base di mere congetture (devono averlo messo al corrente della caratura criminale del D.G.) o circostanze contraddittorie (l'essersi presentato il B. armato all'incontro con il D.G.).
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale fondata su dichiarazioni prive di riscontro, ex art. 192 c.p.p., trattandosi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e stante l'assenza di intercettazioni dirette nei confronti del B. e l'omessa considerazione delle circostanze documentali che dimostrerebbero l'inattendibilità dei collaboratori di giustizia. In particolare sarebbero smentite le dichiarazioni rese da G.T. sulla presenza della moglie, unitamente al B., durante la visita del secondo a (OMISSIS), parimenti sarebbe smentita la dichiarazione circa il fatto che il B. fosse titolare di discoteche nell'hinterland milanese e gestore di un rent a car, su cui la corte non ha motivato congruamente. Lamenta poi il ricorrente l'omessa motivazione da parte della Corte d'appello della circostanza, emersa da un'intercettazione ambientale (che non risulta prodotta agli atti) registrata durante la traduzione dei detenuti G. e B. all'udienza, nella quale il primo avrebbe minacciato il secondo di fare "certe dichiarazioni", circostanza questa che inficia l'attendibilità del dichiarante le cui dichiarazioni frazionate richiederebbero un più penetrante giudizio e motivazione circa la sua attendibilità.
Con il terzo e quarto motivo deduce la violazione di legge in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena assestata in cinque anni e dunque prossima al massimo edittale di pena in assenza di perizia che attesti il principio attivo della sostanza stupefacente.
2.4. Il difensore di G.T. deduce la violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione del reato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per aver la corte d'appello escluso la riqualificazione con affermazioni generiche senza richiamo al tipo di sostanza stupefacente e il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena per avere la corte d'appello richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, per relationem, senza confutare le specifiche doglianze svolte nei motivi di appello.
Infine, deduce, il vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit per non aver la corte d'appello motivato sulla sussistenza in capo al ricorrente G. della circostanza in oggetto non potendo valere la motivazione riferita alla posizione degli altri ricorrenti.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Preliminarmente il Collegio evidenzia che l'istanza di rinvio di udienza per impedimento dell'avv. Gravante deve essere respinta atteso lo stato di detenzione in carcere dei ricorrenti e l'assenza di documentazione circa l'assoluto impedimento a comparire per concomitanti impegni professionali di cui non è dimostrata la precedenza dell'impegno rispetto all'odierno processo, così come risulta sfornita di prova l'impossibilità di nominare sostituti processuali.
5. Nel merito, va premesso che, secondo l'orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, è ammessa la motivazione del provvedimento con espresso richiamo per relationem alla motivazione di altro provvedimento, ancorchè non allegato o non trascritto nel provvedimento impugnato, purchè conosciuto o agevolmente conoscibile dall'interessato. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. Sez. U del 21/06/2000, n. 17 Primavera, Rv. 216664), hanno enucleato i requisiti necessari affinchè la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale possa essere considerata legittima, evidenziando che la motivazione: 1) deve fare riferimento, recettizio

o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua, adeguata rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) deve fornire la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve essere conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quantomeno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione, requisiti che sono stati ribaditi in pronunce più recenti sicchè deve ritenersi ormai principio consolidato quello della legittimità della motivazione per relationem in presenza dei requisiti sopra evidenziati.
Dunque, non è sufficiente il mero richiamo tout court all'altro provvedimento, ma è necessario che il giudice dia conto di aver preso in considerazione le censure mosse al provvedimento impugnato ed abbia dato congrua motivazione sul richiamo alla motivazione per relationem; dunque, dimostri una non supina ed immotivata adesione al precedente provvedimento. Del resto l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non può ritenersi soddisfatto dal mero richiamo posto che il giudice dell'impugnazione è tenuto ad esaminare le singole censure mosse da colui che impugna il provvedimento e a dare conto delle ragione per cui le stesse vengono disattese. Con la precisazione che qualora le censure sollevate siano mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni genetiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013 Autieri, Rv. 257056; sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008 Baretti, Rv. 239735).
Siffatto principio va riaffermato e condiviso, e va ribadito il principio secondo cui l'integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado è legittima e non comporta il vizio di motivazione, soltanto se nella sentenza d'appello sia riscontrabile un nucleo di argomentazione da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all'esame delle censure dell'appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice dovendo l'ambito dell'autonoma valutazione del giudice d'appello essere correlato alla consistenza e qualità delle censure mosse dall'appellante.
6. Ciò posto, deve preliminarmente esaminarsi, per ragioni logiche, il secondo motivo dedotto dalla difesa di B.V. di violazione di legge penale, processuale e vizio di motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente contestata in ragione della ritenuta inattendibilità dei dichiaranti.
La vicenda, come ricostruita dal giudice di primo grado e confermata dalla Corte d'appello, trae origine dal sequestro, avvenuto in data (OMISSIS), di Kg 18 di hashish nel garage nella disponibilità di BI.An. in (OMISSIS). Le successive indagini svolte e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I. e C.F. avevano, poi, delineato compiutamente l'episodio contestato consistito nell'acquisito della sostanza stupefacente in Milano da B.V. e G.T., stupefacente che poi era stato trasportato a Torre del Greco, ove, nel garage di BI. A., era stato ritenuto il 18 luglio del 2009. La corte territoriale riporta puntualmente il racconto dei collaboratori D. G.I. e C.F. (coimputato non ricorrente), protagonisti della vicenda in prima persona e dunque a conoscenza diretta dei fatti. Costoro si erano recati in Milano, in quanto il D.G. era alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, qui aveva trattato l'acquisito di droga (dapprima l'acquisito era di cocaina, mentre poi avevano concluso l'acquisto dell'hashish) dal fornitore milanese B.V., indicato da Z.G., originario di Torre del Greco ma trasferitosi nel milanese (coimputato non ricorrente); l'acquisto non venne immediatamente concluso in quell'occasione, tant'è che venne lasciata a Milano l'autovettura opportunamente modificata per consentire l'occultamento della droga. Successivamente il B. e il G. si erano recati in Torre del Greco ove il primo si erà fatto consegnare un orologio marca Rolex che il D.G. indossava, a titolo di acconto; era poi seguita la consegna dei

Kg 18 di hashish che il G. aveva consegnato al D.G. che, a sua volta, aveva consegnato al BI., uomo di fiducia del D.G., per l'occultamento. La corte territoriale ha argomentato l'attendibilità intrinseca dei dichiaranti che, in quanto partecipi in prima persona, erano a conoscenza diretta dei fatti, ed ha fondato il positivo giudizio di attendibilità sulla concordanza assoluta della narrazione delle circostanze fondamentali del viaggio e della trattativa che ha portato all'acquisito della sostanza stupefacente.
Ha messo in evidenza, la corte, che essendo il D.G. esponente di spicco dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco e il C. persona a lui vicina, erano una fonte particolarmente affidabile per la conoscenza diretta dei fatti. Ha ritenuto significativa la circostanza che i predetti non avevano avuto alcuna remora ad ammettere le proprie responsabilità nella vicenda, e dunque le dichiarazioni non erano solamente eteroaccusatorie. Infine ha individuato i riscontri esterni nelle risultanze delle operazioni di intercettazione che hanno fotografato la vicenda e nell'ammissione di alcuni imputati ( BI.An. e G.T.). Ha spiegato come le minime divergenze, quale il nome di battesimo errato del G. poi riconosciuto, non minassero l'attendibilità complessiva del racconto, ha argomentato con logicità sui rilievi mossi dalla difesa del B. circa l'assenza di accertamenti sulle discoteche del milanese, ritenuti non pertinenti e sulla presenza/assenza della di lui moglie anch'essa priva di rilievo decisivo. In conclusione, il percorso logico attraverso il quale i giudici del merito sono pervenuti all'affermazione della responsabilità dei ricorrenti per l'acquisito e trasporto dello stupefacente come contestato è congruo e logicamente motivato ed è conforme a diritto. Non sussiste, pertanto, il vizio di motivazione e la violazione di legge penale dedotto, quale secondo motivo, dalla difesa di B.V..
7. Le difese di BI.An., B.V., G. T. hanno dedotto, quale motivo comune, la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla ricorrenza dell'aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1, convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203. La difesa del BI. deduce, in particolare, l'omessa motivazione da parte della corte territoriale non essendo rinvenibile, in tutta la sentenza, alcun riferimento alle ragioni per le quali il BI. avrebbe agevolato l'associazione mafiosa. L'omessa motivazione è altresì dedotta dalla difesa del G.. La difesa del B. pone l'accento sulla circostanza che, essendo il ricorrente estraneo al clan D.G., la corte avrebbe dovuto argomentare con maggior rigore la sussistenza dell'aggravante nei suoi confronti, soprattutto con riguardo al profilo soggettivo dovendosi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, accertare se il B. fosse a conoscenza ovvero la ignorasse per colpa o la ritenesse per errore determinato da colpa.
8. Deve premettersi che ai ricorrenti è contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit. sotto il profilo della c.d.
agevolazione mafiosa. Non v'è dubbio che, a differenza dell'aggravante dell'uso del metodo mafioso, anch'essa contemplata nel citato art. 7, la prima debba essere qualificata quale circostanza soggettiva perchè incentrata su una particolare motivazione a delinquere desumibile dalla direzione finalistica della condotta, ossia dell'agevolare l'associazione mafiosa. Peraltro, in entrambe le ipotesi contemplate, la detta circostanza aggravante è applicabile in quanto conosciuta o ignorata per colpa o ritenuta insussistente per errore determinato da colpa (art. 59 c.p.), e, mentre la sola circostanza dell'uso del metodo mafioso, di natura oggettiva, si comunica ai concorrenti nel delitto anche quando questi ultimi non siano consapevoli della finalizzazione dell'azione delittuosa a vantaggio di un'associazione di stampo mafioso, quella dell'agevolazione mafiosa non si estende agli eventuali concorrenti nel reato ai sensi dell'art. 118 c.p..
Va, al proposito, evidenziato che la corte territoriale afferma la natura oggettiva della circostanza, in premessa, con richiamo di un arresto risalente al 2012; affermazione che non può essere condivisa alla luce della più recente e maggioritaria giurisprudenza della Corte di legittimità (Sez. 3, n. 36364 del 20 maggio 2015, Mancuso non massimata). In adesione al risalente orientamento argomenta la sussistenza dell'aggravante in capo a tutti gli imputati perchè, come riferito dai collaboratori di giustizia, l'acquisto di droga rientrava nella programmazione dell'attività del clan

camorristico D.G., e il G., originario di Torre del Greco, era perfettamente a conoscenza della caratura criminale del D.G. I. come riferito nel corso del suo interrogatorio. Quanto al B., argomenta la corte, che durante la permanenza in Milano del D.G. e dello Z., in occasione delle trattative volte all'acquisto di stupefacente, "costoro dovevano avere messo al corrente il primo della qualità di capo dell'omonimo clan del D. G.". Prova ne è che il B. si era recato all'appuntamento con il D.G. armato di pistola e quindi poteva rendersi conto della caratura criminale del D.G..
Tale motivazione è da censurare perchè in larga misura carente e assertiva, e comunque fondata su presupposti giuridici errati. Ciò che appare certo è che la finalità agevolatrice, perseguita dall'autore del delitto, deve essere oggetto di rigorosa verifica in sede di formazione della prova sotto il duplice profilo della prova della condotta agevolatrice ossia la prova che il reato sia stato commesso al fine specifico di favorire l'attività dell'associazione mafiosa (Sez. 2, n. 24753 del 09/03/2015, Rv. 264218; Sez. 1, n. 2667 del 30/01/1997 Rv. 207178) e la consapevolezza dell'ausilio all'associazione mafiosa o camorristica, sussistente anche qualora l'autore del reato persegua un ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso (Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262713), onde evitare il rischio della diluizione nella semplice contestualità ambientale. Come già affermato dalla Corte di legittimità, l'aggravante di cui al citato art. 7, postula che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, ed implica necessariamente l'esistenza reale e non più semplicemente supposta di questa, essendo impensabile un aggravamento di pena per l'agevolazione dell'attività di un'entità solo immaginaria. Ne consegue che l'aggravante in esame postula l'esistenza effettiva di una associazione avente i caratteri di cui all'art. 416 bis c.p. di cui deve essere data dimostrazione (Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013 BI., Rv 257240; Sez. 1, n. 1327 del 18/03/1994, Torcasio, Rv.
197430);a ciò non opponendosi la diversa pronuncia (Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Pagano Rv 260007) secondo cui l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, per la sua stessa natura giuridica, prescinde dalla effettiva sussistenza di una specifica associazione criminosa. Tale contrasto è, in realtà, solo apparente, posto che l'affermazione, riportata anche nella massima reperibile sul CED, è stata resa in un contesto nel quale la Corte di legittimità aveva affermato il principio secondo il quale l'aggravante può sussistere anche per l'estraneo al contesto mafioso che pone in essere un reato per agevolarne l'associazione che era nata da una scissione di un noto clan camorristico, anche se non ancora perfettamente autonoma da questo. La giurisprudenza di legittimità, infatti, dopo aver affermato il principio secondo cui un delitto aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7 può anche essere commesso da un soggetto non inserito in nessuna compagine associativa (Sez. 5, n. 45711 del 02/10/2003), ha sottolineato come la ratio dell'aggravante non è solo quella di aggravare la pena per l'affiliato che utilizzi metodi mafiosi ovvero agisca al fine di agevolare associazioni mafiose, ma anche di reprimere il comportamento di chi agisca con quello specifico metodo, ovvero dia un contributo al raggiungimento dei fini di un'associazione mafiosa pur non essendovi organicamente inserito.
Ciò che conta è la specifica finalità con cui si agisce da cui la configurabilità dell'aggravante anche nei confronti del reato commesso dall'estraneo al sodalizio criminoso.
Ciò posto, la corte territoriale, nell'affermare la natura oggettiva dell'aggravante in questione, ha disatteso i principi ermeneutici che il Collegio intende confermare e ribadire. Ha, poi, argomentato in maniera insufficiente la configurabilità dell'aggravante nei confronti dei ricorrenti fondata su affermazioni assertive - "devono averlo messo al corrente della qualità di capo dell'omonimo clan" - quanto alla posizione di B.V., soggetto estraneo all'associazione camorristica del D.G., e " G.T. e Z.G., originari di Torre del Greco, erano perfettamente al corrente della caratura delinquenziale del D.G.". Anche la circostanza che il B. andò all'incontro, con il D.G. armato non è, di pe sè, dimostrativa della conoscenza dell'appartenenza del D.G. ad un'associazione mafiosa, atteso che nell'incontro le parti trattavano l'acquisito di una partita di droga, reato non necessariamente costituente programma criminoso di un'associazione mafiosa. La sentenza impugnata va annullata sul punto nei confronti di G.T. e B.V.. Con riferimento alla posizione del B. la corte territoriale

dovrà compiere un novo esame attenendosi al principio secondo cui in tema di reati di criminalità organizzata, la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991, può qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un'associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale (Sez. 6, n. 2696 del 13/11/2008 P.M. in proc. D'Andrea, Rv. 242686).
Infine, nella sentenza impugnata non si rinviene un nucleo motivazionale con riguardo alla posizione di BI.An., custode della droga ricevuta dal D.G.. La motivazione in punto configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 7 cit. nei confronti del ricorrente è del tutto omessa. Anche per il BI. la Corte d'appello dovrà uniformarsi ai principi sopra evidenziati.
9. Con riferimento aì restanti motivi, osserva il Collegio che manifestamente infondata è la censura, mossa dal ricorrente BI. A., di inosservanza della legge penale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 avendo la corte territoriale fatto corretta applicazione del principio secondo cui in tema di sostanze stupefacenti, perchè possa sussistere l'aggravante del concorso di tre o più persone, occorre che ciascuno dei soggetti coinvolti agisca nell'ambito di una delle condotte previste per l'integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione, o altre), essendo, nel caso in esame, a ciascuno dei partecipi riconosciuto uno specifico ruolo ( B. offre in vendita, Z. intermedia, D.G. acquista e BI. detiene) (Sez. 6, n. 10269 del 21/11/2013 Metani Rv. 261719).
10. Manifestamente infondata è la doglianza proposta da G. T. sul mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, già prospettata nel giudizio di appello e ampiamente vagliata e disattesa dalla corte che ha fatto buon governo dei principii, più volte stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, anche all'esito della formulazione normativa introdotta dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2 (conv. nella L. n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (da ultimo, v. Sez. 3, n. 27064 del 19/03/2014, dep. 23/06/2014, Rv.
259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, dep. 26/09/2013, Rv.
256610). In applicazione di tale regula iuris, la corte d'appello ha correttamente ritenuto, confermando la decisione del giudice di primo grado, di escludere che la lesione del bene giuridico protetto fosse di lieve entità, facendo riferimento, con motivazione immune da vizi logico-giuridici in questa sede rilevabili, ai dati inerenti al dato ponderale significativo pari a Kg 18 di hashish, significativo di collegamenti con i fornitori ad un livello elevato, alla circostanza, inerente alle modalità dell'azione per cui il fatto complessivamente considerato desta elevato allarme sociale. In definitiva la sentenza impugnata ha, con motivazione adeguata, coerente e immune da vizio logico, escluso la ricorrenza di un fatto di lieve entità, e dimostra di aver autonomamente esposto le ragione del diniego, del che è da escludersi l'ulteriore censura dell'omessa motivazione.
11. Parimenti, manifestamente infondati sono i motivi in punto trattamento sanzionatorio, diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche svolti dal BI., G. e D.G..
Nei confronti del primo la corte d'appello ha rideterminato la pena riducendola, pur confermando il diniego di concessione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. con richiamo alla gravità del fatto e alla pericolosità desunti dai precedenti penali e dunque con motivazione immune da vizio logico; il G. si limita ad invocare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed il contenimento della pena inflitta sulla scorta di considerazioni del tutto generiche. Quanto al B. la

conferma del trattamento sanzionatorio è ancorata alla gravità del fatto e al ruolo del medesimo nella vicenda, elementi su cui fonda il diniego delle circostanze attenuanti generiche, dunque la motivazione è adeguata ed è incensurabile in sede di legittimità. Quanto al D.G. osserva la corte che non è possibile addivenire ad un trattamento sanzionatorio più mite giacchè il giudice di primo grado, nella determinazione della pena, aveva omesso l'aumento di pena per l'aggravante di cui alla L. n. 231 del 1991, art. 7, avendola elisa con l'attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 la cui misura, non nel massimo come vorrebbe il ricorrente, è legale e non presenta profilo di illogicità nella sua determinazione nel range previsto. Infine le circostanze attenuanti generiche al D. G. sono state concesse già dal giudice di primo grado.
Infine è inammissibile ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, perchè non devoluta nei motivi di appello, la dedotta violazione di legge con riferimento all'aumento di pena per la ritenuta recidiva in capo a BI.An..
12. Infine le doglianze contenute nel ricorso del BI. relative all'insussistenza dei presupposti dell'operata confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies sono in parte del tutto generiche ed in parte infondate. Va premesso che all'imputato, sono stati confiscati, ai sensi della L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, beni immobili e autovetture dei quali non ha giustificato la provenienza e di cui risulta avere la disponibilità, aventi un valore sproporzionato rispetto alle capacità reddituali sue e del suo nucleo familiare. La vicinanza del BI. al capo clan D.G., con cui era in affari di droga, e la circostanza che i redditi famigliari non avrebbero consentito gli acquisiti effettuati, sono elementi che la corte ha valutato per confermare il provvedimento di sequestro a fronte del quale il ricorrente oppone generiche affermazioni comprovanti le fonti di reddito lecite non supportate da documenti e/o altri elementi. La genericità del motivo rende lo stesso inammissibile.
13. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 nei confronti di BI. A., B.V. e G.T. con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
14. Il ricorso di D.G.I. deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di D.G.I. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di BI.An., B.V. e G.T. limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. 203 del 1991, art. 7 e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2016.
Rispondi

Da: Sezioni unite14/12/2017 15:06:15
Raiola, all'anagrafe Carmine Raiola (Nocera Inferiore, 4 novembre 1967), è un procuratore sportivo italiano.

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1    Biografia
2    Carriera
2.1    Gli inizi
2.2    Procuratore
3    Premi
4    Negoziazioni maggiori
5    Note
6    Altri progetti
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Mino Raiola nasce a Nocera Inferiore in provincia di Salerno il 4 novembre 1967[1] e la sua famiglia emigra meno di un anno dopo ad Haarlem, nei Paesi Bassi.[2] Il padre, allora meccanico, apre con successo un'attività di ristorazione, in cui il giovane Mino dà una mano come cameriere.[2][3] Allo stesso tempo consegue la maturità classica[4] e frequenta per due anni l'università, iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza.[2][4] Parla sette lingue: italiano, inglese, tedesco, spagnolo, francese, portoghese e olandese.[2]

Carriera[modifica | modifica wikitesto]
Gli inizi[modifica | modifica wikitesto]
Inizia a giocare a calcio nelle giovanili dell'Haarlem, smettendo però a diciotto anni.[2] Nel 1987 diventa responsabile del settore giovanile della squadra.[2] Da questo momento in poi comincia la sua carriera imprenditoriale, acquistando (e poi rivendendo) un ristorante della compagnia McDonald's[1] ed entrando nel consiglio degli imprenditori di Haarlem.[1]

Procuratore[modifica | modifica wikitesto]
All'età di vent'anni fonda la sua prima società di intermediazione, la Intermezzo.[1] Intanto diventa direttore sportivo dell'Haarlem.[2] Grazie a un accordo con il sindacato dei calciatori diventa poi rappresentante all'estero dei giocatori olandesi.[2] Nel 1992 porta Bryan Roy al Foggia, mentre nel 1993 intercorre come mediatore nella trattativa che porta Dennis Bergkamp e Wim Jonk dall'Ajax all'Inter.[4]

Diviene poi agente FIFA e abbandona le altre attività. Fonda la società Sportman con sede a Montecarlo, ma con uffici di rappresentanza anche in Brasile, Paesi Bassi e Repubblica Ceca.[5] Negli anni successivi tratta alcuni giocatori per il mercato italiano, come Michel Kreek, Marciano Vink[2] e soprattutto Pavel Nedvěd.[2]

Raggiunge la notorietà internazionale grazie ai calciatori molto famosi da lui seguiti e alle trattative milionarie in cui è coinvolto durante gli ingaggi dei giocatori stessi: molto diffuso mediaticamente è stato il passaggio di Zlatan Ibrahimović al Barcellona, in cui Raiola firma una clausola con la quale avrebbe guadagnato 1,2 milioni di euro annui, pagati dal Barcellona fino al 2014.[5][6]

Nell'estate del 2010 e nel calciomercato invernale del 2011 ha fatto da mediatore nelle trattative che hanno portato Zlatan Ibrahimović, Robinho, Mark van Bommel, Urby Emanuelson e Dídac Vilà al Milan e Mario Balotelli al Manchester City.[7]

Nell'estate del 2012 è protagonista del passaggio di Ibrahimović dal Milan al Paris Saint-Germain e di Paul Pogba dal Manchester United alla Juventus . Nel gennaio del 2013 si occupa del trasferimento di Mario Balotelli dal Manchester City al Milan.[8]

Nel 2014 cura il trasferimento di Mario Balotelli dal Milan al Liverpool e porta a termine la trattativa per il rinnovo del contratto di Paul Pogba, legato alla Juventus fino al 2019.[9]

Nell'estate 2015 riporta l'attaccante Mario Balotelli dal Liverpool al Milan.

L'estate del 2016 lo vede concludere molti ingaggi dei suoi assistiti col Manchester Utd: passano coi Red Devils Zlatan Ibrahimović svincolato, Henrik Mikytharyan dal Borussia Dortmund e Paul Pogba dalla Juventus; con quest'ultimo trasferimento si assicura 25 milioni di euro di commissione[10].

Premi[modifica | modifica wikitesto]
2016: Miglior agente dell'anno (Globe Soccer Awards)
Negoziazioni maggiori[modifica | modifica wikitesto]
Data    Giocatore    Nuovo club    Club precedente    Importo
Inverno 1988    Frank Rijkaard    Milan    Sporting Lisbona    Sconosciuto
Estate 1993    Dennis Bergkamp    Internazionale    Ajax    12 millioni di sterline[11]
Estate 2001    Pavel NedvÄ›d    Juventus    Lazio    41 millioni di euro[12]
Estate 2004    Zlatan Ibrahimović    Juventus    Ajax    16 millioni di euro[13]
Estate 2006    Zlatan Ibrahimović    Inter    Juventus    24,8 million di euro[14]
Estate 2009    Zlatan Ibrahimović    Barcellona    Inter    46 millioni di euro[15]
Estate 2010    Robinho    Milan    Manchester City    35 millioni di euro[16]
Estate 2010    Mario Balotelli    Manchester City    Inter    24 millioni di sterline[17]
Estate 2010    Zlatan Ibrahimović    Milan    Barcellona    24 milioni di euro (prestito)
Estate 2012    Zlatan Ibrahimović    Paris Saint-Germain    Milan    20 millioni di euro
Inverno 2013    Mario Balotelli    Milan    Manchester City    20 millioni di euro
Inverno 2013    Bartosz Salamon    Milan    Brescia    3,5 millioni di euro
Estate 2014    Mario Balotelli    Liverpool    Milan    16 millioni di euro
Estate 2016    Zlatan Ibrahimović    Manchester United    Paris Saint-Germain    Free[14]
Estate 2016    Henrikh Mkhitaryan    Manchester United    Borussia Dortmund    31 millioni di sterline
Estate 2016    Paul Pogba    Manchester United    Juventus    105 millioni di euro[18]
Estate 2016    Mario Balotelli    Nizza    Liverpool    Parametro zero[19]
Estate 2017    Romelu Lukaku    Manchester United    Everton    85 milioni di euro
Estate 2017    Blaise Matuidi    Juventus    Paris Saint-Germain    15 milioni di euro
Note[modifica | modifica wikitesto]
^ a b c d Mi chiamo Mino, risolvo problemi, GQ Italia, ottobre 2010.
^ a b c d e f g h i j Il cacciatore di piedi: Mino Raiola, ilsecoloxix.it, 18 marzo 2011. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ Gaia Piccardi, Parla Raiola: �«Balotelli non è leader, Liverpool per lui è l'ultima spiaggia�», in corriere.it (Milano), Corriere della Sera, 23 agosto 2014. URL consultato il 23 agosto 2014.
^ a b c Calciomercato: il trionfo di Mino Raiola, panorama.it, 31 agosto 2010. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ a b Raiola, il procuratore che guadagna quanto un fuoriclasse, sport.sky.it, 5 settembre 2010. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ Fabrizio Romano, In casa Inter torna la paura: Raiola nuovo procuratore di Balotelli!, in fcinternws.it, 11 marzo 2010. URL consultato il 23 agosto 2014.
^ Brescia, Jonathas dall'Az Alkmaar, corrieredellosport.it, 31 gennaio 2011. URL consultato il 7 giugno 2011.
^ Raiola: "Con Balotelli la serie A vale di più - Sarà rimpianto in Inghilterra"
^ Francesco Agliata, Juventus, Raiola sul rinnovo di Pogba: "Avanti insieme fino al 2019", Soccer Magazine, 24 ottobre 2014. URL consultato il 28 ottobre 2014.
^ Pogba-Manchester United: 25 milioni a Raiola! Nelle casse della Juve 78 Gazzetta.it
^ Dennis Bergkamp - The Iceman Website Archiviato il 18 settembre 2010 in Internet Archive.
^ Nedved: I can retire happy
^ Operations concerning Zlatan Ibrahimovic and Fabrizio Miccoli registration rights (PDF), Juventus, 31 agosto 2004. URL consultato il 4 settembre 2010.
^ a b ZLATAN IBRAHIMOVIC SIGNS FOR INTER, Internazionale, 10 agosto 2006. URL consultato il 26 luglio 2009.
^ Ibrahimovic signs five-year contract, su FCBarcelona.cat, FC Barcelona, 27 luglio 2009. URL consultato il 27 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2012).
^ English Premier League spending tumbles, in BBC News, 31 agosto 2010.
^ Man City complete Balotelli deal, in BBC News, 13 agosto 2010.
^ Official: Pogba signs for Man Utd for euro 105m, Football Italia, 8 agosto 2016. URL consultato l'8 agosto 2016.
^ Mino Raiola warned Nice against Mario Balotelli signing, ESPN FC, 27 settembre 2016.
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Categorie: Procuratori sportivi italianiNati nel 1967Nati il 4 novembreNati a Nocera Inferi
Rispondi

Da: Luca03 14/12/2017 15:19:01
Ragazzi fate cadere il tentativo che richiede il dolo; derubricato il reato in lesioni colpose riuscirete a non fargli riconoscere la recidiva che non è ammessa per i reati colposi
Rispondi

Da: Inserisci questa buffone14/12/2017 15:19:31
aiola, all'anagrafe Carmine Raiola (Nocera Inferiore, 4 novembre 1967), è un procuratore sportivo italiano.

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1    Biografia
2    Carriera
2.1    Gli inizi
2.2    Procuratore
3    Premi
4    Negoziazioni maggiori
5    Note
6    Altri progetti
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Mino Raiola nasce a Nocera Inferiore in provincia di Salerno il 4 novembre 1967[1] e la sua famiglia emigra meno di un anno dopo ad Haarlem, nei Paesi Bassi.[2] Il padre, allora meccanico, apre con successo un'attività di ristorazione, in cui il giovane Mino dà una mano come cameriere.[2][3] Allo stesso tempo consegue la maturità classica[4] e frequenta per due anni l'università, iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza.[2][4] Parla sette lingue: italiano, inglese, tedesco, spagnolo, francese, portoghese e olandese.[2]

Carriera[modifica | modifica wikitesto]
Gli inizi[modifica | modifica wikitesto]
Inizia a giocare a calcio nelle giovanili dell'Haarlem, smettendo però a diciotto anni.[2] Nel 1987 diventa responsabile del settore giovanile della squadra.[2] Da questo momento in poi comincia la sua carriera imprenditoriale, acquistando (e poi rivendendo) un ristorante della compagnia McDonald's[1] ed entrando nel consiglio degli imprenditori di Haarlem.[1]

Procuratore[modifica | modifica wikitesto]
All'età di vent'anni fonda la sua prima società di intermediazione, la Intermezzo.[1] Intanto diventa direttore sportivo dell'Haarlem.[2] Grazie a un accordo con il sindacato dei calciatori diventa poi rappresentante all'estero dei giocatori olandesi.[2] Nel 1992 porta Bryan Roy al Foggia, mentre nel 1993 intercorre come mediatore nella trattativa che porta Dennis Bergkamp e Wim Jonk dall'Ajax all'Inter.[4]

Diviene poi agente FIFA e abbandona le altre attività. Fonda la società Sportman con sede a Montecarlo, ma con uffici di rappresentanza anche in Brasile, Paesi Bassi e Repubblica Ceca.[5] Negli anni successivi tratta alcuni giocatori per il mercato italiano, come Michel Kreek, Marciano Vink[2] e soprattutto Pavel Nedvěd.[2]

Raggiunge la notorietà internazionale grazie ai calciatori molto famosi da lui seguiti e alle trattative milionarie in cui è coinvolto durante gli ingaggi dei giocatori stessi: molto diffuso mediaticamente è stato il passaggio di Zlatan Ibrahimović al Barcellona, in cui Raiola firma una clausola con la quale avrebbe guadagnato 1,2 milioni di euro annui, pagati dal Barcellona fino al 2014.[5][6]

Nell'estate del 2010 e nel calciomercato invernale del 2011 ha fatto da mediatore nelle trattative che hanno portato Zlatan Ibrahimović, Robinho, Mark van Bommel, Urby Emanuelson e Dídac Vilà al Milan e Mario Balotelli al Manchester City.[7]

Nell'estate del 2012 è protagonista del passaggio di Ibrahimović dal Milan al Paris Saint-Germain e di Paul Pogba dal Manchester United alla Juventus . Nel gennaio del 2013 si occupa del trasferimento di Mario Balotelli dal Manchester City al Milan.[8]

Nel 2014 cura il trasferimento di Mario Balotelli dal Milan al Liverpool e porta a termine la trattativa per il rinnovo del contratto di Paul Pogba, legato alla Juventus fino al 2019.[9]

Nell'estate 2015 riporta l'attaccante Mario Balotelli dal Liverpool al Milan.

L'estate del 2016 lo vede concludere molti ingaggi dei suoi assistiti col Manchester Utd: passano coi Red Devils Zlatan Ibrahimović svincolato, Henrik Mikytharyan dal Borussia Dortmund e Paul Pogba dalla Juventus; con quest'ultimo trasferimento si assicura 25 milioni di euro di commissione[10].

Premi[modifica | modifica wikitesto]
2016: Miglior agente dell'anno (Globe Soccer Awards)
Negoziazioni maggiori[modifica | modifica wikitesto]
Data    Giocatore    Nuovo club    Club precedente    Importo
Inverno 1988    Frank Rijkaard    Milan    Sporting Lisbona    Sconosciuto
Estate 1993    Dennis Bergkamp    Internazionale    Ajax    12 millioni di sterline[11]
Estate 2001    Pavel NedvÄ›d    Juventus    Lazio    41 millioni di euro[12]
Estate 2004    Zlatan Ibrahimović    Juventus    Ajax    16 millioni di euro[13]
Estate 2006    Zlatan Ibrahimović    Inter    Juventus    24,8 million di euro[14]
Estate 2009    Zlatan Ibrahimović    Barcellona    Inter    46 millioni di euro[15]
Estate 2010    Robinho    Milan    Manchester City    35 millioni di euro[16]
Estate 2010    Mario Balotelli    Manchester City    Inter    24 millioni di sterline[17]
Estate 2010    Zlatan Ibrahimović    Milan    Barcellona    24 milioni di euro (prestito)
Estate 2012    Zlatan Ibrahimović    Paris Saint-Germain    Milan    20 millioni di euro
Inverno 2013    Mario Balotelli    Milan    Manchester City    20 millioni di euro
Inverno 2013    Bartosz Salamon    Milan    Brescia    3,5 millioni di euro
Estate 2014    Mario Balotelli    Liverpool    Milan    16 millioni di euro
Estate 2016    Zlatan Ibrahimović    Manchester United    Paris Saint-Germain    Free[14]
Estate 2016    Henrikh Mkhitaryan    Manchester United    Borussia Dortmund    31 millioni di sterline
Estate 2016    Paul Pogba    Manchester United    Juventus    105 millioni di euro[18]
Estate 2016    Mario Balotelli    Nizza    Liverpool    Parametro zero[19]
Estate 2017    Romelu Lukaku    Manchester United    Everton    85 milioni di euro
Estate 2017    Blaise Matuidi    Juventus    Paris Saint-Germain    15 milioni di euro
Note[modifica | modifica wikitesto]
^ a b c d Mi chiamo Mino, risolvo problemi, GQ Italia, ottobre 2010.
^ a b c d e f g h i j Il cacciatore di piedi: Mino Raiola, ilsecoloxix.it, 18 marzo 2011. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ Gaia Piccardi, Parla Raiola: ï¿��«Balotelli non è leader, Liverpool per lui è l'ultima spiaggiaï¿��», in corriere.it (Milano), Corriere della Sera, 23 agosto 2014. URL consultato il 23 agosto 2014.
^ a b c Calciomercato: il trionfo di Mino Raiola, panorama.it, 31 agosto 2010. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ a b Raiola, il procuratore che guadagna quanto un fuoriclasse, sport.sky.it, 5 settembre 2010. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ Fabrizio Romano, In casa Inter torna la paura: Raiola nuovo procuratore di Balotelli!, in fcinternws.it, 11 marzo 2010. URL consultato il 23 agosto 2014.
^ Brescia, Jonathas dall'Az Alkmaar, corrieredellosport.it, 31 gennaio 2011. URL consultato il 7 giugno 2011.
^ Raiola: "Con Balotelli la serie A vale di più - Sarà rimpianto in Inghilterra"
^ Francesco Agliata, Juventus, Raiola sul rinnovo di Pogba: "Avanti insieme fino al 2019", Soccer Magazine, 24 ottobre 2014. URL consultato il 28 ottobre 2014.
^ Pogba-Manchester United: 25 milioni a Raiola! Nelle casse della Juve 78 Gazzetta.it
^ Dennis Bergkamp - The Iceman Website Archiviato il 18 settembre 2010 in Internet Archive.
^ Nedved: I can retire happy
^ Operations concerning Zlatan Ibrahimovic and Fabrizio Miccoli registration rights (PDF), Juventus, 31 agosto 2004. URL consultato il 4 settembre 2010.
^ a b ZLATAN IBRAHIMOVIC SIGNS FOR INTER, Internazionale, 10 agosto 2006. URL consultato il 26 luglio 2009.
^ Ibrahimovic signs five-year contract, su FCBarcelona.cat, FC Barcelona, 27 luglio 2009. URL consultato il 27 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2012).
^ English Premier League spending tumbles, in BBC News, 31 agosto 2010.
^ Man City complete Balotelli deal, in BBC News, 13 agosto 2010.
^ Official: Pogba signs for Man Utd for euro 105m, Football Italia, 8 agosto 2016. URL consultato l'8 agosto 2016.
^ Mino Raiola warned Nice against Mario Balotelli signing, ESPN FC, 27 settembre 2016.
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Categorie: Procuratori sportivi italianiNati nel 1967Nati il 4 novembreNati a Nocera Inferi
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Da: Inserisci questa buffone14/12/2017 15:19:46
aiola, all'anagrafe Carmine Raiola (Nocera Inferiore, 4 novembre 1967), è un procuratore sportivo italiano.

Indice [nascondi]
1    Biografia
2    Carriera
2.1    Gli inizi
2.2    Procuratore
3    Premi
4    Negoziazioni maggiori
5    Note
6    Altri progetti
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Mino Raiola nasce a Nocera Inferiore in provincia di Salerno il 4 novembre 1967[1] e la sua famiglia emigra meno di un anno dopo ad Haarlem, nei Paesi Bassi.[2] Il padre, allora meccanico, apre con successo un'attività di ristorazione, in cui il giovane Mino dà una mano come cameriere.[2][3] Allo stesso tempo consegue la maturità classica[4] e frequenta per due anni l'università, iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza.[2][4] Parla sette lingue: italiano, inglese, tedesco, spagnolo, francese, portoghese e olandese.[2]

Carriera[modifica | modifica wikitesto]
Gli inizi[modifica | modifica wikitesto]
Inizia a giocare a calcio nelle giovanili dell'Haarlem, smettendo però a diciotto anni.[2] Nel 1987 diventa responsabile del settore giovanile della squadra.[2] Da questo momento in poi comincia la sua carriera imprenditoriale, acquistando (e poi rivendendo) un ristorante della compagnia McDonald's[1] ed entrando nel consiglio degli imprenditori di Haarlem.[1]

Procuratore[modifica | modifica wikitesto]
All'età di vent'anni fonda la sua prima società di intermediazione, la Intermezzo.[1] Intanto diventa direttore sportivo dell'Haarlem.[2] Grazie a un accordo con il sindacato dei calciatori diventa poi rappresentante all'estero dei giocatori olandesi.[2] Nel 1992 porta Bryan Roy al Foggia, mentre nel 1993 intercorre come mediatore nella trattativa che porta Dennis Bergkamp e Wim Jonk dall'Ajax all'Inter.[4]

Diviene poi agente FIFA e abbandona le altre attività. Fonda la società Sportman con sede a Montecarlo, ma con uffici di rappresentanza anche in Brasile, Paesi Bassi e Repubblica Ceca.[5] Negli anni successivi tratta alcuni giocatori per il mercato italiano, come Michel Kreek, Marciano Vink[2] e soprattutto Pavel Nedvěd.[2]

Raggiunge la notorietà internazionale grazie ai calciatori molto famosi da lui seguiti e alle trattative milionarie in cui è coinvolto durante gli ingaggi dei giocatori stessi: molto diffuso mediaticamente è stato il passaggio di Zlatan Ibrahimović al Barcellona, in cui Raiola firma una clausola con la quale avrebbe guadagnato 1,2 milioni di euro annui, pagati dal Barcellona fino al 2014.[5][6]

Nell'estate del 2010 e nel calciomercato invernale del 2011 ha fatto da mediatore nelle trattative che hanno portato Zlatan Ibrahimović, Robinho, Mark van Bommel, Urby Emanuelson e Dídac Vilà al Milan e Mario Balotelli al Manchester City.[7]

Nell'estate del 2012 è protagonista del passaggio di Ibrahimović dal Milan al Paris Saint-Germain e di Paul Pogba dal Manchester United alla Juventus . Nel gennaio del 2013 si occupa del trasferimento di Mario Balotelli dal Manchester City al Milan.[8]

Nel 2014 cura il trasferimento di Mario Balotelli dal Milan al Liverpool e porta a termine la trattativa per il rinnovo del contratto di Paul Pogba, legato alla Juventus fino al 2019.[9]

Nell'estate 2015 riporta l'attaccante Mario Balotelli dal Liverpool al Milan.

L'estate del 2016 lo vede concludere molti ingaggi dei suoi assistiti col Manchester Utd: passano coi Red Devils Zlatan Ibrahimović svincolato, Henrik Mikytharyan dal Borussia Dortmund e Paul Pogba dalla Juventus; con quest'ultimo trasferimento si assicura 25 milioni di euro di commissione[10].

Premi[modifica | modifica wikitesto]
2016: Miglior agente dell'anno (Globe Soccer Awards)
Negoziazioni maggiori[modifica | modifica wikitesto]
Data    Giocatore    Nuovo club    Club precedente    Importo
Inverno 1988    Frank Rijkaard    Milan    Sporting Lisbona    Sconosciuto
Estate 1993    Dennis Bergkamp    Internazionale    Ajax    12 millioni di sterline[11]
Estate 2001    Pavel NedvÄ›d    Juventus    Lazio    41 millioni di euro[12]
Estate 2004    Zlatan Ibrahimović    Juventus    Ajax    16 millioni di euro[13]
Estate 2006    Zlatan Ibrahimović    Inter    Juventus    24,8 million di euro[14]
Estate 2009    Zlatan Ibrahimović    Barcellona    Inter    46 millioni di euro[15]
Estate 2010    Robinho    Milan    Manchester City    35 millioni di euro[16]
Estate 2010    Mario Balotelli    Manchester City    Inter    24 millioni di sterline[17]
Estate 2010    Zlatan Ibrahimović    Milan    Barcellona    24 milioni di euro (prestito)
Estate 2012    Zlatan Ibrahimović    Paris Saint-Germain    Milan    20 millioni di euro
Inverno 2013    Mario Balotelli    Milan    Manchester City    20 millioni di euro
Inverno 2013    Bartosz Salamon    Milan    Brescia    3,5 millioni di euro
Estate 2014    Mario Balotelli    Liverpool    Milan    16 millioni di euro
Estate 2016    Zlatan Ibrahimović    Manchester United    Paris Saint-Germain    Free[14]
Estate 2016    Henrikh Mkhitaryan    Manchester United    Borussia Dortmund    31 millioni di sterline
Estate 2016    Paul Pogba    Manchester United    Juventus    105 millioni di euro[18]
Estate 2016    Mario Balotelli    Nizza    Liverpool    Parametro zero[19]
Estate 2017    Romelu Lukaku    Manchester United    Everton    85 milioni di euro
Estate 2017    Blaise Matuidi    Juventus    Paris Saint-Germain    15 milioni di euro
Note[modifica | modifica wikitesto]
^ a b c d Mi chiamo Mino, risolvo problemi, GQ Italia, ottobre 2010.
^ a b c d e f g h i j Il cacciatore di piedi: Mino Raiola, ilsecoloxix.it, 18 marzo 2011. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ Gaia Piccardi, Parla Raiola: ï¿��«Balotelli non è leader, Liverpool per lui è l'ultima spiaggiaï¿��», in corriere.it (Milano), Corriere della Sera, 23 agosto 2014. URL consultato il 23 agosto 2014.
^ a b c Calciomercato: il trionfo di Mino Raiola, panorama.it, 31 agosto 2010. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ a b Raiola, il procuratore che guadagna quanto un fuoriclasse, sport.sky.it, 5 settembre 2010. URL consultato il 7 aprile 2011.
^ Fabrizio Romano, In casa Inter torna la paura: Raiola nuovo procuratore di Balotelli!, in fcinternws.it, 11 marzo 2010. URL consultato il 23 agosto 2014.
^ Brescia, Jonathas dall'Az Alkmaar, corrieredellosport.it, 31 gennaio 2011. URL consultato il 7 giugno 2011.
^ Raiola: "Con Balotelli la serie A vale di più - Sarà rimpianto in Inghilterra"
^ Francesco Agliata, Juventus, Raiola sul rinnovo di Pogba: "Avanti insieme fino al 2019", Soccer Magazine, 24 ottobre 2014. URL consultato il 28 ottobre 2014.
^ Pogba-Manchester United: 25 milioni a Raiola! Nelle casse della Juve 78 Gazzetta.it
^ Dennis Bergkamp - The Iceman Website Archiviato il 18 settembre 2010 in Internet Archive.
^ Nedved: I can retire happy
^ Operations concerning Zlatan Ibrahimovic and Fabrizio Miccoli registration rights (PDF), Juventus, 31 agosto 2004. URL consultato il 4 settembre 2010.
^ a b ZLATAN IBRAHIMOVIC SIGNS FOR INTER, Internazionale, 10 agosto 2006. URL consultato il 26 luglio 2009.
^ Ibrahimovic signs five-year contract, su FCBarcelona.cat, FC Barcelona, 27 luglio 2009. URL consultato il 27 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2012).
^ English Premier League spending tumbles, in BBC News, 31 agosto 2010.
^ Man City complete Balotelli deal, in BBC News, 13 agosto 2010.
^ Official: Pogba signs for Man Utd for euro 105m, Football Italia, 8 agosto 2016. URL consultato l'8 agosto 2016.
^ Mino Raiola warned Nice against Mario Balotelli signing, ESPN FC, 27 settembre 2016.
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Rispondi

Da: Maruz14/12/2017 15:22:12
a parte questi coglioni disturbatori, qualcuno ha la soluzione completa x favore ?
Rispondi

Da: Luca03 14/12/2017 15:24:07
si fa  cadere il tentativo che richiede il dolo; derubricato il reato in lesioni colpose si riesce a non fargli riconoscere la recidiva che non è ammessa per i reati colposi
Rispondi

Da: Sezioni allineate14/12/2017 15:24:56
Si io
Rispondi

Da: Succhia0014/12/2017 15:26:04
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione penale Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 13/01/2016
n. 9142
Classificazioni: CIRCOSTANZE DEL REATO - Circostanze speciali o a effetto speciale: delitti commessi al fine di agevolare un'associazione mafiosa o avvalendosene (art. 7 d.l. [152/91] con - v. in l. [203/91])
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO  Silvio
Dott. DE MASI    Oronzo
Dott. MOCCI      Mauro
Dott. DI NICOLA  Vito
Dott. GAI        Emanuela -  rel. Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:
                     sentenza
sul ricorso proposto da:
-  Presidente   -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
-  Consigliere  -
1.
2.
3.
4.
avverso la sentenza del 03/03/2015 della Corte d'appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Emanuela Gai;
udito   il  Pubblico  Ministero,  in  persona  Sostituto  Procuratore
generale  Dr. Baldi Fulvio che ha concluso chiedendo il  rigetto  dei
ricorsi;
udito  per l'imputato     B. l'avv. Adami Giovanni che ha  concluso
chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 3 marzo 2015, la Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato la condanna inflitta a B. V., G.T., D.G.I., in relazione al reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis e comma 6, art. 80, comma 2 e D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, in relazione all'acquisito, detenzione e trasporto di un ingente quantitativo, pari a Kg 18, di hashish, trasportato da (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009.
In particolare, il giudice di secondo grado ha rilevato, dopo aver richiamato per relationem le motivazioni della sentenza del Giudice di primo grado, che il giudizio di responsabilità penale nei confronti dei ricorrenti, in relazione all'acquisito, detenzione di un ingente quantitativo pari a Kg 18 di hashish, trasportato da Milano a Torre del Greco, luogo ove era stato custodito nel garage di BI.An., tra (OMISSIS) e sequestrato il 18 luglio 2009, è fondato su solidi elementi di prova, come evidenziato dal primo giudice, costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I., capo dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco, e di C.F., suo braccio destro, dichiarazioni intrinsecamente attendibili perchè precise, dettagliate etero e anche autoaccusatorie, vicendevolmente riscontrate, e dalle risultanze delle operazioni di intercettazione telefonica che consentivano di ripercorrere tutte le varie fasi della vicenda, dal viaggio a Milano all'arresto del BI.An..
   B.V., nato a (OMISSIS);
BI.An., nato a (OMISSIS);
G.T., nato a (OMISSIS);
D.G.I., nato a (OMISSIS);
Nei confronti di tutti i ricorrenti la Corte d'appello ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante

di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, avendo costoro agito allo scopo di agevolare il clan camorristico D.G., la circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 per aver partecipato alla commissione del reato in numero superiore a tre, ed esclusa la configurabilità dell'ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e confermata la ritenuta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, in capo al D.G., ha ridotto la pena inflitta a BI.An. ed ha confermato le condanne inflitte a B.V., G.T., D.G. I..
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi BI.An., personalmente; l'Avv. Sergio Mazzone, difensore di fiducia di D. G.I.; l'Avv. Giovanni Adami, difensore di fiducia di B.V.; l'Avv. Antonio Gravante, difensore di fiducia di G.T. e ne hanno chiesto l'annullamento per i seguenti motivi, in parte comuni a tutti i ricorrenti, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Il ricorrente BI.An. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza a carico del medesimo della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, non ricorrendone i presupposti applicativi non essendo neppure provata l'esistenza del clan camorristico D.G., e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione, non avendo, la corte territoriale, motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'applicazione della circostanza aggravante di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 6 non essendo provata in capo al ricorrente la conoscenza che il reato era stato commesso da persone in numero superiore a tre in concorso tra loro, non essendo sufficiente il mero dato storico della presenza di almeno tre persone.
Con il terzo e quarto motivo, deduce la violazione della legge penale in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. avuto riguardo al trattamento sanzionatorio ancorato quale pena base di anni cinque e dunque quasi al massimo edittale e la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistente recidiva specifica e infraquinquennale, in realtà insussistente essendo la sentenza, a cui si riferisce la contestata recidiva, passata in giudicato nel 2011 e dunque dopo il fatto, oggi giudicato del 2009, con conseguente illegittimo aumento di pena.
Con il quinto motivo deduce la violazione della legge penale con riferimento all'art. 240 c.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexsies e vizio di motivazione avendo la corte d'appello omesso di considerare le allegazioni difensive sulle fonti lecite e proporzionate di reddito di guisa che il provvedimento ablatorio è privo di motivazione.
2.2. Il difensore di D.G.I. deduce la violazione di legge in relazione alla corretta applicazione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 e il vizio di motivazione per non aver applicato nella massima estensione l'attenuante pur avendo affermato il rilevante apporto collaborativo del ricorrente sin dall'inizio delle indagini preliminari; la violazione di legge in relazione alla applicazione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. su cui non vi è alcuna risposta da parte del giudice d'appello, e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena avendo fatto semplice richiamo all'art. 133 c.p..
2.3. Il difensore di B.V. deduce, con il primo motivo, la violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza, a carico del medesimo, della circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1 convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, e il vizio di motivazione in relazione all'omessa motivazione sul punto, non avendo la corte territoriale motivato sulla sussistenza dell'aggravante nei confronti del ricorrente che è un soggetto totalmente estraneo all'organizzazione criminale, circostanza questa che richiede un maggior rigore nella verifica della stessa aggravante e puntuale e rigorosa motivazione, non potendo questa essere soddisfatta dall'affermazione del carattere oggettivo della circostanza medesima dovendo sempre verificarsi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, in capo al soggetto agente, la

consapevolezza ovvero l'ignoranza per colpa. Deduce, poi, la motivazione carente circa la sussistenza della citata aggravante perchè ritenuta sussistente sulla base di mere congetture (devono averlo messo al corrente della caratura criminale del D.G.) o circostanze contraddittorie (l'essersi presentato il B. armato all'incontro con il D.G.).
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale fondata su dichiarazioni prive di riscontro, ex art. 192 c.p.p., trattandosi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e stante l'assenza di intercettazioni dirette nei confronti del B. e l'omessa considerazione delle circostanze documentali che dimostrerebbero l'inattendibilità dei collaboratori di giustizia. In particolare sarebbero smentite le dichiarazioni rese da G.T. sulla presenza della moglie, unitamente al B., durante la visita del secondo a (OMISSIS), parimenti sarebbe smentita la dichiarazione circa il fatto che il B. fosse titolare di discoteche nell'hinterland milanese e gestore di un rent a car, su cui la corte non ha motivato congruamente. Lamenta poi il ricorrente l'omessa motivazione da parte della Corte d'appello della circostanza, emersa da un'intercettazione ambientale (che non risulta prodotta agli atti) registrata durante la traduzione dei detenuti G. e B. all'udienza, nella quale il primo avrebbe minacciato il secondo di fare "certe dichiarazioni", circostanza questa che inficia l'attendibilità del dichiarante le cui dichiarazioni frazionate richiederebbero un più penetrante giudizio e motivazione circa la sua attendibilità.
Con il terzo e quarto motivo deduce la violazione di legge in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena assestata in cinque anni e dunque prossima al massimo edittale di pena in assenza di perizia che attesti il principio attivo della sostanza stupefacente.
2.4. Il difensore di G.T. deduce la violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione del reato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per aver la corte d'appello escluso la riqualificazione con affermazioni generiche senza richiamo al tipo di sostanza stupefacente e il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 133 c.p. in relazione alla dosimetria della pena per avere la corte d'appello richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, per relationem, senza confutare le specifiche doglianze svolte nei motivi di appello.
Infine, deduce, il vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit per non aver la corte d'appello motivato sulla sussistenza in capo al ricorrente G. della circostanza in oggetto non potendo valere la motivazione riferita alla posizione degli altri ricorrenti.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Preliminarmente il Collegio evidenzia che l'istanza di rinvio di udienza per impedimento dell'avv. Gravante deve essere respinta atteso lo stato di detenzione in carcere dei ricorrenti e l'assenza di documentazione circa l'assoluto impedimento a comparire per concomitanti impegni professionali di cui non è dimostrata la precedenza dell'impegno rispetto all'odierno processo, così come risulta sfornita di prova l'impossibilità di nominare sostituti processuali.
5. Nel merito, va premesso che, secondo l'orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, è ammessa la motivazione del provvedimento con espresso richiamo per relationem alla motivazione di altro provvedimento, ancorchè non allegato o non trascritto nel provvedimento impugnato, purchè conosciuto o agevolmente conoscibile dall'interessato. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. Sez. U del 21/06/2000, n. 17 Primavera, Rv. 216664), hanno enucleato i requisiti necessari affinchè la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale possa essere considerata legittima, evidenziando che la motivazione: 1) deve fare riferimento, recettizio

o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua, adeguata rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) deve fornire la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve essere conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quantomeno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione, requisiti che sono stati ribaditi in pronunce più recenti sicchè deve ritenersi ormai principio consolidato quello della legittimità della motivazione per relationem in presenza dei requisiti sopra evidenziati.
Dunque, non è sufficiente il mero richiamo tout court all'altro provvedimento, ma è necessario che il giudice dia conto di aver preso in considerazione le censure mosse al provvedimento impugnato ed abbia dato congrua motivazione sul richiamo alla motivazione per relationem; dunque, dimostri una non supina ed immotivata adesione al precedente provvedimento. Del resto l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non può ritenersi soddisfatto dal mero richiamo posto che il giudice dell'impugnazione è tenuto ad esaminare le singole censure mosse da colui che impugna il provvedimento e a dare conto delle ragione per cui le stesse vengono disattese. Con la precisazione che qualora le censure sollevate siano mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni genetiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013 Autieri, Rv. 257056; sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008 Baretti, Rv. 239735).
Siffatto principio va riaffermato e condiviso, e va ribadito il principio secondo cui l'integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado è legittima e non comporta il vizio di motivazione, soltanto se nella sentenza d'appello sia riscontrabile un nucleo di argomentazione da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all'esame delle censure dell'appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice dovendo l'ambito dell'autonoma valutazione del giudice d'appello essere correlato alla consistenza e qualità delle censure mosse dall'appellante.
6. Ciò posto, deve preliminarmente esaminarsi, per ragioni logiche, il secondo motivo dedotto dalla difesa di B.V. di violazione di legge penale, processuale e vizio di motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente contestata in ragione della ritenuta inattendibilità dei dichiaranti.
La vicenda, come ricostruita dal giudice di primo grado e confermata dalla Corte d'appello, trae origine dal sequestro, avvenuto in data (OMISSIS), di Kg 18 di hashish nel garage nella disponibilità di BI.An. in (OMISSIS). Le successive indagini svolte e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.G.I. e C.F. avevano, poi, delineato compiutamente l'episodio contestato consistito nell'acquisito della sostanza stupefacente in Milano da B.V. e G.T., stupefacente che poi era stato trasportato a Torre del Greco, ove, nel garage di BI. A., era stato ritenuto il 18 luglio del 2009. La corte territoriale riporta puntualmente il racconto dei collaboratori D. G.I. e C.F. (coimputato non ricorrente), protagonisti della vicenda in prima persona e dunque a conoscenza diretta dei fatti. Costoro si erano recati in Milano, in quanto il D.G. era alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, qui aveva trattato l'acquisito di droga (dapprima l'acquisito era di cocaina, mentre poi avevano concluso l'acquisto dell'hashish) dal fornitore milanese B.V., indicato da Z.G., originario di Torre del Greco ma trasferitosi nel milanese (coimputato non ricorrente); l'acquisto non venne immediatamente concluso in quell'occasione, tant'è che venne lasciata a Milano l'autovettura opportunamente modificata per consentire l'occultamento della droga. Successivamente il B. e il G. si erano recati in Torre del Greco ove il primo si erà fatto consegnare un orologio marca Rolex che il D.G. indossava, a titolo di acconto; era poi seguita la consegna dei

Kg 18 di hashish che il G. aveva consegnato al D.G. che, a sua volta, aveva consegnato al BI., uomo di fiducia del D.G., per l'occultamento. La corte territoriale ha argomentato l'attendibilità intrinseca dei dichiaranti che, in quanto partecipi in prima persona, erano a conoscenza diretta dei fatti, ed ha fondato il positivo giudizio di attendibilità sulla concordanza assoluta della narrazione delle circostanze fondamentali del viaggio e della trattativa che ha portato all'acquisito della sostanza stupefacente.
Ha messo in evidenza, la corte, che essendo il D.G. esponente di spicco dell'omonimo clan camorristico operante in Torre del Greco e il C. persona a lui vicina, erano una fonte particolarmente affidabile per la conoscenza diretta dei fatti. Ha ritenuto significativa la circostanza che i predetti non avevano avuto alcuna remora ad ammettere le proprie responsabilità nella vicenda, e dunque le dichiarazioni non erano solamente eteroaccusatorie. Infine ha individuato i riscontri esterni nelle risultanze delle operazioni di intercettazione che hanno fotografato la vicenda e nell'ammissione di alcuni imputati ( BI.An. e G.T.). Ha spiegato come le minime divergenze, quale il nome di battesimo errato del G. poi riconosciuto, non minassero l'attendibilità complessiva del racconto, ha argomentato con logicità sui rilievi mossi dalla difesa del B. circa l'assenza di accertamenti sulle discoteche del milanese, ritenuti non pertinenti e sulla presenza/assenza della di lui moglie anch'essa priva di rilievo decisivo. In conclusione, il percorso logico attraverso il quale i giudici del merito sono pervenuti all'affermazione della responsabilità dei ricorrenti per l'acquisito e trasporto dello stupefacente come contestato è congruo e logicamente motivato ed è conforme a diritto. Non sussiste, pertanto, il vizio di motivazione e la violazione di legge penale dedotto, quale secondo motivo, dalla difesa di B.V..
7. Le difese di BI.An., B.V., G. T. hanno dedotto, quale motivo comune, la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla ricorrenza dell'aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1, convertito, con modificazione, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203. La difesa del BI. deduce, in particolare, l'omessa motivazione da parte della corte territoriale non essendo rinvenibile, in tutta la sentenza, alcun riferimento alle ragioni per le quali il BI. avrebbe agevolato l'associazione mafiosa. L'omessa motivazione è altresì dedotta dalla difesa del G.. La difesa del B. pone l'accento sulla circostanza che, essendo il ricorrente estraneo al clan D.G., la corte avrebbe dovuto argomentare con maggior rigore la sussistenza dell'aggravante nei suoi confronti, soprattutto con riguardo al profilo soggettivo dovendosi, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2, accertare se il B. fosse a conoscenza ovvero la ignorasse per colpa o la ritenesse per errore determinato da colpa.
8. Deve premettersi che ai ricorrenti è contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 7 cit. sotto il profilo della c.d.
agevolazione mafiosa. Non v'è dubbio che, a differenza dell'aggravante dell'uso del metodo mafioso, anch'essa contemplata nel citato art. 7, la prima debba essere qualificata quale circostanza soggettiva perchè incentrata su una particolare motivazione a delinquere desumibile dalla direzione finalistica della condotta, ossia dell'agevolare l'associazione mafiosa. Peraltro, in entrambe le ipotesi contemplate, la detta circostanza aggravante è applicabile in quanto conosciuta o ignorata per colpa o ritenuta insussistente per errore determinato da colpa (art. 59 c.p.), e, mentre la sola circostanza dell'uso del metodo mafioso, di natura oggettiva, si comunica ai concorrenti nel delitto anche quando questi ultimi non siano consapevoli della finalizzazione dell'azione delittuosa a vantaggio di un'associazione di stampo mafioso, quella dell'agevolazione mafiosa non si estende agli eventuali concorrenti nel reato ai sensi dell'art. 118 c.p..
Va, al proposito, evidenziato che la corte territoriale afferma la natura oggettiva della circostanza, in premessa, con richiamo di un arresto risalente al 2012; affermazione che non può essere condivisa alla luce della più recente e maggioritaria giurisprudenza della Corte di legittimità (Sez. 3, n. 36364 del 20 maggio 2015, Mancuso non massimata). In adesione al risalente orientamento argomenta la sussistenza dell'aggravante in capo a tutti gli imputati perchè, come riferito dai collaboratori di giustizia, l'acquisto di droga rientrava nella programmazione dell'attività del clan

camorristico D.G., e il G., originario di Torre del Greco, era perfettamente a conoscenza della caratura criminale del D.G. I. come riferito nel corso del suo interrogatorio. Quanto al B., argomenta la corte, che durante la permanenza in Milano del D.G. e dello Z., in occasione delle trattative volte all'acquisto di stupefacente, "costoro dovevano avere messo al corrente il primo della qualità di capo dell'omonimo clan del D. G.". Prova ne è che il B. si era recato all'appuntamento con il D.G. armato di pistola e quindi poteva rendersi conto della caratura criminale del D.G..
Tale motivazione è da censurare perchè in larga misura carente e assertiva, e comunque fondata su presupposti giuridici errati. Ciò che appare certo è che la finalità agevolatrice, perseguita dall'autore del delitto, deve essere oggetto di rigorosa verifica in sede di formazione della prova sotto il duplice profilo della prova della condotta agevolatrice ossia la prova che il reato sia stato commesso al fine specifico di favorire l'attività dell'associazione mafiosa (Sez. 2, n. 24753 del 09/03/2015, Rv. 264218; Sez. 1, n. 2667 del 30/01/1997 Rv. 207178) e la consapevolezza dell'ausilio all'associazione mafiosa o camorristica, sussistente anche qualora l'autore del reato persegua un ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso (Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262713), onde evitare il rischio della diluizione nella semplice contestualità ambientale. Come già affermato dalla Corte di legittimità, l'aggravante di cui al citato art. 7, postula che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, ed implica necessariamente l'esistenza reale e non più semplicemente supposta di questa, essendo impensabile un aggravamento di pena per l'agevolazione dell'attività di un'entità solo immaginaria. Ne consegue che l'aggravante in esame postula l'esistenza effettiva di una associazione avente i caratteri di cui all'art. 416 bis c.p. di cui deve essere data dimostrazione (Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013 BI., Rv 257240; Sez. 1, n. 1327 del 18/03/1994, Torcasio, Rv.
197430);a ciò non opponendosi la diversa pronuncia (Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Pagano Rv 260007) secondo cui l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, per la sua stessa natura giuridica, prescinde dalla effettiva sussistenza di una specifica associazione criminosa. Tale contrasto è, in realtà, solo apparente, posto che l'affermazione, riportata anche nella massima reperibile sul CED, è stata resa in un contesto nel quale la Corte di legittimità aveva affermato il principio secondo il quale l'aggravante può sussistere anche per l'estraneo al contesto mafioso che pone in essere un reato per agevolarne l'associazione che era nata da una scissione di un noto clan camorristico, anche se non ancora perfettamente autonoma da questo. La giurisprudenza di legittimità, infatti, dopo aver affermato il principio secondo cui un delitto aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7 può anche essere commesso da un soggetto non inserito in nessuna compagine associativa (Sez. 5, n. 45711 del 02/10/2003), ha sottolineato come la ratio dell'aggravante non è solo quella di aggravare la pena per l'affiliato che utilizzi metodi mafiosi ovvero agisca al fine di agevolare associazioni mafiose, ma anche di reprimere il comportamento di chi agisca con quello specifico metodo, ovvero dia un contributo al raggiungimento dei fini di un'associazione mafiosa pur non essendovi organicamente inserito.
Ciò che conta è la specifica finalità con cui si agisce da cui la configurabilità dell'aggravante anche nei confronti del reato commesso dall'estraneo al sodalizio criminoso.
Ciò posto, la corte territoriale, nell'affermare la natura oggettiva dell'aggravante in questione, ha disatteso i principi ermeneutici che il Collegio intende confermare e ribadire. Ha, poi, argomentato in maniera insufficiente la configurabilità dell'aggravante nei confronti dei ricorrenti fondata su affermazioni assertive - "devono averlo messo al corrente della qualità di capo dell'omonimo clan" - quanto alla posizione di B.V., soggetto estraneo all'associazione camorristica del D.G., e " G.T. e Z.G., originari di Torre del Greco, erano perfettamente al corrente della caratura delinquenziale del D.G.". Anche la circostanza che il B. andò all'incontro, con il D.G. armato non è, di pe sè, dimostrativa della conoscenza dell'appartenenza del D.G. ad un'associazione mafiosa, atteso che nell'incontro le parti trattavano l'acquisito di una partita di droga, reato non necessariamente costituente programma criminoso di un'associazione mafiosa. La sentenza impugnata va annullata sul punto nei confronti di G.T. e B.V.. Con riferimento alla posizione del B. la corte territoriale

dovrà compiere un novo esame attenendosi al principio secondo cui in tema di reati di criminalità organizzata, la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991, può qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un'associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale (Sez. 6, n. 2696 del 13/11/2008 P.M. in proc. D'Andrea, Rv. 242686).
Infine, nella sentenza impugnata non si rinviene un nucleo motivazionale con riguardo alla posizione di BI.An., custode della droga ricevuta dal D.G.. La motivazione in punto configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 7 cit. nei confronti del ricorrente è del tutto omessa. Anche per il BI. la Corte d'appello dovrà uniformarsi ai principi sopra evidenziati.
9. Con riferimento aì restanti motivi, osserva il Collegio che manifestamente infondata è la censura, mossa dal ricorrente BI. A., di inosservanza della legge penale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 avendo la corte territoriale fatto corretta applicazione del principio secondo cui in tema di sostanze stupefacenti, perchè possa sussistere l'aggravante del concorso di tre o più persone, occorre che ciascuno dei soggetti coinvolti agisca nell'ambito di una delle condotte previste per l'integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione, o altre), essendo, nel caso in esame, a ciascuno dei partecipi riconosciuto uno specifico ruolo ( B. offre in vendita, Z. intermedia, D.G. acquista e BI. detiene) (Sez. 6, n. 10269 del 21/11/2013 Metani Rv. 261719).
10. Manifestamente infondata è la doglianza proposta da G. T. sul mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, già prospettata nel giudizio di appello e ampiamente vagliata e disattesa dalla corte che ha fatto buon governo dei principii, più volte stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, anche all'esito della formulazione normativa introdotta dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2 (conv. nella L. n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (da ultimo, v. Sez. 3, n. 27064 del 19/03/2014, dep. 23/06/2014, Rv.
259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, dep. 26/09/2013, Rv.
256610). In applicazione di tale regula iuris, la corte d'appello ha correttamente ritenuto, confermando la decisione del giudice di primo grado, di escludere che la lesione del bene giuridico protetto fosse di lieve entità, facendo riferimento, con motivazione immune da vizi logico-giuridici in questa sede rilevabili, ai dati inerenti al dato ponderale significativo pari a Kg 18 di hashish, significativo di collegamenti con i fornitori ad un livello elevato, alla circostanza, inerente alle modalità dell'azione per cui il fatto complessivamente considerato desta elevato allarme sociale. In definitiva la sentenza impugnata ha, con motivazione adeguata, coerente e immune da vizio logico, escluso la ricorrenza di un fatto di lieve entità, e dimostra di aver autonomamente esposto le ragione del diniego, del che è da escludersi l'ulteriore censura dell'omessa motivazione.
11. Parimenti, manifestamente infondati sono i motivi in punto trattamento sanzionatorio, diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche svolti dal BI., G. e D.G..
Nei confronti del primo la corte d'appello ha rideterminato la pena riducendola, pur confermando il diniego di concessione delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. con richiamo alla gravità del fatto e alla pericolosità desunti dai precedenti penali e dunque con motivazione immune da vizio logico; il G. si limita ad invocare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed il contenimento della pena inflitta sulla scorta di considerazioni del tutto generiche. Quanto al B. la

conferma del trattamento sanzionatorio è ancorata alla gravità del fatto e al ruolo del medesimo nella vicenda, elementi su cui fonda il diniego delle circostanze attenuanti generiche, dunque la motivazione è adeguata ed è incensurabile in sede di legittimità. Quanto al D.G. osserva la corte che non è possibile addivenire ad un trattamento sanzionatorio più mite giacchè il giudice di primo grado, nella determinazione della pena, aveva omesso l'aumento di pena per l'aggravante di cui alla L. n. 231 del 1991, art. 7, avendola elisa con l'attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 la cui misura, non nel massimo come vorrebbe il ricorrente, è legale e non presenta profilo di illogicità nella sua determinazione nel range previsto. Infine le circostanze attenuanti generiche al D. G. sono state concesse già dal giudice di primo grado.
Infine è inammissibile ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, perchè non devoluta nei motivi di appello, la dedotta violazione di legge con riferimento all'aumento di pena per la ritenuta recidiva in capo a BI.An..
12. Infine le doglianze contenute nel ricorso del BI. relative all'insussistenza dei presupposti dell'operata confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies sono in parte del tutto generiche ed in parte infondate. Va premesso che all'imputato, sono stati confiscati, ai sensi della L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, beni immobili e autovetture dei quali non ha giustificato la provenienza e di cui risulta avere la disponibilità, aventi un valore sproporzionato rispetto alle capacità reddituali sue e del suo nucleo familiare. La vicinanza del BI. al capo clan D.G., con cui era in affari di droga, e la circostanza che i redditi famigliari non avrebbero consentito gli acquisiti effettuati, sono elementi che la corte ha valutato per confermare il provvedimento di sequestro a fronte del quale il ricorrente oppone generiche affermazioni comprovanti le fonti di reddito lecite non supportate da documenti e/o altri elementi. La genericità del motivo rende lo stesso inammissibile.
13. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 nei confronti di BI. A., B.V. e G.T. con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
14. Il ricorso di D.G.I. deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di D.G.I. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di BI.An., B.V. e G.T. limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. 203 del 1991, art. 7 e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2016.
Rispondi

Da: Vertigo70.14/12/2017 15:29:40
Il procedimento di notificazione in ambito prefallimentare sottostà ad una disciplina speciale (art. 15, co. 3, L. Fall.) del tutto distinta da quella prevista nel codice di rito per le notificazioni degli atti del processo. I tentativi di svilirne il carattere di specialità attraverso la creazione di commistioni tra le due discipline, sono stati prontamente bloccati dai giudici di legittimità, anche sulla scorta dell'intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 146/2016.

La disciplina in esame può dirsi abbastanza giovante (l'art. 15, co. 3, L. Fall. è stato riformulato con D.L. 18.10.2012, n. 179, conv. in L. 17.12.2012, n. 221, ed è entrato in vigore l'1.1.2014), tuttavia già si registrano importanti interventi della Cassazione tesi a marcare in modo da non far residuare dubbi la specialità ed esclusività di questa disciplina rispetto a quella ordinaria. Da ultimo è intervenuta la Sesta Sezione, con l'ordinanza n. 23728 del 10.10.2017, che qui passeremo in rassegna.

Inquadramento normativo

Il novellato art. 15, co. 3, L. Fall. introduce un procedimento di notificazione dell'istanza di fallimento ad esclusiva cura dell'Ufficio al fine di dare adeguata risposta a due esigenze specifiche, di segno opposto: l'esigenza del debitore di essere messo a conoscenza della procedura fallimentare e di poter svolgere le attività a propria difesa, nonché l'esigenza degli istanti acché le procedure si svolgano in tempi accettabili. È stato quindi previsto che "il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 107, comma 1, presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso".

La notifica a mezzo PEC da parte dell'Ufficio è quindi il nuovo ed indispensabile strumento di notificazione dell'istanza di fallimento. Sul suo ruolo in posizione di primazia e sulla possibilità di utilizzo in funzione surrogatoria anche degli strumenti contenuti nel codice di rito, sono sorti i principali dubbi applicativi.

Nell'ipotesi in cui la notifica a mezzo PEC non sia possibile, è il ricorrente a dover provvedere al nuovo tentativo di notificazione, sempre secondo le procedure previste dall'art. 15, co. 3, L. Fall. e non secondo le norme generali del codice di procedura civile (in particolare, se il debitore è una società, nelle forme previste dall'art. 145 cpc). In questo secondo caso, la notifica va eseguita "esclusivamente di persona" a norma dell'art. 107, co. 1, dpr 1959/1229, ossia a mani proprie mediante accesso diretto dell'ufficiale giudiziario alla sede dell'impresa risultante dal registro delle imprese, con espressa esclusione della possibilità di eseguire la notifica a mezzo del servizio postale. Nell'ulteriore ipotesi in cui la notificazione presso la sede risultante dal registro delle imprese non sia possibile, ossia quando l'impresa risulti irreperibile all'indirizzo della sede, è obbligo dell'ufficiale giudiziario di eseguire il deposito dell'atto presso la casa comunale del luogo in cui ha sede la società e la notifica "si perfeziona nel momento del deposito stesso".

Come già detto, il fine perseguito dal legislatore è stato quello di accelerare i tempi del procedimento per la dichiarazione di fallimento e di alleggerire gli adempimenti a carico del ricorrente, contemporaneamente riconoscendo al debitore la garanzia della conoscibilità del procedimento e quindi la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa. Del resto, la frequenza del fenomeno dell'irreperibilità dell'impresa debitrice all'indirizzo della sede e l'irreperibilità dello stesso legale rappresentante della società hanno rappresentato per lungo tempo caratteristiche patologiche della fase prefallimentare, comportando, per la necessità di più rinvii d'udienza, un'eccessiva dilatazione dei tempi occorrenti per la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, con conseguente grave pregiudizio per i creditori. È nella constatazione di questi fenomeni (che minavano il funzionamento del processo fallimentare) che risiede la ratio dell'intervento legislativo.

Oggi, invece, con l'introduzione di un termine di fissazione dell'udienza molto contenuto e con l'estrema semplificazione delle modalità della notificazione, incentrata anzitutto sulla notifica all'indirizzo PEC dell'impresa debitrice a cura della cancelleria, si è inteso garantire uno svolgimento snello delle procedure, nella certezza della corretta instaurazione del contraddittorio.

La norma è uscita indenne da un giudizio di legittimità costituzionale promosso dalla Corte d'Appello di Catanzaro per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. La Corte calabrese aveva argomentato che la possibilità prevista dalla norma che la notifica, in caso di irreperibilità del destinatario, potesse perfezionarsi col solo deposito presso la casa comunale e dunque senza le ulteriori cautele previste dall'art. 145 cpc per le notifiche alle persone giuridiche, vale a dire senza alcuna necessità di dar conto e notizia dell'incombente e senza la previsione alternativa della notifica alla persona fisica del legale rappresentante della società, potesse configurare una disparità di trattamento "né ragionevole, né motivata" rispetto alle notifiche ordinarie, e tanto in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Per altro verso, doveva ritenersi violato l'art. 24 Cost. per lesione del diritto di difesa della persona giuridica debitrice, non rappresentando il mero deposito presso la casa comunale "un mezzo idoneo a rendere conoscibile l'atto al suo destinatario, mancando qualsiasi altra cautela diretta a rendere edotto il notificato".

La Corte costituzionale ha respinto le conclusioni della Corte rimettente, dapprima precisando l'insussistenza della violazione dell'art. 3 Cost. poiché il nuovo art. 15 L. Fall. si propone di coniugare la finalità di tutela del diritto di difesa dell'imprenditore collettivo "con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale", quindi esonerando il tribunale da ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all'imprenditore medesimo, a differenza dell'art. 145 cpc che è esclusivamente finalizzato "all'esigenza di assicurare alla persona giuridica l'effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati ed alle connesse procedure".

I Giudici delle Leggi hanno sottolineato "la specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici), ed anche la natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l'introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell'ambito della procedura fallimentare", e quindi "l'innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario" ex art. 145 cpc.

È stata giudicata infondata anche la questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 24 Cost., atteso che il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità da parte del debitore dell'attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è comunque adeguatamente tutelato dalla norma, in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società. Il sistema di notificazione a mezzo PEC "consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell'atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari". Solo nell'ipotesi di non utile attivazione del primo meccanismo deve provvedersi alla notificazione presso la sede legale (conosciuta poiché presente nei pubblici registri) dell'impresa collettiva. In caso di fallimento di questo duplice meccanismo, il deposito dell'atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale "ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione da parte dell'impresa collettiva degli ordini derivanti dalla legge".

La stessa Corte Costituzionale ha altresì argomentato che, ben prima dell'entrata in vigore della novella, era consolidato l'orientamento per cui le esigenze di compatibilità tra il diritto di difesa e gli obiettivi di speditezza ed operatività, ai quali deve essere improntato il procedimento concorsuale, giustificavano l'esonero per il tribunale da ulteriori formalità, "ancorché normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di irreperibilità dell'imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico" (Cass. 32/2008; Cass. 3062/2011).
Rispondi

Da: Luca03 14/12/2017 15:36:50
Se le lesioni sono colpose la recidiva non vi è... aooo basta leggere la recidiva.
Rispondi

Da: Vertigo70.14/12/2017 15:37:52
DALLE SEZIONI UNITE ALCUNI PUNTI FERMI IN TEMA DI RECIDIVA REITERATA

Nota a Cass., Sez. Un., 27.5.2010 (dep. 5.10.2010), n. 35738, ric. Calibè

La sentenza delle Sezioni Unite qui annotata fornisce l'occasione per porre alcuni punti fermi nella controversa materia della recidiva, con specifico riguardo alla recidiva reiterata ex art. 99, c. 4, c.p.


1. La prima e più importante questione che viene risolta con questa pronuncia attiene alla nota problematica inerente la natura obbligatoria o facoltativa della recidiva reiterata, a seguito della nuova formulazione dell'art. 99, c. 4, c.p. conseguente alla l. 205/2005.

Come già affermato da diverse pronunce (Cass., sez. IV, 11 aprile 2007, CED 236412; sez. IV, 19 aprile 2007, CED 235835), la Corte ribadisce che la recidiva, anche quella reiterata di cui all'art. 99, c. 4, c.p., conserva tuttora natura di circostanza aggravante facoltativa, con conseguente possibilità per il giudice di escluderla laddove la ricaduta nel reato, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, non appaia in realtà sintomatica di una maggiore colpevolezza e pericolosità dell'agente.

L'unica eccezione è costituita dall'art. 99, c. 5, c.p. che disciplina l'ipotesi in cui il nuovo delitto non colposo rientri tra quelli indicati nell'art. 407, c. 2, lett. a) del codice di rito (tra i quali, ad es., associazione mafiosa e delitti commessi dagli associati, delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione, traffico di stupefacenti, strage, omicidio doloso, rapina aggravata ed estorsione aggravata); con riguardo a tale peculiare ipotesi, infatti, il legislatore ha espressamente qualificato l'aumento di pena ivi previsto come "obbligatorio". Da ciò, peraltro, si evince a contrario che, con riferimento alle figure di recidiva di cui ai commi da uno a quattro dell'art. 99 c.p., l'aumento di pena deve considerarsi facoltativo.

Alla base del dictum delle Sezioni Unite vi sono ragioni sia di ordine testuale sia di ordine costituzionale. La lettura che la Cassazione dà dell'art. 99, c. 4, c.p. risulta in effetti la più aderente alla formulazione testuale della norma.

L'unico aspetto su cui risulta aver inciso il legislatore del 2005, infatti, è relativo al solo quantum dell'aumento di pena (oggi, a differenza che in passato, previsto in misura fissa, anziché variabile tra un minino ed un massimo), e non già all'an dello stesso, il quale deve essere oggetto di un concreto apprezzamento da parte del giudice.

Inoltre, la Cassazione ricorda che le varie figure speciali di recidiva "non costituiscono autonome tipologie svincolate dagli elementi normativi e costitutivi della recidiva semplice, bensì mere specificazioni di essa, dalla quale si diversificano, espressamente richiamandola, per le differenti conseguenze sanzionatorie che comportano", cioè, come visto, un aumento di pena nella misura determinata ope legis e non ope iudicis.

Infine, tale interpretazione è imposta anche dai principi costituzionali di ragionevolezza, proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa della risposta sanzionatoria. Affidare al mero dato oggettivo della reiterazione degli illeciti il prodursi delle plurime conseguenze pregiudizievoli che discendono dall'applicazione della recidiva reiterata significa, infatti, introdurre una sorta di automatismo punitivo che risulta del tutto incompatibile con i fondamenti costituzionali della materia penale, poiché l'irrigidimento della risposta sanzionatoria non verrebbe ad essere agganciato ad una maggior colpevolezza e pericolosità dell'agente accertata in concreto dal giudice.


2. Ribadita quindi la natura facoltativa della recidiva, la Corte ha cura di affrontare un'ulteriore questione connessa a quella appena descritta e sulla quale persisteva un contrasto giurisprudenziale. Contrariamente a quanto si era sostenuto in alcune pronunce (Cass., sez. VI, 27 febbraio 2007, CED 236426), infatti, la Corte esclude che il principio di facoltatività della recidiva possa subire "scissioni" con riferimento agli effetti che conseguono al riconoscimento della stessa; non è cioè ammissibile che il giudice riconosca la recidiva in capo al condannato, aumentando la pena, ma si astenga dall'applicare tutte le altre conseguenze che dal riconoscimento della stessa derivano (ad es., non aumenti la nella misura prevista dall'art. 81 c.p. in caso di reato continuato).

Più in particolare, si afferma in sentenza - sulla scia di quanto aveva già osservato il Giudice delle leggi (sent. n. 192/2007) - che il giudice è sì titolare di un potere discrezionale in merito all'applicazione o meno della recidiva, ma se, nel caso concreto, egli ritiene che l'aggravante in parola debba essere applicata, questa opera necessariamente e determina tutte le conseguenze pregiudizievoli previste dalla legge.

Il giudice, quindi, se ritiene di applicare all'imputato la recidiva reiterata:

a) dovrà aumentare la pena nella misura prevista dalla legge (art. 99, c. 4, c.p.);

b) non potrà dichiarare la prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva in sede di giudizio di comparazione (art. 69, c. 4, c.p.);

c) non potrà determinare l'aumento di pena previsto in caso di concorso formale o reato continuato in misura inferiore ad un terzo della pena stabilita per la violazione più grave (art. 81, c. 4, c.p.);

d) se ritiene che la pena da irrogare in concreto sia superiore a due anni, non potrà ammettere l'imputato al c.d. "patteggiamento allargato" (art. 444, c. 1-bis, c.p.).

Il giudice, in definitiva, è posto dinnanzi ad un'alternativa "secca": o esclude la recidiva reiterata, ed essa non spiegherà quindi nessuno degli effetti pregiudizievoli che ad essa la legge riconnette; ovvero la ritiene sussistente, e in tal caso procederà alla commisurazione della pena nel rispetto di tutte le limitazioni conseguenti al riconoscimento dello status di recidivo reiterato.


3. Da ultimo, la Cassazione con la sentenza in esame chiarisce che, ai fini dell'operatività delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall'applicazione dell'aggravante della recidiva reiterata, è sufficiente che essa sia, oltre che ritualmente contestata dal pubblico ministero in omaggio al principio del contraddittorio, ritenuta sussistente dal giudice in sentenza; non è cioè necessario che all'imputato l'aggravante in parola sia già stata applicata con una precedente sentenza. Le Sezioni Unite hanno peraltro cura di chiarire, in adesione all'orientamento dominante (Cass., Sez. Un., 18 giugno 1991, CED 187856), che la recidiva, al pari delle altre circostanze aggravanti, si deve ritenere "applicata" anche quando, in sede di giudizio di comparazione, è stata ritenuta equivalente alle eventuali circostanze attenuanti, poiché essa ha quanto meno avuto l'effetto di paralizzare la riduzione di pena.

Tale questione si era posta, in particolare, con riferimento alla preclusione al c.d. patteggiamento allargato prevista dall'art. 444, c. 1-bis, c.p.p. per coloro che siano stati, come recita testualmente tale norma, "dichiarati" recidivi reiterati; la formulazione letterale, infatti, inclinava l'interprete a ritenere che l'imputato, per vedersi precluso l'accesso al rito speciale, dovesse essere già stato riconosciuto recidivo reiterato con una precedente sentenza. La Corte, però, respinge tale lettura, in quanto ritiene che il termine di cui sopra sia stato utilizzato impropriamente dal legislatore con riferimento alla recidiva; tecnicamente, infatti, questa è una circostanza del reato, e quindi si applica, non si "dichiara". Il legislatore ha verosimilmente utilizzato tale termine, in quanto l'art. 444, c. 1-bis, c.p.p. inibisce l'accesso al c.d. patteggiamento allargato non solo a coloro ai quali è stata applicata l'aggravante della recidiva reiterata, ma anche ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, cioè con riferimento a qualifiche soggettive per le quali, invece, si prevede espressamente un'apposita "dichiarazione" con la sentenza di condanna. Il legislatore sembra dunque aver utilizzato un unico termine per tutti gli status soggettivi richiamati dalla norma (compresa la recidiva), e per questo si deve ritenere che la preclusione di cui alla norma processuale in esame operi già nel momento in cui il giudice accerta i presupposti per applicare la recidiva reiterata, senza che sia necessaria una precedente condanna che tale forma di recidiva abbia già applicato.

Sulla scorta dei principi così enunciati, la Corte previene agevolmente alla soluzione del caso di specie. Si trattava, in particolare, di valutare la legittimità di una sentenza di patteggiamento che condannava a pene superiori ai due anni due imputati per reati in materia di stupefacenti, nella quale il giudice aveva (motivatamente) escluso la recidiva reiterata per un imputato, mentre nessuna indicazione sul punto aveva fornito con riferimento all'altro, al quale pure era stata contestata la recidiva qualificata. In applicazione del principio di diritto da ultimo affermato, la Corte evidenzia che, mentre nessun problema si pone per il primo imputato, in quanto il giudice ha ritenuto di escludere la recidiva ex art. 99, c. 4, c.p. e quindi ha legittimamente ammesso quest'ultimo al c.d. patteggiamento allargato, diverso è il discorso con riferimento alla condanna del secondo imputato, poiché in quest'ultimo caso la recidiva non era stata esclusa dal giudice e quindi essa doveva ritenersi operante, con la conseguenza che l'imputato non poteva avere accesso al rito speciale ed alla relativa riduzione di pena. Pertanto, la Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del secondo imputato, per essere stata a questi irrogata una pena inferiore al minimo previsto dalla legge.

* * * *

4. La sentenza in commento fornisce, infine, occasione per riflettere su un nodo ancora aperto in tema di recidiva - peraltro non affrontato nella pronuncia -, relativo ai dubbi di legittimità costituzionale dell'unica residua ipotesi di recidiva obbligatoria, prevista in termini inequivoci dall'art. 99, c. 5, c.p. ("l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio").

Nel motivare il normale regime di facoltatività della recidiva in tutte le altre ipotesi contemplate dall'art. 99 c.p., le Sezioni Unite evidenziano come tale facoltatività sia una diretta conseguenza dell'operare del principio di colpevolezza. Non è infatti sufficiente, perché sia applicabile l'aggravante della recidiva, il dato meramente oggettivo rappresentato dalla reiterazione dell'illecito, ma è necessario che il nuovo delitto risulti in concreto espressivo di una maggiore colpevolezza e pericolosità sociale del reo, sì da giustificare in concreto l'aumento della pena, nonché l'irrigidimento della disciplina processuale e penitenziaria. Diversamente, la produzione delle conseguenze sfavorevoli previste dalla legge per il recidivo reiterato verrebbe ad essere priva di un legame soggettivamente rilevante con l'agente, con conseguente pregiudizio dei principi di personalizzazione e necessaria finalizzazione della risposta sanzionatoria al reato.

Tuttavia, se il principio di facoltatività della recidiva risulta intimamente connesso con il principio (costituzionale) di colpevolezza, non è chiaro come tale principio possa essere derogato con riferimento alla recidiva ex art. 99, c. 5, c.p.

Non pare infatti potersi sostenere che, essendo la recidiva di cui al c. 5 fondata sulla particolare gravità del nuovo delitto commesso (uno tra quelli previsti dall'art. 407, c. 2, lett. a), c.p.p.), sarebbe ragionevole ritenerlo senz'altro espressivo di una maggiore riprovevolezza della condotta dell'agente, senza necessità di un accertamento in concreto da parte del giudice.

La recidiva ex art. 99, c. 5, infatti, si applica anche a coloro che sono stati riconosciuti recidivi ex art. 99, c. 1, c.p., cioè ai recidivi semplici, i quali potrebbero quindi aver commesso in precedenza un qualunque delitto non colposo, per nulla connesso a quello che dà luogo alla forma obbligatoria di recidiva; senza considerare poi che quest'ultimo potrebbe essere stato commesso svariati anni addietro.

Per tali ragioni, l'art. 99, c. 5, c.p. sembra porre seri problemi di compatibilità con il quadro costituzionale, che l'interprete difficilmente potrebbe risolvere mediante una interpretazione costituzionalmente conforme di tale norma che abbia l'effetto di estendere il principio di facoltatività della recidiva anche all'ipotesi ivi prevista. Il testo dell'art. 99, c. 5, infatti, risulta inequivoco sul punto, ed una diversa ipotesi ricostruttiva del suo significato si risolverebbe inevitabilmente in un'interpretazione contra legem. La sola strada percorribile, pertanto, sembra quella di sollevare un'eccezione di incostituzionalità della norma innanzi alla Corte costituzionale per contrasto con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 co. 1 Cost, nonché con lo stesso principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in relazione alla irragionevolezza della presunzione assoluta di maggiore colpevolezza e pericolosità sottesa al regime di obbligatorietà dell'ipotesi di recidiva in parola.
Rispondi

Da: Luca03 14/12/2017 15:38:54
Cadere il tentativo attraverso eccesso colposo in legittima difesa lesioni colpose i reati colposi non prevedono recidiva
Rispondi

Da: Vertigo70.14/12/2017 15:39:24
DALLE SEZIONI UNITE ALCUNI PUNTI FERMI IN TEMA DI RECIDIVA REITERATA

Nota a Cass., Sez. Un., 27.5.2010 (dep. 5.10.2010), n. 35738, ric. Calibè

La sentenza delle Sezioni Unite qui annotata fornisce l'occasione per porre alcuni punti fermi nella controversa materia della recidiva, con specifico riguardo alla recidiva reiterata ex art. 99, c. 4, c.p.


1. La prima e più importante questione che viene risolta con questa pronuncia attiene alla nota problematica inerente la natura obbligatoria o facoltativa della recidiva reiterata, a seguito della nuova formulazione dell'art. 99, c. 4, c.p. conseguente alla l. 205/2005.

Come già affermato da diverse pronunce (Cass., sez. IV, 11 aprile 2007, CED 236412; sez. IV, 19 aprile 2007, CED 235835), la Corte ribadisce che la recidiva, anche quella reiterata di cui all'art. 99, c. 4, c.p., conserva tuttora natura di circostanza aggravante facoltativa, con conseguente possibilità per il giudice di escluderla laddove la ricaduta nel reato, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, non appaia in realtà sintomatica di una maggiore colpevolezza e pericolosità dell'agente.

L'unica eccezione è costituita dall'art. 99, c. 5, c.p. che disciplina l'ipotesi in cui il nuovo delitto non colposo rientri tra quelli indicati nell'art. 407, c. 2, lett. a) del codice di rito (tra i quali, ad es., associazione mafiosa e delitti commessi dagli associati, delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione, traffico di stupefacenti, strage, omicidio doloso, rapina aggravata ed estorsione aggravata); con riguardo a tale peculiare ipotesi, infatti, il legislatore ha espressamente qualificato l'aumento di pena ivi previsto come "obbligatorio". Da ciò, peraltro, si evince a contrario che, con riferimento alle figure di recidiva di cui ai commi da uno a quattro dell'art. 99 c.p., l'aumento di pena deve considerarsi facoltativo.

Alla base del dictum delle Sezioni Unite vi sono ragioni sia di ordine testuale sia di ordine costituzionale. La lettura che la Cassazione dà dell'art. 99, c. 4, c.p. risulta in effetti la più aderente alla formulazione testuale della norma.

L'unico aspetto su cui risulta aver inciso il legislatore del 2005, infatti, è relativo al solo quantum dell'aumento di pena (oggi, a differenza che in passato, previsto in misura fissa, anziché variabile tra un minino ed un massimo), e non già all'an dello stesso, il quale deve essere oggetto di un concreto apprezzamento da parte del giudice.

Inoltre, la Cassazione ricorda che le varie figure speciali di recidiva "non costituiscono autonome tipologie svincolate dagli elementi normativi e costitutivi della recidiva semplice, bensì mere specificazioni di essa, dalla quale si diversificano, espressamente richiamandola, per le differenti conseguenze sanzionatorie che comportano", cioè, come visto, un aumento di pena nella misura determinata ope legis e non ope iudicis.

Infine, tale interpretazione è imposta anche dai principi costituzionali di ragionevolezza, proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa della risposta sanzionatoria. Affidare al mero dato oggettivo della reiterazione degli illeciti il prodursi delle plurime conseguenze pregiudizievoli che discendono dall'applicazione della recidiva reiterata significa, infatti, introdurre una sorta di automatismo punitivo che risulta del tutto incompatibile con i fondamenti costituzionali della materia penale, poiché l'irrigidimento della risposta sanzionatoria non verrebbe ad essere agganciato ad una maggior colpevolezza e pericolosità dell'agente accertata in concreto dal giudice.


2. Ribadita quindi la natura facoltativa della recidiva, la Corte ha cura di affrontare un'ulteriore questione connessa a quella appena descritta e sulla quale persisteva un contrasto giurisprudenziale. Contrariamente a quanto si era sostenuto in alcune pronunce (Cass., sez. VI, 27 febbraio 2007, CED 236426), infatti, la Corte esclude che il principio di facoltatività della recidiva possa subire "scissioni" con riferimento agli effetti che conseguono al riconoscimento della stessa; non è cioè ammissibile che il giudice riconosca la recidiva in capo al condannato, aumentando la pena, ma si astenga dall'applicare tutte le altre conseguenze che dal riconoscimento della stessa derivano (ad es., non aumenti la nella misura prevista dall'art. 81 c.p. in caso di reato continuato).

Più in particolare, si afferma in sentenza - sulla scia di quanto aveva già osservato il Giudice delle leggi (sent. n. 192/2007) - che il giudice è sì titolare di un potere discrezionale in merito all'applicazione o meno della recidiva, ma se, nel caso concreto, egli ritiene che l'aggravante in parola debba essere applicata, questa opera necessariamente e determina tutte le conseguenze pregiudizievoli previste dalla legge.

Il giudice, quindi, se ritiene di applicare all'imputato la recidiva reiterata:

a) dovrà aumentare la pena nella misura prevista dalla legge (art. 99, c. 4, c.p.);

b) non potrà dichiarare la prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva in sede di giudizio di comparazione (art. 69, c. 4, c.p.);

c) non potrà determinare l'aumento di pena previsto in caso di concorso formale o reato continuato in misura inferiore ad un terzo della pena stabilita per la violazione più grave (art. 81, c. 4, c.p.);

d) se ritiene che la pena da irrogare in concreto sia superiore a due anni, non potrà ammettere l'imputato al c.d. "patteggiamento allargato" (art. 444, c. 1-bis, c.p.).

Il giudice, in definitiva, è posto dinnanzi ad un'alternativa "secca": o esclude la recidiva reiterata, ed essa non spiegherà quindi nessuno degli effetti pregiudizievoli che ad essa la legge riconnette; ovvero la ritiene sussistente, e in tal caso procederà alla commisurazione della pena nel rispetto di tutte le limitazioni conseguenti al riconoscimento dello status di recidivo reiterato.


3. Da ultimo, la Cassazione con la sentenza in esame chiarisce che, ai fini dell'operatività delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall'applicazione dell'aggravante della recidiva reiterata, è sufficiente che essa sia, oltre che ritualmente contestata dal pubblico ministero in omaggio al principio del contraddittorio, ritenuta sussistente dal giudice in sentenza; non è cioè necessario che all'imputato l'aggravante in parola sia già stata applicata con una precedente sentenza. Le Sezioni Unite hanno peraltro cura di chiarire, in adesione all'orientamento dominante (Cass., Sez. Un., 18 giugno 1991, CED 187856), che la recidiva, al pari delle altre circostanze aggravanti, si deve ritenere "applicata" anche quando, in sede di giudizio di comparazione, è stata ritenuta equivalente alle eventuali circostanze attenuanti, poiché essa ha quanto meno avuto l'effetto di paralizzare la riduzione di pena.

Tale questione si era posta, in particolare, con riferimento alla preclusione al c.d. patteggiamento allargato prevista dall'art. 444, c. 1-bis, c.p.p. per coloro che siano stati, come recita testualmente tale norma, "dichiarati" recidivi reiterati; la formulazione letterale, infatti, inclinava l'interprete a ritenere che l'imputato, per vedersi precluso l'accesso al rito speciale, dovesse essere già stato riconosciuto recidivo reiterato con una precedente sentenza. La Corte, però, respinge tale lettura, in quanto ritiene che il termine di cui sopra sia stato utilizzato impropriamente dal legislatore con riferimento alla recidiva; tecnicamente, infatti, questa è una circostanza del reato, e quindi si applica, non si "dichiara". Il legislatore ha verosimilmente utilizzato tale termine, in quanto l'art. 444, c. 1-bis, c.p.p. inibisce l'accesso al c.d. patteggiamento allargato non solo a coloro ai quali è stata applicata l'aggravante della recidiva reiterata, ma anche ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, cioè con riferimento a qualifiche soggettive per le quali, invece, si prevede espressamente un'apposita "dichiarazione" con la sentenza di condanna. Il legislatore sembra dunque aver utilizzato un unico termine per tutti gli status soggettivi richiamati dalla norma (compresa la recidiva), e per questo si deve ritenere che la preclusione di cui alla norma processuale in esame operi già nel momento in cui il giudice accerta i presupposti per applicare la recidiva reiterata, senza che sia necessaria una precedente condanna che tale forma di recidiva abbia già applicato.

Sulla scorta dei principi così enunciati, la Corte previene agevolmente alla soluzione del caso di specie. Si trattava, in particolare, di valutare la legittimità di una sentenza di patteggiamento che condannava a pene superiori ai due anni due imputati per reati in materia di stupefacenti, nella quale il giudice aveva (motivatamente) escluso la recidiva reiterata per un imputato, mentre nessuna indicazione sul punto aveva fornito con riferimento all'altro, al quale pure era stata contestata la recidiva qualificata. In applicazione del principio di diritto da ultimo affermato, la Corte evidenzia che, mentre nessun problema si pone per il primo imputato, in quanto il giudice ha ritenuto di escludere la recidiva ex art. 99, c. 4, c.p. e quindi ha legittimamente ammesso quest'ultimo al c.d. patteggiamento allargato, diverso è il discorso con riferimento alla condanna del secondo imputato, poiché in quest'ultimo caso la recidiva non era stata esclusa dal giudice e quindi essa doveva ritenersi operante, con la conseguenza che l'imputato non poteva avere accesso al rito speciale ed alla relativa riduzione di pena. Pertanto, la Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del secondo imputato, per essere stata a questi irrogata una pena inferiore al minimo previsto dalla legge.

* * * *

4. La sentenza in commento fornisce, infine, occasione per riflettere su un nodo ancora aperto in tema di recidiva - peraltro non affrontato nella pronuncia -, relativo ai dubbi di legittimità costituzionale dell'unica residua ipotesi di recidiva obbligatoria, prevista in termini inequivoci dall'art. 99, c. 5, c.p. ("l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio").

Nel motivare il normale regime di facoltatività della recidiva in tutte le altre ipotesi contemplate dall'art. 99 c.p., le Sezioni Unite evidenziano come tale facoltatività sia una diretta conseguenza dell'operare del principio di colpevolezza. Non è infatti sufficiente, perché sia applicabile l'aggravante della recidiva, il dato meramente oggettivo rappresentato dalla reiterazione dell'illecito, ma è necessario che il nuovo delitto risulti in concreto espressivo di una maggiore colpevolezza e pericolosità sociale del reo, sì da giustificare in concreto l'aumento della pena, nonché l'irrigidimento della disciplina processuale e penitenziaria. Diversamente, la produzione delle conseguenze sfavorevoli previste dalla legge per il recidivo reiterato verrebbe ad essere priva di un legame soggettivamente rilevante con l'agente, con conseguente pregiudizio dei principi di personalizzazione e necessaria finalizzazione della risposta sanzionatoria al reato.

Tuttavia, se il principio di facoltatività della recidiva risulta intimamente connesso con il principio (costituzionale) di colpevolezza, non è chiaro come tale principio possa essere derogato con riferimento alla recidiva ex art. 99, c. 5, c.p.

Non pare infatti potersi sostenere che, essendo la recidiva di cui al c. 5 fondata sulla particolare gravità del nuovo delitto commesso (uno tra quelli previsti dall'art. 407, c. 2, lett. a), c.p.p.), sarebbe ragionevole ritenerlo senz'altro espressivo di una maggiore riprovevolezza della condotta dell'agente, senza necessità di un accertamento in concreto da parte del giudice.

La recidiva ex art. 99, c. 5, infatti, si applica anche a coloro che sono stati riconosciuti recidivi ex art. 99, c. 1, c.p., cioè ai recidivi semplici, i quali potrebbero quindi aver commesso in precedenza un qualunque delitto non colposo, per nulla connesso a quello che dà luogo alla forma obbligatoria di recidiva; senza considerare poi che quest'ultimo potrebbe essere stato commesso svariati anni addietro.

Per tali ragioni, l'art. 99, c. 5, c.p. sembra porre seri problemi di compatibilità con il quadro costituzionale, che l'interprete difficilmente potrebbe risolvere mediante una interpretazione costituzionalmente conforme di tale norma che abbia l'effetto di estendere il principio di facoltatività della recidiva anche all'ipotesi ivi prevista. Il testo dell'art. 99, c. 5, infatti, risulta inequivoco sul punto, ed una diversa ipotesi ricostruttiva del suo significato si risolverebbe inevitabilmente in un'interpretazione contra legem. La sola strada percorribile, pertanto, sembra quella di sollevare un'eccezione di incostituzionalità della norma innanzi alla Corte costituzionale per contrasto con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 co. 1 Cost, nonché con lo stesso principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in relazione alla irragionevolezza della presunzione assoluta di maggiore colpevolezza e pericolosità sottesa al regime di obbligatorietà dell'ipotesi di recidiva in parola.
Rispondi

Da: Neoavv14/12/2017 15:54:07
Qualcuno ha pubblicato la soluzione dell'atto di penale ?
Rispondi

Da: A voi.14/12/2017 15:57:09

- Messaggio eliminato -

Rispondi

Da: SOLUZIONE IURIS ET DE IURE14/12/2017 16:01:56
C'e' la soluzione dell'atto di penale su Iuris et de iure!
Rispondi

Da: Vertigo-14/12/2017 16:04:38

- Messaggio eliminato -

Rispondi

Da: X Luca0314/12/2017 16:05:06
quante cazzate riesci a scrivere in un solo post? cioè 2nd te una persona che con una spranga colpisce un'altro lo fa colposamente? mi spieghi la legittima difesa dove potrebbe essere? sei scandaloso.. non credo che tu possa sperare minimamente di passare, non sai un cazzo di diritto penale, vergognati.. altro che chiedere aiuto qui, a seghe peggiori di te. prega san Gennaro!
Rispondi

Da: Xxx 14/12/2017 16:11:44
Ricordati che è un atto difensivo.. e non importa minimamente ciò che è realmente accaduto, ma l'interpretazione di quei fatti e la gradualità con cui si formulano i motivi. Ci sono 10 modi diversi di fare l'atto tutti giusti!
Le lesioni colpose possono integrarsi allorché tizio abbia agito eccedendo la legittima difesa. Eccesso colposo= punibilità del fatto come reato colposo, se previsto anche come tale. Come primo/secondo motivo dopo la derubricazione va benissimo.
Anche se io costruirei diversamente..
Rispondi

Da: Xxx 14/12/2017 16:24:11
Non sai proprio cosa cazzo sia un atto di appello.. non si scrive la verita'! Ma LE VERITÀ POSSIBILI graduate nei motivi da quella più favorevole all'assistito a quella meno favorevole(ma comunque più favorevole della sent di 1 grado).
Uno come te non si dovrebbe permettere di giudicare nemmeno lo spazzino sotto casa che di diritto in generale ne sa più di te..
sei un poveraccio.
Assistente di diritto processuale penale.
Rispondi

Da: X Luca0314/12/2017 16:33:33
Proseguite come volete, ma siete messi molto male, chi aiuta anche peggio... non so come possiate riconoscere la sussistenza della legittima difesa. L'atto se è pretestuoso, ossia fondato su motivi non pertinenti, è insufficiente. Da quello che scrivete, il vostro, è totalmente errato. Poi fate come vi pare, se uno viene qui a chiedere aiuto è palese che di penale non sappia nulla.. ahahah
Rispondi

Da: accidentolina14/12/2017 16:34:56
Da difensore sono libero di sostenere anche la legittima difesa..non trovi? bah assudo!
Rispondi

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